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Autore: Teriel Donovan    05/11/2017    1 recensioni
T'innamori di qualcuno che entra nella tua vita nel modo più inatteso e la disperazione di saperlo irraggiungibile ti spezza il cuore. Vai avanti con la tua vita mentre il tuo cuore versa lacrime amare quando infine, non resisti più, non puoi andare oltre, non senza rivederlo un'ultima volta. Perché non è lui che temi ma il futuro che verrà, dove lui non potrà farne parte... sempre ammesso che esista un futuro.
Genere: Dark, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Sovrannaturale
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Annusò l'aria ed il suo stomaco gorgogliò piano, deliziato. Era buona l'umana, sì. Ne avvertiva l'odore fin lì. Prede facili gli umani. Così prelibati. Ridacchiò, seguita dai suoi piccoli. Meritavano qualcosa di più di qualche bestia, pensò. Avrebbe insegnato loro com'è bello il suono di un osso che si spezza. Rise ancora, passandosi la lingua fra labbra rugose. Urla piccolina, urla bene, pensò. E la tua carne sarà ancor più tenera…


 

Unforgettable

Jocelyn posò la mano sul grande specchio ovale. Vide una giovane donna, appena rischiarata dalla luce del tramonto, che indossava un modello dal gusto retrò, largo sulla vita che si stringeva all'altezza delle cosce. Una generosa scollatura a V metteva in risalto il suo seno e frange d'argento, ricostruite con cura lungo tutto l'abito, gli davano un perfetto tocco anni ‘20.
I capelli rossi erano arricciati con cura, gli occhi verdi, sotto il sapiente trucco, sembravano più luminosi. Si sentiva terribilmente femminile… e timida.
Attese, continuando ad osservare il riflesso con attenzione, ma non comparve nessuno alle sue spalle. Si spostò leggermente, ma intravide solo il grande letto dalla trapunta color blu notte. Oltre, vi era il comodino sui cui spiccava il suo grammofono. Vi si soffermò. Era bellissimo perché dava la sensazione di essere antico, ma ogni componente interno era rigorosamente moderno. A Duncan era piaciuto così tanto...
Chinò il capo. Non sarebbe apparso.
La sua famiglia si era trasferita a Salem, in quella deliziosa casa dalla facciata bianca, quando lei aveva quindici anni. Posta su due piani, al piano terra vi erano due ampie sale, una per la cucina, l'altra per il soggiorno, divise dalla scalinata in legno.
Al primo, vi erano tre stanze relativamente piccole. A causa di questo, aveva avvertito la sua presenza fin dall'inizio. In determinati punti l'aria le era sembrata più fredda, compatta, mentre nel resto vi era calore. Bastavano pochi passi per rendersene conto. Aveva cercato di non darvi peso ma ne era rimasta turbata.
Tutto era cambiato il giorno in cui aveva rischiato di cadere. Aveva attraversato il corridoio troppo velocemente, finendo per inciampare sul primo gradino, il volto proteso in avanti. Non si era fatta nulla perché lui l'aveva sorretta circondale la vita.
Questo aveva cambiato tutto.
Aveva cercato un contatto con lui, grazie alla tavola Ouija, ma senza successo. Aveva vinto la sua riluttanza quando avevano deciso di svuotare la soffitta e, fra le cianfrusaglie dimenticate dai vecchi proprietari, avevano trovato dei vecchi dischi che partivano dagli anni 20.
Aveva compreso quanto li amasse perché aveva sentito una mano gelida posarsi sulla sua. Si era ritrovata a sorridere. Nell'ascoltarli, ne era rimasta così affascinata…
Una notte, al chiaro di luna, lo aveva visto. Dietro di lei, allo specchio. Alto, fra i venti e trent'anni. Occhi color ambra, i capelli neri che gli ricadevano in morbide onde ai lati del volto e con indosso un completo scuro a doppio petto. Sembrava uscito dal film "Il Grande Gatsby". Si era voltata, non trovando nessuno. Aveva sorriso, provando un tuffo al cuore.
La sua voce le era giunta come un bisbiglio. Aveva così scoperto che non ricordava nulla oltre il nome. Niente gli era familiare. Si era ritrovato prigioniero di quella casa, senza poterne uscire.
Non avevano più smesso di parlare e, per i successivi anni, il suo mondo si era fermato con lui. Duncan era così dolce, intelligente e comprensivo! Avevano sempre parlato di tutto, senza timori. Era stato il primo a cui aveva mostrato i suoi disegni. L'aveva incoraggiata quando nessun altro aveva voluto credere in lei. Questo l'aveva resa una donna sicura delle sue capacità.
Con nessun altro aveva creato un simile legame e per causa sua non aveva mai avuto una relazione. Nessuno aveva retto il confronto. Duncan era… speciale. Quante volte le aveva fatto trovare il letto coperto di petali? Sapeva quanto li amasse.
Lanciò un'occhiata a destra, dove vi era un piccolo caminetto spento. D'inverno si accucciava lì, leggendo a voce alta per lui.  Spostava lo specchio quel tanto che bastava per darle la pallida illusione che le fosse accanto. Si coprì gli occhi con una mano. Così patetico, pensò. Ma non aveva rimpianti.
Il loro idillio era terminato così, lei in piedi, intenta ad osservare il suo riflesso. Guardandola intensamente, le aveva chiesto di scegliere un'università che fosse ben lontana da Salem… e di non tornare. Seppur fosse giunta alla stessa conclusione, si era ritrovata ad annuire fra le lacrime. Il tempo dei sogni era finito. Doveva vivere la sua vita.
Per due anni aveva evitato di tornare. Un'agonia che tuttavia non aveva vinto la profondità dei suoi sentimenti. Il suo cuore si riempì di tristezza. Era per lui che si era vestita così. «Una volta sola, Duncan. Ti prego!»
Dal giardino le giunse la voce di un gruppo di bambini intenti a cantare una filastrocca.
«Scende la notte,
viene con le gambe storte
ciondola piano, ti porta via lontano!»
Si affrettò ad asciugarsi le lacrime. Avrebbero bussato per il solito "dolcetto o scherzetto". Non era il caso di farsi trovare così.
Respingendo ogni altro pensiero, scese dabbasso. Cliccò sull'interruttore, posto accanto al tavolino dell'ingresso, su cui vi era una zucca piena di dolcetti, ma la luce non si accese. Un calo di corrente ad Halloween?
Imprecando silenziosamente, aprì il cassettino del mobile dove sua madre, prima di partire per il weekend, aveva lasciato varie candele e un accendino. Benedette precauzioni, pensò, accendendone una. La inserì in un portacandele, lasciandola sul tavolino. Lo sguardo le ricadde sul nuovo portone. Era un oggetto antico in mogano su cui era stata intagliata una sinuosa fanciulla con il volto sollevato ed i capelli che si scioglievano sul corpo, richiamando le onde dell'oceano irrequieto.
«Sopravvivrà alla notte più folle?»
Non era insolito che molti approfittassero di situazioni simili. Avrebbe dovuto stare attenta. Udì un lieve raspio. Lanciò un'occhiata al minuscolo specchio d'argento appeso al muro. Aveva l'aria avvilita, ma pazienza. Nessuno vi avrebbe badato.
Blackout.
Sbatté le palpebre. La porta era aperta. La mano si stava aggrappando convulsamente al pomello.
Stava tremando… sempre più velocemente.
Quando? Perché?
Vi erano due bambini sulla soglia. Non riusciva a distogliere lo sguardo. Portavano abiti di fattura medievale. Alle loro spalle vi era un'oscurità penetrante, la stessa che dominava i loro occhi, come se avessero catturato il mondo, soffocandolo.
Orbite senz'anima.
Non un suono. Una risata.
Indietreggiò bruscamente, finendo quasi per inciampare sui gradini.  
«Possiamo entrare?»
«No.»
Non si rese conto di averlo detto. Perché… si sentiva così… indifesa?
La loro espressione parve indurirsi. Si ritrovò ad avanzare verso di loro, contro la sua volontà, il terrore che cresceva ad ogni passo. Era come se una miriade di vermi le stesse strisciando addosso, nel tentativo di ficcarsi dentro di lei. Si aggrappò alla porta, ma si ritrovò proiettata in avanti, sulle punte dei piedi, vinta da una forza misteriosa.
Una mano le oscurò la vista. S'irrigidì.
«Joy!»
Vi era una sola persona che la chiamava così…
«Non guardarli mai negli occhi. Hanno il potere di persuaderti a fare quello che non vuoi.»
Duncan.
Fece un profondo respiro, sollevata dall'ondata di benessere che la travolse. Disorientata, lo vide oltrepassarla. Qualcuno le artigliò i capelli, strappandole un urlo. Cercò di liberarsi e dallo specchio uscì una testa. Aveva il naso adunco, occhi stretti, un'impeccabile crocchia.
«I bambini hanno fame!» esclamò con voce gracchiante e nefasta.
La sua espressione di giubilo distorto dalla follia fu più potente di qualsiasi minaccia.
Lei si divincolò e Duncan corse in suo aiuto, spingendola bruscamente via. Lo vide afferrare lo specchio mentre la donna urlava, allungando le mani ad artiglio, nel tentativo di cavargli gli occhi.
Fu come ricevere uno schiaffo. Afferrò i tacchi e glieli lanciò contro, colpendola in pieno. La vecchia gridò, colta di sorpresa, e fu vitale per Duncan, che gettò lo specchio contro i bambini e chiuse bruscamente la porta.
Secondo Blackout.
Che cosa era successo?
Realizzò di essere stretta fra le sue braccia, le mani sul suo torace. Era così freddo. Lo fissò stralunata. «Ti sto toccando. E ti vedo!» balbettò.
Le afferrò il volto fra le mani. «Ascoltami, abbiamo poco tempo. Su quella porta vi è impressa la maledizione di una potente strega. Ad Halloween conduce in un'altra dimensione dove tutto è possibile.» sottolineò.
«Spiegami perché!» urlò Joy.
«Fuggì in quella dimensione, giurando che non sarebbe trascorso un solo anno senza vendicarsi dell'Inquisizione di Salem. Così è stato. Lascia che i suoi adepti facciano quello che vogliono e la scelta è casuale.»
«Un caso!» ripeté incredula. «Come fai a saperlo, io…»
Le strinse le braccia, strofinandole piano. «Qualsiasi cosa accada, non uscire da qui.»
Seppur frastornata, lei annuì. Le indicò la candela. Stava galleggiando a mezz'aria.
«Le candele devi considerarle un segnatempo. Quando si spegnerà, sarà sorta l'alba. Dobbiamo solo resistere. Non possono entrare senza il tuo consenso.»
Il sollievo che provò durò poco.
«Quella donna non è potente quanto la strega,» esclamò Duncan, lanciando una cupa occhiata alla porta. «Ma lo è abbastanza da creare un passaggio tramite gli specchi. Dobbiamo gettarli tutti dalle finestre. È chiaro?» la sollecitò.
Soffocò l'impulso di urlare. Come aveva fatto a dimenticarsene? «Sì.»
Fu lui a impartire gli ordini. Lei in bagno, lui nella stanza dei suoi genitori. Quando si allontanò, dovette vincere l'impulso di seguirlo.
Andò in cucina e da uno dei cassetti tirò fuori un coltello. La finestra alle sue spalle vibrò. Alzò la testa di scatto. Uno dei bambini era lì, le mani premute sul vetro.
«Fammi entrare!»
Joy distolse lo sguardo e fuggì di sopra.
Il bagno era immerso nel buio. Sul lato destro, gabinetto e vasca. A sinistra il lavandino e lo specchio rettangolare. Di fronte vi era la finestra.
Afferrare, aprire, gettare.
Si spostò con cautela, rasente al muro. Lo afferrò per un angolo, inghiottendo a vuoto. Riuscì a sganciarlo, avendo cura di rivolgere la superfice riflettente ben lontano da lei. Non perse tempo. Raggiunse freneticamente la finestra. Una mano le artigliò la gola. Annaspò in cerca d'aria. Lo specchio cadde. La testa della vecchia fece capolino e lei non ci pensò due volte a piantarvi la lama. Lo specchio si contorse in una bocca enorme. Tremando, Joy aprì la finestra e gettò via l'oggetto. 
Un tonfo tremendo le strappò un sussultò. Uscì di corsa e si scontrò contro qualcosa di solito. Urlando, alzò le mani prima di realizzare che era Duncan. Non ebbe il tempo di dirgli nulla. La trascinò nella sua stanza dove il suo specchio era riverso a terra e si contorceva. Una figura vi stava emergendo. Lo afferrarono insieme, buttando via anche quello.
Era stata lei ad aprire la finestra? Lui?
Lo vide afferrare la sua trousse e gettarla via. Uscire, tornare, accedere alcune candele. Anch'esse presero a fluttuare nel vuoto.
La consapevolezza di tutto quello che era successo le piombò addosso di colpo. Prese a tremare incontrollabilmente e lui si scostò. Gli afferrò la mano, scuotendo il capo. «Non è colpa tua. Io…» balbettò in un sussurro.
Non riuscì ad aggiungere altro ma lui parve comprendere e la sua espressione si addolcì. «La mia Joy.»
Le sfuggì un singhiozzo.
«Sei stata bravissima.»
Lo era stata davvero? Tremò. Senza di lui non avrebbe retto.
Le porse la mano da perfetto gentiluomo. «Abbiamo tutta la notte e niente da temere.»
Joy dovette mordersi il labbro per non piangere. Abbandonò il capo sulla sua spalla, avvertendo la pressione del suo braccio sui fianchi. Canticchiando Unforgettable, danzò con lei.
Fra le sue braccia Joy dimenticò tutto. Il mondo, con i suoi mostri, si dissolsero. Vi erano solo loro due. Quanto aveva desiderato di poter vivere un momento così?
Il corpo di Duncan stava diventando sempre più caldo.
«Mi sei mancato così tanto!» bisbigliò. Avvertì le sue labbra contro la fronte. «Sono contenta che sia successo. O tu non saresti qui, con me.»
Lui sembrò impensierirsi. «Non ho mai smesso di pensare a te. Sai bene perché mi sono allontanato. Sei diventata una donna a cui non posso offrire nulla.»
«Ma ora sono qui.»
Duncan distolse lo sguardo ma Joy gli catturò il volto fra le mani, avvicinandolo al suo. «Se non ora, quando?»
Il loro bacio fu delicato come una carezza.
Se il prezzo per vivere i suoi sogni era passare l'inferno, era pronta a viverne altri cento. Contro la sua mano avvertì qualcosa d'inaspettato.
«Sento i battiti del tuo cuore.»
Lui scosse il capo. Cercò di scostarsi ma lei si rifiutò di lasciarlo. 
«Quando l'incanto di quella porta si è attivato, è scattato qualcosa dentro di me. Non sono umano.»
«Cosa vuoi dire?»
«I miei ricordi sono ancora confusi, non posso essere più chiaro.» ammise. «Sono nato in un mondo dove i tuoi incubi sono reali.»
La verità la colpì con devastante chiarezza. La porta non era altro che una via fra dimensioni diverse. Lui veniva da lì. La maledizione, come anche le streghe e ciò che erano in grado di fare. In che altro modo poteva sapere tutto questo?
«Mi rifiutai di piegarmi ai voleri di qualcuno che mi gettò qui, come spettro, con l'intento di punirmi. Non sono diverso da quelle creature.»
Il cuore di Joy si riempì di amore. Posò una mano all'altezza del suo cuore e si portò la sua al petto. «Conosco il tuo cuore così come tu conosci il mio. Umano o no resti l’amore della mia vita.»
Gli parve di sentirlo tremare impercettibilmente. Duncan spinse la fronte contro la sua, strofinando il naso sul suo, cercando infine le sue labbra. Intrecciò le mani con le sue, baciandole il palmo come se fosse prezioso.
«E di fronte alla tua soave grazia, persino io non posso che arrendermi.»
Non vi fu più spazio per le parole. Tutto si perse in un sogno rimasto a languire. Desiderato da entrambi troppo a lungo per poter resistere oltre.
Pelle contro pelle. Nessun lembo a dividerli. La passione li travolse. I gemiti che gli sfuggivano ad ogni movimento dei loro corpi… tutto la inebriò, lasciando dentro di lei tracce indelebili.
Duncan la guidò in una danza che diventò il centro del suo mondo. Joy premette la fronte contro la sua, affondando le mani fra i suoi capelli, amandolo lentamente, desiderando che non finisse mai. Nessuno l'aveva mai fatta sentire così amata e desiderata. Era nata per lui. Lo baciò. E Duncan aveva bisogno di lei. Socchiudeva gli occhi come se stesse ricevendo una grazia. Lesse nel suo sguardo le stesse tracce di solitudine che avevano minacciato di sopraffarla. Lo abbracciò con più forza, abbandonandosi alle sensazioni che li travolsero.
Joy riprese contatto con la realtà lentamente, ritrovandosi cullata fra le sue braccia, distesi sul letto, le gambe intrecciate. Per quanto la gioia fosse grande, l'inquietudine la investì.
«Cosa succederà all'alba?»
«Non lo so. Ma non vado da nessuna parte.» la rassicurò, coccolandola teneramente. «Non mi potrai vedere ma mi potrai sentire. Sarò sempre accanto a te.»
Per quanto ne fosse felice, si ritrovò a stringerlo, divorata dall'ansia. Desiderava molto di più per Duncan. Poteva sperare che la maledizione fosse stata infranta?
Un brusco tonfo li mise in allerta. Veniva dalla soffitta. Non poteva esserci alcuno specchio, pensò Joy. A meno che sua madre… Si scambiarono un'occhiata inquieta e senza dire una parola, si alzarono di scatto, vestendosi in silenzio.
Uscirono insieme, fermandosi ai piedi della scalinata. Appesa al muro, vi era una sbarra che lui afferrò. Tutto quello che doveva fare era agganciarlo alla maniglia che s'intravedeva in alto e tirar giù la scaletta.
«Tu resta qui.»
«Duncan…»
«No, Joy! Lascia che me ne occupi io.»
Annuì con riluttanza, vinta non dalla sua determinazione ma dal timore di essergli d'intralcio. Uscendo dal bagno, per poco non lo aveva colpito. Lo seguì con lo sguardo. Poteva non essere umano, ma gli sarebbe bastato usare la sbarra?
Qualcosa luccicò ai suoi piedi. Un frammento di specchio. Così piccolo da sembrare una perla. La sua bocca e le braccia serrate di colpo. Sentì un fetido respiro sfiorarle la nuca. Guardò in alto e le si ghiacciò il sangue nelle vene. Vi era un mostro. Aveva il dorso di un uomo ed il corpo di un ragno. Nero come pece, orbite rosso sangue ed una bocca piena di canini aguzzi colmi di bava.
Avrebbe urlato, se solo avesse potuto. Rifiutando di arrendersi, lo morse, ritrovandosi con la bocca impastata da una sostanza disgustosa. Sul punto di vomitare, Joy si ritrovò prigioniera dei suoi artigli pelosi e trascinata via. Rabbrividì nel vedere le zampe arcuarsi contro i muri, ma gettando indietro la paura, affondò le unghie, cercando di liberarsi.
Non poteva finire in quel modo, pensò disperata.
La porta era sempre più vicina.
L'oscurità si trasformò in un abisso.
Lanciò un'occhiata alle candele. Si erano quasi completamente sciolte.
No…
Diventò tutto irreale.
Duncan sarebbe sceso. Non avrebbe trovato nessuno. Avrebbe capito.
E dire che mancava così poco.
Era finita.
Nell'atto di oltrepassare la soglia, la bestia si bloccò, emettendo urla strazianti.
Tutto accadde così rapidamente.
Joy si ritrovò libera. Una delle zampe la colpì, stordendola. Sbatté su un fianco, mentre una sbarra di ferro spuntava dal torace di quell'essere. Non riuscì a capire, non subito. Poi vide Duncan, l'espressione dura, gettarlo nell'abisso. 
Il tempo di sorridere…
La bestia si aggrappò alla gamba di Duncan, trascinandolo con sé. Riuscì a liberarsi quando aveva ormai attraversato la soglia. Mentre l'essere veniva trascinato via, Joy allungò le braccia, ma le sue mani non oltrepassarono la porta. Vi era come un muro invisibile. Freneticamente tentò ancora, a suon di pugni, finché la verità non la divorò.
Era troppo tardi.
Perse la capacità di sentire. Parlare. Pensare.
Il suo sguardo incrociò quello di Duncan. Anche se non si muoveva, si stava allontanando sempre di più. Con quell'espressione così immensamente dolce, le regalò un ultimo sorriso.
«Vivi, Joy.»
Era il suo modo di dirle addio.
Incontrollabili, le lacrime le rigarono il volto. «No!» urlò. «Non è giusto!» singhiozzò. «Non può finire così! Non tu!»
Lui scosse il capo.  «Non le merito quelle lacrime.»
Quanta tristezza velavano quelle parole?
«Ti amerò per sempre, Joy.»
«Duncan!»
La voce di Joy risuonò con forza e si perse nella tranquillità dell'alba. Niente più oscurità.
Solo il suo giardino. Le case placidamente addormentate, fiocamente illuminate, che recavano le tracce della notte trascorsa.
Joy si rannicchiò in posizione fetale, versando lacrime disperate. Inconsolabile, non smise un solo istante di pronunciare il suo nome. Il suo cuore era stato irrimediabilmente fatto a pezzi.
Duncan…
 

 


 

Postilla

La storia diventerà un romanzo e proseguirà.

Ho dovuto operare numerosi tagli per rientrare nelle 3000 parole del contest degli Ambasciatori di Wattpad e non posso negare che la storia ne ha sofferto. Io ne ho sofferto nel rileggerla e mi son promessa che non lo avrei lasciato così. Ecco perché ho messo quel titolo: "Frammenti di Unforgettable. Se vi è piaciuta almeno un po', se volete, vi avvertirò ben volentieri appena uscirà il romanzo, sempre qui su Wattpad.
Piccola Curiosità: è legato ad un'altra storia (The Lord Of The Dark Pleasure) la cui protagonista finisce ad Abyssum. La pubblicherò entrò poco tempo.
Lasciatemi ringraziare dal profondo del cuore:
Kiri che nonostante fosse super impegnata, ha comunque trovato il tempo per correggerla!
Ninive super beta che vede sempre quello che sfugge!
@bloodyclaudine @_zero_e_lode_  @AbigailDyan @Emma_Jane84. Il vostro supporto e incoraggiamento è stato vitale!
Infine, ma non meno importante, il brano che ho scelto. Risulterà antiquato per molti ma per me la musica è senza tempo e questa, è davvero fra le più belle al mondo. Inizialmente, volevo un brano degli anni 20 ma una mattina mi son svegliata con il motivetto di "Unforgettable" in testa e per puro caso, ritrovai il video che guardai da bambina. Erano stati proprio loro a farmene innamorare. Mi son detta che era il destino. Niente poteva più competere. Non per me. Ecco perché mi son presa la libertà di inserirvi il testo.

https://youtu.be/MKCyUe4syc4

 

"Unforgettable"

Unforgettable, that's what you are  / Indimenticabile, questo è ciò sei tu
Unforgettable, though near or far  /
Indimenticabile, per quanto vicina o lontana
Like a song of love that clings to me
/ Come una canzone d’amore che si aggrappa a me
How the thought of you does things to me
/ Come il pensiero di te che mi tormenta
Never before has someone been more
  /  Mai prima nessuna è stata più


Unforgettable in every way /
Indimenticabile in ogni modo
And forevermore (and forevermore) /
E per sempre
That's how you'll stay (that's how you'll stay) /
È così che resterai
That's why darling, it's incredible /
Ecco perché tesoro, è incredibile
That someone so unforgettable  / 
Che qualcuno così indimenticabile
Thinks that I am unforgettable too /
Pensi che anche io sia indimenticabile

No, never before has someone been more  /
Mai prima nessuna è stata più
Ooh unforgettable (unforgettable) / Indimenticabile
In every way (in every way) / In ogni modo
And forevermore (and forevermore) / E per sempre
That's how you'll stay (that's how you'll stay) /
È così che resterai
That's why darling it's incredible /
Ecco perché tesoro,  
That someone so unforgettable /
È incredibile che qualcuno così indimenticabile
Thinks that I am unforgettable too.  
/ Pensi che anche io sia indimenticabile

 

 

   
 
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