Serie TV > Il Trono di Spade/Game of Thrones
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Autore: Celtica    06/11/2017    5 recensioni
[ Modern!AU! | Sansa/Petyr | Sansa/Sandor ]
È come se la stessero strattonando:
Da una parte c’è Petyr Baelish, che Sansa accoglie come il salvatore, colui che l’ha portata via dal suo ex, Joffrey; dall’altra il Mastino, in una spirale di amore/odio.
In una città dove a regnare è l’azienda dei Lannister, Sansa sembra trovarsi al centro di un complotto.
Ma chi è il vero nemico?
Dal capitolo uno:
«Vieni con me» dice Petyr, facendole segno di salire in macchina.
Sansa non sa perché, ma obbedisce. È ciò che ha fatto per tutta la vita: obbedire. Sempre e comunque.

Dal capitolo due:
«Dove mi stai portando?»
È un sussurro, ma a lei sembra di averlo gridato.
Si chiede cosa ci sia oltre gli alberi, magari un luogo nascosto dove Petyr vuole farle del male.

Dal capitolo sei:
«Per favore…» sussurra ancora lei, spingendo la mano di Sandor con la sua.
È ruvida e fredda come il ghiaccio, eppure, nello sguardo di lui, Sansa riconosce qualcosa che è abituata a vedere da tutta una vita.
Desiderio.
Genere: Sentimentale, Suspence, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Joffrey Baratheon, Jon Snow, Petyr Baelish, Sandor Clegane, Sansa Stark
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 27

 nn

 

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a la gola secca.
Si fa accompagnare dal portiere fino alla sala bar. Scrolla polvere inesistente dalla manica, scuote la testa e si prepara ad attraversare il portico.
La luce entra dalle vetrate che circondano i due terzi della sala. Lei è seduta sullo sgabello di velluto blu davanti al bancone, un bicchiere da martini stretto tra le dita affusolate, l’espressione imbronciata.
È sola.
Petyr è pronto a chiamarla, ma non lo fa. Non si fa annunciare. Un giro più lungo, tra i tavoli tondi, le poltroncine comode ed eleganti, la gente di un livello più alto del suo.

«Baelish» esordisce Cersei senza voltarsi.

Solo allora se ne accorge: lo sta guardando attraverso lo specchio dietro il bancone, quello che lui non ha notato. Era troppo impegnato a studiarla.
Petyr fa un inchino. «Maestà

Le belle labbra di Cersei si stropicciano. «Finiamola con i giochetti. Che cosa vuoi?»

«Ammirarti.» Prende posto accanto a lei e fa cenno al barista di servirgli lo stesso cocktail di Cersei.

«Sei sempre stato così infido…» sussurra, il bicchiere che le ruota tra le mani. Poi la voce si abbassa, si fa minacciosa. «Se sei venuto per minacciare Joffrey…»

«Non sono venuto per minacciare Joffrey.»

Lei lo guarda. «Bene. Allora a cosa devo la tua… visita?»

Petyr è abituato al disprezzo. Sorride. «Devi darmi Payne.»

«L’ho già fatto.»

Un bicchiere di martini viene servito davanti a lui. «Non per mettere in dubbio le tue parole… ma ho saputo che Payne deve prendere un aereo… tra due giorni.»

«Tornerà in tempo.»

«Dalla Giamaica?» Petyr si sistema meglio sullo sgabello e beve un sorso. «Non c’è bisogno che ti dica…»

«No» lo interrompe Cersei, brusca. «Non c’è bisogno che tu dica niente. Se provi anche solo a nominare Joffrey…»

«Impedisci a Payne di partire» mormora. Si china in avanti, seguendo la linea perfetta delle gambe accavallate e risalendo fino al suo viso. «Sarebbe un vero peccato se mancasse al discorso del Sindaco…»

Lei digrigna i denti, un po’ come fa sempre il Mastino. Solo che le labbra di Cersei sono piene e invitanti, forse ancora più belle di un suo sorriso.
Petyr sorseggia il suo martini e guarda dritto davanti a sé.

«Non mancherà» ruggisce Cersei. «Ma ora vattene, Ditocorto, se non vuoi che chiami il Mastino.»

Lui si indica lo stomaco, lì dove il pugno gli fa ancora male. «Ci siamo già incrociati.»

«Spero di non doverti mai più rivedere.»

La sala è fresca e calma, come una ventata di primavera. Petyr sorride, finendo in un sorso il suo bicchiere.
Si rimette in piedi con un inchino, ed è in quel momento che sente una vibrazione all’altezza del cuore. Estrae il cellulare dal taschino e vede un messaggio di Sansa.

«Addio, maestà.»

Lei nemmeno risponde. Petyr si affretta a lasciare la sala, ed è all’entrata che si ferma, l’apparecchio stretto tra le mani. Un’altra vibrazione, poi una terza e una quarta.
Sandor compare davanti a lui nel momento stesso in cui sta aprendo il primo messaggio. Gli ruba il telefono dalle mani.

«Ti ho visto» ringhia. «È lei

Non aspetta nemmeno una risposta, cominciando a leggere. Sul suo volto rabbia, gelosia, stupore… espressioni che si alternano deformando la brutta cicatrice.
Poi il Mastino solleva gli occhi su di lui e lo guarda, come se sapesse. Ma non sa niente…

«I ragazzini Stark…»

Petyr inclina la testa e allunga una mano. Un gesto affrettato a cui Sandor risponde lasciando cadere il telefono. Lo pesta con il piede fino a frantumarlo.
Il portiere si allontana sconvolto – di nuovo – come se l’aggressione di poco prima non gli fosse bastata.
Il volto di Petyr rimane impassibile.

«Non mi fido di te, Ditocorto» dice a bassa voce. «Non credo a un cazzo di quello che mi hai detto.»

Petyr solleva le braccia. «E quindi vuoi impedirmi di sentire Sansa?»

Sandor fa un passo avanti, chinandosi su di lui. Ha i denti gialli dal fumo, l’alito che puzza di vino. Gli occhi scintillano di violenza. Sorride, come se gustasse solo il momento in cui potrà colpirlo ancora. Farlo a pezzi.

«È stata Sansa a chiamarmi. Cosa ha scritto dei suoi fratelli?»

La sua voce è troppo sicura, troppo tranquilla. Il Mastino se ne accorge. «Se ti avvicini ancora a lei… Se scopro che l’hai infastidita in qualche modo, o anche solo che l’hai guardata con quei tuoi occhietti del cazzo… non ci sarà un posto in cui potrai nasconderti.»

«Tutto questo per cosa?» insiste Petyr. «Perché ti sei invaghito di lei?»

Sandor si trattiene, eppure sembra pronto a saltargli alla gola. Solleva la testa, come a dirgli di non sfidare la sua imponenza.
In uno scontro diretto non potrebbe mai vincere…

«Pensi davvero che ti vorrà, quando l’avrai liberata di Joffrey? Quando l’avrai liberata di me?»

Il portiere, alle sue spalle, sembra aspettare il primo accenno di violenza per intervenire. È insieme a due uomini, e tutti e tre sembrano pregare di non doverlo fare…

«Una bella ragazza come Sansa… Non pensi meriti di meglio? In fondo, cosa potrebbe mai offrirle il cane di Joffrey?»

A quelle parole il corpo di Sandor scatta in avanti. Lo afferra per le spalle e lo lancia contro il banco della reception. Petyr chiude gli occhi per il dolore, la schiena a pezzi.

Non vede gli uomini che si chinano su di lui, quelli che cercano di spingere fuori il Mastino. Non sente la cameriera che gli chiede come stia, di rispondere, di riprendersi. Non sa nemmeno della presenza di Cersei ai confini della sala bar.
Capisce solo di aver osato troppo, di aver detto le uniche quattro parole che potevano spingere Sandor a reagire.

Il cane di Joffrey.
Non vede e non sente niente in quel momento, eppure la sua mente fa l’unico collegamento possibile: c’entra Sansa. Sansa è la chiave di tutto.

 

È

 vestita di nero. Indossa occhiali scuri, anche se non c’è traccia di sole. Non può permettere che qualcuno veda i suoi occhi privi di lacrime.
Stringe Arya per un braccio mentre escono dalla chiesa, la gente che affolla i gradini e il terreno intorno. Dietro il piccolo edificio c’è un cimitero, ma non è lì che sono diretti.
«Condoglianze.»
Mancano due ore, poi i corpi di Bran e Rickon verranno cremati.

Sansa non sente niente. Solo un buco nel petto che nessuno può più colmare. Nessuno.
Londra era un sogno, ora è solo l’inferno in cui è precipitata.

«Condoglianze… poveri bambini» sussurrano le persone intorno.

Volti senza nome, alcuni familiari, altri che lei preferirebbe non vedere.
La sua vita è finita. Senza Jon, senza Robb a difenderla, Sansa è sola. Il branco è stato scisso, forse distrutto.
Arya la attira a sé, stringendola in un abbraccio. Ma è solo per dirle quelle parole… quelle che continua a ripetere da due giorni.

«Hai fatto bene a dirgli di non venire.»

Sansa sa che ha ragione, eppure la presenza di Petyr la conforterebbe.
Non puoi sapere che non fosse d’accordo con i Lannister…
Il messaggio del biglietto è qualcosa che ha preferito tenere per sé. Arya? Arya sarebbe corsa a reclamare vendetta.

«Zia Lysa non è venuta nemmeno per i nostri genitori…»

Poi sua sorella si stacca. Entrambe chinano i capo.
Gendry – che nei tre giorni passati è stato al loro fianco – fa un cenno ad Arya, e lei si allontana.

«Dopo la cremazione li porterete al nord?» L’uomo, che Sansa non riconosce, si china per baciarle la mano. Gli occhi… sa di averli già visti.
Lo guarda e non risponde. Non subito. Poi fa un cenno di assenso.

«Riposeranno accanto a tuo padre…»

«È il loro posto.»

«Aye. È anche il mio. Il nostro.»

L’espressione sembra dispiaciuta, eppure negli occhi ha il gelo. Ecco dove li ho già visti.
Quando il ragazzo accanto a lui si mette di profilo, Sansa lo riconosce. L’amico di Theon. Jeyne!

«Conoscevi mio padre?» domanda, lo sguardo puntato sul giovane.

«Molto bene.» Un sorriso. «Mi è dispiaciuto non riuscire a rendergli omaggio quando è mancato… Ero all’estero.»

Sansa inclina la testa e lo studia. Calvo, il volto affilato, vestito di scuro. Non lo ricorda. «Grazie per essere venuto oggi. Per i miei fratelli…»

«Bolton, Roose Bolton, Sansa.»

«Grazie.»

Sta per voltarsi e raggiungere sua sorella quando lo vede. Il cuore prende a batterle più forte nel petto.
No, non qui, non ora.

«Ti ricordi di mio figlio?» continua Bolton. Sfiora la spalla del ragazzo, facendolo voltare. «Ramsay, ti ricordi di Sansa?»

Il desiderio di fuggire si fa impellente. Il giovane si volta, solleva le sopracciglia, stupito. E sorride, sorride come non è cortesia fare a un funerale.

«Come dimenticarla? Ci siamo visti nella facoltà di Chirurgia.»

«La conoscevi già, Ramsay. Vi conoscevate da bambini…»

Il ragazzo continua a sorridere. Sansa vuole solo andare via. Lui la sta cercando tra la gente.

Fa un passo indietro, d’istinto, e gli occhi di lui catturano il suo movimento.
Non riesce a parlare, forse nemmeno a respirare.

«Bolton…»

Roose gira il capo e sorride a Joffrey. Anche Ramsay lo osserva. «Come sta tua madre, ragazzo?»

«Tira avanti. Posso rubarvi la mia fidanzata?»

È Ramsay a sgranare gli occhi per primo. E a sorridere, in quel modo orribile che l’ha tanto spaventata il primo giorno. «Fidanzata?»

Sansa è una statua di sale. Joffrey la afferra per la vita, attirandola a sé. Poi annuisce e la trascina lontano.
Lei non sa cosa dire, non sa cosa fare. In quel momento vorrebbe solo morire.

Le dita di Joffrey le accarezzano il fianco, con la stessa dolcezza di quando si sono conosciuti. Ma non è più un principe… non è più il suo principe. E forse è questa certezza a darle la forza di parlare.

«Cosa ci fai qui?»

Lui la lascia, solleva le braccia con sicurezza. «Potevo mancare a un evento così importante per la mia fidanzata?»

«Non sono più la tua fidanzata.»

Stranamente, Joffrey incassa il colpo e non risponde. Il suo volto cela quella punta di rabbia che Sansa avverte così forte dentro di sé. Lo conosce troppo bene.
Un istante, e le labbra di lui si allungano in un sorriso.

«Come sta Robb?»

La gente intorno non se ne accorge, ma Sansa sbianca di colpo. Schiude la bocca per ribattere, ma non ci riesce. La figura massiccia di Sandor ha appena riempito il suo campo visivo.
Joffrey lo vede e sorride.

«Ah, Mastino! Come vedi, non c’è più bisogno che cerchi Sansa. L’ho trovata per conto mio.»

Il cielo è grigio. Sansa toglie gli occhiali da sole e lo guarda. Vorrebbe vomitare.
Vorrebbe prendere lui, il suo cane da guardia e chiuderli in un sepolcro. Sandor distoglie lo sguardo da lei.
Poi Joffrey allunga il braccio davanti a sé e osserva l’orologio.

«Quanto dura ancora questa cosa? Dobbiamo ripartire stasera stessa. Preparati, Sansa.»

«Partire?»

Joffrey sembra un po’ stanco di dare spiegazioni. Non è tutto così ovvio? «Sì, partire. Torniamo a casa.»

«Non vengo.»

Lui sta per rispondere, sta per arrabbiarsi. Sansa lo vede dai muscoli della mascella, dalla linea tesa del collo. Ma un attimo prima che le parole lascino le sue labbra, una mano si posa sulla sua spalla.
Ma non è la mano del Mastino. E nemmeno quella di Petyr.

«Joffrey, amico mio.»

Ramsay, senza saperlo, è corso in suo aiuto. «Un fatto molto originale che dobbiamo rincontrarci proprio qui, in un’occasione così triste… ma così è la vita.»
L’altro si volta per rispondere, ed è in quel momento che Sandor la afferra per un braccio, spingendola lontano. Le fa cenno di andarsene.

«Ma dov’è Sansa? Sansa!» La voce di Joffrey. «Cercala, Mastino. Riportala qui!»

Gli occhi di Sansa cercano disperatamente un rifugio. Non vede Arya, né Gendry. Nessun volto amico. La vista del cimitero la coglie impreparata, e forse è per non dover più pensare che Sansa raggiunge il cancello e lo oltrepassa. Vaga tra le tombe.

«Ti ho detto di andare via.»

Il Mastino è dietro di lei, come se non l’avesse mai persa di vista. Lei scrolla le spalle.

«Cosa mi può capitare di peggio? Morire, forse?»

Parla con noncuranza, lo stesso modo che faceva sempre infuriare Joffrey. Sfiora con le dita la lapide di marmo davanti a sé. È liscia e fredda, come sarebbe la sua pelle se fosse morta.
Dovrei esserlo.

«Qualsiasi cosa è peggio che morire.»

Sansa si volta e lo guarda. Non ha più paura di lui, della sua cicatrice, del suo volto sfigurato. Non teme nemmeno più che se ne vada… L’ha già abbandonata, l’ha già tradita. Non si aspetta e non vuole più niente da lui. Né da nessuno.

«Sei tornato da Joffrey» dice, in un tono che sembra un’accusa.

Non aggiunge altro, non ce n’è bisogno. Sandor non ha bisogno di sentirla per sapere. Lo capisce dai suoi occhi… C’è un’intera conversazione sospesa tra loro, a cui lui non sa come ribattere.
Il Mastino si fa avanti, calpesta la terra che copre una tomba, si ferma a due passi da lei, come se qualcosa gli impedisse di avvicinarsi ancora.

«Mi hai tradita…»

È come un bisbiglio. Un suono sottile, lento, dolce. Una nenia in grado di sconvolgere un uomo. Sandor sembra spezzarsi a quelle parole.
Sansa spera di ricevere una risposta. Almeno un no, un gesto, uno sguardo che dica qualcosa di più di ciò che vi legge ora. Ha bisogno di sentirlo. In quell’istante, la sua vita dipende da quello.

Lui sospira, china gli occhi. Annulla la distanza tra loro. E quando solleva una mano sul suo viso, Sansa resta immobile.
Non dovrebbe. La sua mente ordina di spostarsi, di evitare quel contatto, di rispettare la memoria dei suoi fratelli. Poi si spegne.

Quando Sandor appoggia le labbra sulle sue, Sansa chiude gli occhi e ode solo il silenzio.
È un bacio breve, delicato. Come non avrebbe mai pensato di ricevere da lui.
Il suo cuore traballa.
Poi il Mastino si stacca, il suo respiro caldo ancora sul viso.

«Joffrey non ti toccherà. Ma non farti trovare. Tieniti a distanza da lui.»

Poi si volta, camminando verso il cancello.

«Sandor, aspetta!» Sansa sente il calore salirle fino al collo. Prende un respiro profondo prima di parlare. «Cos’è successo… tra te e Petyr?»

Vede la sua figura irrigidirsi, le mani chiudersi a pugno. Quando se lo ritrova davanti, Sansa smette di respirare.

«Che cazzo ti ha detto?»

Sansa china gli occhi a terra, gioca con i lacci della giacca. «Io gli ho chiesto di non venire… e lui… lui ha detto che l’hai colpito.» Poi lo guarda, vede la mascella rilassarsi sotto la sottile barba. «Perché?»
L’aria è fredda. O forse è solo Sansa a sentirla.

«Ciao, uccellino.»

Sandor si volta ed esce dal cimitero. Quando lei decide di seguirlo, non ha più il terrore di incontrare Joffrey. Riconosce la figura esile di Arya, vede con chi sta parlando… e li raggiunge.

«Theon!»

«Ciao, Sansa.»

Arya li lascia soli, raggiungendo Gendry. Sansa vorrebbe chiedere tante cose – cosa ci fai qui, come hai saputo… con chi sei venuto? – ma Theon la anticipa.

«Sono qui per Robb… Come sta?»

Lei abbassa gli occhi, cerca gli occhiali scuri nella tasca. Quando li trova, solleva le mani e li indossa.

«Come hai… come hai saputo di Robb?»

Theon scrolla le spalle, lancia una veloce occhiata ai Bolton. «Le voci corrono…»

«È in ospedale. Come Jon.»

«Jon… quanto tempo.»

«Già…» Sansa non sa cosa aggiungere, non sa cosa dire. Non vuole domande. «Lui… sta bene. Come può stare bene una persona investita.»

Theon sembra pronto a ribattere, a fare altre domande, magari vorrebbe pure vederlo. Ma Sansa non si sente pronta a tanto… Poi le viene in mente: Jeyne! Lei non sa niente…
Allunga la mano ed estrae il telefono, facendo cenno a Theon di tacere. Scrive un veloce messaggio alla sua amica. Lei aveva una cotta per Robb… come Theon.

«Senti…» comincia Theon. «Pensi che potrei andare a trovarlo?»
Sansa non ha il tempo di rispondere.

«Scusatemi…» dice qualcuno alle sue spalle. «Sansa, sono venuto.»

Lei si volta. «Zio Benjen!»

Si allontanano. «Arya mi ha chiamato… Prima che partiste si è fatta dare il numero della chiesa.»

«Non ne sapevo niente.»

«Nemmeno io.» Zio Benjen sorride, ed è un sorriso diverso da quello che serpeggia sui volti della gente.

«Sono felice che tu sia qui.» Vorrebbe stringerlo, ma non ce la fa. Non con i corpi di Bran e Rickon – loro che nemmeno ricordavano loro zio… - ancora caldi.
Le sembra ingiusto. Non può farsi abbracciare, non può farsi consolare. Non può, perché loro non possono più farlo…

«Sei… sei venuto anche per Jon?»

Ti prego, rispondi di sì.

«Per Jon…» conferma lui abbassando il mento. Il sorriso si spegne sul suo viso. «E per Robb.»

E Sansa piange. Piange come non pensava di poter più fare. Si aggrappa a lui, a quel corpo che sa di casa, di famiglia, di padri assenti e fratelli persi, e si lascia andare.

Non ha versato lacrime quando è successo. Non ha versato lacrime quando Robb è stato investito – anche lui no, ricorda di aver pensato – quando ha saputo – capito – cos’era successo a Bran e Rickon.
Né quando Rickon ha lottato in un letto di ospedale per un giorno intero, da vero lupo, prima che la morte venisse a prenderlo.

«La morte lo ha colpito con le sue frecce» aveva detto il reverendo. «Non poteva sopravvivere.»
Arya lo aveva spinto a terra. Poi era fuggita via.
Sansa non aveva avuto la forza di aiutarlo a rialzarsi… non si era nemmeno scusata.

«Andiamo via di qui» sussurra zio Benjen, prima che Arya li raggiunga.
Ora che ha iniziato, Sansa non riesce a smettere di piangere.

«È stato quell’uomo orribile?» mormora sua sorella. «Quello con cui parlavi prima?»

«B-bolton? No…» Cerca di calmarsi, si stacca da Benjen ed è Arya che guarda. «Sai chi è? Dice di aver conosciuto nostro padre…»

Un cenno di assenso. «Non ha più terre nel nord. Sono nostre. Nostro padre ha comprato tutto per salvarlo dal fallimento.» Arya scuote la testa, osservando Roose da lontano. Benjen raggiunge Rodrick, lasciandole sole. «Non mi è mai piaciuto.»

«Come mai ti ricordi di lui?» Come mai io non lo ricordo?

Il volto di sua sorella muta, come se di colpo fosse arrivato l’inverno. E il gelo. «È venuto a trovarci la sera prima dell’incidente… prima che papà e mamma…»

«Davvero?» la interrompe Sansa. «Perché io non lo ricordo?»

Arya scrolla le spalle. «Andavi sempre ad aprire tu. Quella sera abbiamo litigato e hai mandato me. Tu eri al telefono con Joffrey…»

Sansa sente il calore abbandonare il suo viso. Ha un brivido.
Ho preferito Joff all’ultima sera con i miei genitori…

«Che cosa voleva?»

«Non lo immagini? Rivoleva le sue terre. Diceva di avere un amico disposto a prestargli i soldi per comprarle.»

«Come mai papà ti ha permesso di assistere?» chiede, anche se ha mille domande da farle. Chi è questo amico, cos’ha risposto nostro padre, come si sono lasciati… da amici o da nemici?
E la domanda più importante di tutte, quella che non può permettersi di fare, non ad Arya: c’entra qualcosa con la morte dei nostri genitori?

«Non me l’ha permesso, infatti.» Nonostante tutto ciò che è accaduto, Arya ha un guizzo divertito negli occhi. Ma svanisce subito. «Stavo cercando di acciuffare il nostro gatto…»

«Il gatto?»

«Nostro padre ha detto di no» mormora sua sorella, posando gli occhi sui Bolton. «Ha detto di avergli fatto un favore a comprarle, che l’ha tirato fuori dai guai… E ha chiesto chi fosse questo amico…» Poi la guarda, ed è come se il buio fosse sceso all’improvviso.

«Chi era?»

«Non lo sai?»

Perché dovrei saperlo?
Sansa non ne ha idea, eppure il suo corpo reagisce per lei. Il suo ventre capisce. Un brivido, poi calore che si snoda nel petto. La chiesa, la gente, tutto prende a vorticarle intorno.

«Petyr Baelish.»

Stavolta non c’è disprezzo nella voce di Arya. Non c’è nemmeno il sospetto. Solo una cupa e calma certezza.
Le gambe di Sansa cedono sotto di lei. E d’un tratto il cielo si spegne.

 n

Note dell’autrice:

Ecco che ci ricolleghiamo con i primi capitoli (all’incontro tra Petyr e Roose), e piano tornano i vecchi personaggi. Spero che il capitolo via sia piaciuto! Fatemi sapere cosa ne pensate!
A presto!
Celtica

   
 
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