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Autore: Raptor Pardus    05/11/2017    1 recensioni
Il vasto ponte di comando del ricognitore FSS “Nimbus” era vuoto, abitato solo dal ronzio e dai sibili degli schermi e dei computer di bordo, che illuminavano la plancia a giorno.
Le uniche persone presenti in quel momento all’interno della sala erano tre membri dell’equipaggio assegnato al comando della nave, lasciata al pilota automatico per buona parte della sicura tratta.
...
La nave era partita sei mesi prima dallo spazioporto di Palladium, al confine tra Orlo Esterno e Frangia Orientale, col compito di pattugliare i confini con l’Impero, dove da ormai cinque anni si susseguivano aspri combattimenti tra le flotte Volosiane e le navi Khorsiane in fuga, che ancora però trovavano le forze per compiere razzie ai danni dei sistemi Federali, le cui guarnigioni erano sempre e comunque inadeguate alla minaccia aliena.
Restavano ancora quattro mesi prima di rientrare nel vicino avamposto di Castrum Perseus, da dove poi sarebbe ripartita per ripetere la stessa tratta al contrario.
Genere: Avventura, Guerra, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quando si svegliò trovò il suo pasto ad attenderlo sul pavimento, di nuovo purea gialla, ma ormai fredda e addensata.
Chissà quanto aveva dormito.
I droni vennero a prelevarlo poco dopo, ridandogli la sua stampella e accompagnandolo di nuovo alle docce, portandolo poi in quello che scoprì essere il centro medico, dove gli furono somministrate alcune pillole dall’effetto a lui sconosciuto e gli fu suturato un taglio sul volto con uno strano gel azzurro.
N’dar lo raggiunse non appena i droni terminarono di medicarlo.
<< Dormito bene? >> disse con tono palesemente sarcastico.
<< Fottiti. >>
N’dar ignorò l’insulto e gli fece segno di seguirlo, riportandolo così sul ponte dove chissà quanto tempo prima lo aveva picchiato.
<< Perché siamo di nuovo qui? >> chiese Nemo, guardandosi intorno sospettoso.
<< Il comando centrale ha ricevuto una richiesta di aiuto da un pianeta periferico, e ha inviato noi a indagare. >> rispose N'dar, guardando fuori.
Erano nell'atmosfera di un pianeta sconosciuto a Nemo, dal cielo rosso fuoco, e stavano sorvolando un'immensa giungla tropicale, ben più grande di qualsiasi foresta Terrestre, piena di piante esotiche e sconosciute, abitata da animali che Nemo non aveva mai visto prima.
La nave planò dolcemente, scendendo rapida verso il suolo, fino a giungere sopra un piccolo avamposto immerso nel verde, composto da centinaia di cilindri metallici lanciati come biglie nella radura appositamente creata per loro.
Dalle dimensioni, non sembrava poter ospitare più di centomila abitanti, e già quel numero pareva a Nemo stesso esagerato.
La torpediniera si fermò a mezz’aria e iniziò a scendere perpendicolarmente, fino a toccare il suolo.
N’dar attivò l’interfono e disse qualcosa nella sua lingua madre, e nel giro di dieci minuti una squadra di dodici fanti scese dal velivolo, scortata da una schiera di droni armati che la precedeva in ogni movimento.
I soldati avanzarono guardinghi, aprendosi sempre più a ventaglio, le armi spianate, preceduti dagli onnipresenti droni.
<< Qualcosa non mi convince. >> disse N’dar inclinando la testa.
<< Cosa? >> chiese Nemo, preoccupato.
<< Vieni, usciamo di qui. >>
Per la prima volta Nemo vide l’hangar di accesso della nave, mentre N’dar, ancora in uniforme di servizio, afferrava una pistola da una rastrelliera e lo scortava fuori, sulla terraferma.
Sugli edifici aleggiava un’aura inquietante, un sentore di pericolo che avvertivano tutti.
<< Non mi piace. >> bofonchiò N’dar a denti stretti, stringendo le dita grigie intorno alla pistola.
<< Dove sono tutti? >> chiese Nemo, guardandosi intorno.
N’dar diede un ordine e alcuni soldati si avvicinarono agli edifici più vicini e a colpi di fucile abbatterono le porte, irrompendo all’interno con micidiale rapidità.
Non ci volle molto affinché tornassero fuori scuotendo la testa.
<< Allora? >> chiese Nemo a N’dar.
<< Non c’è nessuno. >>
<< Nessun segno di vita in tutto il villaggio? >>
<< Esatto. >>
N’dar si guardò intorno, scrutando tra gli alberi scuri dai cui tronchi pendevano fiori viola grandi più della sua testa.
Nemo aguzzò le orecchie.
<< Aspetta… ascolta. >> disse a N’dar, toccandogli il braccio.
N’dar si voltò di scatto, ritraendosi al contatto.
<< Cosa? >>
<< La foresta. >>
N’dar fece segno ai soldati di fare silenzio.
<< Non si sente nulla. >>
<< Appunto. Non ci sono animali su questo pianeta? >>
N’dar guardò i suoi uomini, poi tornò a fissare l’umano.
<< Sì. >>
La foresta, terribilmente silenziosa, iniziò a ondeggiare, spinta dal vento.
<< Tutti sulla nave, ora. >> disse N’dar atonale, ripetendosi immediatamente nella sua lingua madre.
Gli uomini retrocessero lentamente, senza voltarsi.
La foresta iniziò a fremere, sempre più velocemente, e adesso tutti potevano sentire un rumore lontano, ovattato dall’erba alta del sottobosco.
Sembrava una mandria in corsa, a cui andavano aggiungendosi sibili e schiocchi di denti, come di migliaia di serpenti.
N’dar urlò qualcosa, e i fanti si misero a correre verso la nave, seguiti fedelmente dai droni che diedero loro fuoco di copertura, sparando alla cieca nella giungla in movimento.
Raggiunsero presto la rampa di accesso della nave, mentre il rumore delle bestie in carica era ormai terribilmente vicino e assordante.
La rampa si chiuse prima che qualcosa potesse sbucare fuori dalla folta vegetazione o dagli edifici abbandonati ma intatti.
N’dar iniziò a sbraitare, sputando saliva ad ogni parola, facendo correre i suoi sottoposti alle loro postazioni, e presto la nave si staccò dal suolo e si sollevò in aria, alzandosi rapidamente in cielo.
Prima che prendesse abbastanza quota, Nemo udì distintamente qualcosa impattare contro la rampa e iniziare a raschiare contro di essa, cercando di entrare.
Dal tonfo che aveva fatto, doveva avere la stazza di un vitello, almeno.
N’dar puntò la pistola contro la paratia, ma la nave prese velocità e i rumori contro la parete cessarono prima che potesse sparare.
<< Che cosa erano? >> chiese Nemo, in preda al terrore.
<< Non lo so, forse predatori locali. >> rispose il Khorsiano.
Raggiunsero il ponte di comando quando ormai erano alti in cielo e prossimi ad abbandonare il pianeta, e N’dar si trattenne a discutere dell’accaduto con i suoi sottoposti prima di riportare il prigioniero in cella.
<< Cosa ne sarà del pianeta? >> chiese Nemo mentre erano nell’ultimo corridoio.
La nave ondeggiò, colpita da qualcosa, oscillando così tanto che Nemo finì a gambe all’aria.
<< Cosa ci ha colpiti? >> chiese, rialzandosi con difficoltà.
<< Non lo so, forse un detrito spaziale. >> disse N’dar, raggiungendo l’entrata del corridoio ed attivando un interfono nascosto nel muro, chiedendo chiarimenti dal ponte di comando << Avanti, in cella ora. >>
<< Non hai risposto alla mia domanda. >> riprese Nemo, sperando di ricevere risposta.
<< Stileremo un rapporto, ciò che è accaduto non ti riguarda più. >> rispose il Khorsiano troncando il discorso e facendo segno all’uomo di entrare nella sua cella.
Nemo chinò il capo ed entrò nella sua gabbia strisciando i piedi.
Il vetro calò a separarli, e Nemo rimase in silenzio, cercando di mettere ordine nel marasma di informazioni che aveva appena assimilato.
L’unica cosa certa a cui giunse fu che il pianeta poteva ormai considerarsi disabitato.
 
Con la mente un po’ più lucida, Nemo decise di organizzare meglio il tempo che passava lì dentro, iniziando piccoli esercizi fisici per rimettersi in forma.
Gli addominali fatti sul pavimento freddo e duro gli distruggevano la schiena, ma erano un male necessario.
Piegamenti sulle braccia e trazioni alla sbarra risultavano di gran lunga meno dolorosi, anche se non riusciva più a sollevare più il suo peso come un tempo ed era costretto ad usare come sbarra lo spigolo del tavolo.
I pasti ormai erano più saporiti e caldi, tanto da fargli tornare un discreto appetito.
Il suo fisico migliorava a vista d’occhio, grazie anche alle docce a cui i sui aguzzini lo costringevano sempre più spesso.
Il capitano N’dar non si faceva vedere ormai da un po’, assorbito completamente dai suoi incarichi da ufficiale, ma Nemo era sicuro che lo spiasse ogni tanto attraverso qualche telecamera che lui non vedeva.
Finalmente, dopo almeno una trentina di pasti, il Khorsiano si rifece vivo.
Lo accompagnò personalmente alla doccia e rimase lì, in piedi davanti al muro, fissandolo mentre si lavava sotto l’acqua bollente che gli veniva praticamente sparata addosso.
Quando la doccia finì e gli furono portati vestiti puliti, Nemo si avvicinò all’alieno.
<< Come mai torni a farmi visita? >>
<< Scendiamo a terra. >> fu l’unica risposta che ricevette.
N’dar lo portò fino all’hangar d’accesso, dove venti Khorsiani in tenuta da battaglia, nera come la pece, li attendevano disposti su due file ai loro lati, mettendosi sull’attenti, in attesa di ordini, non appena loro entrarono.
<< Prova a scappare e nessuno dei presenti ci penserà due volte prima di farti esplodere la testa. >> disse N’dar, dandogli le spalle.
La rampa di accesso, un’enorme lastra di acciaio brunito, si abbassò con un sibilo, piegandosi verso l’esterno.
L’hangar fu invaso dalla luce, tanto che Nemo dovette coprirsi gli occhi per non rimanere accecato.
<< Cosa… cosa succede? >>
N’dar diede l’ordine, e il drappello di fanti avanzò al passo, uscendo dall’astronave.
Un drone spinse Nemo in avanti, intimandogli di avanzare, mentre N’dar si apprestava a uscire dall’astronave.
Varcò la soglia trattenendo il respiro, annientato dalle troppe percezioni sensoriali che in quel momento lo stavano investendo.
Si trovavano su una piattaforma di atterraggio, un enorme disco di metallo sospeso a diverse centinaia di metri dal suolo, il quale era fittamente ricoperto da palazzi squadrati tutti schierati uno affianco all’altro, sopra i quali di tanto in tanto svettavano grattacieli mastodontici, compreso l’enorme cubo dal cui fianco si protendeva la piattaforma sopra la quale erano atterrati
La città ricopriva l’intera pianura nella quale si trovavano per diversi chilometri, circondata da una spessa muraglia metallica oltre la quale si alzavano immense montagne ricoperte di verde.
Il cielo era lattiginoso, ricoperto di nubi bianche, dense e compatte, attraverso le quali il sole faceva capolino con difficoltà.
Tra i palazzi più bassi volavano droni di ogni sorta, piccole astronavi e velivoli monoposto, libranti in lunghe file eterogenee sovrapposte una all’altra.
Più in alto, in mezzo ai monumentali palazzi dalle forme essenziali, volavano astronavi ben più grosse, velivoli militari e mezzi di servizio, ben più imponenti dei mezzi sotto di loro.
<< Dove siamo? >> chiese Nemo, stupito, scrutando curioso la città in ogni suo dettaglio.
<< Su un pianeta Imperiale, in un presidio militare. Facciamo rifornimento e ci ricongiungiamo alla flotta. >> rispose N’dar.
<< Perché mi fai vedere tutto questo? >>
<< Te l’ho detto, inizi a piacermi. >>
Dall’imponente porta che collegava la piattaforma agli interni del palazzo uscì un alto Khorsiano, magro e slanciato, vestito con un’uniforme azzurra, semplice e priva di cuciture visibili, identica nell’aspetto anche se non nel colore a quella che N’dar stesso indossava, accompagnato da un drappello di soldati.
N’dar alzò un braccio in avanti e mostrò il palmo, rimanendo in silenzio.
Il Khorsiano in azzurro lo fissò, poi fissò l’umano, poi tornò a fissare N’dar.
Nemo non capì quello che si dissero, ma dal tono l’alieno sembrava particolarmente irritato.
N’dar rispose in maniera remissiva, con frasi brevi, accennando più volte un inchino.
Dopo qualche minuto l’alieno si voltò e si incamminò verso l’ingresso, e N’dar fece segno a Nemo di seguirlo.
<< Vieni, abbiamo mezza giornata libera, ti mostro la piazzaforte. >>
<< Cosa… >> farfugliò Nemo, prima di mettersi a inseguire i due ufficiali che già lo stavano distaccando.
Attraversarono un vasto hangar, all’interno del quale erano stipati diversi trasporti militari, degli sgraziati veicoli cuneiformi dotati di propulsori.
L’alieno vestito di azzurro li accompagnò fino alla mensa della caserma, attraverso un complicato labirinto di ascensori e corridoi, e poi sparì senza nemmeno dire una parola.
Mangiarono molto meglio rispetto al solito, anche se in realtà Nemo dovette trattenere i conati non appena assaggiò una bollente brodaglia marrone che sapeva di cervella, roba che N’dar e i suoi uomini divorarono invece con piacere.
Infine, dopo aver dato disposizioni ai suoi soldati, N’dar lo condusse diversi piani più in alto, in una specie di ufficio.
Una delle pareti era completamente fatta di vetro, e dava sull’interno dell’edificio, in una immensa sala grande più di qualsiasi stadio terrestre, in cui migliaia di soldati, armati fino ai denti, si stavano esercitando a marciare.
Uno spettacolo impressionante, reputò Nemo, terrificante, considerando lo scopo per cui quei soldati si stavano allenando.
<< Colpito? >> chiese N’dar, accomodandosi su un basso divanetto color crema posto vicino all’ingresso.
<< Abbastanza. >> Nemo si voltò, dando le spalle allo spettacolo che si stava svolgendo diverse decine di piani sotto di loro. << La città, questo palazzo, quei soldati là sotto… siete così… umani. >>
N’dar sbuffò, seccato dal commento, reputandolo un insulto.
<< Da quanto studi il Lingvo? >> chiese l’uomo dopo qualche istante.
<< Due anni, abbiamo passato molto tempo a studiare la vostra anatomia, i vostri comportamenti, la vostra cultura e il vostro linguaggio. >>
<< Parli abbastanza per aver studiato solo due anni. >>
<< Impariamo molto più velocemente di voi. >>
<< Lo avete dimostrato più volte. >> disse Nemo, avvicinandosi a una poltrona non molto distante dal divano sul quale era seduto il Khorsiano.
<< Hai altro da chiedere? Immagino tu sia curioso. >> chiese N’dar.
<< Come superate la velocità della luce? >>
<< Nel vostro stesso modo, anche se la nostra tecnologia è di gran lunga più efficiente: dilatiamo e contraiamo lo spazio-tempo. Da quel che sappiamo invece i Volosiani utilizzano un sistema completamente differente. Ne sai qualcosa? >> chiese N’dar, congiungendo le mani davanti al suo volto piatto.
<< Oh, in realtà no… so solo che sono molto più veloci di noi. >> rispose Nemo.
<< Presumiamo viaggino attraverso uno spazio multidimensionale, sfruttando le rotte tra i vari punti della galassia collegati attraverso questo… iperspazio. Più veloci, sì, ma vincolati a seguire precise strade. Non credere sia così vantaggioso. >>
Nemo storse il naso, valutando quanto gli era stato appena detto e valutando quale sarebbe potuta essere la prossima domanda.
<< Beh, penso sia un po’ ovvia come domanda, e credo se lo stiano chiedendo tutti nella Federazione… perché? Perché ci avete attaccato? Perché volete farci sparire dalla galassia? >>
N’dar si grattò il cranio perfettamente liscio, pesando attentamente ogni parola.
<< Beh, è una questione meramente politica. Alla base di questa guerra non c’è nessun odio razziale, nessuna sete di sangue priva di qualsivoglia motivazione, solo… siete stati molto sfortunati. >>
<< In che senso? >>
<< Nel senso che la vostra civiltà si trova esattamente in mezzo al confine tra Impero e Unione, e per giunta avete stretto rapporti di amicizia con quest’ultima. Non possiamo permettere che il nostro nemico abbia un alleato, seppur debole come la Federazione, e una volta conquistati i vostri territori avremmo inoltre una testa di ponte per colpire direttamente al cuore l’Unione Volosiana. Siete la via più breve per i loro sistemi centrali. >>
<< Eppure mi pare che stiate faticando per conquistarla. >> ribatté Nemo, stringendo il pugno, in preda a un tic nervoso.
<< Ho i miei dubbi. Comunque, tra Volosiani e Khorsiani vi è da sempre un equilibrio precario, stabilitosi nel corso di guerre secolari, le cui motivazioni sfuggono ormai alla memoria di molti. Voi, nel vostro piccolo, avete stravolto questo equilibrio. >>
<< Tanto da motivare un attacco a sorpresa? >>
<< Sì. >>
Nemo abbassò lo sguardo e fissò i propri piedi, in preda al tremore.
<< Ma non mi pare vi aspettaste una risposta così tempestiva da parte dei Volosiani, quando avete attaccato, oppure non vi sareste ritirati così disordinatamente dal sistema Varus nel giro di qualche settimana. >> rispose poco dopo, alzando la testa.
N’dar chinò il capo in segno d’assenso.
<< Sono costretto a darti ragione. >>
<< E come avete incontrato i Volosiani? Perché… tutto questo? >> continuò Nemo, indicando con l’esile braccio la vetrata davanti a loro.
<< Ti dirò la verità. >> rispose N’dar. << Non so dirtelo. >>
L’umano rimase a bocca aperta, deluso.
Ormai era così vicino a comprendere parti della storia galattica che gli storiografi umani desideravano scoprire da anni da aver dimenticato con chi stava parlando e, ora che il discorso si era interrotto, la realtà tornò a colpirlo come un pugno in pieno volto.
In fondo, nei loro difetti e nei loro sbagli, quegli alieni erano così… umani.
<< Ciò che so… >> proseguì il Khorsiano, richiamando l’attenzione dell’uomo. << …è che Volos e Khors sono civiltà molto più antiche della vostra. La nostra razza nasce in un sistema posto tra i due bracci che voi chiamate del Sagittario e di Perseo, non molto distante dal Nucleo, mentre Volos è ben più esterno, sul braccio… dello Scudo, dico bene? >>
<< Sì… prosegui, ti prego. >> sussurrò Nemo, quasi ansimando per la sete di conoscenza.
<< Abbiamo iniziato a esplorare le stelle, ignari che non fossimo soli nella galassia. Quando poi ognuno ha colonizzato la propria porzione di spazio, noi ci siamo spinti verso l’orlo esterno, loro invece si sono avvicinati sempre più al nucleo. Ci incontrammo presto, e i rapporti furono da subito tesi. Ci fu la Guerra del Nucleo, che portò a creare la prima zona franca: era vietato colonizzare i mondi tra il Sagittario e il Nucleo, perché saremmo stati troppo vicini al nemico. Ci lanciammo allora verso il braccio esterno, quello del Cigno, ma presto anche tale braccio divenne territorio conteso. Penso ci fossero due o tre… come le chiamereste voi? Satrapie, penso, al servizio dei Volosiani. >>
<< E scoppiò un’altra guerra? >> incalzò Nemo, artigliando i braccioli della poltrona su cui era seduto e protendendosi in avanti per non lasciarsi sfuggire nessuna parola.
<< Sì, le Guerre Esterne, oltre due millenni fa. Ora lì è spazio di nessuno, completamente disabitato, per una fascia larga oltre ventimila anni luce. Facemmo il deserto… >>
<< E lo chiamaste… >>
Una sirena impedì a Nemo di completare la frase.
N’dar alzò la testa e fissò un piccolo monitor appeso alla parete vuota.
<< Dobbiamo andare. >> disse, scurendosi in volto.
<< È già ora? >>
<< No, ma devo incontrare i miei superiori. >>
Si alzarono, e N’dar attivò un comunicatore che teneva legato al polso.
<< I miei soldati ti riporteranno sull’astronave, partiremo a breve. >>
Il Khorsiano uscì, e Nemo rimase da solo a fissare l’enorme esercitazione che si stava svolgendo ai suoi piedi, ora nel pieno di una simulazione di combattimento con esoscheletri da battaglia alti due volte un uomo.
Nemmeno un minuto dopo sei fanti vennero a prelevarlo e lo scortarono fuori dall’ufficio, procedendo lenti per non far incespicare il prigioniero, ma senza mai voltarsi a guardarlo, senza mai offrire aiuto per guidare i suoi passi ancora incerti.
Lo condussero in una piccola stanza completamente bianca, al centro della quale si trovava un trono minimale, bianco anch’esso.
<< Questa non mi sembra l’astronave. >> disse Nemo ai soldati, che nemmeno si degnarono di voltarsi e guardarlo.
Un soldato lo spinse in avanti, mentre un altro gli afferrava il braccio e lo costringeva a sedersi, ignorando le sue rumorose proteste.
Improvvisamente due bracciali bloccarono i suoi polsi ai braccioli dello strano trono, e due pinze uscirono da dietro lo schienale per bloccargli le palpebre e impedirgli di chiuderle.
I soldati uscirono, quasi non sentissero l’uomo dietro di loro che urlava di essere liberato.
Quando gli alieni furono fuori, un proiettore apparve davanti al suo viso, iniziando immediatamente a sparargli raffiche di immagini nella retina.
Nemo si sentì paralizzato, mentre anelli di luce gli si imprimevano negli occhi, accecandolo.
La tortura finì dopo qualche minuto, o almeno a lui sembrò così, e occhi e polsi furono immediatamente liberati.
I soldati entrarono nuovamente nella stanza e attesero che lui si alzasse, e infine lo scortarono fino alla piattaforma di atterraggio.
Quando arrivò sull’astronave, ormai ripulita e rifornita di ogni materiale, i soldati lo lasciarono in custodia ai droni soldato, che lo scortarono immediatamente alla sua cella.
Attese lì dentro finché attraverso l’oblò non vide il cielo scurirsi in cangianti sfumature verdi e azzurre, mentre il piccolo sole che illuminava il pianeta spariva dietro le basse montagne verdi che dolcemente declinavano verso la periferia della città.
I palazzi bianchi, sempre più avvolti dalle tenebre, iniziarono a ricoprirsi di luci dalle mille sfumature, caotiche e sgargianti come frammenti di vetro dentro un caleidoscopio.
La nave improvvisamente vibrò, i motori in rapida accensione, e in pochi minuti si sollevò dalla piattaforma di atterraggio.
Nemo fissò la superficie del pianeta allontanarsi, vide le nuvole cariche di umidità pronte a riversare pioggia sul terra in quella che si annunciava una notte agitata.
Presto furono di nuovo nello spazio, e le luci artificiali furono sostituite dalle lontane stelle.
Nemo si morse il labbro screpolato, chiedendosi cosa ancora li attendeva nello spazio profondo, incapace di darsi una risposta
Abbandonarono il sistema rapidamente, senza trattenersi oltre vicino ai piccoli pianeti che lo popolavano e, raggiunta l’orbita esterna, davanti agli occhi di Nemo si parò lo spettacolo più terrificante che avesse mai visto: perfettamente allineate in grandi cunei, perfettamente schierati all’interno di un immenso, invisibile cubo, erano ferme in attesa centinaia di navi da guerra Khorsiane di ogni taglia, dalle minuscole e scattanti corvette alle mastodontiche corazzate in grado di spazzare da sole intere flotte.
Le navi erano tutte simili tra loro, lo stesso modello ripreso più e più volte aumentandone le dimensioni e la potenza degli armamenti.
Nemo non aveva mai visto così tante navi tutte insieme, e l’immagine lo lasciava senza fiato, spiazzato.
La vetrata dietro di lui si aprì, l’impercettibile sibilo dei binari su cui scorreva la porta lo fece voltare.
N’dar lo fissava, impassibile.
Sembrava affranto.
<< Seguimi. Ciò che vedrai merita un’angolazione migliore. >>
<< Che cosa mi avete fatto? >> chiese Nemo apatico, ignorando l’invito dell’alieno.
<< Tranquillo, nulla di compromettente, ordini dei superiori. Ora seguimi. >>
Nemo si incamminò senza dire una parola, a capo chino, le spalle basse, ormai completamente asservito al suo aguzzino.
<< Finalmente capirai perché abbiamo compiuto tutte queste azioni di disturbo, perché ho attaccato quella città e perché ho distrutto la tua nave. Concediti questo mio regalo come tuo ultimo desiderio. >>
Nemo rabbrividì a quelle parole.
Entrarono in ascensore e giunsero sul ponte di coffa, da dove Nemo, facendo qualche passo avanti, poteva osservare con più dettaglio la dimostrazione di forza aliena.
N’dar rimase in ascensore.
<< Io devo tornare sul ponte di comando, il dovere mi chiama, ma stai tranquillo, avrai presto compagnia. >>
Nemo si voltò.
<< Cosa? >>
<< Il tuo capitano. Ha finalmente parlato. >>
Le porte dell’ascensore si richiusero.
Nemo rimase per un po’ a fissarle, finché non si decise a voltarsi di nuovo e tornare a fissare quello spettacolo, mentre la nave faceva manovra e si posizionava nel vuoto lasciato apposta per lei all’interno dell’ala di un cuneo.
Passò qualche minuto, i cui i cunei, ognuno di sette navi, si allinearono, poi saltarono a velocità iperluce, uno dopo l’altro, mentre lo spazio intorno si deformava come negli incubi di un pazzo.
Nemo ormai non distingueva più i corpi celesti dall’etere, eppure riusciva ancora a vedere le altre astronavi che viaggiavano alla loro stessa velocità, anche se sfocate e deformate come se o lui o loro fossero all’interno di una bolla.
L’ascensore si aprì, ed un esile, tremante umano fece un infermo passo avanti.
Nemo si voltò.
<< C-Capitano! >> disse, accorrendo in suo aiuto. << Capitano, come state? Tutto bene, signore? >>
Il capitano non rispose, preferendo invece accasciarsi sulla spalla del suo sottoposto.
Aveva gli occhi sbarrati e il respiro corto, sudava freddo ed era continuamente attraversato da tremori.
<< Che vi è successo, capitano? >> chiese Nemo, la voce strozzata dalla disperazione e dal senso di colpa.
<< L’incubo. È morto? >> farfugliò il capitano, sputando saliva ad ogni sillaba.
<< Si sieda, signore, va tutto bene. >> rispose Nemo, accompagnando l’uomo nel movimento.
Il capitano dondolava, rantolando come un moribondo, e fissava atterrito lo spazio oltre gli oblò, ancora stravolto dalla velocità superluminale.
<< I ragazzi, ho perso… ho perso i ragazzi. Mi perdoneranno? >> chiese con le lacrime agli occhi.
Nemo stava per piangere.
Ecco a cosa erano ridotti: un uomo spezzato ed un guscio vuoto, condannati a morte.
<< Sì, signore, la perdoneranno. Ognuno ha fatto ciò che doveva. >> disse Nemo per confortarlo, prendendolo per le spalle e cercando di calmarlo.
<< Ma l’incubo… dove siamo? Le visioni… sono finite. >>
<< Siamo su una nave Khorsiana, signore, in viaggio a velocità superluminale… non so dove… >>
<< Uccidimi… poni fine… ho tradito… >> disse il capitano delirante, accasciandosi tra le braccia del sottoposto.
<< Signore… resti sveglio, signore. Continui a parlarmi… non chiuda gli occhi. >>
Nemo era ormai in preda al panico, troppo poco lucido per occuparsi dell’uomo tra le sue braccia.
<< La guerra? >> chiese il capitano in un sussurro, gli occhi riversi all’indietro.
<< Ancora in corso, signore, c’è speranza. >> Nemo sollevò a fatica il capitano, facendo forza sulle deboli gambe. << Venga, possiamo vedere lo spazio da qui. >>
I due si appoggiarono al vetro, entrambi distrutti nel corpo e nella psiche.
Il capitano era molto più pallido rispetto all’ultima volta che l’aveva visto, le sue guance erano scavate, gli occhi iniettati di sangue, la barba sporca e incolta lasciata a sé stessa, i vestiti lerci e puzzolenti, le unghia rotte e divorate.
Nemo improvvisamente avvertì di nuovo la sensazione di nausea che aveva segnato i primi giorni della sua prigionia.
Improvvisamente lo spazio intorno a loro si ricompose e divenne normale, rivelando non molto distante un piccolo sistema binario.
<< Verris… siamo nel braccio di Orione! >> esclamò Nemo, ormai conscio di ciò che stava avvenendo.
La flotta nemica avanzò lenta ma inesorabile verso il sistema, pronta a ghermirlo e a portare l’inferno sulla superficie dei suoi pianeti, sicura di avere una facile preda.
<< Che cosa ho fatto… che cosa ho fatto… >> farfugliava il capitano, strappandosi i pochi capelli rimasti sulla sua testa.
<< Capitano… cosa ha detto al Khorsiano? >> chiese cautamente Nemo, temendo la risposta.
<< Io… non ho… non riuscivo più… >> continuava a dire il capitano, evitando lo sguardo del sottufficiale.
<< Capitano. >> insistette Nemo, afferrando la testa del superiore e costringendolo a fissarlo negli occhi.
<< La flotta… posizioni, consistenza, piani… tutto. >>
L’uomo, affranto, abbassò lo sguardo di nuovo.
<< Non creda… di essere stato il solo. >> disse Nemo, lasciando andare l’uomo. << Ho fallito anche io. >>
L’uomo lo fissò, sorpreso, e sorrise amaramente.
<< Come siamo deboli. >>
<< Non tanto quanto crede lei. >> concluse Nemo, tornando a fissare il sistema davanti a loro.
Il corpo celeste più esterno, un pianeta nano dalla forma vagamente ovoidale color sabbia, si faceva sempre più vicino, permettendo agli osservatori di osservarne in maniera sempre più definita i dettagli.
Nemo strizzò gli occhi e guardò attentamente quanto si trovava davanti: la superficie del pianeta appariva ricoperta di puntini neri, che divenivano più grandi man mano che si avvicinavano.
Quando comprese cosa fossero sorrise gioioso, solo per tornare un secondo dopo a perdersi nello sconforto più totale.
Davanti a loro, schierata in ordine di battaglia, si trovava ciò che rimaneva della flotta Federale, richiamata nel settore dai continui atti di guerriglia da parte dell’Impero.
Le due flotte stavano per darsi battaglia lì, ai confini della civiltà umana, e loro due erano sul vascello sbagliato, senza considerare che il loro aguzzino – a meno che non stesse scherzando, cosa che aveva dimostrato di fare molto poco – aveva ormai deciso di ucciderli a fine battaglia.
Qualsiasi cosa fosse successa alla nave, loro sarebbero morti comunque.
Le navi erano ancora fuori dalla portata dei rispettivi cannoni, ma erano ormai abbastanza vicine da potersi osservare e analizzare a vicenda.
La flotta Terrestre era meno numerosa dell’avversaria, almeno da quanto si vedeva dal ponte, e la sua unità più grossa, una gigantesca corazzata con sei torri trinate da 460 mm e due tubi di lancio per siluri atomici come armamento principale, impallidiva comunque di fronte alla corazzata Khorsiana, una versione ingigantita della nave su cui loro due si trovavano, dotata di un hangar frontale in grado di trasportare chissà quanti caccia e di cannoni al plasma così grandi e potenti da poter spazzare via uno spazioporto con un solo colpo, senza contare tutte le bordate di missili e le difese di punto di cui era dotata.
La flotta Khorsiana improvvisamente ruppe gli indugi, mandando avanti due ali di corvette per aggirare la flotta nemica sul fianco destro.
Le navi Terrestri arretrarono, ridisponendosi in linea di battaglia e girando intorno al planetoide, cercando riparo dalle veloci unità nemiche.
Alcuni colpi vennero sparati in direzione delle corvette, che decisero di tornare indietro prima che i proiettili potessero raggiungerle.
La flotta Khorsiana avanzò compatta, cercando l’ingaggio, mentre quella Terrestre arretrava, facendo però in modo di non allontanarsi troppo dall’orbita in cui aveva scelto di combattere.
Squadriglie di caccia si levarono da entrambe le parti, pronte a lanciarsi contro le unità nemiche.
Almeno sotto quel punto di vista, la flotta Terrestre sembrava ben più rifornita, anche se si trattava di mettere a confronto le capacità di un pilota umano con una IA.
Le navi Khorsiane lanciarono una salva di missili contro il nemico, riempiendo l’etere di scie bianche che si interruppero a metà della corsa, mentre gli ordigni erano ancora distanti dal bersaglio.
Qualche secondo e Nemo vide le esplosioni silenziose dei razzi intorno alle navi Terrestri ancora illese, intercettati efficacemente dalle loro difese di punto.
Nonostante quelle intense schermaglie, ancora non era stato dato il via alla vera azione, e le navi Federali continuavano a muoversi per mantenersi fuori gittata.
I due umani fissavano con apprensione la scena, bloccati sul ponte vuoto della torpediniera aliena, ormai sicuri che per la flotta Terrestre non ci fosse speranza.
<< La guerra è perduta. >> disse il Capitano, abbattuto.
<< No, ci deve essere un motivo per cui la flotta si è gettata così a testa bassa in questa trappola. >> ribatté Nemo, senza distogliere lo sguardo da una delle corazzate Terrestri, la cui insegna sulla fiancata la identificava come FSS “Imperator Siderum”. << Evitano il combattimento… perché? >>
<< Avranno capito l’errore? Nessuna speranza… >>
<< No, o avrebbero abbandonato il sistema. >>
Diverse squadriglie di caccia Khorsiani si lanciarono contro le navi nemiche, senza preoccuparsi del fuoco di intercettazione come fossero in missione suicida, e finalmente riuscirono a ingaggiare il nemico, attaccando un incrociatore non molto distante dall’ammiraglia.
La flotta Khorsiana si fece nuovamente avanti, sicura di poter arrivare addosso al nemico, e la flotta terrestre, invece di ritirarsi e lasciare indietro la nave attaccata, aprì in massa il fuoco.
I Khorsiani, ormai a portata, aprirono il fuoco coi loro cannoni e con bordate di missili, che una dopo l’altra si infransero sulle postazioni nemiche.
I caccia si lanciarono contro le rispettive flotte avversarie, mirando ai punti deboli delle navi più grosse, mentre le ali Khorsiane cercavano di incunearsi nelle falle della linea nemica, che andava ormai allargandosi e perdendo di compattezza.
Le navi Federali, per sottrarsi al fuoco sostenuto, iniziarono a sparpagliarsi, lasciando che la formazione nemica passasse attraverso la loro, sicure di poter sfruttare il punto debole dell’avversario: l’aver concentrato tutta la loro potenza di fuoco sull’arco frontale in gondole fisse, lasciando così la poppa completamente indifesa.
Una corazzata Federale venne colpita, e una delle sue quattro ali esplose spaccandosi in due.
I Khorsiani sembravano prendere di mira solo le unità più grosse, ignorando invece i piccoli ricognitori che si ritrovavano così isolati dal resto della flotta, ma potevano liberamente colpire le navi nemiche alle spalle.
<< Mirano alle portastormo. >> dedusse Nemo. << Cercano di raggiungere la nostra seconda linea. >>
Le navi Terrestri iniziarono a cedere terreno, incapaci di resistere alle ben più potenti controparti nemiche, che ormai incalzavano la linea di battaglia spezzata in più punti.
Diverse navi esplosero o si spaccarono, portando alla morte tutto il loro equipaggio, e una corvetta Imperiale fuori controllo si schiantò contro i ponti di volo di un incrociatore in fiamme, divorato dall’interno da qualche sconosciuta avaria.
Esplosioni si susseguivano in mezzo a gruppi sparsi di velivoli, che come comete in fiamme attraversavano i giganti feriti intenti a combattersi all’ombra dei due Soli.
Messi alle strette, gli umani lanciarono i loro siluri atomici, scompaginando la formazione avversaria.
Le immense esplosioni accecarono Nemo, che con orrore seguiva lo scontro.
La loro nave, rimasta tra le riserve, si manteneva fuori dal combattimento, seppur pronta a intervenire appena fosse stata richiesta.
La linea cedette, le forze Terrestri ormai costrette a combattere singolarmente, e la loro torpediniera virò improvvisamente per lanciarsi all’attacco.
La loro ala passò attraverso rottami e vascelli alla deriva, cercando il proprio bersaglio oltre la zona di combattimento.
Davanti a loro, protette dalla vicinanza col pianeta nano, scovarono le portastormo Terrestri, navi della stazza di una corazzata ma con un armamento neanche lontanamente simile, intente a vomitare centinaia di caccia sul campo di battaglia.
Un gruppo di ricognitori tentò di intercettarli, sparando contro di loro qualche bordata, nella vana speranza di penetrare il loro ben più spesso scafo corazzato.
Le portastormo iniziarono a ruotare sul posto, cercando di darsi alla fuga, ma ormai non avevano speranza.
Le torpediniere aprirono il fuoco, spazzando i ponti delle navi nemiche.
I ricognitori furono sotto di loro e li assaltarono, finalmente spezzando la formazione aliena.
La battaglia infuriava ormai ovunque: la flotta Terrestre era sparpagliata intorno al pianeta nano e presa su ogni lato dal nemico, che aveva completato l’aggiramento sul fianco destro e aveva ormai catturato le navi nelle retrovie.
Nemo diede un pugno al vetro.
Erano spacciati.
La nave virò di nuovo, mostrando in pieno ai due prigionieri lo spettacolo del campo di battaglia, improvvisamente richiamata al centro dello scontro.
E Nemo li vide, i loro angeli della salvezza.
Alle spalle della flotta Khorsiana, direttamente dall’iperspazio, una flotta Volosiana era apparsa in tutta la sua magnificenza e aveva immediatamente aperto il fuoco sul nemico, spazzando le navi minori e aggredendo con violenza le navi capitali.
Presi tra due fuochi, gli Imperiali decisero di vendere cara la pelle, lanciandosi in un attacco suicida contro le forze appena arrivate.
Nemo fissò con ammirazione le navi alleate, gli occhi lucidi e prossimi al pianto.
Quei vascelli erano un’opera magnifica: corpi perfettamente lisci dai cui fianchi spuntavano file e file di cannoni e dalle cui estremità si spiegavano immense vele solari dorate, agganciate a grossi archi e rigonfie di energia.
La prua conica di ogni mezzo era ricoperta da rotonde torri binate, intente a riversare fuoco e fiamme sugli scafi nemici coi loro cannoni gaussiani
Le navi Imperiali venivano annientate, una dopo l’altra, senza distinzione, mentre i detriti iniziavano a precipitare verso la superficie del pianeta nano poco distante.
Quando l’ultima corazzata esplose, colpita al reattore da un siluro, gli Imperiali decisero di battere in ritirata.
Nemo vide lo spazio intorno a lui vorticare, mentre la torpediniera su cui si trovava compieva una manovra in avvitamento per defilarsi, passando in mezzo ai rottami di un incrociatore Imperiale distrutto.
Una fregata Volosiana tagliò loro la strada, riversando su di loro una pioggia di dardi esplosivi.
La nave vibrò tutta, incassando il colpo, ma rispose al fuoco e continuò a volare testarda.
<< Dobbiamo abbandonare la nave. >> disse Nemo, allontanandosi dall’oblò. << Venga, signore. >>
I due si avvicinarono all’ascensore, premendo ripetutamente il pulsante di richiamo e sperando che non fosse bloccato.
<< Dannazione! >> sbottò Nemo appena si accese una spia rossa. << Devono averci isolato! >>
La nave vibrò di nuovo, colpita ad uno dei motori, e iniziò a ondeggiare, fuori controllo.
La spia sopra la porta d’accesso divenne blu, e le porte si spalancarono.
Nemo sbarrò gli occhi.
N’dar uscì dall’ascensore, una pistola in pugno, gli occhi blu iniettati di sangue.
Alzò la pistola e la puntò in faccia a Nemo.
Nessuno dei tre disse nulla.
Poi la nave fu colpita di nuovo, e la scossa che la attraversò li lanciò tutti in aria.
La pistola volò in alto, mentre Nemo si lanciava verso l’ascensore ancora aperto tenendo il suo superiore per un braccio.
Il generatore di gravità doveva essersi danneggiato, poiché all’improvviso tutti e tre si ritrovarono a nuotare nel vuoto.
N’dar si voltò e digrignò i denti, afferrando il piede scalzo del capitano e tirandolo a sé.
Il capitano trasalì e si aggrappò al braccio di Nemo, scivolando velocemente verso l’alieno, incapace di opporre resistenza.
Nemo si voltò, bloccandosi all’ascensore con i piedi e afferrando la mano del superiore, sforzandosi di non perderla.
N’dar intanto aveva ritrovato la pistola e, la mano ancora stretta intorno alla caviglia dell’uomo, si era lanciato per riafferrarla.
Nemo sentì la presa del capitano allentarsi e si protese ancor di più in avanti, gemendo per lo sforzo, nel tentativo di non lasciarlo andare.
Il capitano colse la fatica negli occhi del compagno e sorrise rilassato, chiuse gli occhi, e mollò la presa, lasciando che il Khorsiano lo tirasse a sé.
L’alieno, preso alla sprovvista e concentrato sul recuperare l’arma, fu spinto indietro dall’uomo, che gli si avvinghiò addosso e si lanciò contro il suo polso.
Mentre le porte dell’ascensore si chiudevano l’ultima cosa che Nemo vide fu N’dar che sparava in pieno petto all’umano, intento ad affondare i denti nel braccio dell’Imperiale.
Mentre l’ascensore scendeva sempre più giù, all’interno dell’astronave, Nemo sentì di nuovo il suo peso, e poco a poco si riallineò al pavimento e si rimise in piedi.
Si appoggiò al muro metallico e ansimò, stanco.
Non appena l’ascensore si aprì sul ponte di comando, la nave fu colpita di nuovo e per un lungo secondo la corrente saltò, lasciando Nemo immerso nel buio.
Quando la luce tornò, poté finalmente mettere a fuoco ciò che aveva davanti.
La sala era abbandonata, completamente vuota, e molti terminali erano spenti o completamenti invasi da allarmi rossi e lampeggianti.
Un’altra scossa, uno spettrale cigolio attraversò il metallo.
Si infilò in un largo corridoio e giunse rapidamente ad un punto dove il corridoio si separava in tre differenti direzioni.
Se ricordava bene, proseguendo diritto sarebbe giunto al vano motori, quindi non doveva fare altro che scegliere tra destra e sinistra e sperare di non finire negli alloggi dell’equipaggio.
Non aveva tempo per sbagliare strada.
Si infilò a sinistra e proseguì rapidamente, andando avanti ormai alla cieca.
I piedi non lo reggevano più, e lui avanzava trascinandosi stancamente contro il muro.
Sulla sua destra individuò una porta aperta e vi si fiondò subito dentro, sperando di aver trovato l’hangar dei gusci di salvataggio.
Appena varcata la soglia inciampò sul cadavere di un Khorsiano riverso per terra, un pugnale infilato tra scapola e clavicola sinistra, le dita dell’alieno ancora strette intorno al manico dell’arma.
Nemo si rialzò goffamente appoggiandosi alla cuccetta accanto alla quale il cadavere era steso, troppo debole per urlare dal disgusto, sorpreso da ciò che aveva davanti a sé.
Non si aspettava che i Khorsiani si suicidassero pur di non consegnarsi al nemico.
Si chinò, staccò la mano del cadavere dal pugnale ed estrasse l’arma dal corpo.
Era ironico, notò in quel momento, come tutte le razze in grado di dominare la galassia avessero in comune cinque dita per mano.
Ripulì l’arma dal denso sangue scuro, quasi nero, che uscì dalla ferita e si guardò intorno, cercando altre armi.
In fondo alla camera, appesa al muro, vide una rastrelliera a cui era appesa una pistola, ancora inserita nella fondina.
Afferrò l’arma e uscì rapidamente dall’angusta cabina in cui era finito, indeciso se tornare indietro o proseguire oltre le cabine dell’equipaggio.
La nave continuava a venire scossa dalle esplosioni, ma sembrava già essere stata abbandonata.
Improvvisamente un rumore familiare lo fece voltare.
Si mosse rasente al muro e spiò nella direzione da cui il suono sembrava arrivare.
Un drone gli passò davanti, volando scoordinato e lasciando una scia di scintille dietro di sé.
Nemo si mise subito al suo inseguimento, avanzando silenzioso alle sue spalle.
Il drone aveva seri danni alle giunture inferiori, dalle quali pendevano le due mitragliatrici che componevano il suo armamentario, quasi sul punto di staccarsi.
Dopo diverse svolte e corridoi ormai bui giunsero infine nel piccolo vano in cui erano ancorati i gusci di salvataggio, una specie di corridoio non più largo di due metri.
Su ogni lato del corridoio si aprivano dieci portelloni, tutti aperti, attraverso i quali si intravedevano gli interni dei gusci, in grado di ospitare almeno quattro persone.
In fondo al corridoio, uno per lato, vi erano altri due portelli, più piccoli, in cui lentamente si stavano infilando i vari droni, ordinatamente disposti in fila in attesa del loro turno.
In mezzo al corridoio, in piedi e disposti in cerchio, vi erano gli ultimi membri dell’equipaggio, sedici Khorsiani in tenuta da battaglia e armati fino ai denti con ogni sorta di fucile o carabina.
Erano a capo chino, il casco tra le mani, in attesa di chissà cosa.
Uno di loro alzò all’improvviso la testa, inspirò e disse qualcosa nella loro incomprensibile lingua.
Gli alieni indossarono il casco e si infilarono in quattro dei cinque gusci sulla destra, chiudendo i portelloni alle loro spalle.
Non appena il corridoio fu vuoto Nemo si lanciò nell’ultimo guscio, cercando di interpretare i comandi della consolle che si ritrovò davanti.
Il portellone si chiuse dietro di lui, imprigionandolo là dentro.
Su ogni lato della piccola astronave vi era un minuscolo oblò, da cui Nemo poteva guardarsi intorno.
Attraverso quello frontale, subito sopra, poteva scorgere un incrociatore Volosiano intento a sparar loro contro tutta la sua bordata di babordo.
Il rumore attutito di un risucchio arrivò da sinistra, e Nemo vide attraverso l’oblò uno dei gusci lanciato alla massima velocità contro l’incrociatore, seguito immediatamente da un secondo identico guscio.
Un altro risucchio, e uno dopo l’altro vide anche i quattro gusci in cui si erano infilati i Khorsiani, ben più corti dei primi due, lanciarsi all’assalto della nave nemica, incuranti dei proiettili che volavano intorno a loro.
<< Cazzo. >> disse Nemo, prima che l’accelerazione improvvisa lo lanciasse contro la parete di fondo, facendolo sbattere violentemente.
Si alzò e si girò, fissando nell’oblò al centro del portellone l’astronave Khorsiana venire colpita e allontanarsi da lui, ormai alla deriva.
Si spostò a fatica davanti all’oblò alla sua sinistra e fissò gli altri gusci correre paralleli al suo, lanciati in quella folle corsa.
Il più vicino a lui fu preso in pieno da un proiettile ed esplose in una pioggia di resti alieni e acciaio, seguito a ruota da uno dei due gusci porta-droni che, colpito ad uno dei motori, deviava dalla sua rotta e andava a schiantarsi chissà dove.
Tornò davanti alla consolle e fissò la nave Volosiana avvicinarsi rapidamente, ormai sicuro che sarebbe morto nello schianto.
Si sedette su una delle quattro poltroncine disposte sui lati del guscio, si aggrappò ai braccioli e chiuse gli occhi.
L’impatto fu così violento che lo sbalzò dalla poltrona e lo mandò a sbattere contro la maledetta consolle, causandogli una nuova fitta lancinante alla testa.
Il guscio si aprì frontalmente, sollevando la consolle e rivelando un secondo portellone identico al primo.
Nemo si tastò il volto, stordito dall’impatto.
La guancia destra era umida, e non vedeva più da un occhio.
Riprese pistola e pugnale, scese strisciando dal mezzo e si ritrovò nel mezzo di un largo corridoio vuoto, illuminato da luci azzurre.
Il suo guscio aveva perforato la corazza della nave Volosiana e aveva continuato la sua corsa per ancora qualche metro, penetrando profondamente nello scafo e chiudendo la falla così creata con la sua stessa mole.
Si alzò appoggiandosi al muro e fissò il buco nella parete, accorgendosi solo in quel momento che accanto al suo ve ne era un secondo, identico.
Il portellone del secondo mezzo si aprì, e un Khorsiano sbucò subito fuori, il fucile in pugno.
Nemo estrasse la pistola e sparò, prendendo l’alieno alla tempia.
Un secondo soldato scese dal mezzo, voltandosi verso di lui, ma fu subito freddato da un colpo in pieno petto.
Si avvicinò lentamente al velivolo, zoppicando, senza mai abbassare la pistola e si appoggiò accanto al varco.
L’alieno ferito al petto si mosse, gemendo.
Nemo gli sparò di nuovo, due colpi in rapida successione.
Dal velivolo arrivò in risposta una raffica di colpi che spazzò il corridoio.
Nemo urlò, avvertendo il calore del plasma che volava accanto a lui, e la raffica si interruppe.
Un terzo Khorsiano si lanciò nel corridoio, voltandosi in volo contro di lui.
Nemo sparò, mancandolo di poco, e si abbassò rapido, evitando per un soffio un altro colpo del nemico.
Si lanciò contro il suo nemico, prendendolo per la cintola e gettandolo a terra.
L’alieno si dimenava, cercando di afferrare il suo volto reso scivoloso dal sangue, in preda al panico.
Nemo sollevò la lama che fino a quel momento aveva tenuto con sé e la affondò con forza nel collo dell’alieno, che in pochi secondi smise di dimenarsi.
Nemo inspirò profondamente, ormai distrutto, riafferrò la pistola, si rialzò lento e di nuovo si nascose affianco al portellone, in attesa di un quarto nemico.
Attese a lungo, finché non si decise a sporgersi e spiare all’interno del guscio.
Il quarto Khorsiano era ancora seduto sulla sua poltrona, le cinture allacciate, privo di vita.
Nemo si lasciò sfuggire un rantolo e si accasciò al suolo, inspirando profondamente.
Era finita, e in qualche assurda maniera era ancora vivo.
Alle sue orecchie arrivò un rumore di passi, e presto fu circondato da alti soldati rivestiti di spesse corazze smaltate di bianco, i lunghi fucili puntati contro di lui, i volti nascosti dietro elmi a punta perfettamente lisci e privi di qualsiasi ornamento.
Erano figure ben più slanciate ed esili di un qualsiasi umano, ben più imponenti.
Una di loro si tolse l’elmo e si chinò accanto a lui.
<< Tutto bene, umano? >> chiese, avvicinando il suo volto lungo e schiacciato all’uomo e scrutandolo così suoi quattro piccoli occhi.
Nemo annui, tossendo, cercando di pulirsi l’occhio destro dal sangue che lo ricopriva.
Il Volosiano sorrise, mostrando gli aguzzi canini scintillanti.
<< Come sei arrivato qui? Qual è il tuo nome? >>
Nemo tossì ancora.
<< S-Seraphus Nebriter. >> disse a fatica.
<< Bene Seraphus, ora sei al sicuro. >> concluse il Volosiano mentre il suo volto iniziava a sfumare in vapori concentrici, e le palpebre dell’umano si facevano pesanti.
Il corridoio iniziò a vorticare e fu inghiottito dal buio, e l’uomo cadde in un sonno profondo.
   
 
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