“È bastato uno sguardo, o un
gesto, o un breve colloquio. La loro anima se n’è andata, per un istante, per
un’ora.”
(Søren Kierkegaard)
La mattina successiva Selene era stata costretta ad alzarsi
presto a causa di un violento conato di vomito; subito era corsa in bagno e lì
era rimasta, finché sfinita non si era appoggiata al muro con le labbra sporche
di sangue scarlatto e nero. Appena ebbe il coraggio di vedere ciò che aveva
rigettato, rabbrividì: nel sanitario vi era solo sangue; il cuore le batteva
all’impazzata mentre prendeva coscienza del fatto che la discesa lenta e
inesorabile verso la morte era iniziata. In quel momento più che mai aveva
bisogno di uscire e prendere una boccata di aria fresca; sentiva il corpo caldo
e le mani pizzicare, mentre prepotenti lacrime inondavano i suoi occhi. Deglutì
ricacciandole indietro, poi si rimise in piedi e si avviò verso il giardino che
si trovava alle spalle della locanda, quindi scese le scale, attraversò il
salottino davanti la reception e varcò la porta che si affacciava sul retro.
Nel cortile fu investita da una piacevole brezza, così richiuse il mantello che
Hadmon le aveva lasciato in camera la sera prima e si avviò verso una piccola
panchina posizionata a ridosso di un albero.
Silenziosamente si sedette e rimase a contemplare un piccolo
laghetto che si trovava a pochi metri da lei; portò le gambe al petto mentre
nella sua mente si facevano largo le preoccupazioni che aveva cercato di
scacciare nell’arco di quei giorni. Passarono pochi attimi e poi, non potendo
più contenersi, scoppiò in lacrime; odiava con tutta sé stessa l’eccezionalità
del suo ruolo che proprio ora la stava privando della sua stessa vita e della
normalità che aveva sempre agognato. Poggiò il capo al tronco dell’albero
vicino a lei e rimase ad osservare il lago, mentre le lacrime percorrevano le
sue guance, bagnando alcune ciocche di capelli e il mantello. “Perché…” si chiese
mentalmente, mentre il suo stomaco si contraeva per la frustrazione e la
desolazione. Si mise una mano di fronte agli occhi nel momento in cui riprese a
piangere, singhiozzando. Tuttavia presa come era dalle sue preoccupazioni non
si accorse che qualcuno si era avvicinato a lei.
-Selene? –
Di scatto Selene sollevò il viso e con la vista offuscata
dalle lacrime vide la figura di Jhin. Dietro la sua maschera il suo occhio
scarlatto le rivolgeva uno sguardo preoccupato, mentre il ghigno sinistro che
aveva scolpito sul viso sembrava essersi velato di malinconia e tristezza, come
se averla vista in quello stato fosse stato qualcosa di cui rammaricarsi.
-Va via…- singhiozzò Selene, nascondendo il viso.
Insolitamente dispiaciuto e preoccupato nel vederla in quello
stato, e nuovamente spinto dall’ormai familiare filo invisibile, rimase e si
chinò su di lei. Con delicatezza le scostò le mani dal viso e quando lo fece
l’altra oppose poca resistenza, lasciandogli scostare le ciocche umide che
coprivano le sue pozze ghiaccio. Scorse le sue labbra macchiate di sangue e
sentì una fitta all’altezza del cuore: stava succedendo ciò che Hadmon gli
aveva accennato. Deglutì a vuoto.
-Cosa c’è che non va Selene? – chiese
timorosamente Jhin. Ogni parola di quella frase da lui pronunciata pesava più
di un macigno: conosceva già la risposta.
-Io… il mio corpo sta morendo… - singhiozzò
Selene, asciugando le lacrime con il mantello che aveva indosso -… e io non
voglio, ho paura…-
Aveva posto un inutile domanda, solo per aver certezza di un
destino immutabile, ma ancor più dolorosa fu sentire quella risposta; per
qualche motivo remoto sentiva di essere legato a lei e quel pensiero permise al
suo cuore di prendere il sopravvento in quella situazione. Solo per quella volta le sarebbe stato accanto e l’avrebbe
sostenuta. Solo per quella volta
avrebbe messo da parte ogni rischio cui avrebbe esposto entrambi, avvicinandosi
e fidandosi di lei. Solo per quella volta
non avrebbe pensato a nessuna conseguenza. Le prese delicatamente il viso tra
le mani e con un fazzoletto le asciugò le lacrime, le sussurrò di aprire gli
occhi e di guardarlo. Non era mai stato bravo a mostrare il suo lato più umano,
perciò si lasciò guidare dall’istinto e da quell’invisibile legame, divenuto
sempre più intenso.
-Cerca di calmarti, Selene… -
-Proprio non ci riesco… mi sento così
impotente e sola… il mio corpo ha iniziato a degradarsi, il mio paese sta
venendo distrutto… - disse Selene, cadendo in ginocchio a terra di fronte a lui
-… io non posso fare niente… niente! –
A quelle parole Jhin rimase in silenzio. Solitudine. Conosceva bene così bene
quel termine, era divenuto così familiare al punto da caratterizzarlo: il gelo
che accompagnava quella parola con gli anni aveva iniziato a scorrere nelle sue
vene e aveva seppellito il suo cuore insieme ai suoi sentimenti; non poteva
abbandonarla a quel destino, non voleva, nonostante sapesse che prendendo
quella scelta avrebbe esposto entrambi. Un individuo come lui, un criminale
come lui non poteva avvicinarsi a una Guardiana; gli era stato vietato, e lui
sapeva che scotto bisognava pagare nell’infrangerlo. Non conosceva nulla sul
suo paese, però finché sarebbe stata a Ionia l’avrebbe aiutata a qualsiasi
costo.
-Selene, ascoltami – disse Jhin con tono
serio, prendendole il viso tra le mani - io ti aiuterò. Hadmon sta già cercando
una soluzione, perciò è solo una questione di tempo. Puoi star certa che non
morirai. Io non lo permetterò –
-Jhin…- sussurrò Selene, inchiodando gli
occhi nel suo. La maschera sul suo volto aveva smesso di fissarla maleficamente
e il suo occhio scarlatto la osservava trasmettendole uno strano quanto
insolito affetto.
-Hadmon mi ha spiegato chi sei e cosa ti
succederà… non lascerò che la tua vita sfumi via tra le mie mani. Non accadrà di nuovo, non con te –
Selene rimase interdetta da quelle parole, non avrebbe mai
pensato di poterle sentire da un uomo come il Demone d’Oro; istintivamente
portò le mani al suo collo, abbracciandolo. La tristezza di quel momento di
debolezza stava lentamente sfumando via e questo grazie alle parole dell’uomo
che le fecero recuperare un minimo di speranza. Al suo gesto sentì Jhin
irrigidirsi, poi posare timorosamente le mani sulla sua schiena e il capo sulla
sua spalla. Sapeva che era sbagliato, le era stato vietato di lasciarsi
affascinare da un criminale come lui, eppure in quel momento non riuscì a
cogliere nessuna nota che strideva. Si separò da lui qualche minuto dopo,
rimanendo in silenzio, notò che persino inginocchiata vi era una differenza di
altezza tra lei e il pistolero. In quel momento nello sguardo attento di Jhin
colse un magnetismo sottile che la attrasse fatalmente all’altro; per un
momento si chiese per quale motivo iniziasse a maturare più del semplice interesse
nei suoi confronti, ma presto smise di pensare e si lasciò guidare dal suo
cuore e dalla strana forza che la spingeva ad avvicinarsi all’uomo. Così portò
le mani sulla sua maschera, subito Jhin indietreggiò appena con il capo ma lei
posò le sottili dita alla base della sua maschera; non appena la sollevò per
scostarla, Jhin le afferrò il polso e lei chiese silenziosamente il permesso di
continuare. Una volta che l’altro ebbe lasciato la presa, gli tolse la maschera
e la ripose a terra; come se quella concessione gli fosse costata immenso
dolore, Jhin chiuse gli occhi e inspirò profondamente, di fatto a insaputa di
Selene così era per lui: sfilare la sua maschera significava strappare via il
suo odio, cosa a cui lui non era pronto. Con delicatezza Selene posò le mani
sul suo viso coperto dal passamontagna, senza obiettare con gli occhi chiusi
l’altro posò una guancia sulla sua mano sinistra, assecondando i suoi gesti. Quando
riaprì il suo unico occhio la guardò intensamente. Vide l’altro sollevarle il
mento e chinarsi su di lei, le sue labbra coperte erano a pochi millimetri
dalle sue e il suo cuore iniziò a battere velocemente. Selene non seppe
spiegare perfettamente il motivo per cui aveva agito istintivamente in quel
modo, sentiva solo di starsi affezionando a lui. In un istante senza potersene
capacitare Jhin le strappò un fugace bacio e, sebbene le labbra di lui fossero
coperte dal passamontagna, riuscì a percepire la loro morbidezza; leggero come
le piume il bacio durò un istante, dopo di che Jhin si separò da lei,
sollevandosi in piedi.
Jhin sapeva bene che tutto quello era sbagliato e che così
facendo aveva violato l’unico divieto impostogli: non avvicinarsi alla sua
custode, peggio ancora a una Guardiana. Se mai fosse venuto allo scoperto
quell’avvenimento, per lui non vi sarebbe stato scampo; inoltre temeva di
potersi affezionare eccessivamente, sebbene non riuscisse a frenare più di
tanto quel filo che tirava il suo cuore alla donna. Quell’avvenimento sarebbe
stato solo una piccola parentesi fuori dalla normalità, non sarebbe dovuto mai
più riaccadere dato che non voleva far correre rischi a entrambi e soprattutto
non dover ripetere le vicende del passato. Indossò la maschera e posò lo
sguardo su di lei, per un momento colse veramente la bellezza dei suoi
lineamenti, cosa cui non aveva mai fatto caso; odiava la simmetria dei bei
visi, e quello di Selene ne era la perfetta definizione, eppure nel suo volto
vi era una curiosa nota armonica che lo rendeva diverso e unico. I suoi occhi
ghiaccio lo osservavano intensamente, trasmettendogli una certa serenità che
mai aveva avuto. Sorrise sotto la maschera, nonostante avesse temuto per anni
di lasciar spazio ogni tanto al suo lato sentimentale, in quel momento sentiva
di aver meno paura; aveva finalmente appurato che lei non era una minaccia per
la sua indipendenza come aveva pensato nella Landa. Tuttavia nonostante gli
costasse una immensa difficoltà, il sottile legame tra di loro non poteva
rafforzarsi ulteriormente; avrebbe aiutato Hadmon e lei, mantenendo tutto nella
più completa indifferenza. A quell’idea sentì una fitta al cuore, quella scelta
era insolitamente dolorosa ma necessaria, nonostante nascondesse una verità
ancora più profonda: lui aveva paura di affezionarsi, del suo passato e di
poter fronteggiare i suoi fantasmi.
-Scusa… io… non volevo – disse Jhin, sentendo
qualcosa andare in frantumi non appena la ragazza mostrò un’espressione
desolata – ti metterei solo in pericolo, se dovessi affezionarmi a te… perciò
non dovrà mai riaccadere un evento del genere –
Senza parole Selene sentì la terra venir meno da sotto i
suoi piedi; stava accadendo di nuovo: prima si mostrava gentile con lei, poi tornava
indietro sui suoi passi lasciando dietro di sé una ventata di gelo e
indifferenza. In estremo imbarazzo per quella situazione e per essersi pentita di
aver mostrato una parte di sé stessa all’uomo, sentì le gote accaldarsi e la
testa girare. Odiava sé stessa per essersi fidata della sua gentilezza. Si mise
in piedi barcollando a causa della stanchezza; forse l’imbarazzo estremo e il
non potersi capacitare di quella rivelazione dopo che l’altro aveva compiuto
quel gesto d’affetto inaspettato, la fecero sentire ancor più confusa; ad
accompagnare la confusione vi fu la debolezza che prese possesso delle sue
membra, mentre vedeva la vista offuscarsi e il corpo accaldarsi sempre più.
Avrebbe voluto ribattere ma non appena aprì la bocca, cadde all’indietro; batté
seppure lievemente la testa a terra e quello bastò a farle perdere
definitivamente i sensi. Improvvisamente sprofondò nel buio più totale e i
suoni armoniosi della natura furono accompagnati presto dal più sordo dei
silenzi.
Quando Selene riaprì gli occhi, impiegò qualche minuto a
mettere a fuoco l’ambiente che la circondava; presto realizzò di trovarsi nel
letto della sua stanza, mentre un lenzuolo copriva interamente il suo corpo.
Accanto a lei vi era Hadmon che attendeva una sua mossa; era evidente che fosse
preoccupato per le sue condizioni di salute, le sue labbra erano ridotte a una
sottile linea e la sua mascella era serrata, gli occhi velati dal dispiacere e
celanti parole taciute e letali. Percependo qualcosa di umido sulla sua fronte
Selene portò la mano alla fonte di freschezza, ma Hadmon prontamente le bloccò
il polso e glielo ripose sul letto; sentiva le membra incredibilmente pesanti e
il viso accaldato.
-Ti ho messo un panno sulla fronte per farti
abbassare la febbre. Jhin mi ha detto che ti ha trovata svenuta nel giardino…-
spiegò Hadmon con voce bassa.
-Jhin? Dove… -
In quel momento Selene si bloccò ricordando il momento in
cui l’aveva baciata e poi subito allontanata; aveva mentito ad Hadmon, lui era
stato con lei non l’aveva incontrata casualmente. Sentì qualcosa all’altezza
del cuore andare in frantumi al punto che istintivamente morse il suo labbro
per trattenere le lacrime: odiava sempre più il suo modo di fare, l’aveva
risollevata e poi l’aveva fatta di nuovo crollare. Incolpò sé stessa per essere
stata così stupida da potersi fidare del pistolero e confessargli alcuni suoi
pensieri.
-Jhin si sta preparando, tra poco dovremmo
incontrare la scorta di soldati e il governatore di Vindor, cui consegneremo la
falce Darkin – disse Hadmon, aiutandola a mettersi seduta – riesci a stare in
piedi? –
-Dovrei riuscirci -
Sebbene con molta fatica Selene si mise in piedi, molto
lentamente si infilò gli alti stivali e indossò un pesante mantello; sentiva
dei brividi di freddo attraversare la sua schiena e la testa incredibilmente
pesante, aveva bisogno di riposo ma per quell’occasione avrebbe fatto
un’eccezione. Negli occhi di Hadmon colse un velo di dispiacere che li
adombrava costantemente: c’era qualcosa che le stava nascondendo? Inoltre
perché tutto a un tratto il suo corpo stava risentendo così tanto dell’uso
delle arti oscure?
-Cosa mi sta succedendo Hadmon? – chiese
Selene mentre uno strano modo all’altezza dello stomaco si veniva a creare.
-Tu stai morendo Selene… ti rimane meno di
un anno di vita o alcuni mesi. Non ho avuto il coraggio di dirtelo… non avrei
dovuto lasciarti usare le arti del buio l’altra notte, è un miracolo tu sia
viva –
-Pochi mesi… da quanto tempo lo sapevi? –
domandò Selene, le morì la voce in gola mentre la preoccupazione tornava ad
aumentare e le lacrime minacciavano di nuovo di fuoriuscire.
-Da sempre. Nel momento in cui i guardiani
della Notte iniziano ad avere incubi su Thanatòs, la loro vita diventa sempre
più in pericolo… troveremo una soluzione Selene –
-NON MENTIRMI! – sbottò Selene al limite
della pazienza: la febbre, la delusione della mattina stessa e ora quella
notizia l’avevano abbattuta – non la troveremo mai! –
-Si che la troveremo! Dobbiamo solo
sbrigarci e cercare più a fondo- ribatté Hadmon, dispiaciuto.
-Non c’è più tempo Hadmon… - balbettò
Selene mentre le lacrime rigavano il suo volto.
-Abbia fiducia in me Selene! – disse Hadmon
posandole le mani sulle spalle – c’è una soluzione e io la troverò –
Improvvisamente la porta della stanza si aprì e sulla soglia
si presentò Jhin; velocemente Selene si voltò e asciugò il suo viso, mentre Hadmon
si ricomponeva e si avvicinava al pistolero di un passo. Il pistolero notò
subito la condizione di Selene, ma non ebbe coraggio di chiedere cosa non
andava: già sapeva quale era il problema e in parte lui era responsabile del
suo stato. Cercò di accantonare il pensiero e porse al compagno la falce Darkin
avvolta da una maglia di ferro che ora tratteneva tra le mani; prima che il
dragone potesse afferrare tra le mani l’oggetto posò lo sguardo su di lui e per
un istante poté giurare che Hadmon avesse letto la sua anima, comprendendo
forse, che lui era uno dei motivi per cui la Guardiana stava soffrendo. Presto
lasciò da parte quella riflessione, dicendo che la sua mente gli stava giocando
strani scherzi; non appena l’amico prese le armi e tutti i loro bagagli, decisero
insieme di avviarsi verso l’uscita della locanda. Attese sull’uscio della porta
della stanza che i due guardiani passassero e quando fu il turno di Selene,
sentì di nuovo qualcosa andare in frantumi non appena vide lo sguardo
indifferente dell’altra. Temeva quei piccoli e deboli sentimenti che stavano
piano piano nascendo in lui, si diede del codardo decidendo per l’ennesima
volta di fuggire dal passato e dalla possibilità di fronteggiarlo. Con quei
pensieri controllò che nella stanza non ci fosse più nulla, ma prima di
lasciarla definitivamente la sua attenzione fu attirata da dello sporco nella
toilette; si avviò e rabbrividì di fronte allo scenario che si trovò di fronte:
sangue sparso per i sanitari. Sentì il fiato mozzarsi, la condizione della
guardiana era peggiore di quanto potesse immaginare e di certo lui non aveva
fatto altro che contribuire a minare la sua sicurezza. Una voce lo richiamò
alla realtà, Hadmon lo chiamava dal primo piano. Con l’immagine raccapricciante
che si lasciava alle spalle, lasciò la stanza e si avviò dai compagni.
I raggi luminosi del sole di mezzogiorno si infrangevano
sulla superficie del lago del palazzo reale, rendendo il suo scintillio simile
a quello di un cristallo. Mentre percorrevano il piccolo viale Selene osservava
l’edificio che si stagliava di fronte a loro: alto e maestoso, era interamente
realizzato in marmo bianco e arricchito da decorazioni in oro, avvolgendo le
finestre che si affacciavano sul verdeggiante giardino. Nonostante cercasse di
studiare i dettagli della struttura per svagare la mente, ritornava sempre agli
avvenimenti della mattinata e soprattutto a quel bacio rubato e le successive
parole di Jhin; al solo ricordo sentì il viso accaldarsi ancora di più e la
rabbia ammontare, era stata una stupida a poter pensare di fidarsi, altrettanto
sciocca a pensare di potersi affezionare a un uomo del genere. Improvvisamente
sentì le forze venir meno e il suo ginocchio cedette a terra; accanto a lei Jhin
si avvicinò, porgendole una mano per rimettersi in piedi, ma lei la rifiutò e
si rimise subito in piedi. Per un istante incontrò il suo sguardo stranamente
dispiaciuto, vide la mano di lui afferrarle il braccio prima che lei si
allontanasse, impedendole di proseguire. Selene guardò avanti a lei, Hadmon non
si era accorto di nulla e continuava a proseguire.
-Selene per favore…- disse Jhin, lo sguardo
dispiaciuto e rabbioso di lei facevano sì che la sua armatura si rigasse
indelebilmente.
-Non toccarmi… - sussurrò Selene, tentando
di scansare la sua mano che fu bloccata da quella dorata dell’altro.
-Tu non capisci, non voglio mettere in
pericolo nessun altro – spiegò Jhin, di nuovo: aveva paura.
-È questa la scusa dietro cui ti nascondi,
Jhin? Di cosa hai paura? –
Prima di poter ribattere, Hadmon li aveva richiamati e Selene
era sfuggita da lui; strinse i pugni e morse il suo labbro, lui aveva paura di
quei sentimenti che cercava di soffocare, non aveva coraggio di fronteggiare i fantasmi
del passato che subito avrebbero allungato i loro artigli su di lui e di lei.
No la verità era che aveva paura di innamorarsi: ”l’amore è per i suicidi” lo
aveva sempre ripetuto mentalmente, non era qualcosa che si addiceva al freddo e
solitario Demone d’Oro. Notò gli occhi di Hadmon soffermarsi su di lui,
studiando la sua figura prima di vederlo voltarsi. Avrebbe messo fine a tutta
quella storia presto. Lui doveva.
In silenzio i tre furono scortati da due guardie dal
sovrano; l’interno del palazzo era la perfetta definizione di regalità, ricche
decorazioni in oro, pavimenti realizzati interamente in marmo su cui erano
adagiati lunghi tappeti in velluto color rosso sangue, infine ad arricchire le
pareti vi erano dipinti su tela narranti le gesta di onorevoli guerrieri di
Ionia, nella loro continua difesa del paese. Giunti alla sala dei ricevimenti, le
guardie aprirono la porta e permisero loro di entrare nell’aula, ove il sovrano
seduto a una tavola ovale in legno, li attendeva insieme ad altri due soldati. Hadmon
con in mano la falce, vide l’uomo mettersi in piedi e avvicinarsi a loro, ne
studiò la figura: un uomo di mezza età, capelli castani occhi grigi, una lunga
tunica bianca con decorazioni in filo d’oro; colse subito lo sguardo sospetto
che rivolse a Jhin, era evidente che non apprezzava la sua presenza. Nonostante
ciò accantonò il pensiero, il suo obiettivo era concludere al più presto quella
trattativa e tornare a Tuula per riprendere le ricerche e far guarire Selene.
-Sono onorato di incontrare gli emissari del
Consiglio, nonché i famosi Guardiani. Permettermi di presentarmi, io sono Roak,
sovrano di Vindor – disse il re, chinando il capo in segno di rispetto.
-Lusingati di fare la vostra conoscenza, io
sono Hadmon e lei è Selene. Lui è…- disse Hadmon, presentando i suoi compagni.
-So chi è lui. Mi sorprende come possa
essere qui, lo spietato e riprovevole Demone d’Oro – osservò sprezzante Roak,
facendo cenno alle guardie di avvicinarsi.
-La prego di non mancare di rispetto a un
uomo che ha collaborato con noi nella missione – intervenne Selene,
pronunciando istintivamente quelle parole di fronte al tono sprezzante
dell’altro; allo stesso tempo guadagnò uno sguardo sorpreso di Jhin. Non seppe
perché aveva agito così nonostante gli avvenimenti, eppure non tollerava l’odio
che veniva riversato su di lui, né tantomeno tollerava la mancanza di
informazioni che le aveva fornito Hanzai lasciando correre a loro tutti i
rischi della notte precedente.
-Signorina, lei non conosce cosa ha fatto
quest’uomo a chi aveva intorno a sé. Una cane disobbediente del Consiglio, un ingranaggio
impazzito quattro anni fa che non ha fatto altro che trucidare uomini e donne
per puro piacere. Una figura dalle mille maschere ognuna con altrettante
sfaccettature, non potrà mai essere giustificata, perciò non difenda chi,
probabilmente, la sta ingannando – osservò Roak.
Jhin sentì il sangue ribollire nelle vene, odiava l’uomo di
fronte a lui che come tutti i membri del Consiglio avevano manipolato
l’incidente a loro favore, mascherando le loro sudice mani sporche del sangue
altrui. Vide lo sguardo esitante e dispiaciuto di Selene e sentì il cuore venir
trafitto da un pugnale, strinse i pugni: non avrebbe permesso che anche lei
venisse raggirata dalle menzogne del Consiglio. Vide Roak cambiare discorso e
prendere tra le mani la falce Darkin, consegnandola alle due guardie che
lasciarono la stanza. Strinse i pugni, a stento tratteneva il suo odio e la sua
rabbia. Il sovrano li ringraziò per il loro aiuto, notò Hadmon spiegare
accuratamente l’assalto alla carovana e scusarsi per la perdita delle guardie
che erano state uccise durante l’assalto; più scrutava il volto di Roak e la
sua falsa serenità più desiderava colpirlo in viso: uomini come lui e il
Consiglio avevano omesso appositamente i particolari sui poteri letali di
quella falce e il risultato era stato che Selene aveva quasi perso la vita la
notte precedente. Come quattro anni prima, i loro interessi predominavano e
loro erano semplice pedine.
-Vi ringrazio ancora per il vostro aiuto, vi
sarò infinitamente grato – disse Roak.
-Voi, avete omesso appositamente il potere
demoniaco della falce Darkin, non siamo stati avvisati dei rischi che avremmo
corso solo impugnandola. Non avete comunicato ad Hanzai che la falce, animata
da una seconda entità, sprigionava i lati più oscuri dell’uomo; i vostri
taciuti segreti hanno portato la morte dei suoi soldati e hanno messo in
pericolo la vita di una Guardiana, inoltre non ci avevate avvisato del fatto
che l’Ordine delle Ombre aveva mire non solo sulla falce ma anche su Selene. Le
solite menti ipocrite del Consiglio, non si smentiscono mai – disse Jhin,
incrociando le braccia.
Selene guardò sorpresa Jhin, sgranando gli occhi di fronte
all’affronto verbale che aveva fatto al sovrano di Vindor. Cosa gli stava
passando per la testa? In quel modo non avrebbe fatto altro che aggravare la
sua condizione, rendendo impossibile la sua liberazione definitiva. Per quanto
lei e Hadmon potevano nascondere alcuni suoi singoli comportamenti non comuni,
quell’oltraggio non sarebbe di certo passato inosservato al Consiglio,
soprattutto perché il sovrano di Vindor come emergeva dalle parole del
pistolero, era membro del Consiglio stesso. Accanto a lei Hadmon le rivolse
un’occhiata sconcertata, lei scrollò le spalle come a dire che non aveva
spiegazioni per quell’affronto. Ancor più sorprendente fu l’insolita
preoccupazione verso il Demone d’Oro. Già, perché tanta preoccupazione dopo gli
avvenimenti della mattina stessa?
-Farò finta di non aver sentito le tue
parole – rispose Roak irrigidendosi.
-Ha sentito benissimo. Sono stato più che
esaustivo nella spiegazione – sibilò minacciosamente Jhin.
-Ho riferito ad Hanzai tutti i dettagli di
mia conoscenza sulla falce Darkin. Le tue insinuazioni aggravano la tua
posizione precaria Khada Jhin, farò presente al Consiglio la tua mancanza di
rispetto nei miei confronti – osservò Roak, l’arroganza del pistolero e la sua
conoscenza su avvenimenti passati lo rendevano una presenza scomoda. Proseguì
giustificandosi – i miei soldati sono morti con onore in battaglia, il loro
sacrificio è stato necessario, come puoi accusarmi di tacere segreti che
potrebbero aver messo in pericolo le loro vite? –
-Avete agito così quattro anni fa,
manipolandomi non dubito che continuiate ancora a farlo con estranei come i
Guardiani – disse Jhin, stringendo i pugni: su di lui si sarebbe riversata la
sua rabbia, uno ad uno sarebbero caduti i membri del Consiglio e così la verità
sarebbe venuta a galla – tessete la vostra rete di menzogne, manipolando le
informazioni e le persone a vostro vantaggio –
-Non so di cosa stai parlando, evidentemente,
tutti questi anni in prigione hanno acuito la tua follia. Sono sempre stato
contrario alla tua scarcerazione, così come all’eccessiva clemenza che Shen
mostrò nella notte di quattro anni fa: tu saresti dovuto morire, punito per i
tuoi reati e la tua disobbedienza; saresti dovuto morire con lei – disse Roak,
mostrando tutto l’odio verso il Demone d’Oro.
Selene sgranò gli occhi sorpresa da quelle parole: di cosa
stavano parlando? Forse i dubbi sull’onestà del Consiglio non erano poi così
infondati. Tuttavia quello non era il momento per elaborare ipotesi, lei e
Hadmon dovevano intromettersi nella discussione prima che fosse troppo tardi.
Vide Jhin stringere i pugni e capì che si sarebbe avventato sul sovrano, ma
prima di poter agire Hadmon si era posto tra il pistolero e Roak; subito Selene
notò Jhin non fermarsi e fare un passo avanti per allungare le mani sull’uomo,
ma lei afferrò la sua mano e l’uomo subito si immobilizzò. Di nuovo un filo
invisibile l’aveva spinta a star vicino al pistolero, nonostante le
innumerevoli volte che l’aveva mandata in frantumi senza scrupoli non riusciva
a non stargli accanto. Vide Jhin chinare il capo e per un istante intrecciò lo
sguardo con il suo; l’odio nel suo unico occhio scarlatto parve svanire e i
muscoli sotto la sua mano si rilassarono.
-Per favore, mi sembra che la mia compagna
abbia già chiesto la cortesia di non mancare di rispetto a un uomo che ha
collaborato con noi. Ci scusiamo per questa situazione, la prego di perdonarci–
disse rispettosamente Hadmon, chinando il capo.
-Non avete alcuna colpa signor Hadmon. Quanto
a te Jhin – osservò Roak, avendo colto lo sguardo rancoroso dell’uomo
addolcirsi nell’incontrare quello della giovane donna – presta attenzione alle
tue parole e soprattutto a non infrangere una seconda volta i divieti imposti.
Non ci sarà perdono questa volta. Quanto a voi Guardiani, vi sono infinitamente
grato per il vostro aiuto, come segno di ringraziamento ho messo a vostra
disposizione la più grande delle mie carrozze per il viaggio di ritorno a
Tuula; grazie ancora, a nome mio e di tutta Ionia –
Con profondo rispetto Selene e Hadmon si chinarono e
ringraziarono il sovrano, dopo di che si avviarono verso l’uscita del palazzo,
lasciando alle spalle l’immensa struttura che troneggiava sulle loro piccole
figure. Alle loro spalle, dall’alto di una finestra Roak studiava la figura di
Jhin e quella della Guardiana; un sorriso sinistro si dipinse sulle sue labbra:
a quanto pare il temuto Demone aveva un punto debole nella sua corazza, chissà
se avrebbe di nuovo infranto il divieto. Iniziò a comporre una lettera il cui
destinatario era Klein, il capo del Consiglio, descrivendo l’accaduto del
pomeriggio stesso e soffermandosi soprattutto sul possibile attaccamento del
pistolero alla Guardiana; quando sollevò la penna dal foglio richiuse la
lettera e chiamò una guardia porgendogli l’oggetto e chiedendo di recapitarlo a
destinazione. Riprese ad osservare il cortile sottostante, sorrise di nuovo:”
staremo a vedere cosa sarai in grado di fare, Khada Jhin”.
Silenziosamente i tre salirono sulla carrozza e subito
rimasero sbalorditi dall’interno: morbidi e ampi sedili in velluto rosso con
cuscini del medesimo colore, tendine nere per coprire l’eventuale luce entrante
dalle finestre infine appesa al tetto della carrozza una piccola lampadina. Una
volta seduti la carrozza partì e si misero in viaggio alla volta di Tuula, li
aspettavano tre giorni di viaggio e avrebbero colto l’occasione per riposare e
guarire dalle ferite. Accanto a lei Selene sapeva che Hadmon era molto nervoso,
batteva le dita sul suo ginocchio mentre osservava la vegetazione fuori dal finestrino,
sicuramente stava cercando di trovare le parole per esprimere la sua totale
disapprovazione sull’affronto del pistolero. Di fronte a lei Jhin, si era
seduto nel punto del sedile più lontano da loro accanto alla finestrella
opposta, bruciava di odio e fissava rabbioso il cielo fuori dalla finestra.
Dopo la loro conversazione era sempre più curiosa di avere maggiori
informazioni sul Consiglio e sul fantomatico incidente; sicuramente Hadmon
nutriva il suo stesso interesse e al termine di quel viaggio ne avrebbero
discusso.
-Si può sapere cosa diavolo ti sia passato
per la testa? – chiese Hadmon non potendo trattenere il nervosismo; vedendolo
ignorarlo proseguì preoccupato– hai peggiorato la tua condizione, Jhin. Noi non
sappiamo cosa può farti il Consiglio se mai decidesse di non liberarti, in quel
caso non potremmo salvarti –
-Quell’uomo ha omesso appositamente i
particolari sulla falce, ha taciuto segreti che hanno costato quasi la vita di
Selene e causato la morte di tutti i soldati. Voi non conoscete Roak, non
conoscete un singolo membro del Consiglio per rendervi conto che vi stanno
raggirando con l’inganno, tessono i loro fili su di voi per estorcerci
qualcosa. So di essere un elemento scomodo per il Consiglio, molti di loro avrebbero
preferito uccidermi tempo addietro perché io conoscevo i loro segreti, Roak è
uno di questi. Non tollero che ci usino come pedine, che sfruttano le nostre
vite come meglio preferiscono. Infangano il passato per mascherare le loro
sudice mani sporche di sangue innocente, di orrori, e io non mi farò piegare di
nuovo – spiegò rabbioso Jhin, stringendo i pugni.
-Cosa intendi dire sul Consiglio? Cosa
stanno architettando e nascondendo? – chiese Hadmon, estremamente confuso e pieno
di domande da rivolgere a Jhin: perché il Consiglio lo voleva morto? Cosa era
accaduto quattro anni prima?
-Le nostre ombre si proiettano pesanti sul
suolo per ricordarci sempre gli errori del passato ogni qualvolta uno spiraglio
di luce illumina la nostra figura. Ognuno di loro nasconde l’anima marcia proiettando
sugli altri una luce talmente forte da accecarli e mascherando in questo modo
le loro ombre. Non so cosa stia architettando il Consiglio, so solo che la mia
vendetta si abbatterà su ognuno di loro, non mi interessa la mia situazione,
loro non sfuggiranno alla furia del Demone d’Oro: al mostro che loro stessi
hanno creato – ringhiò Jhin, sbattendo
un pugno sul sedile, il calore bruciante dell’odio scorreva nelle sue vene.
-Non puoi farlo. Prima di fare qualunque
azione, dobbiamo informarci bene sul Consiglio e sapere le versioni di entrambe
le parti… conoscere se la tua versione degli avvenimenti sia vera o reale solo
in parte – osservò Hadmon.
All’udire di quelle parole Jhin fu preso dall’ira,
nuovamente qualcuno di cui pensava potersi fidare non riponeva in lui alcuna
fiducia ed esitava: anche loro alla fin fine erano marionette del Consiglio;
una risata profonda e derisoria si levò nella carrozza, lasciando le sue
labbra. Scattò in piedi e afferrò il compagno per la giacca e lo inchiodò sul
sedile; vide Selene scattare in piedi e avvicinarsi a lui per fermarlo, ma la scansò
prepotentemente e senza accorgersene la spinse, facendole battere il capo
contro la finestra della carrozza. Nessuno capiva, nessuno lo avrebbe mai
sostenuto, ecco cosa succedeva a riporre la fiducia in qualcuno: solo ferite
sulla sua anima. “Adesso basta” pensò rabbioso Jhin.
-Ho riposto la mia fiducia in te Hadmon, ti ho
aiutato. Credi veramente che io possa mentirvi? Io non ho a cuore le vostre
patetiche vite, ho sperato in vano che foste più accorti rispetto ai precedenti
custodi invece siete ottusi e ciechi come ogni Ioniano di questa terra. Come un
illuso ho pensato che vi foste fidati di me, invece credete alle parole di
criminali che si spacciano per governatori. Patetico, veramente patetico;
chissà quanti segreti tacete anche voi come Roak e il Consiglio – sibilò Jhin a
denti stretti.
Mosso dall’ira Jhin fece per colpire con in viso Hadmon,
improvvisamente vide Selene porsi tra lui e Hadmon e il suo pugno finì per
colpire il viso di lei. Subito si ritrasse; dopo quel gesto la rabbia scemò via
lasciando spazio al dispiacere. Riprese coscienza e ragionò a mente lucida su
come stesse agendo, ma quando lo fece presto si rese conto che era troppo
tardi; ormai negli occhi di Selene, la minima di traccia di calore che aveva
scorto qualche ora prima nel palazzo era sparita dietro il gelo delle sue pozze
ghiaccio; subito iniziò a trovare un modo per rimediare all’errore compiuto. Anche
Hadmon rimase sconcertato dal suo gesto ed entrambi deglutirono a vuoto per il
silenzio in cui piombò la carrozza.
-Adesso basta! – disse Selene furiosa, guardando
entrambi, poi posò gli occhi su Jhin e proseguì – non so cosa è accaduto in
passato tra te e il Consiglio, noi non siamo marionette e abbiamo riposto in te
fiducia, mancheremo di ingegno ma prima di poter denunciare le azioni del
Consiglio dobbiamo sapere di più. So che siamo una presenza scomoda per te, non
mi interessa cosa pensi di noi o di me, ma puoi star certo che non appena tutto
questo finirà di noi non vedrai più la minima ombra e potrai tornare alla calma
delle tue giornate. Fino ad allora, sceglierete la maschera che più vi aggrada
e andrete d’accordo. Noi ci fidiamo di te Jhin, non ti abbiamo mai mentito,
contrariamente a come ci aveva chiesto il Consiglio e ti saremo sempre
infinitamente grati per l’aiuto che ci hai dato, in particolare io; perciò per
una volta puoi abbandonare la tua ira e non vederci come minacce. Noi faremo
tutto ciò che è possibile per aiutarti e svelare la verità, però dovrai
permetterci di conoscere la versione di entrambe le parti; non ci sarà bisogno
di essere prevenuti con noi, il nostro obiettivo non è raggirarti con
l’inganno. L’unica richiesta che ho da farvi è di non rendere o creare
situazioni difficili; se hai paura di poterti fidare di noi puoi non farlo,
cosicché fintanto che la nostra missione non sarà finita, vivremo come
estranei. A te la scelta –
Dopo quel discorso Selene si mise a sedere insieme agli
altri, le ultime parole che aveva pronunciato avevano fatto insolitamente male
e quello era indice che si stava affezionando a Jhin; eppure date le loro
posizioni era meglio soffocare ogni cosa sul nascere, nonostante odiasse il
dispiacere che avrebbe accompagnato tutto quello. Sentiva su di sé lo sguardo
di Jhin, in quel momento era estremamente vulnerabile e incontrare il suo
occhio scarlatto avrebbe aggravato la sua situazione, perciò posò il capo sul
finestrino e chiuse gli occhi. Una lacrima percorse la sua guancia: paura,
dolore agitavano il suo cuore e lo intrappolavano in una stretta mortale.
Temeva per la sua vita e allo stesso tempo era sempre maggiormente cosciente del
fatto che soffocare l’affetto che nutriva per Jhin sarebbe stato più che
difficile. Nascose il suo viso nel cappuccio, non voleva che nessuno vedesse in
quel momento il suo stato, nonostante quello la facesse sentire estremamente
sola; una seconda lacrima percorse la sua guancia prima che potesse sprofondare
nel sonno profondo e prima di potersi rendere conto che il filo invisibile che
la attirava al pistolero era divenuto ancora più insistente e non avrebbe più
abbandonato il suo cuore. Era troppo tardi: lei si era affezionata. Un’immagine
del bacio che le era stato strappato le balenò nella mente. Non poteva più
tornare indietro, non poteva recidere quel legame impalpabile. Non più.