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Autore: Iryael    09/11/2017    0 recensioni
Nel nostro universo, lei è una ragazza che vive la routine estiva di una qualunque adolescente. Nel suo universo – quello descritto in Endless Empire – lei è l’unica umana esistente, nonché la Creatrice, ossia colei che è onnisciente.
Trascinata dai suoi personaggi nell'universo da lei creato, si trova invischiata in un pericoloso gioco di potere. La linea di demarcazione tra eroi e mostri, tra patrioti e usurpatori avidi di potere, che prima era nitida, sfuma velocemente in una nebula di azioni mirate al successo dei propri interessi.
Tutte le fazioni la vogliono, ma solo per raggiungere scopi diversi. E lei non ha la possibilità di sottrarsi a quel gioco.
Ha creato un universo difficile, Silver, un posto dove non esistono seconde chance.
Cosa sarà disposta a sacrificare per uscirne?
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[Spin-off di Endless Empire di DarkshielD] [Leggibile a sé]
Genere: Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Silver fa una scoperta
Capitolo Nono
Il 23 gennaio, nel covo dei ribelli, fu una giornata pesante. Non tanto perché erano rinchiusi in un posto isolato dal mondo, non per il ricircolo appena sufficiente dell’aria, ma per il clima rovente imposto da alcuni occupanti.
Protagonisti e fonte del malumore furono Silver e Ratchet, che cominciarono con le occhiate in cagnesco e finirono per scuoiarsi a parole senza che nessuno riuscisse a rabbonirli. In effetti era una missione impossibile, dato che i due non scucirono una sola parola sul perché del loro comportamento. Così gli altri dovettero ricorrere ad un’altra contromisura: la separazione fisica. Al momento di coricarsi Sacha prese il posto di Silver. Il lombax dagli occhi bicromi andò a dormire nello stanzino con Ratchet, mentre la ragazza fu trasferita in camerata con gli altri. Sembrava la soluzione ottimale, quella che metteva pace agli animi di tutti. Persino lei e il maggiore l’avevano approvata!
Il piacere di un buon sonno ristoratore, però, le fu negato lo stesso. Tra Tarx che russava, Nencer che parlottava e Reginald che espirava fischiando, Silver non riuscì a chiudere occhio. E allora, immersa in uno stato di indolente dormiveglia, lasciò che i pensieri la guidassero.
Era lì da dieci giorni, non aveva ancora parlato con Evelyne, aveva assistito ad un’incursione, era stata rapita e usata come pretesto per uccidere, aveva trovato rifugio presso dei criminali, si era affezionata a qualcuno che aveva ritenuto secondario (che era morto) e avrebbe sputato addosso a colui che avrebbe dovuto essere il protagonista (che invece aveva salvato).
Riassunti così, quei pochi giorni sembravano una serie lineare di eventi, ma in realtà c’era molto – ma veramente molto – di più.
A tenerla sveglia, come se i suoi camerati non bastassero, furono i particolari che scoprì di conoscere. Tonnellate e tonnellate: insignificanti, trascurabili, correlati o importanti. E lei, incapace di addormentarsi, li spulciò uno per uno.
 
Era il cuore della notte quando si mise seduta. La schiena dritta, il mento alto e una strana sensazione dentro il cranio, quasi un formicolio.
Tutti quei dettagli l’avevano portata alla piena consapevolezza della portata del Sapere. Quello che scorreva nella sua mente era un fiume di particolari, su cui i pensieri si stendevano come eleganti pontili in ferro. Concentrarsi su qualcosa era come lanciare una lenza: immediatamente tutti i dettagli inerenti si radunavano intorno al suo amo, informandola di qualunque cosa.
Ma qual era il limite?
La risposta la intuì subito: non c’era. Conoscendo tutto, in teoria, poteva fare qualunque cosa. Ma nella pratica?
La ragazza sogghignò sarcasticamente. Ah, la pratica.
Fino a quel momento tutto il suo sapere non era valso a molto: che fossero imperiali o ribelli, in ogni caso, era stata imprigionata più o meno da chiunque. Però, se proprio voleva mettere i puntini sulle I, allora doveva anche ammettere che non aveva mai sfruttato appieno la propria abilità, per cui doveva spezzare una lancia in suo favore. Non era che il Sapere fosse inutile; piuttosto: doveva metterlo alla prova.
Okay, test numero uno! – si disse, risoluta. – Vediamo se mi sostituisce i sensi.
 
Mise giù un piede, poi l’altro, e attraversò la camera senza fare rumore. Il pavimento era appena sbozzato nella pietra, la stanza era completamente buia, ma la ragazza riuscì lo stesso ad aggirare ogni mobile. Varcò la soglia della camerata e dopo due passi si fermò. La sala comune era piccola, per cui il tavolo doveva essere vicino. Lo cercò con le mani, tastando lentamente l’aria davanti a sé.
Eccolo! – gioì, quando i palmi incontrarono le assi ruvide. – E se questo è il tavolino...
Si affidò al Sapere e andò a colpo sicuro. Una mano sfiorò l’ampolla di vetro del lume ad olio, mentre l’altra si posò sulla scatola dei cerini. Pochi secondi dopo, senz’altro rumore che lo sfregamento del solferino, nella stanza si diffuse la luce dorata della lampada.
Silver si concesse un sorriso.
Perfetto. Allora sistemo un paio di cose e poi via col test numero due. Ora che ci penso: non c’era un rifugio vero nella miniera?
* * * * * *
La luce della lampada si rifletteva sulle rocce colorando di rosso i loro spigoli. Al centro sfilavano i vecchi binari dei carrelli, e di tanto in tanto vecchi architravi impedivano al corridoio di crollare.
All’improvviso la luce illuminò a destra uno spigolo più delineato degli altri. Silver riconobbe un cunicolo e allungò la lampada al suo interno.
«Di qui si scende ancora.» mormorò. «Ardou, te li sei infognati ben bene il LabUno e il rifugio, eh! Perché dunque, se io dal LabUno salissi...» e si concentrò. «Se io volessi uscire, dovrei salire per otto piani. Miseria, se è sotto! Kaden aveva ragione a dire che non ci avrebbe trovato nessuno. Sfido io!» e riportò l’attenzione sul cunicolo davanti a lei. «Però per il rifugio si scende...chissà di quanto, se sono scesa di quattro piani e scendo ancora.»
Imbroccò la galleria in discesa e la percorse fino a che non sfociò in un cunicolo più ampio. Guardò a destra, guardò a sinistra e scelse la prima direzione, segnata da una leggera discesa.
«Che poi mi domando: che senso ha nascondere il rifugio così tanto più in basso, nel cuore della montagna? Mica lavorava allo stargate!» e si azzittì per un istante, rendendosi conto dei soggetti che aveva appena appaiato. «O chissà, magari è così. Ardou era effettivamente un genio.» e immaginò un lombax in camice davanti al gigantesco anello di metallo, una sagoma in controluce sull’Orizzonte degli Eventi.
«Nah, non mi convince.»
Chiacchierando fra sé e sé oltrepassò una serie di corridoi secondari. Ad un certo punto, però, avvertì di doversi fermare. Apparentemente lì non c’era nulla, tranne una galleria laterale sbarrata.
«Cioè, no, dovrei entrare qui?» si chiese. Ad altezza occhi c’era inchiodato il teschio di un brakterbeak. Mancava metà becco e sembrava pronto a polverizzarsi, ma anche così lanciava egregiamente il messaggio di pericolo. «Sul serio, Ardou?»
Sì, sul serio – suggerì il Sapere. E Silver s’inoltrò.
* * * * * *
Rifugio dei ribelli (ex LabUno)
 
 
Nencer aprì di scatto gli occhi.
Buon Creatore, su ’ste brande vengono bene solo gli incubi, pensò passando una mano sulla fronte sudaticcia. Poi, dal russare e dal fischio, si rese conto che gli altri dormivano. In silenzio, allora, allungò un braccio sotto la rete alla ricerca del pitale. Quando fu chiaro che non c’era ricordò che Silver li aveva raccolti tutti in uno sgabuzzino.
Il selker sbuffò sonoramente. Non gli era mai piaciuto alzarsi nel cuore della notte, ma in quel caso la necessità era padrona.
Buttare giù le gambe dalla branda gli risucchiò tutta la volontà di fare altro. Non cercò il cero né si preoccupò di fare poco rumore: andò a tentoni, a tratti bene e a tratti toccando altri oggetti per poi identificarli tra epiteti bisbigliati.
Raggiunse lo sgabuzzino e fece quanto doveva. Poi, com’era arrivato, se ne tornò alla branda. Buon per Silver, di controllare la stanza manco gli passò per l’anticamera del cervello.
* * * * * *
Altrove nella miniera
 
 
La luce della lampada si rifletteva sulla polvere creando un effetto surreale. Infatti, più che in una galleria di miniera, sembrava di stare immersi in una nebbia rossa. O di camminare in uno di quei tunnel infernali da film di bassa lega. Il lume ad olio, di certo, non rilassava l’atmosfera.
Che razza di posto. Fortuna che almeno ho messo gli stivali... – pensò, calcando bene la manica contro il naso. Se avesse potuto, si sarebbe stretta nelle braccia.
 
Era entrata in quel tunnel più o meno un quarto d’ora prima. Inizialmente era sembrato un banalissimo condotto secondario, ma dopo una cinquantina di metri il pavimento si era fatto di cemento liscio e i rinforzi contro i muri si erano rivelati pura avanguardia ingegneristica. Silver aveva fatto in tempo a vederne uno, perché poi era cominciata quella sorta di nebbia... curiosa, senza dubbio. Il Sapere le aveva suggerito che si trattasse per lo più di residui di estrazione.
Percorse ancora qualche metro, poi allo scenario si aggiunse un altro dettaglio, non meno inquietante. Piccole scintille, come lampi in miniatura, che ammiccavano nella polvere sospesa.
E questa roba qui?
 
CLACK.
Il terreno sotto il tallone cedette. Silver s’irrigidì, gli occhi sgranati per l’improvvisa paura.
Tutt’intorno la montagna prese a gorgogliare con voce profonda. La polvere sospesa cominciò a vibrare; le scintille – prima rade – si fecero improvvisamente arzille.
Con un gridolino di paura Silver girò i tacchi e corse a gambe levate per il corridoio da cui era appena venuta. Un tonfo riempì l’aria alle sue spalle: non si voltò a vedere cosa fosse ma accelerò, un piede avanti all’altro, finché non si trovò faccia a faccia col teschio del brekterbeak. Si buttò a sinistra, lungo il percorso dal quale era venuta. Un istante dopo udì lo scricchiolio del legno spezzato e un altro tonfo, stavolta misto al rumore di ghiaia smossa. Poi il gorgoglio cominciò ad allontanarsi. Quando si fermò, però, fu troppo tardi per vedere cosa fosse. Era già sparito seguendo l’altra direzione del cunicolo.
 
Lo realizzò poco dopo, cosa fosse. Lo realizzò mentre, mezza china in avanti, teneva le mani sui fianchi. Era una marzialista, porca paletta, e neppure di livello così avanzato: le corse a rotta di collo non rientravano nelle sue abitudini sportive. In ogni caso, passata la scarica di paura, il Sapere tornò a illuminarla. E allora, anche se aveva il fiatone, trovò la forza di ridacchiare istericamente fra un ansito e l’altro.
Ardou Leverre, indiscusso genio poliedrico, aveva messo a protezione del suo rifugio un masso rotolante.
E l’unico motivo per il quale non l’aveva seguita dopo il cunicolo era per via della pendenza della galleria in cui si trovava in quel momento. Leggera ma sufficiente a gestire il moto del macigno.
Leverre, bastardo... m’hai fatto venire un coccolone!
Aspettò ancora qualche secondo; il tempo di far calare il volume del battito cardiaco nelle orecchie. «Oddio... meglio quello... di una qualche... diavoleria ele... ttromagnetica... eh!..» si disse, rimettendosi dritta. Fece un respiro profondo, dopodiché fece qualche passo avanti e indietro intorno al lume, cercando di ristabilire il fiato. Fatica sprecata.
Decise allora di tornare all’imbocco del cunicolo, là dov’era giaciuto il cartello col teschio del brekterbeak. Raccolse il lume e, col battito del cuore attutito nelle orecchie, si avvicinò per la terza volta all’incrocio. Le assi, assieme al cartello e al suo macabro avvertimento, versavano in pezzi sul pavimento.
Se torno là dentro rischio di far scattare altre trappole, ragionò. Ma non è forse il segno che là c’è qualcosa che Ardou voleva tenere nascosto? Qualcosa che, magari, mi può tornare utile per cavarmi dai guai...
Senza pensare oltre rientrò nel cunicolo. Ritornò là dove cominciava il cemento liscio e si immerse di nuovo nella nebbia di polvere rossa. Solo che stavolta tenne i sensi bene all’erta, così da non farsi distrarre. Il Sapere le fece inquadrare subito la trappola che aveva attivato in precedenza e le mostrò come evitarla. Evitò altri due interruttori e, finalmente, arrivò in fondo al cunicolo. Due rampe di calcestruzzo erano posizionate proprio sotto un gigantesco buco nel soffitto. Il Sapere le illustrò subito come un sistema di molle avesse spinto il masso fuori di là sopra, ma Silver lo mise a tacere concentrandosi sull’ingresso... che comunque era situato in una delle rampe e la obbligava a stare sotto quella bocca vomita-sassi.
Dunque, per entrare... – pensò, tastando velocemente la parete alla ricerca di qualcosa. Tuttavia, dopo poco, il fascio di luce emesso dal lume si affievolì leggermente.
Oh, perfetto, sono anche a corto d’olio. Ardou, dove cazzo hai messo l’interruttore?
* * * * * *
Ci volle una mezz’ora prima che Silver trovasse il meccanismo.
Cazzo di Sapere, un aiutino a trovarlo no???
Quasi come per rimediare, il Sapere le suggerì come attivarlo. E lei non attese altro. Il lume si era fatto decisamente più flebile: entrò sperando di trovare qualcosa per riempirlo.
In effetti quel covo apparve da subito simile a un monolocale: tutto era concentrato nella sala all’ingresso. Individuò subito il cero sul tavolo, poi una stufa e una dispensa. Puntò a quella.
Bingo! – pensò aprendo l’anta. La tanica dell’olio per lampade era sulla mensola più agevole. La portò sul tavolino e con quello che conteneva – grazie anche al lumicino offerto dal cero – riportò a nuova vita la sua lampada.
La luce – ora più forte – delineò l’ambiente intero, rivelando forme e spigoli che stupirono l’umana con la loro familiarità. Per qualche motivo si sentì rilassare, come se lei conoscesse quell’ambiente. E allora si prese un attimo per studiare quel mobilio. Quelle linee pulite, quelle dimensioni così aliene al vittoriano...
Le venne in mente che lei conosceva la provenienza di quei mobili.
«Oh no no... non è possibile!» esclamò, prendendo a studiare meglio la grande libreria che dominava la stanza. «Sarebbe dovuto venire di là! Lui non poteva..!»
Ma un adesivo rimasto sotto una mensola la smentì.
«Ma quando... come..?» mormorò, gli occhi sgranati. «Come c’è venuto all’Ikea?»
Prova di là, suggerì il Sapere. Silver si bloccò, manco le avessero tirato una padellata in testa. Ruotò meccanicamente la testa verso la direzione indicata dal Sapere e i suoi occhi incontrarono un corridoio minuscolo.
C’erano tre porte, una per lato. Quando aprì la prima Silver si trovò davanti una stanza letteralmente tappezzata di relé, e sopra ogni interruttore un’etichetta in fastooniano. Quando aprì la seconda trovò un vero e proprio centralino, munito di tre telegrafi parlanti e posta pneumatica a sei bocche. E nella terza stanza trovò quella che chiunque avrebbe riconosciuto come la versione steampunk della sala teletrasporto dell’Enterprise.
La sua domanda aveva appena trovato una risposta.
* * * * * *
Rientrò nel covo dei ribelli con un vortice di domande in testa. Non aveva sonno ma s’infilò ugualmente sotto la coperta. I rumori tutt’intorno erano invariati: Tarx continuava a russare, Nencer a parlottare e Reginald a fischiare. Non che li sentisse davvero, eh.
Il rifugio l’aveva scioccata. Prima il mobilio svedese, poi le capacità tecnologiche (si era preso un tivù! E ci guardava Indiana Jones!) e infine quelle stanze. Quelle sì che erano interessanti. Ma perché nascondere il tutto nelle gallerie più basse? Cos’era che Ardou Leverre voleva tenere così nascosto?
Ma soprattutto: era il caso di parlarne con gli altri?
 
Facciamo che questo me lo tengo segreto, va’.

 

 

 

 

 


Okay, forse ho superato l’impasse. Chiedo scusa a tutti coloro che hanno avuto finora speranza e pazienza. Silver e soci sono ufficialmente di nuovo in pista.
Alla prossima!
Iryael
 
Ah!
Sto sperimentando con la leggibilità dei caratteri, più precisamente con le unità di misura scalabili. Avete problemi con le dimensioni dei font o con la velocità di caricamento? Un feedback sarebbe davvero utile.
Grazie in anticipo a tutti coloro che vorranno lasciarlo.

 

   
 
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