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Autore: ElleDalton    06/11/2017    0 recensioni
Cercasi Principe Azzurro per ragazza indisponente e sovrappeso, che rischia di restare zitella a vita. Possibilmente in una località turistica, piena di bellissimi ragazzi e con una zia manipolatrice in cerca di un marito per la figliastra.
Astenersi perditempo.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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"Oh, signor Bennet, come potete torturarmi in questo modo? Non avete alcuna pietà per i miei poveri nervi!" "Vi sbagliate mia cara, ho il massimo rispetto per i vostri nervi: sono miei vecchi amici da più di vent'anni." Chiudo il libro tendo il segno della pagina con un dito. Sto leggendo per la decima volta Orgoglio e pregiudizio, in una piovosa serata primaverile, in attesa che l'acqua per il the inizi a bollire. Le mie coinquiline dicono che dovrei uscire e lasciare almeno per una sera pantofole e divano, ma io sono così. Io sono le mie pantofole e il mio divano, non credo esistano al mondo oggetti in grado di descrivermi meglio. L'acqua inizia a bollire e finalmente decido di alzarmi. Prendo una bustina di the verde dalla credenza e lo metto in infusione. Appoggio la fronte contro la credenza e guardo fuori dalla finestra della cucina. Oltre i tetti, sopra le antenne, il cielo sembra racchiuso in unico punto luminoso che stasera domina su tutto. Il viso tondo di una donna sorridente che sbuca da dietro una nuvola. La pioggia sta cessando e il viso si scopre sempre di più. Stasera la luna sembra più bella del solito. Dovrebbero stare tutti col naso in su ad ammirarla, staccarsi da tutti gli schermi che ci tengono perennemente con la testa china e capire che nessuna invenzione dell'uomo avvicinerà mai due innamorati lontani, come guardare la stessa luna. Nelle rare volte in cui salta fuori, il mio lato romantico tende sempre ad esagerare. Prendo la tazza e mi sto per sedere a tavola, quando il telefono inizia a squillare. Vorrei lasciarlo lì dov'è, ma so di avere due amiche con problemi di alcolismo il venerdì sera,quindi scatto verso il piano di lavoro della cucina e lo recupero. -Pronto. -Sam, non riesco a trovare Giada- la voce scossa dalle lacrime di Alessia mi manda in agitazione per un secondo. Devo stare calma. Giada è sicuramente da qualche parte a limonare con qualcuno e Alessia è troppo ubriaca per trovarla. -Dammi cinque minuti e sono lì, aspettami fuori dal locale- riaggancio senza aspettare una risposta, recupero la giacca dall'attaccapanni all'ingresso e con pochi balzi scendo la rampa di scale che mi divide dal piano terra. Solitamente ci vogliono dieci minuti per arrivare al Red, ma stasera mi sento Bolt e i miei polmoni sembrano appoggiarmi. Non mi curo delle persone che ogni tanto urto o delle macchine che inchiodano quando attraverso, riesco a pensare solo alle mie gambe, al loro movimento velocemente e al rumore dei miei piedi quando urtano il marciapiede. Rallento quando vedo l'insegna del Red abbastanza vicina. In mezzo alla folla che circonda l'ingresso, riconosco Alessia, seduta sul marciapiede con la testa tra le mani, intenta a pronunciare qualche preghiera. Mi avvicino e le metto una mano sulla spalla per richiamare la sua attenzione. -Sam, mi dispiace, io...- la frase finisce in suoni distorti dal pianto che non hanno senso. -Aspettami qui, non ti allontanare per nessun motivo- lei si limita ad annuire cercando di trattenere, per quanto possibile, le lacrime. Prendo fiato e entro nel locale trattenendo quasi il respiro. Una vampata di erba accompagna i miei primi passi tra i divanetti rossi, pieni di ragazzi e ragazze che non sono riusciti ad arrivare svegli a fine serata. Mi guardo intorno ma di Giada non c'è traccia. Cosa fa lei di solito? Balla. Cerco un punto più alto rispetto alla pista è noto subito la postazione del DJ. Mi faccio largo tra la folla, ogni tanto qualcuno mi da una spinta o una palpata, ma non ci faccio troppo caso e vado per la mia strada. Salgo le scalette che portano alla postazione e quanto finalmente raggiungo la console, il DJ mi guarda con aria stupita, probabilmente non ha mai visto una tuta in discoteca. A dire il vero, quella stupita dovrei essere io, visto che ho appena scoperto che dietro la console c'è un piccolo privè e Giada è proprio lì, a limonare con un ragazzo che cerca di privarla del suo vestitino nero che le copre a malapena il sedere. Che faccio adesso? La lascio lì dov'è? Non posso, non si è mai ridotta così male, devo assolutamente riportarla a casa. Mi avvicino con passo deciso, la afferro per un braccio e la costringo ad alzarsi. -Sam!- esclama stupita. -Saluta questo giovanotto, dobbiamo andare a casa- lei mi guarda stralunata, probabilmente ci vorrà una nottata piegata sul water prima di sentire qualche ringraziamento. -Ciao- lo saluta con la mano, come fanno i bambini, mentre lui è troppo occupato a guardare in cagnesco me, dal basso della sua poltroncina di paiette viola. È pieno di pearcing e tatuaggi e ha la caratteristica pelata da vero duro. Altra cosa da rinfacciare alla mia amica-coinquilina. Esco dal locale trascinandomi Giada, che spesso resta indietro a causa dei tacchi a spillo abbinati ai litri di alcol bevuti stasera. -Eccovi- Alessia ci viene incontro e subito abbraccia la dispersa, ancora stordita -dove eri finita? Ma Giada non sembra intenzionata a risponderle e con una vigorosa spinta, la allontana di qualche passo. -Tutto bene?- un ragazzo moro si avvicina ad Alessia e le mette un braccio intorno alla vita nel tentativo di tenerla in piedi. -Sì, tranquillo- risponde lei ancora stordita da quella reazione eccessiva. -Tu saresti?- il mio tono ha una punta di acidità, causata dallo stress da "baby sitter per ragazze sbronze". -Sono Marco, io e Alessia studiamo farmacia insieme- è palesemente intimidito dal mio tono severo. Mi sento stupida. Non ho quarant'anni, come faccio ad essere così bacchettona con i miei coetanei? -Saresti così gentile da riaccompagnare Ale a casa?- cerco di recuperare usando un tono più dolce e lui pare gradire la cosa. -Certo, devo solo fare una chiamata, poi possiamo andare- con una mano inizia a esplorare tutte le tasche della giacca alla ricerca del telefono, mentre con l'altra continua a tenere Alessia. Intanto Giada si sorregge sempre meno da sola e si accascia sempre di più addosso a me. -Devo andare in bagno- piagnucola contro la mia spalla. Lancio un'occhiata a Marco e vedo che ha trovato il telefono. -Cinque minuti e siamo a casa. -La mia vescica sta esplodendo- non mi da il tempo di risponderle e si butta per terra trascinando anche me. Sto per finirle sopra, ma due mani mi afferrano e mi rimettono in piedi. Sono mani grandi e calde quelle che persistono sulle mie braccia, sembra che chi mi ha salvato non voglia lasciarmi andare e nemmeno io lo voglio. Mi sento al sicuro così. Il suo respiro che alita sui miei capelli. Il suo calore che compensa il gelo della mia pelle. È tutto in perfetto equilibrio. -Devi stare più attenta- mi sussurra all'orecchio. Provo un brivido di terrore quando mi accorgo di conoscere già quella voce. Mi volto lentamente e lui allenta la presa sulle mie braccia. Quando finalmente i nostri sguardi si incontrano, entrambi restiamo paralizzati a fissarci. Lui sembra persino più pallido di me. Non diciamo niente, forse perché non c'è niente da dire. Sono io la prima a distogliere lo sguardo, mentre lui continua a guardarmi con aria ebete. -Dai, alzati- do una mano a Giada che aggrappandosi a me, riesce a rimettersi in piedi. -Ti stavo chiamando- Marco rimette il telefono in tasca e tira fuori le chiavi dell'auto che tira al nuovo arrivato -Guida tu- lui sembra essersi ripreso, perché afferra le chiavi e, senza dire una parola, si dirige verso l'auto. -Strano il tuo amico- sentenzia Alessia quando l'amico è ancora abbastanza vicino da sentirla. -È uno di poche parole- replica Marco in tono affettuoso. Non è cambiato allora, penso tra me e me. Lo osservo mentre apre lo sportello dell'auto e monta dentro. I suoi occhi, le sue mani, il modo in cui si muove. È sempre lui. Sempre timido e leggermente impacciato, eppure c'è qualcosa di diverso nell'insieme, qualcosa che lo rende più uomo, più sicuro di sé. Appena l'auto si avvicina, mi passo il braccio di Giada dietro al collo per sostenerla e mi avvicino. Marco apre lo sportello e fa accomodare Giada e Alessia nei sedili posteriori. -Vai tu davanti, così gli spieghi dove andare- non ho nulla da obiettare, così Marco sale dietro con le mie amiche, mentre io prendo posto nel sedile avanti. -Dove devo andare? -Prendi la rotatoria e poi imbocca la seconda uscita, da lì puoi andare sempre dritto. Non ci guardiamo, fissiamo entrambi il parabrezza. La tensione è palpabile e un tragitto di due minuti sembra durare un'eternità. Marco, seduto vicino ad Alessia, cerca di tenerla sveglia e continua a ripeterle "Stiamo per arrivare" per incoraggiarla. È l'unico rimasto lucido qui dentro. Io ho una morsa allo stomaco da cui non riesco a liberarmi, per questo continuo a premermi un braccio sulla pancia, nella speranza di alleviare il dolore. Il nostro autista, invece, è una statua. Potremmo andare a sbattere, cadere in burrone, investire qualche animale, lui terrebbe la stessa espressione. Ormai lo conosco, quando si irrigidisce è impossibile frenare i suoi pensieri. Il tempo di far frenare l'auto e le mie coinquiline sono già fuori dall'auto, seguite da Marco. Giada rovista nella sua borsetta finché non trova le chiavi e con un gesto repentino le infila nella toppa del portone. Due secondi e la porta si richiude dietro loro, lasciando fuori me e il nostro autista che siamo ancora dentro. Faccio un respiro profondo e mi giro a cercare il suo sguardo, ma lui è stato più veloce di me e mi sta già guardando. -Come mai da queste parti?- chiedo disinvolta. -Mi ha invitato Marco, voleva farmi vedere la sua nuova città e convincermi a venire a studiare qui. -Non è male come università- inizio a toccarmi i capelli. Devo tenere le mani impegnate, altrimenti rischio di fare qualcosa di cui potrei pentirmi. -Preferisco continuare fisioterapia. -Sei riuscito a superare il test?- in preda all'entusiasmo mi spingo troppo verso di lui e ora le nostre facce sono troppo vicine. -Bravo- mi tiro indietro e apro lo sportello dell'auto. -Già...senti Sam, io e te eravamo amici una volta, che è successo? Perché non mi hai più scritto? -Potevi farlo tu- scendo dall'auto e sbatto violentemente lo sportello. Apro il portone del palazzo e salgo velocemente le scale che mi portano al pianerottolo del secondo piano. Sento le voci delle mie coinquiline che dicono cose senza senso e per un attimo vorrei scappare anche da loro. Solo la voce esasperata di Marco mi convince ad entrare. -Puoi andare, sei stato gentilissimo. -Buona fortuna- mi da una pacca sulla spalla ed esce. Vado prima da Alessia che è quella messa meglio. Se ne sta sdraiata sul divano della sala chiudendo e aprendo gli occhi a intermittenza, segno che sta facendo di tutto per resistere al sonno. -Ale, vai a dormire- le accarezzo i capelli come farebbe una mamma alla sua bambina capricciosa. -Va bene- si alza e se ne va in camera sua. Adesso arriva la parte più difficile. Mi dirigo in bagno, dove trovo Giada piegata sulla tazza del water. Le raccolgo i capelli e li tengo fermi con una mano, intanto con l'altra le accarezzo la schiena. Dobbiamo aspettare almeno una decina di minuti prima che i coniati diventino vomito vero e proprio. Quando tutto sembra finito l'aiuto a lavarsi i denti e a pulirsi la faccia, poi la accompagno in camera, dove le sfilo le scarpe e la metto a letto. -Buonanotte- le dico rimboccandole le coperte. -Buonanotte- mi risponde lei in uno sbadiglio. Vado in camera mia anche io. Mi stendo sul letto e appena la mia testa tocca il cucino, le lacrime iniziano a scorrere come un fiume in piena. Non mi sono mai sentita così sola.
   
 
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