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Autore: Nina Ninetta    09/11/2017    10 recensioni
Prima classificata al contest "Dark chest of wonders" indetto da Missredlights sul forum di EFP, a pari merito con "Un inverno a Chicago" di OldFashioned.
Prima classificata pari merito al contest "Raggio di Luna" indetto da mistery_koopa sul forum di EFP.
Premio speciale "Rivelazione femminile – miglior personaggio femminile" nello stesso contest.
Lily si è trasferita da Lecce a Milano solo da pochi mesi. Quando sembra che la sua sia una vita incloncludente e che non riesca a trovare la strada giusta per sé, s'innamora di Sergio, un ragazzo spagnolo che si trova in Italia per lavoro. Tuttavia il loro amore travolgente incontrerà un enorme, insormontabile ostacolo.
Undicesima classificata al contest “Lavoratori allo Sbaraglio” indetto da Laodamia94 sul forum di Efp.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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15/08/2010
Il giorno dell'addio

 
 

 
"Il brutto dei cuori spezzati è questo:
che non ci puoi buttare sopra l'acqua ossigenata
e soffiare mentre le bollicine camminano sulla ferita
che puoi solo tenerti i cocci.
E non ci stanno operazioni e non ci stanno medicine
che li possono rimettere insieme,
te lo devi tenere così il tuo cuore, rotto."
 
 

Prologo

 
Lo sento.
Il suo respiro caldo sulla pelle, sul collo, mi fruscia fin nell'orecchio e io mi sto eccitando come non mai. La mia schiena finisce contro il muro, mentre le nostre labbra s'incontrano voraci e bramose di desiderio, poi le sue scendono lungo la curva del mio collo scoperto per risalire fino ai lobi, giocherellando con gli orecchini di perle. La mia bocca è serrata a trattenere un gemito di piacere, gli occhi socchiusi; con le mani gli accarezzo i capelli: sono morbidi nonostante il gel.
Ha la pelle dorata dal sole.
Mi avvinghio alla sua schiena mentre mi trasporta in camera, dove ad attenderci c'è un letto coperto solo da lenzuola. Mi adagia delicatamente e lo osservo disfarsi della maglia con un colpo sicuro. Sorrido tra me e me: non è per niente il mio tipo. I biondini con la barbetta e i capelli sistemati stile "figli di papà", sempre con quella puzza sotto al naso, non mi hanno mai attratto.
Qualche parente/conoscente direbbe che è solo l'ennesimo capriccio per soddisfare un ego smisurato.
Balle!
Intanto lui increspa gli angoli della bocca con fare accattivante, raggiungendomi carponi riprende da dove aveva interrotto. Con i polpastrelli delineo la forma perfetta della sua schiena, avvertendo i muscoli contrarsi nei movimenti. Le nostre gambe si sono intrecciate automaticamente, a incastro. Mi bacia come se fosse l'ultimo bacio della nostra vita, le sue mani sono ovunque, mi toccano e mi accarezzano senza criterio.
Fuori comincia ad albeggiare, la città si risveglia e un nuovo giorno sorge per il resto dell’umanità; per me invece non c’è distinzione fra notte e alba, buio e luce hanno un continuum temporale imprescindibile.
Questa stanza non esiste.
Il mondo fuori non esiste.
Gli altri esseri umani non esistono.
La guerra non esiste.
L'intera galassia non esiste.
Ci siamo solo io e lui: uno straniero conosciuto in una notte d'estate in discoteca. I suoi piani, per stasera, sono anche i miei.
Fanculo il resto! Fanculo tutti!
Mi viene in mente il verso di una canzone che amo: so need your love, so fuck you all.*
 
Studia il mio corpo senza troppi complimenti, sdraiato sul letto dove abbiamo appena consumato la nostra lussuria, è coperto fino al bacino dal lenzuolo, si sorregge sul gomito destro e sogghigna. Infilo i decolté neri, chiudo l'ultimo bottone dei jeans, alzo il capo e riavvio i capelli, pettinandoli alla bell'e meglio con le mani. Lui continua a fissarmi sornione, fingo di non accorgermene, quando dice:
«Non conosco neanche il tuo nome.»
«E a cosa ti serve sapere come mi chiamo?»
Lui fa spallucce e io so che lo ha chiesto semplicemente per non essere etichettato come il classico stronzo da “una botta e via”. Quello che lui non sa è che a me non frega un corno di che tipo sia. Santo o bestia personalmente non cambia niente.
Esco dalla stanza e i tacchi rimbombano nell'appartamento dallo stile moderno e scarno. Recupero la borsa che avevo lasciato cadere all'entrata, lui arriva alle spalle e mi afferra da dietro, annusa il mio profumo: l'odore dolce del balsamo che uso per i capelli. Odio queste smancerie, tuttavia sto al gioco: quantomeno ha avuto la decenza di indossare un paio di pantaloncini. Mi invita a voltarmi e io faccio una piroetta su me stessa ritrovandomi a un palmo dal suo viso. Ha due occhi castani espressivi e profondi.
«Finisce così, dunque?» Il suo italiano non è perfetto, ma comprensibile quanto basta. «Né un nome da ricordare, né un numero di telefono da chiamare... nada?»
Sorrido. Nada? Che sia sudamericano?
Gli accarezzo una guancia e avvicinando pericolosamente le mie labbra alle sue bisbiglio:
«Nada de nada» lui schiude le labbra, in attesa di un ultimo bacio che non giungerà mai. «Adios!» Mi libero diligentemente dal suo abbraccio e dico addio a lui e al suo bilocale, accompagnata dal ticchettio delle mie scarpe sul pavimento.
 

Capitolo 1.
C'è qualcosa...

 
Adoro starmene seduta sul davanzale della finestra a fissare il mondo fuori. Mi piace osservare le persone, che esemplari strani. Si affaticano tutto il giorno, una vita intera, per raggiungere i loro obiettivi, spesso surreali e impossibili. E poi, cosa ne rimane?
Che stupidi!
Mangio un'altra cucchiaiata di gelato all'amarena. Il mio preferito.
Le luci dei lampioni in strada sono accese, finalmente il sole è tramontato oltre le montagne a ovest e le stelle hanno fatto capolino alle loro spalle.
Mi manca il mare, ovviamente, ma i grilli e le cicale mi tengono compagnia con il loro allegro chiacchiericcio. Non credevo che l'estate milanese avesse gli stessi profumi e i medesimi sottofondi di quelli pugliesi.
Se mi manchi casa?
A volte sì, altre no.
A 23 anni suonati non saper cosa farne della propria vita non è molto... come direbbe mio padre? Ah sì, non è molto "soddisfacente". Mi sembra ancora di sentirlo quando rientravo in piena notte e lui mi aspettava nel salone, con l'abatjour accesa a leggere l'ennesimo libro:
«Liliana Rizzo, un'altra giornata buttata. Non deve essere molto soddisfacente.»
No, non lo è.
Odo dabbasso voci sommesse e qualche risata, tintinnii di bicchieri e posate e la mia pancia, laggiù, brontola indignata. Vuole mangiare, ma io non ho voglia di andare alla festa. Per questa sera mi farò bastare il gelato.
Qualcuno bussa alla porta e, senza neanche aspettare una risposta, entra. Non mi volto a guardare chi sia, lo so già! È lei. La regina del castello. Mia cognata Beatrice. Qualche passo ed è dinnanzi a me, a guardarmi con le braccia incrociate sotto al seno; fingo che non ci sia.
«Non sei ancora vestita? La festa è iniziata da un'ora almeno!»
«Io non vengo. Mi scoccio.»
Si avvicina minacciosa, per poco non rischio di baciarla quando mi volto a guardarla. È furiosa, mi strappa il barattolo di gelato - vuoto per metà - dalle mani.
«Ascoltami bene ragazzina: tuo fratello non merita questo atteggiamento strafottente da parte tua! Ringrazia il cielo che hai lui, altrimenti a quest'ora saresti già rinchiusa in qualche centro di recupero, in mezzo a drogati e donnacce di ogni genere!» Non abbasso lo sguardo e non lo fa neppure lei.
La verità è che la odio! Chi è lei per giudicare la mia vita e le mie scelte? Solo perché è la moglie di mio fratello non ha il diritto di parlarmi così.
Brutta megera meschina!
«Mettiti qualcosa di decente addosso e vieni giù! Se tra mezz'ora non ti vedo arrivare tornerò a prenderti, dovessi trascinarti anche così conciata» mi guarda come si farebbe con un barbone.
Cos'ha contro la canotta di Hello Kitty e gli shorts a pois di cotone?
Se ne va, ondeggiando a destra e a manca il suo bacino fasciato da un tubino scuro, sbattendo la porta dietro di sé e portandosi via il mio gelato.
Odiosa!
Inconsciamente giocherello con gli orecchini di perle che Antonio mi regalò al mio diciottesimo compleanno. Da allora non le ho più tolte, mi trasmettono sicurezza e protezione. Non lo ammetterò mai, ma forse Beatrice ha ragione. Dove sarei oggi senza di lui? Forse merita davvero che scenda a presenziare alla sua festa di compleanno.
 
Qualche minuto dopo sto scendendo le scale aggrappata al corrimano e subito mia cognata mi viene incontro, in agguato come un giaguaro. Mi prende sotto braccio e mi accompagna da mio fratello. Qualcuno ci saluta durante il tragitto, ma non conosco nessuno. Beatrice mi consiglia di sorridere di tanto in tanto e io le do ascolto: sorrido cinica e chiedo se così va bene. Il mio sorriso è più falso dei gioielli comprati in bigiotteria. Lei scuote il capo, evidentemente non è soddisfatta del mio splendido sorriso falsato. Pazienza, sopravvivrò.
Antonio è lì, sta parlando con alcuni signori ben vestiti, ma quando ci vede gentilmente se ne libera per raggiungerci. È contento, lo percepisco all'istante, forse non si aspettava di vedermi in mezzo alla “Milano da bere”. Mi abbraccia forte e io ricambio di conseguenza. Inizio a pensare che quasi quasi ho fatto bene a presenziare alla sua festa di compleanno. Gli stampo un bacio sulla guancia e gli rivolgo i miei migliori auguri, prendendolo un po' in giro per la vecchiaia che avanza. Beatrice ci interrompe, sembra sollevata anche lei e per un attimo mi pento delle cattiverie che ho pensato poco prima, quindi ci saluta proseguendo il suo compito di regina e intrattenitrice.
Antonio mi passa un braccio intorno alle spalle e insieme passeggiamo dove ci sono meno ospiti. Mi da un bacio sulla testa ringraziandomi di aver abbandonato il mio bunker per l'occasione. Sorrido alle sue frecciatine mentre addento una pizzetta tonda, con la speranza che la pancia si zittisca almeno un po'.
«Direttore! I nostri auguri!»
«Ragazzi! Benvenuti!»
Smack! Smack!
Baci e bacini.
Mi volto incuriosita, consapevole che mio fratello è il dirigente di una nota società di telefonia milanese.
Adesso sono di fronte a loro, tre ragazzi semplici e dall'aria simpatica e...
O-H- M-I-O D-I-O!
È lui, ne sono sicura, è lo sconosciuto, straniero, estraneo, forse sudamericano con cui sono andata a letto la scorsa notte. È lui! Per come mi sta guardando non può essere altrimenti. Distolgo lo sguardo all'istante, ma lui non smette di fissarmi.
Idiota! Idiota! Idiota! Smetti di fissarmi come un ebete!
«Ah ragazzi!» Esordisce mio fratello, passandomi una mano intorno alla vita. «Posso presentarvi mia sorella Lily. Lily, lascia che ti presenti tre dei miei migliori e più promettenti stagisti: Claudio, Mirko e Sergio»
Sergio?
Sorrido di circostanza, quando in realtà vorrei fuggire lontano e fabbricare una macchina del tempo per evitare di fare quello che ho fatto con... Sergio?
Alzo le dita in segno di saluto e ho quasi paura che possano tremare. Loro sono molto garbati, rispondono al mio saluto e quello di mezzo mi porge la mano.
«Ciao! Io sono Mirko.»
«Lily, piacere» credo di stare arrossendo come una quindicenne.
«Direttore Rizzo, non ci aveva mai detto di avere una sorellina così carina.» Claudio affonda il coltello nella piaga senza pietà.
Sorridono. Claudio e Mirko e mio fratello scherzano tra loro, tuttavia l'altro ragazzo è impassibile, di stucco, e io mi sento sempre più morire dentro.
Se Antonio lo sapesse...
Trovo una scusa banale e mi dileguo. Ho il bisogno di scappare via o rischio l'autocombustione. Aumento il ritmo dei passi poco a poco, fino a sparire al loro raggio visivo. Mi nascondo in cucina, insieme a tante cose buone da mangiare, ma ormai la fame si è dissolta, come d'incanto. Mi aggrappo al tavolo prendendo grandi boccate d'ossigeno per rallentare i battiti del cuore.
 
 
«Ah ragazzi!» Esordisce Antonio Rizzo, lasciando scivolare una mano intorno alla vita della fanciulla che gli è accanto. «Posso presentarvi mia sorella Lily. Lily, lascia che ti presenti tre dei miei migliori e più promettenti tirocinanti: Claudio, Mirko e Sergio».
È lei, per forza. I suoi lunghi riccioli biondi li riconoscerebbe fra mille, nonostante li tenga intrecciati da un lato. Le perle alle orecchie… Ed è la sorella del suo capo! Spera in cuor suo che Antonio sia un tipo moderno e con larghe vedute o è spacciato.
Lei è sbiancata quando l'ha notato e questo gli ha dato conferma dei suoi timori.
Lily: questo il suo nome. Lo stesso nome che non aveva voluto rivelargli la notte precedente, dopo che...
Accidenti! Non riesce a toglierle gli occhi di dosso, non riesce a smettere di immaginarsela nuda sotto di lui mentre...
Accidenti!
Ed è la sorellina del suo direttore.
Ha la bocca secca e le mani sudate, è nervoso. La sente scusarsi e allontanarsi accennando un inchino, quando finalmente scompare alla sua vista il sangue riprende a scorrergli nelle vene. Si intromette nel discorso dei suoi compagni e colleghi, tentando di nascondere l'imbarazzo, eppure quando anche Antonio Rizzo si allontana non riesce a trattenersi.
Mirko gli passa un braccio intorno alle spalle, sta ridendo con Claudio per un avvenimento accaduto quel giorno in azienda e gli chiede un parere. Il ragazzo dagli occhi color nocciola, espressivi e profondi, deglutisce e alza su di loro uno sguardo torvo.
«Oh, ma che hai? Sei strano...»
«Temo di essermi portato a letto la sorella del capo» dice tutto d'un fiato.
Mirko e Claudio si scambiano un'occhiata fugace.
«No, scusa, che significa?»
«Significa che mi sono fatto sua sorella!»
Non è nella sua indole essere volgare o urlare ai quattro venti le sue gesta sotto le lenzuola, ma questa volta è diverso, prova il bisogno impellente di dirlo a qualcuno. Mirko e Claudio scoppiano in una risata fragorosa. È assurdo. Ascoltano il racconto del loro malcapitato compagno e se all'inizio si trattengono dal ridergli in faccia, adesso è praticamente impossibile. Sergio corruga la fronte, non gli piace che si rida di lui, eppure alla fine non può che unirsi a loro: fra tutte le fanciulle che popolavano la discoteca, lui ha beccato l'unica che avrebbe dovuto evitare.
D'altronde era così bella.
Fa promettere ad entrambi di non spifferare quella storia in giro, glielo fa giurare fino allo sfinimento: non sa se può fidarsi di quei due, li conosce solo da qualche mese. In ogni caso decide di riporre in loro la sua fiducia.
«Devi parlarle» Sergio guarda Claudio perplesso. «Devi essere sicuro che anche lei, come te, ha a cuore questo segreto.»
«Giusto!» Interviene Mirko. «Pensa se lei rivelasse tutto al capo. Sai che bella figura de mierda!» Non riesce a trattenere un altro attacco d'ilarità e si scusa, beccandosi un'occhiataccia da parte dell'amico e collega Sergio. Quest'ultimo non ha alcuna voglia di parlarle, ma riconosce che il ragionamento dei suoi compagni non è del tutto sbagliato. La cerca con lo sguardo fra gli invitati, senza riuscire ad adocchiarla e - in fondo - si sente un po' sollevato, conscio che il fattaccio è stato solo rimandato. Per ora preferisce godersi la festa di compleanno sgranocchiando qualcosa in tranquillità.
 
 
Dalla rampa delle scale ho tutto sotto controllo. Posso osservare le persone senza che loro si accorgano di me. È perfetto.
Lui è ancora in sala, lo vedo in compagnia di altre persone, ci sono anche Mirko e Claudio. Ride e scherza e adesso sta dando dei buffetti sulla nuca a un ragazzo che non conosco, questi finge di essere infastidito e gli prende il capo sotto il braccio. Lui, Sergio, se ne libera e ridono insieme.
È diverso.
Non è la persona che questa notte mi ha avvicinato in discoteca, né quella che mi ha fatto sua, né tanto meno il ragazzo scioccato di poco prima, quando mio fratello ci ha presentati.
Non mi piace. Non mi piacciono i tipi come lui, perfetti da capo a piedi, sempre composti, con i capelli chiari e la barbetta curata, la pelle leggermente abbronzata, gli occhi vivaci e gioviali.
Non mi piacciono i tipi come lui, eppure c'è qualcosa che...
Avverto un improvviso senso di vuoto nello stomaco - la sensazione delle sue mani sulla mia pelle, della sua bocca che bramosa cerca la mia, di lui dentro di me - mi travolge e mi spaventa insieme. Sto qui a fissarlo da qualche minuto: è un po' come vedere qualcosa di orribile da cui vorresti distogliere lo sguardo, ma sei incapace di farlo.
Non mi piacciono i tipi come lui, eppure mi attrae come una calamita.
C'è qualcosa...
 

 
Il navigatore di bordo della sua Peugeot gli dice che tra qualche minuto scatterà la mezzanotte e che ci sono 27°.
L'estate è ormai inoltrata, di giorno le vie infuocate del capoluogo lombardo sono semideserte, le finestre dei palazzi sprangate, mentre nell'aria si sente il ronzio dei motori dei condizionatori.
Fra una decina di giorni tornerà a casa per le vacanze, ma per adesso Sergio desidera solo raggiungere il suo bilocale milanese, spogliarsi e sdraiarsi sul letto, chiudere gli occhi e dormire, dormire, dormire.
È inquieto.
Sono giorni che sta seriamente soppesando l'idea di prendere in disparte Antonio Rizzo e raccontargli l'accaduto. È diventato un pensiero fisso, come un tarlo che picchia in testa, giorno e notte, senza tregua.
Mirko e Claudio gliel'hanno fortemente sconsigliato: taci, l’hanno ammonito, osserva l'evolversi della situazione, gli hanno detto, convinti che questa storia sarebbe scemata, sgonfiandosi come un palloncino.
«Quando vuoi che ti capiti di rincontrarla, dai stai tranquillo!»
Queste erano state le ultime parole pronunciate da Claudio nel lounge bar sui Navigli, dove hanno trascorso la serata sorseggiando mojito e sgranocchiando stuzzichini.
In fondo era vero. Si era trattato solo della storia di una notte e lì sarebbe finita. Inutile crucciarsi per qualcosa che non avrebbe avuto un seguito.
Perché non doveva avere un seguito!
Il semaforo indica rosso, Sergio frena lentamente e lascia che l'auto si rilassassi in folle. Il motore ronfa come un gattone addormentato, il volume della musica diminuisce di conseguenza. Alla sua destra l'entrata di un disco-pub è popolato da una ventina di persone, inconsciamente li osserva, la mente altrove. E la vede.
Accidenti! È lei! Di nuovo.
 
Fumo che esce, fumo che entra.
«Ehi, bambola!»
Mi volto nella direzione da cui è provenuta la voce. Un uomo di mezza età, con folti capelli biondi pettinati alla Big Jim, mi sorride sornione. Ho un moto di vomito e mi sforzo di non esternarlo. Voltandomi dall'altro lato inspiro altro fumo dalla sigaretta consumata a metà. Espiro.
«Oh oh, sei scontrosa» mi si piazza davanti e la sua giacchetta verde pisello è come un pugno nell'occhio. «Mi piace.»
Sbuffo, scocciata e schifata allo stesso tempo. Perché non posso fumarmi una sigaretta in santa pace e crogiolarmi nei miei noiosi pensieri?
«Vattene» gli dico, senza troppi giri di parole.
Ancora quel ghigno. Sento che se continuasse così potrei anche picchiarlo a sangue. Si passa la lingua flaccida sulle labbra ruvide, da vecchio, e rabbrividisco.
Che schifo!
Faccio per allontanarmi, ma lui è veloce e scaltro e mi blocca il passaggio con un braccio. La giacca che indossa si apre, lasciando intravedere una camicia a quadri gialli e verdi.
Questa è un'offesa al buon stile!
Continua a guardarmi con occhio languido, tamburellando le dita sul muro, lo stesso che mi ha sorretta fino a qualche secondo prima. Non mi arrendo, provo a svignarmela a sinistra e, in men che non si dica, sono in trappola.
Ho paura.
Nessuno ci guarda, poche e insignificanti persone sconosciute pensano ai fatti propri. E fanno bene. Ma io ho paura. Mi schiaccio sempre più contro il muro, se potessi mi fonderei con le pareti di cemento freddo e imbrattate di vernice.
Ho paura.
Vorrei gridare di lasciarmi andare, ho solo ventitre anni, ma la mia gola ha deciso di scioperare ed emette solo insulsi gorgoglii.
Ho paura.
Ho paura che mi possa sfiorare con le sue mani luride; ho paura che voglia baciarmi e al solo pensiero inorridisco. Gli vedo muovere le labbra, dice qualcosa però la sua voce mi arriva ovattata, da lontano, intuisco solo poche parole, tra le quali “sei davvero bella! Posso offrirti un caffè? Posso baciarti?”
Cielo, no!
Si avvicina, lo vedo socchiudere le palpebre e fare il muso a cuoricino. Ho il cuore che pompa come un matto, lo stomaco sottosopra, le gambe mi tremano e le lacrime sono imminenti. Stringo i pugni e volto il viso prima a destra, poi a sinistra. Ho gli occhi chiusi. Destra, sinistra, destra, sinistra, destra e mi blocca. Le sue mani mi afferrano il viso, le sento sulle mie guance disgustosamente appiccicaticce e stringono forte per limitare ogni movimento.
Mi bacia e la voglia di piangere aumenta.
Le sue labbra toccano le mie e io ho voglia di lavarmi con l'acido solforico.
Mi aggrappo ai suoi polsi e inizio a fare forza per togliermelo di dosso, in questo momento mi pento di non aver seguito un corso di arti marziali o di difesa personale.
Poi qualcosa si frappone tra noi. Apro gli occhi appena in tempo per vedere una mano sulla sua faccia spingerlo all'indietro, lontano da me.
Chiunque sia è un angelo.
Mi volto a guardarlo e resto di stucco: non è un angelo. È Sergio.
«Ehi!» L'uomo si sta rivolgendo al ragazzo che si è messo fra noi, lo scruta meglio e probabilmente si rende conto che se ci intraprendesse uno scontro avrebbe la peggio, per questo ammutolisce e se ne va con la coda fra le gambe. Sergio non smette di fissare il vecchio - con indosso la giacca color pisello e i pantaloni attillati di un rosa acceso - fin quando non entra nel locale. Solo allora cinge le mie spalle con un braccio, mentre mi guida fino alla sua auto. Apre lo sportello della Peugeot e vi salgo in silenzio, quasi intimidita. Il tonfo della portiera che si chiude mi fa sobbalzare, ho l'impressione che abbia usato più forza del dovuto. Tiro una boccata d'aria mentre lui fa il giro e sale in macchina, quindi avvia il motore e partiamo.
 
Mi sento agitata, triste, rabbiosa.
Sollevata.
Percorriamo diversi metri in un cocciuto silenzio monastico, provo un disagio profondo e non è da me. Lo studio di soppiatto: indossa una felpa scura e jeans più chiari, il suo viso sembra stanco. Tanto stanco. La barbetta, che di solito porta curata, urge di qualche accorgimento, il ciuffo chiaro è un po' scompigliato. Questo look dimesso mi aiuta a vedere un lato di Sergio che non conosco. Lui rotea appena gli occhi verso di me e d'istinto abbasso lo sguardo sulle dita che ho in grembo: le nocche sono diventate bianche, tanta è la pressione che sto esercitando sulle mani. Una strana sensazione di colpevolezza mi travolge, non so il motivo.
Gli vorrei chiedere scusa. Si, ma per cosa?
Questo mutismo è insopportabile, mi sta rosicando il cervello. Devo dire qualcosa prima che scoppi.
Pensa Lily! Pensa!
«È una bella macchina.»
«Già.»
Tace.
Silenzio maledetto!
Accidenti, continuo a fissarlo senza trovare nulla d'intelligente da dire.
Che si aspetti dei ringraziamenti?
Cos'hai tu? Cosa c'è in te che mi attrae come un insetto nella tela di un ragno?
Lo osservo ed è come se ogni volta scoprissi segreti in lui che mi erano stati celati fino a quel momento: i suoi occhi castani sono fissi sulla strada; i capelli chiari hanno riflessi color miele (mi sembra ancora di sentirne la morbidezza fra le dita); le sue mani curate sono ben salde sul volante (ricordo perfettamente il loro tocco delicato ma deciso sulle mie membra nude).
Cielo e che voglia di fare l'amore con lui! Di baciarlo e sfiorarlo e...
Non resisto. È come se il mio corpo non rispondesse più ai comandi che gli vengono impartiti. Come in un sogno mi sporgo su di lui, bisbigliandogli all'orecchio che, se vuole, potrei ringraziarlo di avermi salvato dal lupo cattivo. Lascio che la mia mano gli corra per la coscia, fino a sfiorarlo lì. Lui sussulta e mi allontana con garbo, accennando un sorriso sarcastico.
«Abbiamo già fatto abbastanza io e te per rischiare di rovinarci l'esistenza e la carriera. Penso che possa bastare.»
Mi raggomitolo sul sedile e taccio per tutto il tragitto che mi riconduce a casa di mio fratello. Guardo l'ora: mezzanotte e venti. Di sicuro mi faranno un'altra ramanzina, lui e sua moglie.
Che palle!
Voglio fuggire!
Voglio andare lontano, in un paese dove nessuno può dirmi cosa fare o cosa non fare.
Voglio morire e reincarnarmi in un uccello. Libero e con le ali per volare.
Voglio Sergio!
 
 
«Se vuoi potrei ringraziarti per avermi salvato dal lupo cattivo.»
È la voce di una sirena che lo strega con il suo canto ammaliatore. Cosa non le farebbe se solo potesse dare libero sfogo alle sue fantasie più recondite, fino all'ultima goccia di energia che ha nel corpo.
Si stringe al volante con maggiore forza. Sente la necessità di afferrarsi letteralmente a qualcosa di solido, per evitare di prenderle il viso tra le mani e divorarle le labbra, spingendo la lingua fin dentro la sua bocca.
Ma non può, è un ragazzo di venticinque anni a cui è stato insegnato a distinguere il bene dal male, ed è consapevole che lei è il male in quel momento della sua vita.
Istintivamente l'allontana quando avverte una leggera pressione sul basso ventre.
Dannazione quanto è caparbia!
«Abbiamo già fatto abbastanza io e te per rischiare di rovinarci l'esistenza e la carriera. Penso che possa bastare.»
Lei tace, la vede raggomitolarsi al suo posto e per la prima volta gli appare come una ventenne qualunque, spoglia della sua sicurezza e della sua tracotanza. Per la prima volta gli sembra disarmata e trattiene l'istinto che ha di avvolgerla in un abbraccio protettivo.
Ogni contatto con lei è pericoloso.
 
È il direttore in persona ad aprire l'uscio di casa. Ha un'aria imbronciata e seccata. Li osserva con fare interrogativo ed è Sergio il primo a prendere coraggio, mentre Lily è ferma qualche passo più indietro, timorosa forse della reazione di suo fratello.
«Direttore, scusi per l'ora, ci siamo incontrati al pub e ho pensato di darle un passaggio...» lascia la frase in sospeso, con quella sua cadenza latina a cui Lily non è ancora avvezza.
Antonio guarda sua sorella che se ne sta a capo chino, poi spalanca la porta d'ingresso e le fa cenno di entrare. La ragazza esegue diligentemente l'ordine, i capelli le ondeggiano sulla schiena e il loro profumo di balsamo alla vaniglia giunge a Sergio in modo così intenso che quasi gli provoca un capogiro.
«Vai subito a casa. Non mi piace che i miei ragazzi facciano tardi la sera.»
«Certo direttore!»
La porta si richiude, ma il giovane ragazzo si sofferma sullo zerbino per qualche secondo ancora, alza gli occhi alle finestre che affacciano su quel lato della casa, chiedendosi se la sua camera sia tra quelle, se lei sia lì, dietro uno di quei vetri ad osservarlo andare via.
 
Sento lo sguardo indagatore di mio fratello su di me e vorrei sparire. Dissolvermi come nebbia.
Mi odio! Quando lo deludo mi odio con tutta me stessa.
Mi intrufolo all'interno della casa quando mi fa cenno di entrare, come un ladro, a testa bassa. Salgo le scale velocemente, gradino dopo gradino, togliendomi le scarpe per evitare che i tacchi riecheggino nell'ambiente addormentato. Finalmente sono nella mia camera. Sento il colpo sordo della porta che da basso si chiude e mi avvicino alla finestra, sbirciando oltre le tende.
Sergio guarda all'insù e mi chiedo se stia cercando me. Tuttavia una vocina in fondo alla mente mi ammonisce, ricordandomi che solo qualche minuto prima sono stata respinta. Lo vedo salire in macchina e allontanarsi percorrendo strade deserte.
Addio Sergio.
 

 

*"Ho bisogno del vostro amore, ma anche che ve ne andiate tutti a fanculo!"
      - tratto dal testo "Come Undone" di Robbie Williams
 
 
 
  
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