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Autore: BabaYagaIsBack    03/11/2017    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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21. Qualcosa non va con lei
Josh
Il pensiero di Aralyn non riusciva a staccarsi dal suo nome, quasi la stesse perseguitando come una litania o uno di quei motivetti impossibile da togliersi dalla mente. Sentiva inoltre di avere addosso il suo odore, infilato sulla pelle, tra i capelli, le pieghe delle labbra screpolare: ovunque. Le piaceva quel sentore, ma non era affatto una novità, già quando l’aveva incontrato al locale con Marion lo aveva pensato. Riluttante si rese conto di non combattere più solo contro di lui e la diffidenza che provava nei suoi confronti, ma anche contro il suo ruolo di braccio destro dell’Alpha ed i suoi istinti animali, quelli più reconditi. In auto era riuscita a far prevalere il suo ruolo nella gerarchia del clan minacciandolo e ricordandogli chi dei due avesse il coltello dalla parte del manico, ma se non ci fosse stato quello di mezzo, come si sarebbe comportata? Diversamente, questo era certo, ma perché? Cosa la spingeva ad essere attratta da lui? E cosa la respingeva? Nel proprio letto, con l’odore mascolino del nuovo arrivato a farle compagnia, si ritrovò a mordersi le labbra nervosamente, incapace di dare risposta a quella serie di domande. C’era solo una certezza, in tutto quel dubbio e caos: non doveva più pensare a lui.
Lei era cotta di Arwen, per una vita aveva rischiato ogni cosa per quel suo amore malsano, quindi non poteva mandare all’aria tutto quanto per colpa di una sorta di flebile infatuazione per quel tipo! Solo una stupida avrebbe rinunciato a tutta la fatica fatta per concedersi lo sfizio di perdere la testa per qualche breve periodo, a tal punto da fidarsi di un completo sconosciuto. Si tirò dritta sul materasso, scuotendo vigorosamente la testa.
Che pensieri le saltavano in mente? Era ovvio che non avrebbe tradito suo fratello ed il legame tra di loro per colpa delle voglie scaturite dal sapore del diverso, del rischio.
Fece ricadere la testa all’indietro, gonfiandosi i polmoni d’aria. La presenza di Josh, seppur indesiderata, le stava pian piano scombussolando la quotidianità a cui era abituata. Sì, gli istinti dell’animale dentro di lei potevano destabilizzarla o avere il sopravvento, ma se fosse riuscita a mantenere viva la sua parte umana non avrebbe corso alcun rischio. In ogni caso, ora come ora, doveva evitare di pensare alla questione: ignorando la cosa sarebbe sicuramente sparita.
D’un tratto i pensieri furono brutalmente interrotti dal rumore di passi, passi che all’inizio le parvero familiari, ma che poi si confusero. Non era suo fratello e nemmeno Marion, erano quelli di qualcun altro. Garrel forse? No, erano troppo leggeri per essere quelli del bestione palestrato, si trattava di qualcuno che non era mai arrivato fin lì, che sembrava titubante nel procedere sul parquet scricchiolante sotto ai suoi piedi. Aguzzò i sensi, cercando di ricordare quale dei suoi confratelli avesse un avanzamento del genere. Chi poteva voler parlare con lei? Con chi aveva un conto in sospeso? Fu un sospiro a farle capire che, chiunque fosse, non avrebbe certo trovato facilmente il coraggio di bussare. Poteva quindi essere Brigitte, la lupa che aveva giaciuto con suo fratello la luna piena scorsa?
Presa dall’impeto e dalla curiosità, saltò giù dal materasso e si avvicinò svelta alla porta dietro cui, con grande probabilità, si nascondeva la donna che più di tutte aveva iniziato a detestare. Arrivò a ridosso del legno e poi, schiarendosi la voce, chiese chi ci fosse, lì fuori: nessuna risposta. Aralyn corrugò la fronte, confusa. Non aveva avvertito lo sconosciuto allontanarsi, men che meno fare altri movimenti, quindi perché non gli rispondeva? Che fosse troppo timido?
Si allontanò di un paio di centimetri, ora preoccupata. Chi c’era, nel clan, di così strano da comportarsi a quel modo?
A quel punto, con voce tremante, invitò la persona ad entrare, pregando di non aver compiuto il peggiore degli errori -però non aveva nemici nel branco, quindi perché agitarsi in quella maniera? La porta ci mise alcuni secondi prima di aprirsi, cigolando sulle viti troppo vecchie e poco oliate. Ci volle ancora un po' prima che l’ospite facesse il suo totale ingresso nella stanza e, quando accadde, la lupa sentì il cuore perdere un colpo e saltarle in gola per la sorpresa. Lui. Lui e nessun altro, probabilmente richiamato come un demone dalla sua litania di domande, invocazioni e pensieri. Era stato invocato, aveva risposto al suo insensato desiderio di capire per quale motivo si sentisse, seppur riluttante, attratta dalla sua essenza.
Josh alzò lo sguardo su di lei, quasi ad accertarsi che volesse ancora farlo entrare in quel luogo che era solo suo, intimo ed Aralyn, mutamente, acconsentì.
Non si erano più incrociati dal momento in cui erano rientrati a casa dopo il casino avvenuto con il Menalcan e, probabilmente, qualcosa in quel lasso di tempo aveva cambiato la situazione. Ma cosa? Perché quella specie di tradimento, le minacce, la rabbia e quant’altro, non avevano accentuato il suo desiderio di allontanarlo? Deglutì, non sapendo assolutamente come comportarsi.
«Scusami, io … io volevo la mia giacca. Sai, fuori fa freddo e ci terrei a riaverla per non ibernare» il ragazzo si permise una risata nervosa per non sembrare troppo ingessato, per camuffare il disagio che a sua volta doveva sentirsi addosso. Era una buona scusa, la sua. Era un motivo più che valido per andare fin nell’area femminile e disturbarla; dopo due giorni, infondo, era lecito venir a bussare alla sua porta. Aralyn lanciò un’occhiata in direzione dell’indumento a terra «Devi andare da qualche parte?» gli chiese lei, chinando la testa da un lato e facendo scivolare una cascata di capelli davanti alla spalla. Non sapeva bene perché gliel’avesse chiesto, in fin dei conti non erano certo affar suoi i piani di lui. Era un uomo adulto, grande abbastanza per fare ciò che meglio credeva e, inoltre, finché fosse stato nelle terre del branco sarebbe stato tenuto d’occhio da tutti i confratelli -fino al giorno del giuramento sarebbe stato un jolly nel mazzo: nessuno poteva sapere chi lo avrebbe pescato. Josh fece qualche passo avanti, richiudendosi la porta alle spalle, trasformando così la loro conversazione in qualcosa di privato, segreto. Con un movimento veloce si passò una mano tra i capelli neri, facendo sì che il braccio tatuato si issasse all’altezza del viso, mostrando scorci di una storia scritta con inchiostro ed aghi.
«Pensavo di fare una passeggiata, stare rinchiuso in quattro mura non è esattamente qualcosa che fa per me» un sorriso timido gli tirò le labbra sottili, facendole diventare linee ancor più strette.
«Se non ti piace la Tana allora vattene, no?» gli occhi di Aralyn arrivarono come pugnali nel corpo di lui. Il suo viso si contrasse in un’espressione incomprensibile. Si sentiva offesa da quell’affermazione che, uscita da un’altra bocca, sarebbe persino potuta apparire innocente. Se stare con loro non gli piaceva, poteva benissimo andare dai Menalcan, tornarsene nel suo vecchio branco, fare il solitario, o fare qualsiasi altra cosa, piuttosto che starle intorno e lì.
Il licantropo puntò il suo sguardo su di lei, che si sentì percorrere da lunghi brividi. Troppo ghiaccio racchiuso in due semplici iridi: «Tu vuoi che me ne vada, giusto?» Di fronte a quella domanda, lei si sentì seccare la gola. Era ovvio che lo volesse lontano da lì, che desiderasse che la sua presenza sparisse nel nulla abbandonandola, eppure non riuscì a dirglielo. Perché? Per quale motivo, improvvisamente, non riusciva più a comportarsi da dura come suo solito?
«Io voglio essere sicura che al mio fianco, soprattutto in questo clan, ci siano solo mannari che combattano per una causa comune. Se tu non vuoi condividere il nostro credo, è inutile che resti». Non era propriamente quello che avrebbe dovuto dire, eppure fu la cosa più vicina alla frase giusta che riuscì a pronunciare.
Dopo aver raccolto il giubbotto, interrompendo il contatto visivo, glielo porse a braccio teso mantenendo però un’espressione contratta, per fargli capire che in fin dei conti le sue parole erano realmente sentite.
Rimase ferma alcuni secondi, sentendosi lo stomaco stringere in una morsa. Perché non si decideva ad andarsene? Perché continuava ad esitare? D’improvviso Josh, allungò il braccio con cui si era sistemato i capelli e, al posto di limitarsi ad afferrare l’indumento che lei teneva nella mano, le avvolse il polso in una stretta salda, tirandola a sé. Aralyn si sentì il pavimento mancare sotto ai piedi e dovette trattenere un sussulto involontario. La forza con cui lui la costrinse al proprio petto fu disarmante, molto più solida di quanto lei si sarebbe mai potuta immaginare. La tirò così vicino che si ritrovò avvolta nel suo profumo, a ridosso della sua pelle bollente e trepidante, viva. Il cuore di lui se lo sentì schiacciato contro lo sterno, mentre il palpitio le rimbombava nelle ossa «Io non sono uno che molla e stai certa che ti dimostrerò di essere all’altezza sia tua sia di questo clan». La voce roca del ragazzo fu un sussurro inquietantemente sensuale a ridosso dell’orecchio, così sicuro ed ammaliante da lasciarla a bocca aperta. Era davvero lo stesso tizio che nel vicolo, con il Menalcan, non l’aveva difesa?
Aralyn rimase immobile, disarmata di fronte a tanta fermezza. Non riusciva a dire nulla, né a pensare o agire, era stregata dalle sue parole, dal salto nel vuoto che i suoi organi avevano fatto nel momento in cui i loro corpi erano entrati in contatto a quel modo, senza alcun preavviso. Era la prima volta che le succedeva una cosa simile, mai prima, né con suo fratello né con altri.
Josh spezzò nuovamente il silenzio «Dirai ad Arwen di quello che è successo? Parlo seriamente» la richiesta la fece tornare con i piedi per terra; d’un tratto tutto aveva ripreso ad essere come sempre: il contatto con lui non la stregava più, le sensazioni del corpo avevano iniziato ad assopirsi pian piano. Senza trovarsi di fronte ad alcuna resistenza, si allontanò appena, riuscendo a instaurare nuovamente un contatto visivo con il Solitario.
«Dammi una ragione per non farlo, e potresti assicurarti il mio silenzio, per un pochetto» la voce le uscì dalle labbra con leggerezza, seppur affilata.
«Ti proverò il mio valore e la mia lealtà in qualsiasi modo, dovrai solo chiedere».

 
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La mattina seguente, sulle scale, Aralyn si ritrovò ancora a pensare al nuovo arrivato, a ciò che era successo in città e poi in camera sua, dove lui le aveva giurato che si sarebbe guadagnato la sua fiducia dimostrandole quanto valore avesse. Nella mente aveva un mix indefinito di parole e ragionamenti, mentre il corpo veniva continuamente percorso da piacevoli brividi, una corsa vibrante che non era riuscita a fermare in alcun modo.
Sospirò scocciata.
Come poteva, il giorno precedente al compleanno di suo fratello, pensare a simile cose? Sensazioni che, oltretutto, non era stato Arwen a procurarle. Da quando un maschio che non fosse l’Alpha, riusciva ad ammaliarla a quella maniera? Eppure l’odiava! Dannazione se detestava Josh ed il suo atteggiamento spavaldo, la sua aria di mistero, l’aspetto da bello e dannato, la voce suadente e… quel suo tocco infiammato, vivo, bruciante sulla pelle, così vivido da sentirselo ancora addosso, stretto intorno ad un polso. Già… come poteva essere così vivido?
La lupa volse appena il capo, seguendo una sensazione che aveva tutto tranne che del ricordo e, con sorpresa, scoprì che c’era realmente una mano di lui avvolta intorno alla sua carne.
Fu un contatto disarmante quanto il giorno precedente, ma nonostante ciò piacevole -e sbagliato, incredibilmente inappropriato. Aralyn sapeva bene che avrebbe dovuto scrollarselo di dosso, staccarsi da lui il più in fretta possibile. Loro erano il giorno e la notte, lei lo detestava e tutti lo sapevano, nel clan, quindi non potevano certo farsi vedere in una situazione del genere, fin troppo fraintendibile. Eppure non lo fece. Rimase ferma ad osservare il modo in cui le dita di Josh si andavano a serrare sul suo polso, in modo così armonico, incredibilmente…giusto.
Nemmeno lui osò staccarsi «Ehi, ti … ti ho chiamata da giù» e la sua fronte si aggrottò in un modo incantevole, dandogli un’espressione quasi bambinesca.
«Davvero? Non ti ho sentito»
«Yes!» fece lui con un sorriso che, subito prima della frase successiva, andò a smorzarsi «Volevo sapere cosa hai deciso di fare, dopo ieri»
Aralyn sospirò ancora, delusa. Cosa si era aspettata di sentire? Qualche parola carina rivolta nei suoi confronti? Sciocca! Josh non aveva alcuna mira nei suoi confronti, solo il disperato desiderio di convincerla a stare dalla sua parte per poter entrare nel clan, era ovvio. Uno come lui, bello in modo annichilante e terribilmente promettente, non poteva certo coltivare interesse per lei, che oltretutto lo aveva minacciato più volte.
«Ti conviene stare in guardia, Solitario. Ciò che ti ho detto mentre tornavamo qui vale ancora: fai un’altra cavolata e ti strappo il cuore a morsi, poi ti dò in pasto ad Arwen. Chi-» delle voci in avvicinamento catturarono la sua attenzione. Erano suoni e toni familiari, risate che aveva ascoltato decine di volte. Non dovette nemmeno concentrarsi per riconoscerne i proprietari e, senza preavviso, una morsa terribilmente fastidiosa le si strinse intorno alla bocca dello stomaco, facendole male. I muscoli le si irrigidirono a tal punto che compiere anche il più minimo movimento risultava essere complicato: al posto della carne si sentiva la pietra.
Rabbia, così identificò il sentimento che la stava pian piano trasformando in una statua dura e fredda; furia generata dal fatto che suo fratello stesse ridendo e scherzando con Brie, quella stessa lupa che aveva trovato stretta tra le sue braccia. Ne era certa, nessun’altra persona, nel clan, possedeva un tono così cristallino e fastidioso, a tratti infantile.
Ci volle poco prima che i due entrassero nel suo campo visivo, dando conferma alle sue supposizioni, ed ora, vedendoli effettivamente di fronte a sé, fianco a fianco, le parve che vi fosse qualcosa di dannatamente sbagliato in tutta la scena. Loro non dovevano andare d’accordo, avvicinarsi come amici o altro dopo quello che era successo: lei era un’oca indegna, mentre lui l’uomo che aveva sempre guardato con affetto e ammirazione.
Aralyn avvertì l’istinto animale dentro di lei ribollire, il desiderio di rivangare ciò che era suo farsi prepotente. Involontariamente, sormontata dalla sé meno umana, si ritrovò a ringhiare verso l’altra lupa, completamente ignara di cosa stesse per succedere.
«Tu!» fu quasi un richiamo, un avvertimento che le diede prima di divincolarsi dalla presa di Josh e balzarle addosso con gli artigli sguainati. La schiacciò a terra, stringendole le cosce intorno alla vita in modo da ridurne i movimenti. La voleva umiliare, sottomettere e soggiogare alla sua autorità; desiderava farle capire che tra le due, solo lei poteva permettersi il lusso di stare al fianco dell’Alpha, anche se più che una gelosia amorosa, quella che provò fu invece egoista: quel posto era suo e di nessun altro, ma perché? Cosa voleva esattamente da Arwen? Era ancora quel sentimento morboso-affettivo che li aveva legati negli ultimi anni? O si trattava semplicemente di paura?
Ringhiò ancora, senza soffermarsi su quelle domande «La prima volta sono stata buona e ho lasciati correre, ma stavolta scordatelo!» con una mano le bloccò la trachea, in modo che si sentisse soffocare, e lei reagì proprio come ci si aspettava che facesse, iniziando a graffiarle il braccio e piangere. Quanto poteva essere sciocca una mossa come quella? Aralyn era nata licantropo e, anche se non poteva eguagliarsi alla forza di un Purosangue, poteva comunque risultare molto più resistente di un Impuro Trasformato come era la sua rivale.  Si chinò lenta verso il suo viso, senza preoccuparsi del fatto che le unghie di Brie potessero conficcarglisi in viso, poi proseguì «Devi stargli lontana, mi hai capito?» ma prima che potesse ricevere alcun segno o verso di risposta, si sentì sollevare dal corpo dell’altra lupa e mancare a sua volta l’aria nei polmoni. Fu qualcosa di inaspettato e spaventoso, qualcosa che non aveva nemmeno potuto prendere forma nella sua mente occupata solo dalla rabbia.
Ci vollero alcuni istanti prima che persino Aralyn realizzasse cosa stesse succedendo, ritrovandosi muso a muso con il capoclan.
Suo fratello l’aveva letteralmente inchiodata al muro con una mano, mostrandole quanto inappropriato ed irrispettoso fosse stato il suo gesto. Impaurita, cercò con lo sguardo uno spiraglio di comprensione negli occhi di Arwen, ma questi non diede segno di cedimento. C’era un’ombra contrariata ad oscurargli l’oro degli occhi ed un’espressione severa a costringergli i connotati del viso. Cosa stava pensando? La rabbia della ragazza sembrò scemare tutto d’un colpo, lasciando spazio solo al timore che potesse farle davvero un gran male, questa volta.
Aveva completamente disubbidito ad alcune delle regole più importanti che l’Alpha le aveva dato nel corso del tempo, e tutto di fronte agli occhi di ben due membri del clan. Non gliel’avrebbe mai perdonata. Prima di essere sangue del suo sangue, lui era il suo capoclan, il licantropo a cui doveva portare rispetto e sottostare, a prescindere da tutto; lo aveva giurato.
Il fratello lasciò che i capelli facessero da scudo al suo viso, in modo da poter mimare con le labbra una minaccia diretta solo ed esclusivamente a lei. Nessun’altro, tra i presenti, avrebbe avuto il piacere di sentire il loro scambio a senso unico: “fallo ancora e te ne pentirai. Non dobbiamo far insospettire anima viva”.
Vero. Verissimo, anzi!
Aralyn annuì. Ora capiva ogni singola cosa, rendendosi conto che, per l’ennesima volta, Arwen fosse un passo davanti a lei: era stata tutta una strategia per dissipare i sospetti su loro due.

(testo aggiornato il 22/03/2018)

ancora non mi soddisfa appieno
   
 
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