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Autore: Red_Coat    06/11/2017    2 recensioni
Genesis.
La mia vita, per te.
Infinita rapsodia d'amore
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DAL TESTO:
Un bagliore accecante invase la grotta, ed io capì che l'avevo raggiunta appena in tempo. Alzai gli occhi, e vidi uno splendido angelo con una sola ala, immensa, nera e maestosa, planare dolcemente su una roccia. Rimasi incantata, con gli occhi pieni di lacrime, a fissare la sua sagoma, fino a che non mi accorsi che i suoi occhi verdi come l'acqua di un oceano di dolore e speranza seguitavano a fissarmi, sorpresi e tristi.
Fissavano me, me sola, ed in quel momento mi sentii morire dal sollievo e dalla gioia
" Genesis! " mormorai, poi ripetei il suo nome correndogli incontro
C'incontrammo, ci abbracciammo. Mi baciò.
Ed io, per la prima volta dopo tanto tempo, piansi stretta a lui.
Genere: Avventura, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genesis Rhapsodos, Nuovo personaggio, Un po' tutti, Vincent Valentine, Zack Fair
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo | Contesto: Più contesti
Capitoli:
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Capitolo XXIV


Proteggere: che assurda, arcaica, meravigliosa parola.
(LesFleursduMar, Twitter)
 
Quel che successe in seguito, amore mio, non è un mistero per nessuno di noi due ma voglio raccontarlo lo stesso, in questa mia lunga prosa d'amore per te, per ricordare, e trovare sollievo dagli orrori di questa epoca buia, la più buia che Gaia abbia mai vissuto dai tempi della sua nascita, fatta di mostri dalle sembianze d'uomo ma dal cuore di demone, orrende malattie e oscurità, oscurità fitta di sogni, pensiero, valori, parole.  Un mondo piegato, riverso su sé stesso nella totale assenza del tuo ardore, del calore della tua poesia e dei tuoi amabili gesti, un mondo in cui perfino il calore della fiamma della vita che è in me rischia, giorno dopo giorno, di venire per sempre soffocato dalle tenebre e dalla paura più folle e cupa.
Dall'assenza di te.

\\\

In un primo momento, subito dopo la nascita della fenice in me, non riuscii ad alzarmi da terra. Non è che non volessi, ma il mio corpo era ... così debole! Mi sembrava di essere stata completamente svuotata di tutte le mie forze, come se un terribile ciclone mi si fosse abbattuto contro con furia ed io gli fossi sopravvissuta per miracolo.
Ad occhi lucidi, la mente confusa e lo sguardo incantato, rimasi ad osservare lo splendore di quelle immense ali, e per un pò lo facesti anche tu, con un sorriso stupefatto in volto che poi si addolcì,  quando tornasti a guardarmi.
La tua immagine serena, nonostante tutto, mi regalò un pò di tranquillità.
Seguendoti in silenzio solo con lo sguardo ti osservai chinare di lato la testa, quasi intenerito.
Quindi facesti qualche passo verso di me e t'inchinasti alla mia altezza, sfiorandomi una guancia sudata per scostarmi qualche ciocca ribelle dal viso e concludendo, con la stessa melodrammatica nota nella voce di poco prima.

- Wings of light and dark spread afar ... - attraversando rapido con lo sguardo tutta me stessa e raggiungendo la vetta delle mie "ali di luce", evidente dimostrazione del mio personale dono, concessomi da Minerva.

Sorrisi, comprendendo finalmente il perché del tuo apparentemente folle e crudele gesto. 
Ai tuoi occhi abituati a scrutare oltre le apparenze in cerca di un segno, uno qualunque che avesse qualcosa di divino e sacro, era riuscito a palesarsi ancor prima che io stessa riuscissi a comprendere.

- She guides us to bliss... - conclusi tremante, il cuore colmo di gioia soltanto nel pensare di star finalmente recitando proprio a te quei versi ora anche per me così amabili, che per anni erano stati l’unico ponte di congiunzione tra le nostre due anime coì distanti. Per questo, nello stesso momento, una rapida una lacrima stanca scese a brillare sul mio volto, schiantandosi poi a terra e dando alla luce un piccolo fiore di cui nessuno dei due quasi si accorse - Her gift everlasting ... -

I tuoi magnifici occhi verde acqua brillarono nei miei. Per me.
Tu continuasti a guardarmi, sempre più felice, sempre più … commosso. La luce di qualche lacrima apparve anche lì dove non avrei mai creduto di riuscire a scorgerne qualcuna.
Mi prendesti dolce una mano, intrecciasti le dita tra le mie che seguitava ad osservarti incantata, emozionata. Rapita.
 
- Cosa sai tu, di Loveless? - chiedesti, sussurrando.
 
Tornai a sorridere, trovando il coraggio per azzardare una carezza su quel tuo viso perfetto, un brivido estasiante toccarlo senza che tu ti opponessi.
Fu qualcosa di magico, una magia straordinaria, più delle mie ali e di tutto il resto della mia trasformazione.
Il sentirti totalmente vicino come avrei sempre sognato, anche in un gesto insignificante come quella semplice carezza che tu osservasti in silenzio, prendendo poi di nuovo la mia mano nella tua e quasi meravigliandoti di sentirmi tremare, della nuova ennesima lacrima che vedesti spuntare sul mio volto.
Era una lacrima di gioia.
Mia madre e mia sorella avevano tremendamente ragione: Io e te eravamo e siamo ancora legati dal filo indissolubile delle nostre storie.
Forse fu questa la sicurezza che riuscì a rendere tutto questo realtà.
 
- Più di quanto tu creda … - risposi, aggiungendo poi, il viso rosso per l’emozione e le lacrime che continuavano ad affollarsi attorno ai miei occhi – Ma lo sai … qual è la cosa buffa? È che … - sospirai, prendendo l’altra tua mano nella mia e tornando a guardarti grata negli occhi – Sei stato tu ad insegnarmelo. –
 
Non potevi aspettartelo, lo so.
C’erano tanto ragazze in quel tuo mondo che avevano conosciuto Loveless grazie a te, ma per me era diverso. Io venivo da un altro mondo, da un'altra realtà in cui Loveless, Minerva, Genesis Rhapsodos non erano altro che immagini e parole su di uno schermo.
E adesso tu lo sapevi, perciò rimanesti sorpreso a guardarmi, un sorriso anche un po’ amaro sulle labbra sottili.
Avresti voluto chiedere di più, ma all’improvviso ti rendesti conto che non era quello né il tempo né il luogo quando le mie ali scomparvero in un turbinio di pulviscolo luminoso, ed io ebbi un altro piccolo mancamento che mi indusse a chiudere gli occhi e sfiorare le tempie con le dita.
La trasformazione era stancante, soprattutto in quei primi attimi. La fenice è una creatura così forte e indomabile che ancora oggi fatico a spiegarmi come abbia fatto a integrarsi col mio corpo fragile senza distruggerlo.
Comunque sia, senza perdere tempo tu deciso sollevasti un mio braccio sulla tua spalla, invitandomi a fare lo stesso con l’altro mentre mi prendevi con te sollevandomi da terra e stringendomi forte.
Ricordo tutto di quei momenti.
Ogni più piccola sensazione, il calore del tuo corpo contro il mio attraverso i vestiti, la mia testa appoggiata al tuo petto forte e il battito del tuo cuore che pulsava così forte da voler quasi scoppiare.
La dolce sensazione di essere finalmente al sicuro, nel posto in cui dovevo essere e al momento giusto.
Non ebbi paura neanche quando all’improvviso ti bloccasti e guardasti serio la persona apparsa davanti a noi a sbarrarci la strada.
Forse perché ero troppo felice, stordita, non riuscivo neppure a muovermi. O forse perché semplicemente dentro di me sapevo che se fosse stato il volere della Dea anche con lui sarebbe andato tutto a posto.
Fu il momento in cui inizia a non sentirmi neanche più spaventata di essere qui, in questo mondo estraneo. E tu la pensavi esattamente come me.
 
- Angeal. –
 
Riscossa dalla tua voce sollevai lo sguardo e lo vidi, che ci fissava cupo e sorpreso.
Mi lanciò un’occhiata che riuscii a sostenere, stringendomi a te.
 
- Che ci fa lei, qui? – chiese, continuando a stringere in mano la sua Buster Sword – Come ci ha trovati? – guardandosi intorno con preoccupazione.
 
Non aveva ancora trovato il coraggio di parlare a sua madre.
Tu sorridesti, mi guardasti scoccandomi un occhiolino come a dirmi di non preoccuparmi, poi vedendomi annuire tornasti a parlargli.
 
- Nello stesso identico modo in cui è riuscita a raggiungerci a Midgar, a quanto pare. – rispondesti, tornando nuovamente a guardarmi e lanciandomi di nuovo un occhiolino rassicurante.
 
Lo fui davvero stavolta. Ora sì che mi avevi creduto. E arrossendo sorrisi, abbassando gli occhi che all’improvviso si riempirono di nuovo di lacrime.
Angeal tacque, probabilmente talmente sconvolto da non riuscire neppure ad opporsi.
 
-Andiamo a casa. Ha bisogno di riposare. – lo informasti, per poi prendere assieme a me la via del ritorno.
 
Non ci fermò nemmeno allora, e guardandolo da oltre le tue spalle forti io … mi sentii quasi male per lui.
Banora … tu ed io … probabilmente, visto che ancora non si era separato dalla sua spada, non era neanche riuscito ad ascoltare la verità da sua madre.
O forse … non aveva neanche la sua ala, quindi … non l’aveva neanche scoperta.
Mi sentii davvero male per lui, ma presto, molto presto, avrei saputo cosa fare.
 
\\\
 
Avevo bisogno di riposo, è vero.
Ma contrariamente a ogni mia previsione mi permettesti di farlo in quella che una volta era  stata casa tua, nella tua stanza da letto ancora piena di te dove, nell'accogliente atmosfera di un ambiente rustico, tra fiori freschi sulla scrivania perfettamente in ordine, l'odore delle assi di legno che ricoprivano pareti e pavimento e del tuo inconfondibile, forte profumo di colonia mista all'odore della tua pelle, nell'ampia libreria che ricopriva tutte le pareti tranne quella del letto e della finestra sulla sinistra strabordavano i libri, vecchi volumi polverosi pieni di storie, e le foto che la rendevano anche parte della tua.
In ogni angolo ce n'era una, e vicino c'era sempre qualcosa che ti apparteneva, come quella di te che adolescente leggevi concentrato sotto un albero di Banora White a cui avevi accostato un vecchio calamaio con la sua penna, una liscia e brillante piuma bianca, o quella di te o Angeal abbracciati e felici a quattro anni, a cui era accostata una scultura in legno di un'accidenmela, abilmente lavorata e finemente dipinta.
Furono quelle che notai per prime, quando mi adagiasti personalmente e con dolcezza sul materasso e mi sfiorasti la fronte con una carezza, lasciandomi poi un bacio su di essa e scoccandomi un breve occhiolino.
Vidi poi Angeal spuntare sull’uscio, osservarmi cupo a braccia conserte.

- Riposa. Io torno subito. –
 
Mi raccomandasti, poi sparisti assieme a lui a passo deciso, lasciandomi sola.
Chiusi gli occhi, ascoltando quasi commossa il rumore dei tuoi passi, ritmici e veloci, farsi sempre più lontano fino a perdersi come echi nel tempo, avvolta nel frattempo dal tuo profumo intenso ed avvolgente.
Deciso ma dolce.

Questa … è una di quelle sensazioni, quei ricordi di te che non mi abbandonano mai, mi fanno compagnia nelle ore vuote, nei giorni di tenebra e di nebbia.
In quelli di lacrime in cui tutto mi sembra perduto. Quando sento il tuo ricordo affievolirsi chiudo gli occhi, stringo a me la tua personale copia di Loveless e richiamo alla mente quei suoi, quegli odori.
Ogni volta grazie a ciò ti sento tornare da me, come quella volta.
Mi addormentai quasi senza accorgermene, l’animo finalmente in pace, ma mi risvegliai di soprassalto perché una voce era giunta a sfiorarmi le orecchie, e un freddo gelido a sfiorarmi il petto.
Capii subito di chi si trattava, la fiamma nel mio cuore divampò ruggendo ed io mi alzai di scatto, urlando
 
-Non mi toccare!-
 
Hollander indietreggiò, guardandomi dapprima sorpreso e poi contrariato. Anche tu ed Angeal mi fissaste quasi sconcertati.
 
-Sta buona, ragazzina.- ridacchiò quello con la sua voce grassa, tornando a fare qualche passo verso di me che all’improvviso mi accesi di fiamma, deformando quasi senza accorgermene le mie unghie in artigli e infuocando anche i miei occhi.
 
Non avrei dovuto mostrarglielo, ma col senno di poi mi accorgo che forse feci bene a farlo.
 
-Non chiamarmi ragazzina! – sbottai.
 
Odiavo e odio ancora il senso di superiorità con cui gli scienziati della Shinra ci trattavano. Come se fossero i padroni creatori del mondo. Blasfemi e disgustosi.
 
-E non osare avvicinarti, o non risponderò di me stessa…- lo minacciai in un sussurro cupo.
 
La mia voce non sembrava neanche più la mia, e forse fu così. Ricordo bene di aver detto quelle parole, e anche il tuo sorriso ammirato con cui mi guardasti e che mi fece sentire ancora più forte.
 
-Ah! Stupida!- mi apostrofò irritato lui, aggiungendo poi con disprezzo – Qualunque cosa tu sia, sta buona! –
 
Mi sfidò di nuovo, provando ad avvicinarsi per la terza volta ma stavolta tu glielo impedisti afferrandogli una spalla e traendolo a sé. I nostri occhi s’incrociarono, il tuo sorriso sicuro si mescolò al mio sguardo torvo e rinvigorì i miei occhi lucidi.
Hollander si zittì, guardandoti mentre venivi verso di me e prendendo delicatamente le tue mani nelle mie le stringevi, avvicinando il viso sempre più al mio.
Le fiamme si spensero appena, di nuovo i nostri sguardi coraggiosi s’intrecciarono.
 
-Valery … - mormorasti calmo, e il battito imbizzarrito del mio cuore tacque come addomesticato – Cosa c’è? –
 
Deformai le labbra in una smorfia.
 
-Quell’uomo mi disgusta, Genesis. – risposi senza mezzi termini, e lo vidi corrucciarsi contrariato.
 
Un ghigno si dipinse anche sul tuo viso. Eri d’accordo.
Mi sfiorasti il mento con una mano, baciasti piano di nuovo la mia fronte e mormorasti, dolcemente preoccupato.
 
-Lo so. Ma è l’unico medico che abbiamo. Lascia che ti controlli, solo stavolta. –
 
Scossi di nuovo il capo, decisa.
 
-Non voglio che mi sfiori neanche col pensiero. - sibilai, quindi col cuore in fiamme guardai le mie mani strette nelle tue, il tuo viso perfetto, e dissi ciò che avrei sempre voluto dire, col dolore negli occhi – E non dovresti volerlo neanche tu. –
 
Per poi staccarmi da te, dal tuo sguardo improvvisamente serio e triste, e correre via, verso la fabbrica di mostri che quel vile aveva creato alle tue spalle.
A fare ciò ch’era meglio per te e per noi tutti. Anche per Angeal.
 
\\\
 
Due delle tre capsule contenenti le tue copie erano già state distrutte, nel momento in cui arrivaste a fermarmi. Anzi, proprio in quell’istante un globo di fuoco partì a distruggere la seconda, e Hollander urlò sbracciandosi e strappandosi i capelli per la disperazione.
 
-NO! FERMA! I miei campioni! I miei preziosi campioni!-
 
Una smorfia si dipinse sul mio viso sudato.
Disgusto, disgusto e rabbia purissimi.
 
-AL DIAVOLO!- risposi a tono, fuori di me gettando all’aria le carte e il tavolo appoggiato al muro di fianco all’ultima – AL DIAVOLO TUTTO! –
- Tu sei completamente fuori di testa! – sbraitò lui irato, poi si rivolse ad Angeal ordinandogli di fare qualcosa ma questi stette a guardarmi in silenzio, una luce diversa negli occhi.
 
Sembrava non avere neanche la benché minima intenzione di rispondere all’ordine, allora Hollander s’infuriò ancora di più e fece per avventarsi su di me per fermarmi, ma la lama della tua Rapier lo bloccò, piazzandosi proprio sotto la sua gola e facendolo rabbrividire.
Ti guardò sconvolto e terrorizzato, tu lo rimbeccasti con uno sguardo minaccioso e rovente.
 
- Toccala e ti ammazzo.- sibilasti, lasciando entrambi di stucco.
 
Poi lo superasti tornando ad ignorarlo e accorresti a calmarmi, perché io senza più controllo della mia mente continuavo a strillare e mettere tutto in subbuglio. Danneggiai anche l’ultima capsula presente in quella stanza, strappando come una furia i fili che la collegavano all’elettricità con l’uso degli artigli e stavo per incenerirla con tutto il suo contenuto quando la tua mano arrivò ad afferrare il mio fragile polso.
Occhi negli occhi di nuovo, sembrò come se finalmente riuscissi a rendermi di nuovo conto di me stessa. Quando la fenice prendeva il controllo della mia mente con la sua furia, era davvero difficile resisterle o riprendermi la mia lucidità.
Ma prima che imparassi a controllarmi tu, con i tuoi occhi e la tua voce, la tua sola presenza … eri l’unico antidoto alla follia.
Il fuoco sulla mia pelle si spense piano, le mani tornarono quelle di prima. Solo le lacrime rimasero a rigarmi il volto, e i singhiozzi a scuotere il petto.
Non parlasti, ma un sorriso quasi compassionevole apparve sulle tue labbra avorio, sottili e delicate.
Mi stringesti a te, appoggiando una mano sulla mia nuca, io chiusi i pugni contro il tuo petto e per qualche istante tornai a singhiozzare senza riuscire a fare altro.
 
- Perché??- chiesi ad un certo punto, tra le lacrime – P-perché stai … stai facendo tutto questo? –
 
Ti sentii tremare, e alzando il viso rosso verso di te vidi il tuo sguardo sicuro vacillare.
 
- Smettila per favore. – supplicai.
- Guarda che disastro!- continuò nel frattempo a lamentarsi borioso Hollander, avvicinandosi esterrefatto alle macchine semi carbonizzate dentro al quale continuavano a rimanere il liquido amniotico e le copie –Ci vorranno settimane per recuperarle, mesi! –
-Sta’ zitto!- sbottasti all’improvviso tu rivolgendogli uno sguardo infuriato.
 
Quello lo fece all’istante, paralizzandosi.
 
-C-cosa? – balbettò.
 
Allora, senza dare spiegazioni, mi prendesti per mano e mi trascinasti via, lontano da quell’ambiente e soprattutto da quell’uomo, di nuovo a casa tua dove mi facesti sedere sul divano dell’ampio soggiorno rustico e mi stringesti le mani tra le tue, inginocchiandoti di fronte a me e asciugandomi con le mani sul viso le lacrime.
Non riuscivo ancora a smettere di piangere, anzi sentivo di doverlo fare sempre di più ad ogni minuto che passava. Non potevo sopportare la vista del tuo viso emaciato, dei tuoi occhi stanchi e tristi, dell’argento nel rame dei tuoi capelli, del fiato corto nei tuoi polmoni.
Non potevo continuare a vederti in quello stato, ora.
Mi guardasti intensamente, scrutandomi riflessivo.
Poi sospirasti, e tornasti a chiedere quasi rassegnato.
 
- Quanto sai … di me? –
 
Tutto. E niente adesso.
Ce la feci a sorridere amara, stringendo di più le tue mani.
 
- Quanto basta. – risposi, ma per te non fu sufficiente.
 
Scuotesti il capo, facendoti serio.
 
- Ho bisogno di saperlo, Valery …- iniziasti, ma t’interruppi subito ribattendo frustrata.
- Ne so abbastanza da non sopportare che tu ti faccia questo! –
 
Il sorriso amaro tornò anche sul tuo volto, unito ad una luce più dolce, amorevole.
Evidentemente dovevo sembrarti solo una bambina spaventata, per il mio aspetto minuto e sconvolto. Ma non lo ero e non lo sono. Era vero ciò che avevo detto, sapevo ciò che stava accadendo ed ero decisa a fermarti. Ad ogni costo.
Ma dovevo dimostrarti non fosse solo un capriccio. Quanto tempo avevo per farlo prima che la Shinra arrivasse a cercarti? Non ne avevo la più pallida idea, perciò mi sarei giocata ogni secondo.
 
- Va bene … - concludesti tu, ad un tratto, rialzandoti deciso e guardandoti quindi intorno.
 
C’era una spessa coperta di lana e filo arancione sul bordo del divano sul quale ero seduta, un sofà rustico ricoperto da sei grandi cuscini beige, tre per la seduta e tre per lo schienale.
La prendesti e dopo averla aperta me la mettesti sulle spalle perché senza accorgermene stavo tremando, e anche tanto.
 
- Sei stanca e sconvolta, ora devi riposare. Ne riparleremo quando ti sveglierai. –
 
Quindi facesti per andartene voltandomi le spalle ma io mi rialzai di nuovo, afferrandoti per un braccio. I miei occhi terrorizzati nei tuoi, sorpresi e anche un po’ infastiditi.
Li guardai, sostenni quel sentimento fintanto che ti sentii tremare appena.
 
- E tu dove vai, adesso? –
 
Sospirasti, stringendo i pugni. Volevi liberarti della mia presa ma qualcosa te lo impedì. Forse le mie lacrime, la mia testardaggine, la tensione forte nata tra di noi, palpabile e presente, o quel filo rosso che alla fine, dopo mille impossibili peripezie, era giunto a ritrovare l’altro lato di sé.
Per qualche istante ti vidi reprimere un altro sbotto di rabbia, stupendomi io stessa di questa tua forza d’animo. Poi sospirasti di nuovo, afferrasti il mio polso e avvicinasti in un istante intenso il tuo viso al mio, vicinissimo alle mie labbra ma senza sfiorarle, solo guardandomi dapprima rabbrividire, poi tentare in ogni modo di non chiudere gli occhi e di non risponderti, di non cedere alla trappola di quel bacio che chiamava entrambi, non abboccare all’esca, come stavi cercando di fare anche tu.
Infine mi lasciasti andare nuovamente, voltandoti e scomparendo senza dare spiegazioni mentre io ti seguivo con gli occhi fino alla fine e poi mi abbandonavo sconfitta sul divano, stringendomi nel mio leggero vestito a fiori e tornando a piangere stringendo rabbiosa i pugni e scuotendo il capo.
Anche questa, ora come ora, è un’immagine che riecheggia nel tempo, profeta dei giorni che ora sono giunti.
Ma non mi hai fermato allora e non lo farai adesso dal cercarti, abbracciarti, e riportarti qui. Da me, e con me.
Per sempre.
 
///Flashback///
 
Angeal lo aspettava fuori dalla porta d’ingresso, braccia conserte, viso serio e schiena poggiata a ridosso della parete verniciata di rosso.
Non appena lo vide, ancora una volta Genesis ghignò quasi impietosito, voltandosi completamente verso di lui.
 
- Non glielo hai ancora chiesto, vero? –
 
Hewley scosse il capo severo.
 
-Ho altro di più grave a cui pensare, adesso. –
 
Il sorriso si allargò sul volto del rosso.
 
-Fidati, non ce l’hai. – replicò tristemente.
-Quella ragazza resterà qui, allora? –
 
Genesis annuì tranquillamente, riprendendo il suo cammino seguito da lui.
 
-Non mi sembra abbia altre alternative. – disse - Non sa nemmeno come ci è arrivata, qui. –
 
Stavolta fu Angeal a fermarsi di botto, abbassando grave il volto.
 
-Quindi anche tu le credi … -
 
Rhapsodos in un primo momento sorrise, poi tornò a farsi serio e annuì, profondamente convinto.
 
- Fa’ come ti ho detto, Angeal. – gli disse –Trova il coraggio e chiedi a tua madre la verità. Dopo le crederai anche tu. – sospirò infine, voltandogli una volta per tutte le spalle e dirigendosi verso la vecchia fabbrica adibita a laboratorio scientifico, mentre l’amico rimase lì in bilico tra la voglia di seguire il consiglio e la folle paura di farlo.
 
Trovò Hollander innervosito, intento ad aggiustare uno dei suoi due preziosi macchinari che la ragazza aveva distrutto assieme ad una copia, ormai completamente inutilizzabile.
Genesis non aveva voluto vederla, nonostante si ostinasse a sostenere il contrario non riusciva ancora a osservare quelle brutte copie deformi di sé stesso senza rabbrividire.
Aveva imposto all’uomo di sbarazzarsene prima del suo ritorno e fu contento di constatare che questi avesse obbedito.
 
- Ah, sei qui. – lo accolse lo scienziato contrariato, rialzandosi a guardarlo – Quella ragazzetta ha distrutto tutto, ho provato a riparare almeno questa ma è tutto inutile. Spero la punirai per … -
- Non ci penso nemmeno. – tagliò corto lui, seccato.
 
Valery aveva ragione in fondo, pensò. Quell’uomo era davvero irritante.
Gli rivolse uno sguardo stupito e balbettò, quasi sconcertato.
 
- C-come? Non hai intenzione di … -
- Useremo le altre due del piano di sotto, il nostro piano non cambia. – concluse sbrigativo, ordinandogli poi di muoversi mentre gli voltava le spalle.
- Ma Genesis! Quella … - provò ad obbiettare allora lo scienziato raggiungendolo di corsa.
 
Ma cogliendolo di sorpresa il SOLDIER si voltò ad afferrarlo per il colletto del camicie con entrambi le mani e sibilò, guardandolo minacciosamente negli occhi.
 
- Credevo di essere stato abbastanza chiaro, quando abbiamo fatto questo patto. Qui non siamo alla Shinra: Io ordino, tu obbedisci. Devo spiegartelo con i fatti? – Allungando una mano verso la sua fedele Rapier che gli stava al fianco.
 
Hollander tremò.
 
-N-no! No! Non c’è n’è bisogno, davvero! Ho capito! – esclamò parando le mani in avanti e scuotendo forte il capo.
 
Il ghigno serpentino riapparve sulle labbra sottili del 1st class.
 
- Bene. – concluse, lasciandolo quindi andare e riprendendo a camminare con lui appresso come un cuccioletto.
 
Era quasi comica. Angeal aveva Zack e lui Hollander. Tsè … avrebbe fatto volentieri a cambio, ma tanto non sarebbe durata a lungo.
La dea gli avrebbe presto rivelato il suo segreto … se non lo aveva già fatto, regalandogli la presenza di quella misteriosa e stupefacente ragazza che aveva nel cuore l’immortale fenice.
Non era qualcosa che potesse ottenersi tramite un esperimento, quello che aveva visto.
Era qualcosa di divino, un dono speciale per un animo forte.
 
///Fine flashback///
 
Era notte fonda quando tornasti, ma la casa era vuota.
Non ero riuscita ad addormentarmi, troppo scossa e affranta.
Le spalle che bruciavano e quel fuoco dentro di me che divampava, ardendo il mio corpo, le mie mani, i miei occhi.
Trovai un pò di sollievo liberando le mie ali, quindi con ancora addosso il leggero vestitino di seta a fiori regalatomi da Zack me ne ero andata via, sulla collinetta più alta di fra quelle che circondavano il villaggio, dal quale potevo osservare il cielo e ogni cosa sotto di esso.
Erano le due e dieci di sera quando ti vidi uscire dalla fabbrica.
Fu come una pugnalata al cuore vederti camminare a stento, reggendoti la testa confuso. I singhiozzi cui ero stata preda si accentuarono scuotendo forte il mio petto, dai miei tornarono a scendere ardenti lacrime che macchiarono di cenere il mio volto.
Trattenni il fiato quando ti vidi fermarti ad osservare stupito il mazzo di fiori di campo che avevo appoggiato sulla tomba dei tuoi genitori.
Li fissasti in silenzio, incredulo.
Era stato allora, dopo aver pregato per loro e per te alla luce sempre più fioca del tramonto, che avevo iniziato a tremare e piangere, senza tregua e respiro.
Ogni cosa sulla tua pelle era come un riflesso condizionato su di me, che ti amo, ti amavo così tanto.
Può sembrare stupido e scontato, ma non era nient'altro. Nessun particolare potere, nessun incantesimo o sesto senso. Solo ciò che da sempre, anche nel mio mondo, mi accadeva con le persone a cui volevo più bene.
Sentivo sulla mia pelle il loro dolore e la loro gioia anche senza saperlo, proprio come fossero i miei.
Solo che il tuo ... il tuo era così grande e profondo da trafiggermi il cuore da parte a parte.
Ti vidi chinarti a sfiorare i petali con le dita, tremante. Quel dolore m'indusse a piegarmi su me stessa afferrando con una mano la stoffa dalla parte del muscolo cardiaco.
Altre lacrime, mentre rientravi.
Ormai ti aspettavo, e mezz'ora dopo ti sentii arrivare alle mie spalle, oltre i miei singhiozzi.
I tuoi passi felpati sull'erba fresca, il fuoco sulla mia pelle che all'improvviso sembrò smorzarsi. Cercai di smettere di piangere, ma riuscii solo a farlo di meno.
Poi la tua voce chiamò di nuovo il mio nome e la mia mente, il grido furioso della fenice che la riempiva fino a stordirmi, si placò. Anche il mal di testa diminuì, iniziando a sparire.
Non risposi, non avevo ancora abbastanza fiato per farlo. Ma ti guardai negli occhi non appena tu ti chinasti di fronte a me, appoggiando un ginocchio a terra e prendendomi le mani tra le tue. Morbide, calde.
Non avevi indosso i guanti, né la Rapier, solo il soprabito e il resto della divisa. E lo scintillio nei tuoi occhi brillava più delle stelle che riempivano il cielo, lasciando intravedere qualche lacrima.
 
- Valery ... - mormorasti nuovamente, più dolce - Da quanto tempo sei qui? -
 
Avrei voluto abbracciarti e prenderti a sberle nello stesso momento. Maledetto!
Ma non lo feci ...
Mi limitai a distogliere lo sguardo da te, tornando a guardare la luna piena che dal cielo illuminava tutto a giorno.
 
- Lo hai fatto di nuovo, vero? - chiesi contrariata e triste.
 
Tu tremasti. Poi con la coda degli occhi ti vidi fermarti a guardare le mie ali e sorridere, tenero.
Ti rialzasti, continuando a tenermi la mano.
 
- Vieni. Fa freddo stasera ... - mi dicesti invitandomi a seguirmi.
- Non lo sento. - replicai imperterrita, seguitando ad evitare di guardarti - Vattene pure tu, se vuoi. -
 
Ma a quel punto non servì più di tanto continuare. La tua mano afferrò la mia, mi traesti quasi rabbioso a te e mi baciasti, così, d’improvviso, stringendo il mio viso per non farmi andare via.
Occhi negli occhi vidi riflesso nei tuoi il bagliore dorato del fuoco che continuava ad avvolgermi, le tue mani delicate avvolte dalle fiamme che le sfioravano ma non le intaccavano, quasi non esistessero neppure. Lì per lì … non seppi muovermi. Chiusi solo gli occhi e mi abbandonai a quel momento, avvicinandomi di più sulla punta dei piedi per raggiungerti e alzando le mani a imitarti, accarezzando quel tuo viso perfetto, i fili rossicci dei tuoi capelli.
Ci assaggiammo con rabbia, e con la stessa all’improvviso ti respinsi con uno schiaffo, tornando a lacrimare e voltandoti le spalle.
In silenzio, la mano destra che copriva la guancia arrossata, tu mi guardasti stupito e affascinato.
 
- Perché? – bofonchiai straziata, singhiozzando.
- Perché cosa? – mi chiedesti tu, senza capire ma continuando a sorridere.
 
Il fuoco divampò di nuovo fuori e dentro di me.
 
- Perché mi fai così male? Cosa ti ho fatto per spingerti ad odiarmi tanto!? – urlai, le lacrime che colavano dagli occhi e dalle labbra.
 
Sulle prime non capisti.
Continuasti a guardarmi confuso, con quel sorriso frastornato e quella curiosità negli occhi che quasi mi spinse sull’orlo della pazzia.
Poi, all’improvviso, una luce diversa si accese in essi. Più triste, sconcertata.
Scuotesti il capo, aprendo la bocca per chiedere ma io ti prevenni, ribellandomi implorante.
 
- Smettila di pensarti come un mostro, Genesis. –
 
Alla luce fioca della luna, delle stelle e del fuoco che mi bruciava senza consumarmi, ti vidi sbiancare sorpreso e tornare serio ad ascoltarmi, tremando.
 
- Tu non lo sei, io non lo sono. Noi … noi non siamo ciò che la Shinra vuole farci credere. Smettila di credere alle loro menzogne. Tutte. –
 
Un sorriso amaro e stanco tornò a colorare a malapena le tue sottili labbra avorio.
 
- Hai visto anche tu cosa c’era, lì dentro. – mormorasti, indicando con un cenno del capo in direzione della vecchia fabbrica.
 
Annuii. Ingoiando le mie lacrime.
 
- Nessuno può creare mostri simili. Se non un altro mostro. –
 
Fu la tua conclusione finale, abbassando il volto e poi rialzandolo verso la luna.
Con un tonfo sordo e un turbinio di piume, l’ala nera riapparve sulla tua schiena. Ti vidi chiudere gli occhi stringendo i pugni, quasi stessi cercando con tutto te stesso di resistere ad un dolore. Tremai di nuovo.
 
- Forse non sarò un mostro … - dicesti, una smorfia amara sul volto innocente – Forse … avrei potuto non esserlo … - poi lo abbassasti e scuotesti la folta chioma, arreso, tornando a guardare la luna – Ma ormai è troppo tardi … -
- No! –
 
Ancora una volta la mia protesta ti stupì. Mi guardasti come fossi un angelo sceso dal cielo, io mi avvicinai, sfiorai il tuo viso con una carezza, le tue labbra con un bacio appena percepito e poi ti abbracciai. Forte, bagnando con le mie lacrime di cenere il tuo petto, ascoltando il tuo cuore forte battere oltre l’armatura che lo proteggeva.
 
- No … Non lo è. Non lo è mai … se continui a ricordarti cosa vuol dire amare. –
 
Un altro sorriso amaro.
 
- I mostri non sanno amare. –
- Ma tu si! – tornai a ribattere io, stringendomi di più a te e guardandoti negli occhi.
 
Stupito, abbassasti i tuoi su di me respirando piano.
 
- Tu si …- sussurrai, imitando la voce del vento.
 
Silenzio.
Un silenzio lungo, intenso, pacifico in cui tornammo a guardarci senza fiatare.
 
- E tu come fai a saperlo? – chiedesti alla fine, scherzando poi, cercando di non lasciar posto alle lacrime – Non dirmi che non ne hai idea. –
 
Io sorrisi, ti lasciai andare e presi le tue mani nelle mie, guardandoti negli occhi. Innamorata della tua anima.
 
- Perché io ti conosco, Genesis … so chi sei anche senza che tu dica nulla. – risposi semplicemente, sfiorando poi la forma preziosa dei tuoi occhi con una carezza – L’ho imparato osservandoti … e so che un poeta non può essere un mostro, mai.
Neanche volendolo. –
 
Tremasti. Stavolta di più, in un modo che terrorizzò anche me. E proprio quando la prima, preziosa lacrima scivolò in silenzio sulla tua guancia all’improvviso, forse per nascondermela o per resistergli, tu mi abbracciasti forte, in un modo che non avrei mai creduto possibile. In una maniera che mai avrei sperato di attribuire a te.
Rompendo il muro del tuo orgoglio e del personaggio che avevi voluto creare di te.
Non so se piangesti davvero dopo. Non ci furono singhiozzi, né alcun altro suono che potesse aiutarmi a capirlo, solo il battito potente dei nostri cuori.
Ma per certo so che per la prima volta il bambino ferito, e non il 1st class né il disertore, venne da me, e chiese aiuto con quel semplice gesto.
Mi chiese indietro i suoi sogni, la sua innocenza perduta, ciò che restava del suo animo gioioso e profondo. E io, benché non avessi tra le mani nessuna di questa cose, lo abbracciai di rimando affondando il viso nell’incavo del suo collo e sorridendo tra le lacrime, il cuore scosso e confortato al contempo, promettendogli così almeno di aiutarlo a ritrovarli, o a rimetterne insieme i pezzi. Con la luna e le dolci colline di Banora, i suoi alberi di accidenmele a fare da testimoni mentre il fuoco che fino a poco fa mi ricopriva lentamente si estinse, lasciandomi brillare solo della luce lunare che mi ricopriva.
Non ho idea di quanto tempo durò.
Tremavamo entrambi quando infine riuscimmo a guardarci di nuovo negli occhi. Ti vidi sorridere, mi stringesti la mano e in silenzio ti sedesti sull’erba fresca e m’invitasti a fare lo stesso, tra le tue braccia.
Restammo, a guardare la luna e il cielo attorno ad essa.
Sgombro da nuvole.
 
- Tu non sai davvero nulla dei tuoi poteri? – mi chiedesti, dopo un po’.
 
Sorrisi, accarezzando sognante le dita di una tua mano. Scossi il capo.
 
- No … niente. – dissi semplicemente – Non so nemmeno perché sono qui. -
- Allora resta. –
 
Tornai seria, mi bloccai e smettendo di accarezzarti ti guardai, sollevando il capo. I tuoi occhi intensi e seri mi colpirono dritta al cuore.
Era una domanda seria. Aspettavi una risposta.
Ci pensai un attimo su, anche se in fondo non ne avevo affatto bisogno.
Era il mio destino, ciò per cui ero qui. Stare con te. Ma … non avrebbe potuto essere sempre tutto rose e fiori.
Sospirai, tornando a giocherellare con un filo d’erba mentre tu mi osservavi attento.
 
- Rinuncerai alla vendetta? – chiesi
 
Stavolta fu il tuo turno di riflettere.
E il silenzio fu più lungo di quanto avessi potuto credere. Tanto che alla fine dovetti tornare a guardarti risolvendo io stessa, contrariata.
 
- Io ti starò vicino ugualmente, qualsiasi sia la tua scelta. Ma non ti sosterrò, sappilo. – scossi il capo, cupa – Non posso farlo, aiutarti a distruggerti. Mi limiterò a sopportare il dolore con te. –
 
Ti vidi sorridere, osservandomi sempre più rapito.
 
- Ad una condizione però. Anzi, due. – aggiunse quindi, sollevando la mano destra con solo indice e medio alzati a pochi centimetri dal tuo naso.
 
Mi fissasti continuando a sorridere, divertito e intenerito.
 
- Quali? –
 
Sorrisi, ma a metà.
Non era propriamente il risultato che avevo sperato di ottenere, ma avrei sempre avuto una chance se ti fossi stata accanto. Era un inizio.
Neanche io sapevo ancora bene di quale sorta di lunga e complicata storia.
Tornai a guardarti seria, innamorata.
 
- Primo … - iniziai, lasciando in alto solo l’indice – Dovrai insegnarmi a usare i miei poteri, e a combattere come si deve. –
 
Il sorriso si trasformò in una risatina sommessa. Ne feci uno vispo, fingendomi contrariata.
 
- Non sono un SOLDIER, ma a quanto pare devo imparare almeno a difendermi se voglio rimanere sana e salva in questo folle mondo. –
 
Annuisti, inclinando la testa prima da un lato e poi dall’altro divertito.
 
- A quanto pare, si. – replicasti scherzoso, poi tornando a guardarmi chiedesti, curioso – E la seconda condizione? Quale sarebbe? –
 
Mi feci seria, tornando a guardarti negli occhi. Il mio sorriso si fece più nostalgico, sognante.
 
- E secondo … - inizia, sollevando in aria anche il dito medio - … dovrai leggermi Loveless. Recitarlo, solo per me. Almeno una volta al giorno. –
 
Ti sorpresi. Lo notai dall’espressione seria e dal guizzo curioso che all’improvviso apparvero sul tuo viso.
E subito dopo un sorriso fiero e divertito tornò a illuminarlo. Ci provasti, ma nel vedermi sorridere di rimando non ce la facesti a non ridere assieme a me, e un’allegria magica e dolce simile a quella che riempie le sere d’estate accorse rapidamente avvolgerci.
 
- Si può fare direi. Iniziamo domani, allora? – concludesti contento.
 
Io seguitai a guardarti, complice.
 
- Perché non facciamo stasera …? – chiesi, scoccandoti un occhiolino e avvicinandomi di più alle tue labbra – Tanto la sai a memoria, no? –
 
Un ghigno divertito, con le labbra sfiorasti le mie e un altro bacio mano a mano sempre più dolce e intenso ci coinvolse.
 
- In effetti, si … -


 
 Valery e Genesis ( Ringrazio davvero tantissimo Martina Ini per il disegno <3 :3 )
 
***

///Flashback///
 
Faceva freddo, quella sera.
Non molto, ma quanto bastava per rendere piacevole il calore e la luce di un camino acceso nel silenzio e nell’oscurità della notte.
Angeal Hewley, seduto al tavolo da pranzo della casa che lo aveva visto nascere e crescere, continuava a fissare in silenzio il piatto pieno di zuppa calda senza avere il coraggio e di assaggiarla, e neanche di alzare lo sguardo verso gli occhi tranquilli ma preoccupati di sua madre che lo osservava in silenzio, con un sorriso appena percepito sul volto.
La donna, i bianchi capelli raccolti in uno chignon sopra la testa e le spalle protette da una scialle di lana verde, appoggiò il cucchiaio di metallo sul bordo del piatto e sospirando allungo una mano verso la sua accarezzandola e sentendola tremare.
Angeal la ritrasse quasi subito, accorgendosi troppo tardi del suo gesto e sentendo il suo cuore riempirsi di angoscia e dolore, nell’incrociare la tristezza che all’improvviso adombrò il suo volto.
Sospirò, rompendo gli indugi e alzandosi.
 
- Scusa, mamma … - disse soltanto, abbassando gli occhi.
 
“Devo andarmene. Non ce la faccio a restare qui e a non pensare di volertelo chiedere.”
Gillian sorrise, continuando a mostrarsi calma. Si alzò e andò ad abbracciarlo.
Lo guardò negli occhi, sfiorò i suoi scostando una ciocca di capelli dal suo viso. In silenzio, senza dir nulla.
E lasciò che lui le prendesse le mani, stampando sopra di esse un soffice e commosso bacio prima di voltarsi e uscire, lasciando lì da lei la Buster Sword, l’unica cosa che davvero rappresentasse ciò che credeva di essere stato, tutto quello che lentamente stava scricchiolando e sgretolandosi sotto ai suoi occhi increduli.
Mancava solo il colpo finale, e lui non era ancora pronto a riceverlo. Non ancora.
Ma il tempo era sempre più poco e le condizioni del suo cuore sempre più instabili, tanto da fargli credere che prima o poi sarebbe precipitato all’inferno.
 
***
 
Midgar, Settore 0.
Quartier Generale della Shinra.
 
Altri due lunghi bip.
Il telefono squillò a vuoto ancora un altro paio di volte, infine Zack Fair lo richiuse nervoso e gettò all’indietro la testa, chiudendo gli occhi e appoggiandosi al soffice schienale di pelle del divanetto situato nella hall del piano SOLDIER, semivuoto.
“Perché non risponde?” protestò nervoso, passandosi una mano tra i capelli. “Prima Angeal, ora anche Valery … maledizione sorellina, dove sei finita anche tu?”
Sospirò di nuovo, rialzandosi e prendendosi il viso tra le mani.
Da quando Angeal aveva seguito Genesis nella sua diserzione, i tempi si erano fatti ancora più duri e lui aveva dovuto sostenere da solo lo sguardo a volte anche sospettoso dei suoi colleghi più giovani e di molti fanti.
“Meno male che almeno è rimasto Sephiroth …” avrebbe potuto dire.
E invece no, perché anche lui non sembrava averla presa molto bene, nonostante la guerra contro Wutai fosse stata un enorme successo per lui.
Ora più che mai Fair avrebbe avuto bisogno di un po’ di conforto, e invece si ritrovava sempre più solo. Rischiava quasi d’impazzire tanto a volte si ritrovava ad essere disperato.
 
- Hey, Zack! –
 
La voce un po’ roca e allegra di Kunsel lo raggiunse.
Riaprì gli occhi e lo vide scendere la scalinata e andare a sedersi proprio di fronte a lui, col suo solito sorriso sempre allegro sulle labbra e quel casco sempre calato sugli occhi.
 
- Stai bene? – gli chiese – Hai una faccia. –
 
“Bhe, direi. Il mio maestro è scomparso da giorni e quella che avrebbe potuto essere la mia ragazza prima o poi neanche risponde al telefono da quando gli ho detto che Genesis ha disertato.”
Avrebbe tanto voluto dirglielo, ma si trattenne.
Non era nel suo carattere, e comunque non era proprio il caso di fare sfuriate. Non avrebbe risolto nulla.
 
- Aaah! Mi sembra d’impazzire! – si lamentò, passandosi nuovamente una mano tra i capelli.
 
Il commilitone sorrise.
 
- Posso provare a capirti. – replicò, nel tentativo di consolarlo – Lo sai che ti dico? Penso che Angeal si farà di nuovo vivo, prima o poi. –
 
Zack alzò speranzoso lo sguardo verso di lui, trasformando subito dopo quell’espressione in una più angosciata.
 
- Lo spero anche io … - mormorò tornando a sospirare.
- E anche lei lo farà, porta pazienza … -  aggiunse l’altro, per poi battergli una pacca sulla spalla e rialzandosi riprendere la strada verso il dormitorio.
 
Zack annuì sovrappensiero, quindi all’improvviso parve accorgersi di ciò che aveva appena detto e si rialzò di scatto, sorpreso.
 
- Sul serio? Come fai a saperlo? – esclamò agitandosi.
 
Kunsel rise, scuotendo il capo.
 
- Le ragazze sono così, Zack. Tu dovresti saperlo. – replicò continuando a ridersela fino a sparire oltre la curva del corridoio che portava all’ascensore.
 
Rimasto solo Fair si sforzò di sorridere, ma quel che ottenne fu solo una debole smorfia poco convinta.
 
- Le ragazze sono così, eh? – sospirò, tornando a sedersi e incrociando le dita delle mani fra di loro.
 
“Sigh, non credo Kunsel. Non tutte. O almeno … non lei.”
 
///Fine flashback///


 
   
 
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