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Autore: wolfymozart    05/11/2017    2 recensioni
La storia tra Anna e Antonio sarà messa a dura prova da scottanti questioni sociali e drammatiche vicende private che si intrecceranno in un inestricabile garbuglio nel quale ritrovare il "filo rosso del destino" non sarà affatto facile.
Per questo sequel è stato necessario forzare un po’ i tempi dell’ambientazione per motivi di ordine storico, viceversa non sarebbe stato possibile far incontrare la Storia con la storia. Lo slittamento temporale consiste in un lasso di una decina d’anni. Mi auguro che chi leggerà mi vorrà perdonare.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Anna Ristori, Antonio Ceppi, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Qualche anno dopo…
Il cielo iniziava ormai a schiarirsi, a oriente nuvole rosa preannunciavano il sorgere del sole ormai prossimo, un venticello frizzante scuoteva le fronde degli alberi risvegliando il canto mattutino degli uccelli, la rugiada bagnava i prati verdeggianti dell’erba novella di primavera. Tutto intorno il silenzio e la pace notturna non avevano ancora lasciato il posto al fervore diurno, benché nelle cucine e nelle stalle la servitù si stesse già mettendo al lavoro, solerte e silenziosa per non disturbare il sonno dei padroni.
Un timido raggio di sole si insinuò tra le persiane socchiuse, che tutt’un tratto il vento del mattino fece sbattere fra loro, riscuotendo Anna dal sonno. Si voltò istintivamente alla sua destra.
-Antonio…- mormorò con gli occhi ancora semichiusi. Ma nessuno rispose. A tastoni avvertì le lenzuola fredde, prive del tepore del corpo che doveva averle lasciate già da tempo.
- Antonio! – chiamò allora allarmata, spalancando gli occhi e mettendosi a sedere, i capelli sciolti, la veste da notte leggermente discinta. – Dove se ne sarà andato anche stanotte? – bofonchiò a denti stretti, alzandosi. Non si era accorta di nulla, ricordava soltanto di essersi addormentata fra le sue braccia dopo aver fatto l’amore. Doveva essere stato molto silenzioso, era diventando abile a sgusciar fuori dal letto senza svegliarla. Troppo, sentenziò fra sé, con la fronte corrugata e una smorfia di disappunto. – Bianca! Bianca! – chiamò poi indispettita – La toeletta! –
 
-Buongiorno, Titta! – salutò affabile, sollevando la mano libera dalla borsa mentre attraversava con passo brioso il piazzale sul retro del palazzo. Il sole era ormai sorto e il cielo terso del mattino preannunciava una mite giornata primaverile.
- Buongiorno, dottor Ceppi! – rispose al saluto il giovane, impegnato a sellare un cavallo. - Già al lavoro di prima mattina? – chiese poi.
- Ce l’ha fatta, è fuori pericolo! – esclamò per tutta risposta Antonio con un sorriso raggiante, alludendo al ragazzino per il quale era stato chiamato quella notte.
- Oh, sono molto contento. Tutto merito vostro, dottore! –
- Ma no, ma no, quale merito mio! Si trattava di una ferita non troppo grave. La febbre è subito scesa. – si affrettò a spiegare, modesto come al solito, senza perdere quell’allegro sorriso che aveva sulle labbra. Fece quindi per entrare.
- Dottore! – sentì chiamare sulla porta. – Dottore, poco fa è arrivata questa per voi. – disse Amelia trafelata porgendogli una lettera. – Mi han detto che si tratta di un affare importante, gente che conta… -  aggiunse con un gesto allusivo della mano.
Ceppi s’arresto immediatamente. Si voltò. - Grazie, Amelia. – rispose scrutando incuriosito la busta, cercando di indovinarne la provenienza dal sigillo.
 
-Avanti! – esclamò con una certa stizza Anna, invitando ad entrare chi aveva bussato, mentre se ne stava intenta a pettinarsi di fronte al grande specchio della sua stanza, quello specchio che era stato testimone di così tanta parte della sua vita, fin da quand’era ragazzina. La luce del sole aveva ormai invaso la stanza e si rifletteva sulla cornice dorata dello specchio.
La maniglia si abbassò ed Antonio fece il suo ingresso, sorridendo con le labbra e con gli occhi alla vista della donna amata.
-Ah, sei tu. E dove sei stato questa notte, si può sapere? – lo accolse lei aggredendolo, senza distogliere lo sguardo dalla propria immagine riflessa nello specchio, armeggiando con pettine e spazzola per rendere ancor più lucenti i suoi boccoli castani.
- Sono stato chiamato per un’urgenza dalla campagna. Ma ce l’ha fatta! Il ragazzino è fuori pericolo, grazie a Dio! – rispose pacato, di buon umore il medico, appoggiando la borsa coi ferri su di una sedia. Fece poi per avvicinarsi ad Anna ed abbracciarla, ma lei si scostò, abbandonando quello che stava facendo e sedendosi sulla sponda del letto, in silenzio, con l’aria scocciata.
- Guarda, mi è arrivata questa lettera, me l’ha consegnata Amelia prima. Sembra importante. Non l’ho ancora aperta, volevo leggerla insieme a te. – disse Antonio, prendo posto accanto a lei.  
- E’ la terza volta in meno di un mese. Ti alzi nel cuore della notte e te ne vai in giro chissà dove. E mi fai stare in pensiero fin quando non torni. Si può sapere, dico io, si può sapere, che diamine te ne vai in giro a fare? – riprese Anna, evidentemente non soddisfatta dalla risposta di lui, mostrando disinteresse per qualsiasi altra cosa Antonio avesse da dirle. Puntò quindi due occhi interrogativi e profondi nei suoi. Ferma, implacabile, in attesa di una spiegazione, abilissima nel nascondere dentro di sé il tremore e l’angoscia per la risposta che temeva di udire.
- Te l’ho detto. C’era bisogno di me, un ragazzino s’è fatto male lavorando nei campi e così mi han mandato a chiamare – Antonio non perse la calma e seguitò a guardarla con sguardo bonario.
- Proprio di notte s’è fatto male lavorando nei campi questo ragazzino? E la polmonite di quella donna? E la terzana di quell’anziano? Possibile che accadano sempre di notte tutte queste disgrazie?- insistette lei, alterata.
- Anna, tutte queste cose succedono anche di giorno, ma non ci fai caso perché sono sempre fuori per il giro di visite. Non c’è nulla di strano, nulla di anomalo. Capita. Ed io non mi posso sottrarre, devo essere disponibile a qualsiasi ora del giorno e della notte, in caso di necessità. – spiegò comprensivo per l’ennesima volta, scuotendo il capo quasi rassegnato. Possibile che dovesse sempre finire così? Possibile che non capisse che cosa comportava il suo lavoro? Nessun orario, chiamate notturne, emergenze, visite spesso nemmeno retribuite: del resto come si può chiedere del denaro a chi non ne ha nemmeno per mangiare? Ma lei no, tutte queste cose sembrava proprio non capirle. Lei, cresciuta negli agi e nelle comodità, ignara delle condizioni di vita dei suoi dipendenti, viziata, capricciosa, abituata a stare sempre al centro delle attenzioni, come avrebbe mai potuto concepire una cosa simile? Eppure, ne era convinto, non si trattava solo di questo, non si trattava solo di egoismo. C’era dell’altro, la conosceva bene. Paura, insicurezza, ecco che cosa si celava dietro il suo atteggiamento scontroso.
- E a me, che mi preoccupo perché non so dove sei, non ci pensi? Non ci pensi a quanto mi fai stare in pensiero? – rincarò la dose, mentre nei suoi occhi scuri iniziava a lampeggiare una luce, diversa, la luce della gelosia. – E poi chi me lo dice che tu vada davvero a visitare i tuoi pazienti o piuttosto non ti intrattenga in altro modo? – lo sfidò alla fine, gli occhi quasi lucidi di rabbia e di pianto.
- Anna, ragiona…- controbatté lui, prendendole delicatamente una mano e cercando di spiegarsi. Ma Anna liberò rapidamente la mano dalla sua stretta e gli voltò le spalle. Era abituato a questo tipo di scene, ma ogni volta restava profondamente ferito, deluso.
- Che c’è? Non ti fidi di me? Eppure mi sembra di averti sempre dato prova del contrario in questi anni…- le chiese a mezza voce, con uno sguardo mesto. Il buonumore di poco prima era del tutto svanito dal suo volto. Si sentiva sempre sotto accusa: non aveva ancora finito di espiare la sua antica colpa e questo lo prostrava assai. Quando sarebbe riuscito a conquistarsi la piena fiducia di lei?
Abbassò il capo sconsolato, appoggiò le mani sulle ginocchia e fece per alzarsi. Era inutile accanirsi in quella discussione, se la controparte non aveva la minima intenzione di ascoltare le sue ragioni. Ma Anna, che aveva seguitato ad osservarlo con la coda dell’occhio, a quel suo gesto lo bloccò afferrandogli una mano.
-Aspetta! Non te ne andare. – lo supplicò con la voce e con lo sguardo. Antonio si rimise seduto, fissandola con i suoi limpidi occhi celesti, in fiduciosa attesa di quanto avesse da dirgli.
- Io mi fido di te. Ho piena fiducia. La colpa è mia, quando di notte non ti ritrovo accanto…è più forte di me. Perdonami. – gli confessò apertamente, senza riuscire a terminare la frase guardandolo negli occhi. Se ne stava seduta sul bordo del letto, composta, le mani in grembo, lo sguardo basso. Modestia, eleganza e sussiego, le tre qualità quasi opposte che s’addicevano alle fanciulle dell’alta nobiltà. Antonio sorrise tra sé, riconoscendo in questo suo contegno la fanciulla che era stata. No, non si era dimenticata i rigidi precetti della sua educazione.
- Non devi chiedermi perdono. Devi solo smetterla di tormentarti, di angosciarti per un nonnulla. – fece lui accarezzandole i boccoli lucenti appena pettinati e baciandole una guancia.
- Non è facile come credi. Da quando Emilia è partita poi…tutto è così difficile! Sono settimane che non ricevo sue notizie… – sospirò.
- Basta, basta con questa insicurezza, amore mio. Non ne hai motivo. – la rassicurò prendendole il viso tra le mani. Lei gli sorrise dolcemente, rincuorata, e lui di rimando fece lo stesso, sfiorandole le labbra con le sue. Anna lo strinse forte a sé, baciandolo con passione, come aggrappandosi a lui.
 - E adesso la vogliamo leggere questa benedetta lettera? – chiese poi Antonio con il sorriso, dopo essersi sciolto dal suo abbraccio, raccogliendo la busta che nel frattempo era scivolata dimenticata ai loro piedi. Anna annuì schioccandogli un bacio sulla guancia e appoggiando la tempia e quella di lui, poi, non senza una certa curiosità, si preparò alla lettura di quella misteriosa missiva. Antonio ruppe impaziente il sigillo e spiegò il foglio davanti ai loro occhi. Campeggiava in altro a sinistra lo stemma dell’Università.
- Al dottor Antonio Ceppi, l’esimio Professor Guglielmo Alberico Gerardi de Carolis – lesse Anna – E chi sarebbe costui? – domandò poi incuriosita da quel nome altisonante.
- Si tratta di un emerito professore della facoltà di medicina. Fu rettore, ma venne poco dopo destituito per le sue idee poco ortodosse…ora dev’essere molto anziano, mi stupisce anzi che sia ancora vivo. – spiegò brevemente Antonio corrugando la fronte impensierito – Ma perché si ricorda proprio ora di me? Che cosa vorrà? – si domandò insospettito a voce alta.
- Continuiamo a leggere. – disse Anna.
Stettero per qualche istante in silenzio, assorti ciascuno nella lettura silenziosa di quella lettera, fino al congedo: Superga, addì XIV del mese di maggio A.D. 1789.
-Insomma non dice nulla di che. Tranne l’annunciare la visita di un comune conoscente et egregio studente  ai più onorevoli incarichi innalzato, a servizio indefesso del popolo in questa hora di periglio ma di summa gloria et di speme in una nova epocha liberata dalla barbarie e invitarmi ad accogliere calorosamente quest’hospite che si attende molto da me in virtù degli antiqui comuni studii e degli excelsi principi condivisi nell’etade di gioventù. – chiosò ironicamente Antonio, imitando nella pronuncia dei latinismi l’ampolloso tono cattedratico del professore.
- E chi sarebbe quest’ospite? E poi che cosa vuole da te? – domandò con voce leggermente allarmata Anna, insospettita dal contenuto criptico di quell’epistola e soprattutto dai confusi accenni al popolo, ad un’epoca nuova liberata dalla barbarie, che le suonavano come troppo audaci e rivoluzionari.
- Non sono sicuro, ma un’idea su chi possa essere questo egregio studente ce l’avrei… - rispose Antonio guardandosi attorno soprappensiero. – Ad ogni modo ho grande stima di questo professore, non potrà che mandarmi qualche valido collega.  – concluse rassicurando Anna con una carezza e un fugace bacio sulle labbra.
   
 
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