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Autore: Heihei    08/11/2017    1 recensioni
Bethyl-AU
Quegli stupidi degli amici di Beth sono determinati a rendere il suo diciottesimo compleanno memorabile, peccato che le loro buffonate la faranno restare bloccata in un brutto quartiere di una città sconosciuta, attualmente pattugliato dall'Agente Shane Walsh. Minacciata sia dagli agenti che dai criminali, dovrà rassegnarsi alla compagnia di un gruppo di zotici, tra cui un certo redneck particolarmente scontroso.
**Questa storia NON mi appartiene, mi sono limitata a tradurla col consenso dell'autrice**
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beth Greene, Daryl Dixon, Maggie Greeneunn, Merle Dixon
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ebbene, signori e signore, sono tornata dal regno dei morti. Vi chiedo immensamente perdono per il mio imperdonabile ritardo ma l'arrivo dell'autunno ha abbastanza scioccato anche me. Spero che abbiate ancora voglia di leggere la storia.
Almeno sono tornata con due capitoli, spero vi piacciano.
Baci :*



XXI. Brava Ragazza / XXII. Cattivo Ragazzo

 

Sulla via di casa, Beth non riusciva a smettere di sorridere.
Non era andata per niente come si aspettava, anzi: era andata molto meglio. Non aveva provato né a farla desistere, né a respingerla. Avevano parlato e si erano toccati come due persone normali e il modo in cui l’aveva baciata le aveva lasciato un sorriso permanente e una leggera instabilità dovunque mettesse i piedi. Realizzò solo in quel momento quanto fosse stata nervosa. Riusciva, in retrospettiva, a ricordare perfettamente tutte le preoccupazioni che avevano scosso il suo sistema nervoso, ma quando poi si era stesa nella tenda accanto a lui che, visibilmente brillo, era inciampato sulle sue stesse parole, l’ansia era completamente svanita.
Era stata contenta di stare con lui, rivedendolo finalmente sincero.
Erano davvero passate solo due settimane?
Ripensò alla sera in cui si erano conosciuti e a quanto le cose fossero cambiate da allora. Si era preoccupata così tanto per dove si trovavano, per quanti anni aveva, per quello che sarebbe potuto sembrare dall’esterno. Quando l’aveva preso in disparte per dirgli di prendere sul serio i suoi consigli si era aspettata di essere cacciata in malo modo; era una mossa avventata da fare e inizialmente non ci aveva neanche pensato su, non si era neanche chiesta perché si fosse sentita così sicura di sé. Si erano appena conosciuti, ma l’idea che avesse potuto fare qualcosa di pericoloso, che avessero potuto ferirlo o ucciderlo, le sembrava inconcepibile e, più di tutto, odiava che si sarebbe sottoposto con tanta facilità a quel tipo di rischio proprio perché pensava che non avrebbe fatto la differenza per nessuno.
Per esempio, a Merle importava. In fondo Daryl lo sapeva, ma del resto suo fratello non era poi così bravo ad esprimere ciò che pensasse a proposito. Alla fine, quando si trattava di prendersi cura di sé, Daryl era solo. Perché allora non avrebbe dovuto buttare via la sua vita? Che cosa aveva da perdere se non aveva mai posseduto niente?
Questi pensiero poteva leggerglieli in faccia, chiaramente scritti nei suoi occhi intensi e attenti. Lui credeva che a nessuno importasse, ma a lei importava. A lei importava di lui e per un po’ aveva anche pensato che fosse dovuto ad altro, aveva provato a convincersi di non voler stare con lui.
Non è il posto, né il momento, né l’uomo giusto, si era detta, e se l’era ripetuto un milione di volte. Ma poi la polizia aveva tolto la barricata, era libera di andare, ma aveva avuto paura di non rivederlo mai più.
Solo due settimane più tardi, erano arrivati ben oltre a quello che lei stessa avrebbe potuto immaginare. L’aveva tenuta stretta a sé con le sue mani livide, ispirando un desiderio di lei che ancora le faceva girare la testa mentre tentava di camminare su una linea retta verso casa. L’aveva lasciata andare e adesso aveva le vertigini e canticchiava mentre riviveva quei momenti nella mente e rievocava quelle sensazioni.
Ogni volta che provava a creare un paragone con le esperienze che aveva vissuto in precedenza doveva lasciar perdere. Stavolta è diverso, si diceva, ma non sapeva ancora cosa esattamente lo rendesse così diverso. Forse lui non immaginava neanche lontanamente quanto profondi e forti fossero i sentimenti che stava provando.
Ancora goffa per la stanchezza e per la sua mente che viaggiava altrove, Beth scivolò in cima alle scale, facendo cadere la borsa. La riagguantò con la mano non occupata dalle scarpe di Maggie e si rimise in piedi, trovando davanti a sé una porta aperta e sua madre in pigiama.
“Hey, sei tornata”, disse Annette sussurrando divertita. “Pensavo che volessi passare la notte da Maggie.”
“Volevo dormire nel mio letto. E poi domani mattina vorrei farmi una cavalcata prima che arrivi il caldo.”
Stava ancora sorridendo come un’idiota e poté vedere la bocca di sua madre curvarsi a sua volta, imitandola. Alzò lentamente le sopracciglia. “Ti sei divertita?”
“Mhmh”, Beth scrollò le spalle e l’abbracciò, circondandole la vita.
Annette ridacchiò tra i suoi capelli. “Lo prenderò come un sì.”
“Sono contenta di averlo fatto”, mormorò.

 


Mentre si dirigevano verso il pozzo più vicino, Daryl si liberò dei suoi guanti da lavoro- del resto le sue mani erano riuscite a sporcarsi comunque- ed estrasse una scheggia che era rimasta conficcata nella cucitura tra il pollice e l’indice. Dave e Tony, nel frattempo, chiacchieravano fragorosamente con le solite pale in spalla.
Avevano finalmente finito con la recinzione. Daryl aveva cominciato a lavorare all’alba, mentre loro, avendo fatto il turno di guardia notturno, avevano approfittato della mattina per dormire per qualche ora, anche se entrambi erano ancora intontiti e nervosi per la perdita di ore di sonno. Lui invece, tralasciando il mal di testa infernale e il fatto che avesse dormito davvero poco, non si sentiva così bene da un pezzo. Si era svegliato con il suo odore sui vestiti e, quando chiudeva gli occhi, poteva ancora percepire il suo tocco sulla pelle. Certo, si era sentito in colpa- soprattutto quando Hershel gli aveva dato il buongiorno ed era stato davvero difficile sciogliere la lingua per dargli una risposta- ma ciò non cambiava più di tanto il suo umore.
Anche per Beth era lo stesso? Pensò di sì, anche se magari non lo dava a vedere.
“Vorrei poter avere qualche ora in più per riposarmi dato che stasera dovrò sbattermi la donna di Hatlin”, disse Tony sbadigliando.
Dave si liberò la spalla dalla pala e cominciò a farla battere ripetutamente contro il terreno, alzando piccole ondate di polvere. “Sì, come no. Continuerai a farti le seghe fino a che non trascinerò il tuo culo grasso fuori di casa per farti conoscere qualche donna vera.”
Fu allora che il rumore degli zoccoli sul terreno distolse la sua attenzione dagli altri due braccianti: dall’altra parte del campo, Beth stava tornando dalla sua cavalcata. Il cavallo seguiva attentamente le sue istruzioni, conducendola sì nella loro direzione, ma ad una distanza accettabile. Fasci di luce del sole di mezzogiorno fuoriuscivano dai suoi capelli dorati, spezzandosi; i movimenti dell’animale e il modo in cui si teneva perfettamente in equilibrio sulla sella evidenziavano le sue curve sottili ma al contempo allettanti. Daryl si scoprì a fissare la curva della sua schiena, per poi scendere sempre più in basso, fino a raggiungere quel luogo perfetto in cui i suoi fianchi si allargavano.
“Sai, Daryl, dovresti venire con noi.” Tony agitò un braccio per attirare la sua attenzione. “Diventi un tantino aggressivo a volte, saresti utilissimo in una rissa”, aggiunse. Dave, di contro, sbuffò.
“No, grazie”, borbottò Daryl, voltandosi mentre Beth rallentava, facendo trottare il cavallo. Le stalle erano a una certa distanza da loro, ma erano abbastanza vicine da permettergli di intercettare uno sguardo dolce e contenuto mentre smontava con grazia dall’animale.
Tony cominciò a ridere. “Ormai è inutile provare a parlare con quest’uomo. È perso.”
In quel momento realizzò di essere letteralmente fottuto. Non avrebbe dovuto fissarla in quel modo, ma allo stesso tempo pensò che non avrebbe fatto nessuna differenza: né Dave né Tony ci stavano pensando più di tanto, erano troppo impegnati a fissarla a loro volta da quando era comparsa nella loro visuale.
Dave sghignazzò. “Hai mai voluto… infrangere le regole?”
“O la legge?” Anche la risata gutturale di Tony venne fuori non appena Dave gli rivolse un ghigno compiaciuto, con la lingua tra i denti.
Daryl serrò la mascella e le tempie cominciarono a martellargli il cervello con più violenza. Sapeva di non dover ribattere. Non poteva cambiare quello che pensavano di lei e rispondere avrebbe confermato le loro supposizioni. Erano già stati abbastanza incuriositi dalle sue risposte monosillabiche riguardanti il giorno prima, quando l’avevano vista seguirlo nei boschi per portarlo da Rick. In effetti, non doveva dire nulla. Non avrebbe aperto bocca.
“Hey!”, sbottò invece. “Attenti a come parlate.”
Merda.
Aveva parlato.
Tony indicò il bestiame. “Il fattore è lontano.”
Avevano capito male. Pensavano che gli avesse detto di chiudere le loro bocche larghe perché aveva a cuore l’idea che i loro culi luridi restassero al sicuro. Quello sì che era un grande errore.
Tornò a guardare Beth mentre stava entrando nelle stalle: la sua esile figura era tutta tesa per la cavalcata e le sue lunghe gambe erano fasciate da dei jeans aderenti.
“Nah, scordatelo.” Tony sembrò cambiare idea per un istante. “Troppo carina.”
Dave tossì. “Troppo carina?!”
“Sì. Quelle carine non hanno entusiasmo”, rispose l’altro roteando gli occhi.
“Potresti sempre farglielo venire...”
“Certo che potrei.”
Daryl doveva andarsene. Non poteva fare nient’altro. Non poteva farli finire col culo nel fango, né tantomeno poteva dirgli qualcosa senza tradire se stesso. Così si limitò ad allontanarsi, col sangue che gli ribolliva nelle vene. Mentre una mano strangolava il manico della pala che stava trascinando, l’altra era chiusa a pugno, con le unghie che gli affondavano nel palmo. Aveva bisogno di mettere due campi di distanza tra lui e loro, o anche solo sei metri. Quel tanto che bastava per non ascoltare le loro porcate. Purtroppo, però, non era ancora abbastanza lontano.
“...Ma di certo non mi aspetto una scopata eccezionale. Sarebbe solo l’ennesimo buco in cui scaricare lo stress, capisci?”
“Senti, anch’io apprezzo a pieno l’entusiasmo, ma per un viso come quello… non me ne fregherebbe un cazzo di quanto è esperta, compenserei io qualsiasi...”
L’istinto gli diceva di tornare indietro a minacciarli con la pala, ma la riportò al suo posto con uno scricchiolio del collo. Fece allora qualcosa di tecnicamente meno stupido, ma comunque abbastanza rischioso: girò i tacchi e si piazzò tra loro con irruenza, stringendo la pala con un braccio e portando l’altra mano sul petto gonfio di Dave.
“Dateci un taglio.”
I due uomini, davanti alla sua sollecitazione, smisero di camminare e s’irrigidirono sul posto, indossando entrambi la stessa espressione incredula. Dopo una breve pausa, Dave cercò di smorzare la tensione emettendo un accenno di risata, ma non funzionò. L’espressione di Tony, dapprima sorpresa, culminò lentamente in uno sguardo serio, che rivolse prima a Daryl e poi alla pala.
“Fai sul serio?”, chiese poi Dave con un’altra risatina.
“Non parlate di lei in quel modo.”
“Hey, amico, rilassati”, Dave alzò le mani in segno di sottomissione e cominciò a indietreggiare dal suo tocco. “Lasciaci respirare. Sai com’è, non è che ci sia molto da vedere qui intorno… che cosa c’è di male?”
“Che lei è una brava ragazza”, rispose con fermezza.
“È proprio quello che io stavo cercando di dire”, esordì Tony. “In un altro modo.”
“Sì, in un altro modo”, gli fece eco Dave, cercando lo sguardo di Daryl con un’espressione ambigua.
“Fareste meglio ad usare modi diversi allora”, ringhiò, prima di voltarsi e andare via da lì. Accelerò il passo per superarli il prima possibile, con il cuore ancora a mille.
Non avrebbe dovuto dire niente, ma era stato più forte di lui. Ascoltare Dave e Tony parlare di Beth in quel modo era decisamente oltre il limite e per di più non aveva in sé la capacità di fingersi calmo. Era passato molto tempo dall’ultima volta che era stato così sopraffatto dal desiderio di spaccare la faccia a qualcuno. Il fatto che avesse desistito dal prenderli a pugni, infatti, lo sorprese più di tutto il resto. Gli tremavano le mani, perché avrebbe voluto far loro del male. Prese una profonda boccata d’aria quando raggiunse il capanno e rimise la pala al suo posto. Mai come in quel momento avrebbe potuto desiderare che tutte quelle belle sensazioni ritornassero indietro. L’avevano fatto incazzare a tal punto che la cosa stava cominciando a sfuggirgli di mano. Era preoccupato, perché le uniche cose che stavano tornando indietro erano le vecchie voci della sua testa, venute a ricordargli che era esattamente come loro: era sporco; era un pezzo di merda e non poteva avere niente a che fare con lei. Si riscosse da quei pensieri con degli schiaffetti sulle guance. Aveva bisogno di rivederla, avrebbe messo a tacere quelle voci e si sarebbe sentito meglio.
L’avrebbe incontrata anche in quel momento, ma doveva darsi una ripulita. Grazie al completamento del lavoro alla recinzione, era tutto sporco di fango; per non parlare poi delle chiazze di sudore che il calore aveva disegnato su ogni regione del suo corpo.
“Hey, Dixon!”
Quando si girò, Daryl trovò Otis sulla soglia del capanno con un cipiglio preoccupato e una domanda negli occhi.
“Sì?”
“Va tutto bene?” L’uomo si tolse il cappello, spazzò via alcune perle di sudore sparse sulla sua fronte con una mano e si mise all’ombra. “Sembrava che stessi sul punto di fare a pugni Dave e Tony.”
Daryl non l’aveva visto da nessuna parte che fosse vicina a loro, cosa che significava che doveva aver assistito alla scena da lontano e che, di conseguenza, non aveva sentito niente.
“Hanno la bocca larga, questo è tutto”, mugugnò.
Otis, accontentandosi di quella risposta, annuì. “Ascolta, so che stamattina avevo detto che oggi avevamo bisogno di te solo per la recinzione, ma il fatto è che… è la stagione dei parti e non riusciamo sempre a prevedere queste cose. Ti dispiacerebbe continuare a darci una mano?”
Sì, ho da fare.
Provò a dirlo, ma finì col mordersi la lingua. Era una bugia fin troppo evidente, soprattutto se poi nel peggiore dei casi l’avesse beccato a vagare intorno alla fattoria apparentemente senza meta alcuna. Aveva detto a Beth che l’avrebbe cercata, ma avrebbero dovuto prevedere imprevisti del genere. Certe volte sarebbe stato più semplice vederla, ma altre avrebbero dovuto rimandare, anche solo per un paio d’ore.
“No, nessun problema.”

 

 

Prima di sistemarsi e farsi trovare, Beth aveva decisamente bisogno di una doccia. Pensandoci, valutò l’idea di portare con sé qualcosa da mangiare, magari un paio di sandwich. Si era preoccupata che la sua cavalcata potesse essere durata un po’ troppo a lungo, ma era tornata giusto in tempo per vedere Daryl e gli altri aiutanti finire il lavoro.
Sulla via di casa, incontrò sua madre. Stringeva qualcosa tra le mani. Lo alzò per farglielo vedere e le fece un cenno: era il suo cellulare. Istintivamente, lo cercò nelle tasche dei pantaloni e realizzò che, uscendo, doveva averlo dimenticato a casa.
“Che stai facendo?”, disse, inarcando un sopracciglio.
“Questa cosa mi sta facendo impazzire! Squillava e cinguettava in continuazione. Magari ora si sono arresi.” Annette, con le guance leggermente rosee, porse il telefono alla figlia e si fermò, con le mani sui fianchi e lo sguardo sospeso tra curiosità e apprensione.
C’erano due chiamate perse da Minnie e un messaggio da Karen: Minnie sta cercando di chiamarti per proporti una cosa. Dovresti accettare.
“È un ragazzo?”, chiese sua madre con una certa impazienza.
Scuotendo la testa, Beth trattenne una risata. “Sono solo le ragazze.”
La donna rilassò leggermente le spalle, ma le rivolse un sorriso furbo non appena incrociò il suo sguardo.
Non era da Minnie chiamare; tuttalpiù mandava messaggi. O stava succedendo qualcosa di importante, o stava solo cercando di attirare la sua attenzione. La richiamò passeggiando intorno alla casa, lanciando delle occhiate colme di sospetto ad Annette, che di fatto la stava seguendo nel palese tentativo di origliare.
“Hey Minnie.”
“Per favore, Beth, non essere noiosa”, le rispose atona. Qualsiasi cosa volesse chiederle, si aspettava un no come risposta. “Non ci vediamo da secoli e questo weekend hai l’occasione per rimediare.”
“Cioè?”
“Andiamo in campeggio al capanno di mio zio. Ha detto che è nostro per l’intero weekend.”
Anche evitando di pensare a Daryl, non le sembrava a prescindere un’idea chissà quanto entusiasmante. Sapeva già cosa aspettarsi. Non ci sarebbero state solo loro tre, ma anche altra gente; ragazzi e ragazze. Qualcuno di loro avrebbe portato da bere e probabilmente si sarebbero ubriacati tutti la prima notte, finendo tutto l’alcool e rimanendo senza un soldo e senza un minimo di voglia di andare a comprarne ancora. Qualcun altro avrebbe mentito ai suoi per essere lì e sarebbe stata un’ansia continua. Ancora, ci sarebbero state di certo due ragazze a contendersi lo stesso ragazzo e i ragazzi, invece, ci avrebbero provato con tutte. Per i suoi amici sarebbe stato sicuramente tutto molto divertente; a lei, al contrario, sembrava infinitamente sfiancante. Tra l’altro, aveva già permesso a Minnie di “farla diventare socievole” due settimane prima, ed erano finite nei guai. Aveva quindi un’altra buona ragione per rifiutare.
“Non posso mancare per tutto il weekend.”
“Sì che puoi.”
“No, non posso. C’è troppo lavoro da fare e serve che dia una mano qui. Magari posso raggiungervi domenica e fermarmi per un po’, forse.”
Non aveva alcuna intenzione di farlo, ma sperava che potesse bastare a non farla insistere.
“Beth, questa storia sta diventando ridicola.”
Il tono grave con cui Minnie aveva pronunciato quelle ultime parole la costrinse a trattenere un sospiro. Era già abbastanza nervosa per la presenza di sua madre che, in piedi proprio dietro di lei, stava ascoltando senza nessun tipo di scrupolo.
“Vuoi lasciarmi, allora? Parla chiaro.” Stava ridendo, ma era una risata strana, che se non fosse stata ben interpretata sarebbe potuta sembrare tranquillamente un urlo.
“Ascolta, non posso venire, ma sai bene che se anche avessi potuto non sarebbe stata una situazione adatta a me.”
“E che situazioni sono adatte a te? Che fai di solito?”
“Minnie, ti prometto che faremo presto qualcosa insieme, non arrabbiarti.”
“Io non sono arrabbiata”, rispose imitando lo stesso tono di Beth e sospirando, “è solo che Karen ha detto una cosa che mi stava facendo andare un po’ in panico per quanto è vera.”
“Cioè?”
“Ha detto che non si sorprenderebbe se non dovessimo vederti neanche al ballo.”
Dannazione. Se n’era completamente dimenticata.
“No, ci sarò.”
“Sul serio?! Quindi non sei davvero svanita nel nulla?”
“Verrò.”
“Hai un accompagnatore e tutto il resto?”
“Non lo so”, borbottò Beth. “Ma verrò comunque. Riservatemi un ballo.”
“Ma tu devi trovare un ragazzo. Io e Karen verremo accompagnate e sarà patetico se tu sarai da sola.”
“Mi farò un giro per la pista e ballerò con chi capita, che c’è di male?”
“È triste. Che ti succede, piccola spezzacuori? Prima rifiuti con crudeltà il mio povero cugino...”
“Sopravviverà”, roteò gli occhi.
“...e adesso vuoi dirmi che non c’è neanche un ragazzo single che ha il piacere di accompagnarti al tuo ballo di fine anno?”
Era ovvio che il ballo di fine anno sarebbe stato fin troppo per Daryl. Non potevano neanche ancora farsi vedere in pubblico, in realtà.
“Già, nessuno.”
“Regina di ghiaccio.”
“Ma pur sempre una regina”, rispose ridacchiando.
“Vieni al capanno. Ci sarà anche Luke e credo che dovresti dargli una seconda possibilità, o che dovresti dare almeno una speranza a quegli altri poveri fessi.”
Alla fine aveva voluto provarci per un’ultima volta. Sembrava disperata.
“No.”
Minnie sospirò pesantemente. “Ti presterò uno dei miei vestiti per il ballo.”
Quella sì che era una grande concessione, soprattutto se considerava il fatto che lei e Minnie avevano due atteggiamenti molto diversi in fatto di moda.
Dopo un paio di secondi di silenzio, Beth riuscì a malapena a sentirla sussurrare dall’altra parte della cornetta: “Barbie.”
“E va bene”, disse lei, combattendo un sorriso.
“Ok, sono soddisfatta.”
“Divertitevi, Minnie. Ora devo aiutare mia madre.”
Dopo aver riagganciato, rivolse ad Annette uno sguardo colpevole. “Non dovrei mentire, lo so… cercavo solo di evitare che ci restasse troppo male.”
Il braccio di sua madre le circondò le spalle, avvicinandola a sé. “Non hai mentito”, le disse con un ghigno. “Mi hai semplicemente letto nel pensiero. Mi serve davvero il tuo aiuto.”
“Oh, beh, io...”
“Io e Patricia stiamo indirizzando e riempendo tutte le buste per l’asta di beneficenza del mese prossimo. In tre saremo molto più veloci.”
Guardandosi indietro, Beth cercò di capire dove si fosse cacciato Daryl. Di ritorno dalla sua cavalcata l’aveva visto a malapena e lui aveva detto che sarebbe venuto a cercarla, ma sarebbe stato difficile se fosse rimasta in casa. Nonostante ciò, non riusciva a trovare una buona scusa faccia a faccia con sua madre e di Daryl non ce n’era ancora traccia. Magari non ci avrebbe messo tanto.
“Va bene.”
“Brava ragazza!”

 

 

Stringendo con più veemenza il maglione che le copriva le spalle, Beth approfittò del buio della sera per raggiungere il bosco. Era quasi mezzanotte. Per tutta la giornata aveva cercato di guadagnarsi un po’ di tempo libero e privacy per poter andare a cercare Daryl, ma la fattoria non ne aveva voluto sapere. Dopo aver aiutato sua madre e Patricia con le buste dell’asta di beneficenza era letteralmente scappata. Aveva visto Daryl aspettarla fuori alla finestra e sarebbe quasi riuscita a raggiungerlo, se non fosse stato per l’arrivo di Shawn. Daryl era scattato subito sull’attenti e l’ultima cosa che era riuscita a vedere dopo fu l’arrivo di un temporale; e con esso era arrivato anche suo padre a chiedere a Daryl di dargli di nuovo una mano con il bestiame.
Nonostante il temporale fosse finito da un pezzo, l’erba era ancora fradicia; mentre raggiungeva il campo più lontano, i suoi stivali venivano bagnati dalle pozzanghere e dai minuscoli ruscelli d’acqua rimasti sul terreno. Dal momento che erano stati impegnati e non erano riusciti a incontrarsi, aveva deciso di andare direttamente al suo campo.
“Hey!”, gridò una voce alla sua sinistra.
Beth, sobbalzando, si voltò e vide Shawn venirle incontro con in spalla il fucile antisommossa di Otis. Le indicò la direzione in cui stava andando, dritta verso il bosco. “Che pensavi di fare?”
Aveva completamente trascurato il fatto che ci fosse il turno di guardia notturno e, come se non bastasse, al posto degli altri aiutanti c’era Shawn.
“Io… io stavo… venendo a farti compagnia!” Il suo cuore sussultò quando realizzò che, dato che suo fratello l’aveva vista lì fuori, non avrebbe potuto raggiungere Daryl.
Suo fratello guardò di nuovo con sospetto la distesa alberata, inarcando un sopracciglio.
“…Mi sono quasi persa”, si coprì la bocca per soffocare una risatina nervosa. “Non riuscivo a trovarti.”
Dal modo in cui i suoi occhi la studiavano nell’oscurità, poteva dire di non essere del tutto sicura che se la fosse bevuta. In ogni caso, se avesse avuto il sospetto che quello fosse stato un tentativo per sgattaiolare fuori di casa di nascosto, non l’avrebbe chiamata.
“Come mai ancora sveglia?”, si strofinò gli occhi arrossati e represse uno sbadiglio.
“Non riesco a dormire”, sospirò lei. “Ti stanno facendo fare il turno di guardia da solo?!”
Shawn fece le spallucce. “Più che altro sono tutti stanchissimi. Dave e Tony l’hanno fatto la scorsa notte e oggi erano di nuovo qui per lavorare alla recinzione, mentre non voglio neanche immaginare quanto abbia lavorato Daryl. L’ultima volta che l’ho visto si stava ancora ripulendo i capelli dalla placenta di mucca. Poi Otis e Patricia devono andare in città domani mattina...”
“Avrebbero potuto chiedere a me”, rispose Beth mordendosi un labbro.
Effettivamente, era abbastanza strano che non glielo avessero chiesto. In genere non volevano che qualcuno facesse il turno di notte da solo.
Shawn si limitò a scrollare di nuovo le spalle. “Credo che mamma sperasse che tu cambiassi idea sulla proposta delle tue amiche.”
Beth sospirò pesantemente. I suoi genitori non erano stati molto invadenti, ma era chiaro che fossero preoccupati per il comportamento introverso che aveva assunto negli ultimi giorni e, se stavano riducendo addirittura le sue mansioni domestiche nella speranza che andasse a divertirsi, allora erano davvero in pensiero. Molto più di quanto lei stessa avesse voluto.
“Ammettilo, sorellina, prima ero io ad allontanare i ragazzi da te…”
Stava esagerando, ma era comunque vero che Shawn aveva esternato più volte- spesso solo per il piacere di farla arrabbiare- le sue tendenze iperprotettive, soprattutto nel periodo in cui aveva frequentato Jimmy.
“…Ma ultimamente sei diventata così brava a respingere le persone che sto seriamente pensando di non dovermi scomodare più.”
“Io non sto respingendo le persone”, Beth si appoggiò alla nuova recinzione. “Ci siamo solo allontanate; siamo diventate troppo diverse.”
Per un attimo Shawn aggrottò la fronte, ma poi annuì lentamente.
“Non è che non mi piacciano più le mie amiche, è solo che… i miei interessi sono cambiati.”
Suo fratello le sorrise. “E quali sono i tuoi nuovi interessi?”
I cavalli. La musica.
Un uomo più grande...

“Forse sono sempre stati diversi dai loro”, rispose alla fine con un sorriso a denti stretti.
“Odio vederti crescere”, si lamentò Shawn, battendo il fucile antisommossa contro il suo fianco mentre si appoggiava a sua volta alla recinzione.
“Scusa”, disse lei ridendo.
Lui scosse la testa. Il suo volto al chiaro di luna era ancora più pallido. “Mi fa pensare che dovrei andarmene e diventare adulto anche io.”
Aveva parlato come se le avesse confessato chissà quale tragico segreto.
“A proposito, ci sono novità?” Beth stava ancora cercando di elaborare mentalmente un piano per sfuggirgli e andare da Daryl, ma allo stesso tempo era da tempo che sperava di poter aprire l’argomento con suo fratello. “Non ti sto rimproverando”, disse poi. Aveva ammorbidito il tono, riducendolo a poco più di un sussurro. “So che fa schifo non sapere cosa vuoi fare, però sappi che in fondo non c’importa cosa sceglierai; ci basta che tu sia felice.”
Shawn respirò profondamente; lo sguardo ancora lontano da lei. “Sì, ma ora credo di saperlo”, disse atono. Non era suonata come una rivelazione, né tantomeno come una vittoria. Sembrava sconfitto. “Ho già mandato una serie di mail ai grandi capi e sembra che io possa tornare, anche se dovrò farlo strisciando e con il doppio del lavoro da fare”, cercò di forzare un sorriso.
“Non mi sembri molto felice”, ribadì lei aggrottando le sopracciglia.
Shawn aprì la bocca per risponderle, ma si fermò all’improvviso, alzando la canna del fucile in direzione degli alberi.
Con molta nonchalance, Beth osservò quella fitta linea buia: qualcosa si stava muovendo nell’oscurità. Qualcosa di grande. Poteva essere un lupo, o magari…
“Shawn, forse è solo un procione”, si alzò di scatto per abbassare la canna dell’arma.
Suo fratello scosse la testa, levando il fucile dalla sua portata e ritrovando il suo obiettivo. “È troppo grande.” Grattò i denti mentre fece scivolare il dito sul grilletto.
Nel frattempo, l’ombra tra gli alberi si fece più vicina. Visibilmente teso, Shawn tirò un respiro profondo.
“Aspetta!”, gridò Beth mentre premeva il grilletto.
Con un forte tonfo, in un batter d’occhio la pallottola di gomma aveva colpito il suo bersaglio, che cadde con un grido selvaggio.
“DARYL!” Beth urlò ancora e cominciò a correre verso il bosco.
“Daryl?!”, Shawn, incredulo, le fece eco.
Quando lei lo raggiunse, stava cercando di rimettersi in piedi; in una mano stringeva la pallottola di plastica che doveva aver trovato a terra dopo essere stato colpito. Gli afferrò un braccio.
“Stai bene?”
“Sì, sono a posto”, mugugnò lui mentre si alzava, aiutandosi con la stessa mano in cui stringeva la pallottola.
Shawn li raggiunse dopo poco. Sinceramente dispiaciuto, aveva le braccia incrociate in petto. Il fucile era rimasto alla recinzione.
“Daryl! Ma che ci facevi qui fuori?! Mi dispiace così tanto, non riesco a crederci...”
“Dove ti ha colpito?”, Beth non riuscì a vedere alcun segno di rossore; doveva aver colpito qualche parte meno visibile.
“In petto, ma sto bene”, mormorò.
“Shawn, dammi la tua torcia”, sollevò la mano verso suo fratello che, ancora dispiaciuto e mortificato, le obbedì. “Lascia che dia un’occhiata”, disse poi a Daryl quando cominciò a protestare.
Restò a fissarlo finché non le diede il permesso e illuminò con la torcia lo spazio tra di loro. A un certo punto si arrese e cominciò, senza guardarla, a sbottonare i primi bottoni della camicia, in modo che la luce illuminasse il suo pettorale destro. Grazie a quel bagliore Beth poté notare un alone gonfio e livido.
“Le costole?”
“Stanno bene”, disse lui allontanandosi sia da lei che dal fascio di luce.
Non era molto sicura di credergli. “Andiamo”, rispose, invitandolo a seguirla e restituendo la torcia a Shawn.
“Dove stiamo andando?”, Daryl osservò nervosamente sia lei che il fratello.
Beth gli indicò le stalle. “Abbiamo dei linimenti super-efficaci per i lividi.”
“I linimenti equini?!”, Shawn fece una smorfia. “Non è un cavallo, Beth.”
Lei roteò gli occhi e strinse il polso di Daryl, guidandolo. “E non è neanche un lupo, Shawn.”
“Aspetta, ferma! Le regole!”, ribatté lui alzando la voce. “Devo venire anch’io!”
“Da quando sei papà o Otis?”, Beth si voltò di nuovo. “Rilassati, è solo Daryl”, aggiunse, con il cuore che le galoppava in petto.
La sua famiglia lo adorava, ma non sapeva fino a che punto Shawn avrebbe lasciato correre.
“Beh, sì”, disse infatti scioccamente, ma aveva conservato quel rossore in viso che lasciava intendere benissimo che stesse cercando un altro motivo per cui lei non potesse andare da sola con Daryl alle stalle.
“E poi tu devi restare qui”, continuò lei indicandogli il fucile antisommossa. “Qualcuno deve pur stare di guardia e io non ho mai sparato in vita mia. Se mai un lupo si dovesse avvicinare e io fossi lì in piedi con quella cosa in mano, riuscirei solo ad urlare e a spararmi sui piedi.”
“E va bene”, mormorò. “Daryl, non puoi capire quanto mi dispiace.”
“Andiamo”, disse ancora Beth, che nel frattempo aveva ripreso a respirare con più calma.
Si erano dalla postazione di guardia e avanzavano verso le stalle. Era abbastanza buio che non riusciva a vederlo, ma quando Shawn fu sufficientemente lontano la mano di Daryl scivolò sulla sua e la strinse forte, quasi facendole male. Lei la strinse a sua volta.
“Credi che si dimenticherà di chiedermi cosa ci facessi là fuori?”, si voltò a guardarla.
“Speriamo.”
Beth smise di camminare. Erano abbastanza lontani da essere fuori dal raggio visivo e uditivo di chiunque, così si sentì al sicuro quel tanto che bastava per alzarsi sulle punte e baciarlo velocemente sull’angolo della bocca. Sentì un soffio al cuore quando lui ricambiò in silenzio e avvertì il distendersi sulla sua pelle di una patina di tensione non appena la sfiorò.
“Mi sei mancato oggi”, sussurrò.
“Forse avremmo dovuto capire che non sarebbe stato così semplice”, rispose lui grattandosi il collo e guardandosi i piedi. “Scusami, non me ne sono andato.”
“Tranquillo, hanno preso in ostaggio anche me.” Beth sapeva che, per la situazione in cui si trovavano, non potevano farci niente. “Ma a proposito… che ci facevi qui fuori?”
Si era già fatta una mezza idea, una mezza idea che al solo pensiero le faceva venire i brividi e la costringeva a torturarsi il labbro inferiore.
“Stavo… venendo fuori casa tua. Ti avrei lanciato una pietra sulla finestra o qualcosa del genere. Alzò gli occhi al cielo e poi li posò sulle sue labbra.
“Io stavo venendo a cercarti”, ammise lei combattendo un ghigno.
Si rialzò sulle punte, ma stavolta fu lui a baciarla per primo, cogliendola di sorpresa, con più foga di quanta se ne aspettasse. Chiuse gli occhi e divenne subito consapevole di quanto i loro corpi fossero vicini; teneva i fianchi stretti ai suoi e una mano fermamente posata sulla sua guancia; l’altro braccio le saldava la vita, spingendola ancora più vicina sé, facendole perdere il fiato. In qualsiasi punto in cui le loro pelli nude fossero a contatto, si beò della serenità e della sicurezza del suo calore. Le sue labbra la massaggiarono poi con più delicatezza, come se si stesse ancora trattenendo, come se stesse ancora prestando attenzione a come la toccava. C’era di nuovo controllo nei suoi movimenti, mentre quello di Beth si sgretolava gradualmente ad ogni tocco. Aveva le mani intrappolate tra i loro corpi, così girò i polsi e poggiò i palmi alla sua camicia, stringendola, e facendo combaciare ancora di più i loro corpi.

 

 

Qualche volta, da bambini, era capitato che i fratelli Dixon si ritrovassero in una chiesa insieme ai loro nonni prima che andassero tutti, ad uno ad uno, in Paradiso. O almeno così diceva la chiesa.
Daryl non aveva mai avuto molto tempo per fermarsi a contemplare Dio; era Merle quello più interessato a quel genere di cose, e allo stesso tempo quello più lontano da quei principi, quindi il più bravo a nascondere quelle inclinazioni. Nelle ultime settimane, però, Daryl aveva ricominciato ad andarci.
I Greene erano molto osservanti e praticanti del culto, e quindi la domenica era per forza il giorno del Signore: i lavori erano ridotti alla cura e al nutrimento degli animali, quelli più impegnativi, a scanso di emergenze, avrebbero dovuto aspettare il lunedì. Ogni settimana il fattore e la sua famiglia occupavano il loro solito posto, un po’ troppo lontano dall’uscita per i gusti di Daryl. Annette ed Hershel erano rigorosamente sempre l’uno accanto all’altra, e approfittavano della vicinanza per tenersi la mano. Beth era quasi sempre dietro di loro, con suo fratello accanto (quando c’era). Grazie alle pressioni dei suoi, alla fine il ragazzo era tornato a studiare medicina.
Daryl prendeva posto nel lato posteriore della cappella, dove poteva arrivare abbastanza tardi perché nessuno lo notasse e andarsene abbastanza presto affinché nessuno commettesse il terribile errore di mettersi a parlare con lui. Non che dovesse preoccuparsene più di tanto. Ormai aveva assunto un’aria che teneva perennemente la gente a distanza; i più, quando si accorgevano di lui, si limitavano a storcere il naso con tutto lo sdegno possibile davanti al suo aspetto trasandato e ai suoi sporchi, logori abiti da lavoro.
La prima volta che aveva messo piede in quel posto era stato il giorno dopo il ritrovamento di Penny. Aveva pensato che fosse uno di quei luoghi in cui in genere si va quando succedono le cose belle; come una bambina che sfugge alla tempesta e ritorna a casa con suo padre; come Hershel che l’aveva chiamato “manna dal cielo”. Fondamentalmente, però, continuava ad andarci ogni settimana per ascoltare la voce di Beth.
Ebbene, la piccola Greene aveva una bella voce. Dolce e pulita, ma molto più forte di quanto ci si potesse aspettare da una piccola donna. La distingueva con estrema facilità dalle altre cantanti della piccola comunità, perché era riuscita, dalla prima volta che l’aveva sentita, a spazzare tutto via. Fermava il tempo con un paio di note e tutto diveniva improvvisamente così calmo. Amava sentirla cantare.
Comunque, dopo la chiesa aveva aiutato Otis a spostare una scorta di medicinali dal fienile a un capanno dove sarebbe rimasta a riparo dal caldo. Era un lavoro semplice, che mai avrebbe concepito come un’emergenza, ma quel finesettimana era stato particolarmente afoso. Finito il lavoro, al posto di ripararsi all’ombra, si sedette a terra per un po’, pur non essendo così tanto sicuro di stare comodo. Sentiva le gocce di sudore percorrergli tutta la spina dorsale, quando il vecchio cane che girava sempre intorno al fienile venne a fargli visita. Lavorava alla fattoria Greene da quasi un mese e non aveva ancora mai avuto l’occasione di averci a che fare.
“Hey bello, vieni qui”, mormorò, allungando due dita ruvide verso l’animale spelacchiato nella speranza di farlo avvicinare.
Gli venne incontro con la lingua che gli penzolava fuori dalla bocca e, quando fu abbastanza vicino, cominciò ad accarezzarlo. Era piuttosto avanti con l’età; le grandi zampe e le unghie spesse avevano lasciato le loro impronte nel sentiero polveroso. Aveva una targhetta dove erano indicate tutte le informazioni utili, tra cui il nome e l’indirizzo della fattoria. Stando a quello che c’era scritto, si chiamava Mark Greene.
Mark?!”, borbottò.
“È il diminutivo di On-Your-Mark”, spiegò la voce di Hershel.
Fino a quel momento Daryl non si era neanche accorto della sua presenza, ma a quanto pareva il fattore aveva appena girato l’angolo, spuntando da dietro al fienile. Con i suoi abiti da chiesa sembrava meno rigido rispetto a quando lavorava. Considerando che l’aveva quasi sempre visto ricoperto di sporcizia animale- era sempre molto partecipativo quando si trattava delle esigenze mediche dei suoi animali- , era proprio un altro Hershel.
Dopo averlo studiato, si voltò nuovamente verso il cane, lisciando il suo pelo ispido e arricciato. Istintivamente scivolò sulla sua bocca sporca di fango e prese ad accarezzargli la testa.
“Non sembra poi così tanto un cane da corsa(*)”, osservò.
“Beh, forse un tempo lo era. Ora di certo non più.” Hershel si avvicinò ai due e il cane si allontanò da Daryl per accucciarsi con più allegria accanto al suo vero padrone. “È stata la mia Bethy a chiamarlo così, ma non le ho mai chiesto come le sia venuta in mente una cosa del genere. Era un randagio; lei e sua sorella lo trovarono anni fa durante una cavalcata. Le seguì fino a casa e sembrava che non avesse avuto una vita facile prima di incontrare noi”, disse grattandogli il collo. Il cane tirò ancor più fuori la lingua in segno di apprezzamento per poi alzarsi andare via, probabilmente in cerca di un po’ d’ombra.
“Questa storia vale anche per gli altri cani?” , chiese Daryl a quel punto. In effetti, non c’erano così tanti cani intorno alla fattoria dei Greene, o almeno non quanti ce n’erano nelle altre fattorie in cui aveva lavorato, che avevano invece una sorta di branco completo e ben assortito. La cosa più strana era che non avessero i tipici cani da fattoria; erano di razze insolite ed erano perlopiù quasi tutti anziani e passivi, poco utili in caso di necessità di difendere la proprietà.
“Sì”, Hershel annuì, “ma Mark è l’unico randagio che abbiamo. Gli altri vengono dai canili...” Si mise le mani in tasca e cominciò ad osservare lo spazio circostante con un sorriso pensieroso, ma velato di dolore. “Essendo cresciuto qui, tutto quello che volevo fare all’inizio era scappare via. Alla fine, però, questo posto si è rivelato essere esattamente quello giusto per me. Forse negli angoli più reconditi della mia mente ho sempre voluto trasformarlo in un luogo in cui guarire.”
Anche se avesse saputo come rispondere a quello che gli aveva appena detto, Daryl non sarebbe comunque riuscito a sciogliere il nodo che gli impigliava la lingua. Una parte di lui voleva continuare a fingere che stessero solo parlando di cani, almeno finché Hershel non avesse smesso di starsene lì ad osservarlo. Non aveva mai amato che le persone cercassero di capirlo e forse non gli era neanche mai capitato, eppure nelle ultime settimane si era frequentato quasi tutti i giorni con gli occhi di Beth, così grandi, azzurri e privi di ogni giudizio, e con la sua voce delicata pronta a fargli ogni tipo di domanda sulla sua vita, su dove fosse stato, su cosa avesse fatto e come si fosse sentito. Tutte cose a cui nessuno si era mai interessato. Quasi sempre era stato restio a soddisfare le sue curiosità e lei quasi sempre lasciava perdere, ma sapeva che la sua era solo una strategia temporanea: se avesse continuato così, non ci avrebbe messo molto a denudarlo e a scoprirlo per l’anima a pezzi qual era.
Hershel almeno era meno diretto. Non gli servivano così tante risposte. Probabilmente era anche conscio del fatto che il soggetto che aveva innanzi avesse una serie di difficoltà a intavolare una conversazione, ma anche se si limitava ad osservarlo, sotto quello sguardo Daryl vacillava un po’. Il fattore si fidava di lui, certe volte pareva addirittura che gli piacesse, ma sapeva perfettamente che non sarebbe stato dello stesso avviso se solo avesse saputo che stava combinando con sua figlia.
“Il fatto è che, Daryl, a breve staccheremo per riposarci un po’… però, grazie a quegli sconsiderati dei nostri vicini, il branco è ancora nei paraggi”, disse con un sospiro.
Negli ultimi giorni altre due fattorie avevano perso degli animali. Una aveva lasciato che un paio di polli vagassero per il bosco - così, pronti ad essere sbranati - e l’altra aveva perso una pecora. Quasi sicuramente l’uomo che era di guardia doveva essersi addormentato.
“...Abbiamo ancora bisogno della sorveglianza notturna e ci sono sempre le mansioni ordinarie da svolgere, ma non ci sarà molto altro lavoro extra da fare per il momento. Che ne diresti di restare ancora, a tempo indeterminato?”
Non ci avrebbe neanche mai sperato in una richiesta del genere.
Guardando al futuro, aveva pensato che una volta finito il lavoro sarebbe rimasto nelle vicinanze per stare con Beth, sempre se Hershel non l’avesse prima ucciso. Se avesse scoperto quello che stava combinando, l’avrebbe sicuramente sparato con qualcosa di molto più dannoso di un fucile antisommossa. Comunque, non avrebbe mai immaginato che gli avesse potuto chiedere di restare.
Nessuno restava. Tra gli altri aiutanti, Otis era l’unico che poteva dire di lavorare lì da più di qualche mese ed era il solo a poter contare di farlo. Dave e Tony stavano già pensando di andarsene, forse anche prima di quanto avevano detto ad Hershel. I turni di guardia notturni, a detta loro, influivano negativamente sul loro divertimento. Anche gli altri due aiutanti che non conosceva granché, Len e Lou, sembrava non vedessero l’ora di andarsene.
Terribilmente in colpa e a disagio, Daryl si rese conto che da quando gli aveva fatto quella proposta non aveva fatto altro che fissare il terreno tra di loro, con le spalle ricurve e le mani inchiodate nelle tasche.
“Umh… sì”, annuì con un colpo di tosse.
Merle, anche se privo di ogni tipo di sincerità, avrebbe detto qualcosa di più convincente, del tipo: “Sì, grazie, mi piacerebbe molto”, ma in quel momento non riusciva a partorire neanche una parola decente, figuriamoci una frase o anche solo qualcosa che vi somigliasse. Deglutì e annuì più vigorosamente quando notò che il fattore stava continuando a fissarlo, stavolta con un piccolo sorriso sulle labbra.
“Fantastico”, disse. “Allora continueremo a vederci.”

 

 

Pensava a lei in continuazione e, pur se all’inizio la cosa era stata abbastanza controllata, col passare dei giorni la cosa era peggiorata.
Quel giorno aveva trascorso un bel po’ di minuti a fissarla senza dire niente, immerso nel pensiero che non le importava davvero un cazzo se il suo bel vestitino della domenica si fosse sporcato tutto di fango. Era stesa esattamente come il primo dei loro soliti spuntini nel bosco, con le gambe nude e la gonna dell’abito blu poggiati sul terreno e la testa e le spalle a riposo sulla sua pancia. Ricoperto da una cascata di ciocche dorate, cercò la sua mano, stringendola e lasciando che l’altra rimanesse lì sul suo ventre, a disegnarle una linea immaginaria che non proseguì oltre le costole.
“Oggi ti ho visto”, disse Beth.
“In chiesa?”
Non le aveva mai detto di esserci andato, né le aveva mai chiesto se l’avesse notato. La sua speranza era proprio quella di non essere visto, era una prospettiva molto vantaggiosa.
“Sì. Avresti potuto sederti con noi.”
“Mh, non credo”, borbottò osservando le loro mani intrecciate.
Non c’era esempio migliore per dimostrare quanto fossero diversi. In quel groviglio di dita, le sue- così angeliche- erano strette a quelle di un disastro umano. Ogni cosa di lei era morbida, snella; il suo tocco lento e sensuale. Lui, al contrario, non riusciva a contare tutte le volte che era stato rude, pesante, avido. Aveva le mani enormi e ricoperte di cicatrici, le nocche e i palmi perennemente gonfi per tutto il lavoro a cui erano stati sottoposti, callosi così come le dita. Beth li cercò con i suoi piccoli polpastrelli, accarezzandoli dolcemente e disegnando linee trasparenti sulla sua pelle ruvida che, ovviamente, si era rovinato da solo. Era troppo testardo e scocciato per mettere mano ogni volta al carichino e a tutta la roba che serviva a caricare la balestra; quindi ogni volta la ricaricava manualmente, e la corda lasciava i suoi segni.
“Perché no?”, gli chiese tranquillamente, con il suo solito tono pacato e paziente.
Già sapeva quale sarebbe stata la sua risposta, ne era sicuro. Voleva solo sentirsela dire. Più tempo passavano insieme, più imparava a capirla.
“Lo sai.”
“…Qui tutti ti adorano, Daryl.”
Non gliel’aveva mai detto, ma sapeva che lei era fin troppo intelligente da averlo capito. Si sforzava parecchio a nasconderlo, ma era la stessa cosa che preoccupava anche lei. Lui lo vedeva: anche lei si sentiva in colpa.
D’un tratto, sull’albero di fronte a loro, comparve uno scoiattolo. Agitando quella coda lunga e soffice, aveva attraversato metà del suo percorso, per poi fermarsi. Se avesse proseguito probabilmente sarebbe sopravvissuto, ma la sua esitazione gli diede il tempo necessario per sfoderare il suo coltello da caccia, prendere la mira e lanciarlo.
Quando sentì il suo corpo contrarsi, Beth sobbalzò. Daryl le stringeva ancora la mano, ma l’abbandonò per rimettersi seduta e osservare il cadavere dell’animale, con il coltello conficcato nel collo.
“Hai davvero appena ucciso quello scoiattolo?!”
“Ho davvero appena ottenuto il mio pranzo della domenica”, Daryl si alzò da terra e andò a recuperare la sua preda, estraendo il coltello dal tronco.
Quando si voltò, Beth era in piedi di fronte a lui, più vicina del previsto, appena sopra la sua spalla. Lo scrutava con la testa leggermente inclinata, senza dire niente.
“Hey, anch’io devo mangiare”, disse allora a sua discolpa.
“È stato… incredibile! Mi fai vedere come si fa?”
Allungò lentamente la mano sul suo coltello, così piano che avrebbe avuto praticamente tutto il tempo per allontanarla se solo avesse voluto, ma lasciò che quella mano arrivasse a chiudersi sulla sua, che ancora stringeva il manico, e che si scambiassero i ruoli: Beth strinse l’impugnatura, mentre la mano di Daryl scivolò sul suo polso e sentì, sotto le sue dita fantasma, il suo battito accelerato. Conservò lo scoiattolo e si mise alle sue spalle, invitandola a fare qualche passo indietro posandole una mano sull’anca.
“Ok. Tieni lo sguardo sul segno che ho lasciato nel tronco”, le disse controllando più volte che la distanza da cui la stava facendo tirare non fosse troppo difficoltosa.
“Lo sto tenendo bene?”
Aveva un buon istinto di base. Dovette a malapena sistemarle le dita sul manico del coltello, ma fece con calma. Gli piaceva stringerla in quel modo. I suoi capelli profumati gli finirono in faccia, impigliandosi nella sua barbetta. Strinse il suo fianco con più forza, avvicinandola. Vide la sua schiena arcuarsi mentre si voltava, con un piccolo sorriso a stento visibile da dietro la sua spalla. Sospirò lentamente, pronto a mandare completamente al diavolo quella lezione improvvisata.
“Fai ruotare il polso e mettici un po’ più di forza quando alzi il pollice. A questa vicinanza non avrai bisogno di un grande slancio. Così...”, guidò il suo braccio nel movimento che per lui era più comodo, per darle un’idea. Poi cercò di farle capire quale fosse il momento in cui doveva lanciare il coltello.
“Così?”
“Esatto. Adesso provaci”, la esortò, osservandola con un occhio solo, essendo ancora coperto dai suoi capelli. Quando trovò il suo orecchio, lo sfiorò volutamente, lasciandovi una scia umida con le labbra.
Beth ridacchiò. “Così non riesco a concentrarmi.”
“Hum”, si tirò indietro di pochi centimetri.
La vide inspirare profondamente, gonfiando visibilmente il petto. Quando espirò, alzò il braccio e lanciò il coltello. Centrò in pieno il segno che aveva lasciato quando aveva ucciso lo scoiattolo, ma non sapeva ancora come sfruttare il peso: la lama non colpì bene il tronco e cadde ai piedi dell’albero.
“La mira è più che decente”, le disse, superandola per andare a recuperare l’arma.
“Posso riuscirci!”, lo seguì frettolosamente per farsi restituire il coltello. Determinazione e sicurezza infuocavano i suoi occhi chiari, illuminandole il volto.
Prese la mira e lanciò di nuovo l’arma, che stavolta si conficcò perfettamente nel tronco ma mancò il bersaglio per pochi centimetri.
Daryl si appoggiò a un altro albero a supervisionare gli altri tentativi. Quando Beth era così spensierata e sorridente era facile dimenticare tutto ciò che c’era di sbagliato tra di loro; ciò che c’era di sbagliato in lui. Era chiaro che non le piacesse mentire alla sua famiglia, ma sapeva meglio di lui che avrebbero dovuto farlo chissà per quanto tempo ancora. Aveva sperato di riuscire a farne a meno, di assumersi le sue responsabilità quando la situazione stava cominciando a precipitare. Lei non meritava di star male a causa sua e tutte le volte che ci pensava non riusciva a fare altro che riflettere su come evitarlo, su cosa fare per proteggerla. Era come se lei stessa avesse dato un senso a tutta quella situazione, come se avesse trovato un modo tutto suo per spazzare via tutti quei brutti pensieri. Bastava che lei gli dicesse che era felice quando stava con lui e già pensava di rivederla ancora, ogni giorno. Eppure una parte di lui continuava a dirgli che volerla vicino quando sapeva che non era la cosa giusta da fare era da perfetti egoisti.
La verità era che non si era mai sentito così prima. Era già successo che si fosse sentito forte, in pace o in tanti altri modi a cui non era abituato, ma non era mai stato felice. Tutta la merda che aveva avuto sempre intorno nella vita era ancora lì e si faceva sentire, ma era come se non contasse più quanto contava un tempo. Non gli importava, o almeno non gli importava in confronto a quanto gli importasse di lei.
C’erano stati molti momenti di silenzio in cui aveva provato a pensare alle parole giuste da dirle, o a costruire pensieri coerenti su ciò che sentiva, ma puntualmente, quando lei faceva la sua parte e cercava di scalfire la sua anima tormentata, gli veniva automatico non rispondere. Perlopiù si sforzava di resistere a qualsiasi cosa lei facesse, perché lo tentava.
Poggiato al suo collo, con le mani sporche ed egoiste spalmate sul suo corpo, le aveva scostato i capelli e aveva inalato il suo odore, facendo tutto il necessario perché gli restasse addosso. Voleva che quel profumo diventasse parte di lui, voleva sentirlo anche quando sarebbero tornati ai loro mondi distinti e separati.
Se fosse stato il tipo di uomo che faceva domande, se non avesse avuto problemi a ficcare il naso negli affari degli altri almeno quanto lei, avrebbe avuto il fegato per chiederle cosa diavolo ci trovasse in lui e, più se lo chiedeva, più si affermava la consapevolezza di quanto una parte di lui avesse bisogno di lei, o almeno così sembrava. Stava addomesticando l’animale che era in lui. Senza di lei sarebbe stato comunque in piedi, avrebbe proseguito per la sua strada, ma sapeva che quella parte di lui sarebbe morta di fame. E voleva tenerla in vita.
Era davvero difficile, invece, credere che Beth potesse avere bisogno di uno come lui. C’erano mille buone ragioni per cui sarebbe stata meglio da sola, ma non voleva. Per chissà quale motivo quello che desiderava era stare con lui. Quella almeno era la prova schiacciante che in fondo anche lei era umana, che non era solo un angelo o un bel sogno da cui si sarebbe svegliato. Beth non era perfetta. Come ogni essere umano, viveva compiendo sbagli di cui si sarebbe pentita. Daryl, al contrario, non si faceva illusioni: sapeva che era un errore.
D’un tratto, Beth esultò alzando entrambe le braccia, trionfante come una ginnasta nel suo momento di gloria: “Ci sono andata vicinissimo!”
Combattendo una risata, Daryl andò a recuperare il suo coltello. “Hai del potenziale, Greene.”

 

 

Stavano cadendo in una certa routine e Beth non poteva che esserne felice, anche se avrebbe di gran lunga preferito evitare di mentire in continuazione e che la sua famiglia approvasse.
Stavano tornando alla fattoria e, mentre camminava dietro di lei, gli strinse forte la mano, accarezzandogli il polso con il pollice mentre si muovevano insieme tra gli alberi. Amava sentirlo vicino a sé, osservarlo mentre avanzava acanto a lei con i muscoli tesi e lo sguardo lontano, così com’era sempre ogni volta che erano nei boschi; anche quando erano solo loro due- a mangiare, a giocare a carte o a fare qualsiasi cosa per stare insieme- una parte di lui era sempre a caccia. Se le cose fossero state diverse, sarebbe potuto andare a casa con lei per cena, ma lo scoiattolo che aveva attaccato alla cintura era tutto ciò che aveva da cucinare, mentre sua madre aveva preparato il pasticcio di pollo per tutta la famiglia.
“Domani il fienile dovrebbe essere libero… che dici, lo porto quel libro?”, suggerì.
Avevano parlato di romanzi gialli per un po’ e chissà come il discorso era terminato con Beth che decideva che gliene avrebbe letto uno ad alta voce.
“Ci sarò”, rispose lui, “sempre se… lo sai”, aggiunse scrollando le spalle.
“Già, giusto.”
C’era quasi sempre qualcosa a trattenerli dall’arrivare puntuali ai loro incontri. Ormai sapeva cosa aspettarsi; così come sapeva che doveva essere quasi sempre lei a baciarlo per prima. Eppure, sapeva anche che una volta che le sue labbra avrebbero incontrato le sue, avrebbe risposto con un’energia che inevitabilmente finiva per sorprenderla; un’energia che la distraeva dagli impegni della vita di tutti i giorni anche quando erano distanti l’uno dall’altra.
Era piuttosto evidente che lui non avesse intenzione di parlare ancora, o almeno così sembrava.
Fino a quel momento, si erano sempre solo baciati e non avevano neanche mai discusso sull’andare oltre. Nelle sue precedenti relazioni con altri ragazzi non aveva mai voluto niente di più, ma- come del resto in tremila altri aspetti- Daryl era un’altra storia. Tuttavia, non voleva forzare l’argomento e lui, anche se si lasciava andare ogni giorno di più, era sempre pronto a fermarsi, a fermarla e a volte persino ad allontanarla. E Beth lo lasciava fare. Si fidava e lasciava che fosse lui a stabilire quando avrebbero superato un certo limite, anche se non era sicura di essere altrettanto disciplinata. Lei non si fermava, affondava le unghie nella sua carne, emetteva piccoli ansiti che non riusciva a trattenere.
Effettivamente, l’autocontrollo di Daryl era davvero sorprendente.
Giunti alla fine del bosco, Daryl spazzò via il terreno che era rimasto sulla sua gonna, indugiando per qualche secondo sulla sua gamba. Il giorno precedente, a forza di massaggiarle con il pollice sempre lo stesso punto, le aveva lasciato un piccolo livido. Era pronto a fare dietro front per lasciare che facesse il resto della strada da sola, ma lei non voleva, non era ancora pronta. Si alzò sulle punte e gli stampò un bacio sulle labbra e un altro sulla mascella.
“Ciao.”
Poteva sentire quello sciocco, stupidissimo sorriso che quasi sicuramente aveva stampato sulla sua stessa faccia, mentre si mordeva le labbra e lo osservava sparire tra gli alberi. Non aspettò più di qualche battito cardiaco per sospirare profondamente e voltarsi, riprendendo la strada verso la fattoria e facendo tutto il possibile per far sparire i rametti e le foglie che aveva incastrati tra i capelli. Attraversò il campo, ignorando per chissà quanti secondi che c’era qualcosa che non andava. Quella giornata che era stata così dannatamente calda stava cominciando a raffreddarsi con l’arrivo della sera, ma lo spostamento d’aria che sentì apparteneva al movimento di una persona. Anche l’erba del terreno si mosse. Anche prima di poter effettivamente vedere o sentire qualcosa, sapeva di non essere sola, ma ne ebbe la certezza quando Dave si affiancò a lei. Doveva aver corso per raggiungerla.
“Beh, eccoti qua, figlia del fattore”, disse con entusiasmo.
Beth, per la sorpresa di trovarselo improvvisamente così vicino, stava per inciampare. Le bastò guardare solo per un secondo il suo ghigno saccente e compiaciuto per rendersi conto che doveva averli visti avvinghiati sul ciglio del bosco.
“Dave...”, cercò di pensare a qualcosa di valido da dire per migliorare la situazione, ma la sua mente era completamente svuotata: sapeva che li aveva visti.
L’espressione dell’uomo s’incupì di un falso disappunto; si schiarì la gola e disse: “Senti, so che tu sai che non puoi uscirtene ancora con quella storia che non dovremmo stare così vicini”, anche se aveva cercato di imitare la sua voce, il suo tono non si addolcì neanche per un secondo, “Non c’è più bisogno di essere così fottutamente ipocriti, sbaglio?”
“Che cosa vuoi, Dave?” Non c’era niente di meglio da fare che arrivare dritta al punto, perché sapeva come sarebbe finita. Piuttosto che negare l’evidenza, tanto valeva affrontarlo. “Lo dirai a mio padre o cosa?”
O cosa, ragazzina, o cosa.” Dave abbassò lo sguardo sulle sue gambe bianche ancora sporche di terreno, per poi risalire su tutto il resto del suo corpo. Non si era mai sentita così a disagio con una sola occhiata, neanche quando Merle l’aveva squadrata dalla testa ai piedi solo per il palese piacere di farla sentire in imbarazzo.
Quando i suoi occhi tornarono sul suo viso, Beth li fissò senza battere ciglio.
“Non ho nulla di cui vergognarmi.”
Dave inarcò un sopracciglio e incrociò le braccia al petto. “E allora perché hai paura che il tuo paparino possa scoprirlo?”
L’aveva praticamente messa alle strette, almeno in minima parte. Ma non distolse lo sguardo. “Se hai intenzione di non dirgli nulla, benissimo. Grazie.”
“Figurati, per me è un piacere”, disse lui velocemente.
“Ora vado, ci vediamo.”
Appena si mosse per andarsene, Dave la trattenne per un braccio.
“Whoa, whoa, whoa”, rise, stringendo le dita più forte del dovuto, tanto che il suo primo tentativo di liberarsi non la portò da nessuna parte.
Almeno riuscì a voltarsi. “Che c’è?”
“Tranquilla, sto andando via anch’io. Non temere, non dirò nulla… sempre se, ovviamente, non dovessi cambiare idea.”
La rabbia stava cominciando a ribollirle nelle vene, ma cercò di trattenerla. Più che altro, aveva paura. Aveva paura che avrebbe detto ai suoi quello che aveva visto; aveva paura che Daryl sarebbe stato costretto ad andarsene, e purtroppo- il cuore le affondava al solo pensiero- non era del tutto sicura che non sarebbe sparito per sempre, senza opporre resistenza per rivederla ancora. Ma in quel momento, con lo sguardo cupo e viscido di Dave addosso, aveva ancora più paura delle sue reali intenzioni, di quello a cui voleva arrivare con il suo perverso gioco di potere. Riusciva già a farsene un’idea.
“Sai, di solito non sono così volubile, almeno non con i miei amici. Ma c’è solo una cosa, ragazzina, che puoi fare per assicurarti che io tenga la bocca chiusa.”
Non voleva fare domande e aveva seri dubbi che sarebbe anche solo riuscita ad aprire la bocca. Era come se avesse un enorme groppo in gola.
Di contro, Dave, riuscendo a cogliere tutto il disprezzo nel suo sguardo, scoppiò a ridere: “Andiamo, se quel lurido bifolco è abbastanza buono per te, perché non dovrebbe esserlo uno zoticone come me?

 

(*) “On your mark[, get set!]” ha come corrispettivo in italiano “Pronti, partenza, via!” o comunque qualcosa che rende quel tipo di idea. Non l’ho tradotto perché in italiano è orrendo e d’altronde si sarebbe andato a perdere il gioco di parole, quindi perdonatemela xD

   
 
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