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Autore: Cappie_efp    05/11/2017    0 recensioni
Sì tratta di una storia che raccoglie pensieri e emozioni di una vita, di sogni, tra ciò che è reale e ciò che non lo è. Tra ciò che ancora non succede e ciò che mai potrà accadere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Nel mio sogno ci sei tu. Entro in camera. I miei occhi si adattano al buio, filtrano l'oscurità, individuano il profilo del divano in ecopelle rossa, dell'instancabile appendiabiti a sinistra e il confine della cucina a destra. Le mie mani scorrono, interrogative, l'intonaco del muro, alla ricerca dell'interruttore. Si sente il click. Ma la luce non irrompe in quella quiete tetra. Sono troppo brillo per risolvere l'arcano, mi limito a biascicare qualche imprecazione in aramaico antico, che tanto nessuno può ascoltarmi. Non ho intenzione di far mancare nulla a quella nottata da dimenticare. Così, nel tetrume, raccimolo ciò che rimane delle mie gambe barcollanti e mi avventuro lungo il corridoio che conduce alle camere. Evito, trionfante, gli spigoli di tavoli, sedie e cassettiere - forse la prima cosa positiva della giornata - rimanendo ancorato al muro e scorrendolo via, per individuare l'ingresso della camera, ma, quando ormai intravedo la sagoma del letto, scivolo inavvertitamente su un paio di jeans che sicuramente avevo gettato all'aria mentre ravanavo nell'armadio. Mi abbatto con tutta la mia maestosa mole contro le mattonelle gelide del pavimento. Una smorfia di dolore. Un'altra imprecazione e un bel livido purpureo domani farà capolino sulla mia natica destra. Chissà qual'è il gene della goffaggine e se è in qualche modo estirpabile. Disteso a terra chiudo le palpebre, almeno per un attimo mi dico. In quella notte fredda riesco a percepire il ritmo del mio respiro, con la mente seguo addirittura il cammino delle molecole di anidride carbonica che diffondono nella stanza, impattano contro arredo e pareti, confini del loro mondo simile a una grande scatola chiusa, e generano vortici di caos. L'entropia nel mondo aumenta, me lo ripeto. A flusso continuo, un mantra. Fino a cadere, dolcemente, tra le braccia di Morfeo. L'immagine evocata da quel sogno gli era sempre parsa come un arconte epifania. Era rimasta avvinghiata alla sua memoria da chissà quanto tempo e non era così arduo rievocarla. Riemergeva all'arrivo delle prime brezze autunnali con la stessa spontaneità con cui le foglie avvizziscono, cadono e si mescolano tra loro, intonando una caleidoscopica sinfonia. In quella meravigliosa tempesta di sfumature variegate, emergeva una figura infingarda, ingannevole, arroccata su una catasta di natura morta, scricchiolante. Lei era lì, leggiadra e smunta. Pallida, ma pulsante di vita. Era tanto tempo che ogni volta, la stessa notte e lo stesso giorno, a distanza di anni, si incontravano ai piedi di quella collinetta ammantata, i ciuffi d'erba pettinati dal vento, all'ombra degli alberi incastrati in un delicato groviglio di ossa nodose . Tutto era nitido e comprensibile agli occhi di Lui, tranne il volto di Lei, se non per quella bocca che riuscì a intuire essere sciolta in un delicato e mellifluo sorriso. E poi gli occhi. Pozzi scuri e melmosi di una bellezza ineffabile. Pozzi scuri da cui non era mai riuscito a trafugare niente, nemmeno un flebile ricordo. Tuffarcisi poteva avere due destini diametralmente opposti, come mettere radici nel suo sangue, come sentire fluire l'ossigeno nelle vie aeree o sentirsene privato, senza appigli, persino intimorito, quasi come il perdersi in una foresta e il non sapersi ritrovare. Il cielo era un affresco di tonalità magnetiche: un oceano immobile di nuvole pingui, acquerellate con le sfumature più candide ed ermetiche del grigio, si infrangevano in mille schizzi di un bianco lattiginoso su scogli di un azzurro pallido, mentre baluginavano venature rossacee che, come araldi del tramonto, annunciavano l'ascesa della notte. Su' in alto, come un vascello fantasma, la Luna - fattasi a metà - solcava quel mare intensoe pacifico, ma beffardo. Come se qualcosa fosse destinato a mutarne i connotati. Come se, non appena gli occhi di Lei si fossero volti a pescare in quelli di Lui, una folata di Vento avrebbe cancellato la stabilità di quell'attimo, fugace perché così era stato intessuto. Lui si avvicinò, cauto, a quella creatura meravigliosa, estasiato da ciò che riempie il cuore del viaggiatore, l'inaspettato. Seppur in un angolo di cuore, addirittura in un recesso di mente, sapesse che quello si ppteva chiamare solo con un altro nome, Destino. Lui tese la mano, incredulo, per afferrare a mani strette, quella fonte di felicità, farla sua. In secula seculorum. Eppure non era il momento propizio - quando mai lo è - il mondo non voleva e non tardò molto a dimostrare la sua autorità: prima si levò uno spiffero, poi un alito mefistofelico, uscito da chi sa quale inferno, e una mano dall'ombra iniziò a strappare quel drappello di speranza. Il cielo si adombro' tutto e delle fauci voraci di un mostro senza nome, inghiottirono ogni singolo elemento di quel mondo così vero, seppur falso, seppur onirico. Lei gridò. "Miraggio".
  
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