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Autore: Eneri_Mess    10/11/2017    3 recensioni
Dal punto di vista di chi rimane indietro. La famiglia McClain e il pensiero di un figlio disperso.
« Che Lancey fosse morto? Lo credevo »
« Cosa ti ha fatto cambiare idea? »
« Il fatto che nessuno in questa casa si comporti veramente come se la mia briciola fosse tra gli angeli del Signore. Guarda la gatta »
Genere: Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, McClain Lance, Takashi Shirogane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A Yuki e Aredhel,
che ne hanno seguito la genesi
e mi supportano anche in storie senza protagonisti.




 
Ogni tanto le persone spariscono, ma lasciano sempre delle tracce.
Piccoli dettagli di cui non ci accorgiamo: volti nelle fotografie, bagagli, pasti avanzati, anelli.
Non si può dimenticare, non completamente...
e, se qualcuno può essere ricordato, allora può anche tornare.

[Doctor Who]




 

Loving can hurt, loving can hurt sometimes
But it's the only thing that I know
When it gets hard, you know it can get hard sometimes
It is the only thing that makes us feel alive

We keep this love in a photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts are never broken
And time's forever frozen still



 

« Signora… chi l’ha fatta passare? »

« Un giovanotto poco abituato a trattare con una madre adirata »

« … le ho chiesto gentilmente di smetterla di venire qui. Non mi costringa a chiedere un ordine restrittivo »

« Lo avrebbe già fatto, se fosse stata davvero sua intenzione »

« … »

« … »

Un pulsante premuto sulla tastiera del telefono. Un tu-tu brevissimo.

« Jaxson, portaci un caffè e un tè senza latte e senza limone »

Una piega delle labbra che racconta molte cose; l’essere una madre e una donna dal cuore spezzato capace ancora di tenere a bada un nugolo di nipoti da sola.

« Non è una cattiva persona, Mitch, si ricorda anche come preferisco il tè »

« Signora, lo so perché è qui e la risposta rimane la stessa: non può visionare i file del cadetto McClain. E per piacere, per lei sono il Signor Iverson »

« Non sono qui per quegli stupidi fogli, non saranno quelli a ridarmi mi niño. Sappia però che ho scritto al Presidente, come mi ha suggerito ironicamente una delle ultime volte. Una lettera accorata, di quelle che ai telegiornali piace leggere in diretta con le notizie serali. Domani a quest’ora dovrebbe già ricevere le prime telefonate da qualche reporter. Le ho mai detto che la figlia di mia cugina è stagista presso la CNN? Una ragazza davvero capace che farà strada, come tutti in famiglia »

« … »

« Chiuda la bocca, Mitch. Lei ha avvertito me, ma ora io metto in guardia lei: ho cresciuto cinque figli e tre nipoti contemporaneamente. Quando avevo diciassette anni ho perso il mio primo figlio a due mesi dalla nascita. Ho preso in casa la figlia problematica della mia migliore amica quando suo marito è morto e lei è andata in depressione. Ho cullato al petto il mio figlioccio Tito fino all’ultimo, mentre la leucemia ce lo portava via e i suoi genitori erano troppo distrutti. Sono andata alla ridicola messinscena del funerale del mio Lance solo perché mi sono vista costretta. Non si stupisca di quello che farò finché non avrò delle risposte, fosse anche scrivere altre mille lettere piene delle vostre stesse bugie »

« Signora McClain, perché è qui? »

« Tenga »

Un album, vecchio e dagli angoli sbucciati dall’usura. Pesante, ma appoggiato con la cura di un pezzo di vita sulla scrivania. La prima pagina scricchiola quando viene aperto; la colla delle pagine è gialla e indurita e sembra che i fogli possano staccarsi da un momento all’altro.

« Probabilmente nemmeno lei sa cosa è successo a mio figlio e quegli altri due poveri ragazzi. Avrà qualche pezzo del puzzle, ma non tutto il quadro, dico bene? »

« … »

« Guardi. Qui Lance aveva una settimana. È nato prematuro, al settimo mese. Mi ha fatto spaventare come mai, ma quella notte, quando reagì subito alla rianimazione e fu messo nell’incubatrice ancor prima che potessi tenerlo in braccio una prima volta, ho capito che era testardo e che semplicemente non vedeva l’ora di venire al mondo »

Un occhio che segue le mani massacrate dalla vita della signora McClain mentre indica la foto e poi gira le pagine. Ne volta diverse, scorci veloci, quasi tutti di bambini, di colori, di occhi che ti fissano e sorrisi che svaniscono alla pagina successiva, ma immortalati per sempre.

« Lance ama vivere, non penso ci sia qualcosa che lo emozioni di più. Qui è in braccio a mio fratello quando lo abbiamo recuperato dal pozzo in cui era caduto. Aveva sei anni e passammo la notte a cercarlo, con la pioggia e il temporale che coprivano le sue urla e le nostre. Ci era caduto perché aveva sentito un miagolio. Quella palla di pelo zuppa d’acqua che tiene stretta è Lluvia; è la migliore amica di mio figlio e che lei ci creda o meno, aspetta tutti i giorni che Lance ritorni a casa »

Nella foto, rischiarato dalla luce giallognola di un'abat jour in un salotto modesto, un bambino fradicio e graffiato stringe un gattino minuscolo urlante. Lacrime rigano il viso del ragazzino, creando delle scie pulite sulle guance sporche di fango. Sta ridendo, mentre una mano grande quanto la sua faccia gli scombina i capelli.

Due occhi blu come quelli del bambino lo fissano e Iverson non ha mai sentito tanta pressione nemmeno da un superiore. Forse solo da sua madre e inizia a capire.

Altre pagine vengono sfogliate, altri sguardi che scorrono con centinaia di storie da riferire, di momenti fermati nel tempo e nella memoria. Ha la sensazione come di farne parte, per un attimo, e si sente anche molto sciocco a pensarlo.

« A quindici anni è entrato nel vostro programma. Con un anno di ritardo e un ripescaggio. Per pagargli la retta abbiamo fatto rinunce e sacrifici. Mio marito, anche con problemi di salute, è andato a lavorare lo stesso e questo poi lo ha costretto a quattro mesi forzati di riposo e al licenziamento. Mio figlio Isaac e Lance hanno sempre avuto alti e bassi, come tutti i fratelli, ma non li ho mai visti litigare tanto come quando Lance è stato bocciato al primo esame. Però… guardi questa fotografia, Mitch. È del giorno in cui è arrivata la vostra lettera di ammissione. Io la guardo e la fatica di quel periodo non mi sembra mai esistita »

Un ragazzo abbracciato dalla madre e da due bambini più piccoli, addossato a un mobile da cucina come se l'equilibrio lo avesse tradito, una mano a coprirsi gli occhi e l’altra con la lettera stropicciata posata sulla testa di uno dei bambini. Ancora lacrime e una bocca che trema nel tendersi tanto e sorridere. C’è un’altra foto sotto, su cui l’occhio sano di Iverson viene attirato da una sorta di magnetismo. È notte, si percepiscono le stelle, e Lance ha la bambina della foto precedente in braccio, cappellini a festa storti sulle loro teste, e punta un dito verso il cielo mentre sembra dire qualcosa alla piccola.

« Il compleanno di mia nipote Sofia è stato la scorsa settimana. Mi ha detto “Nonna, ti confido il mio desiderio perché l’ho detto anche ad abuela, ma non dirlo a nessuno sennò non si avvera, ok? Ho chiesto che tìo Lance torni a casa”. Perfino una bambina di sette anni- »

Un singhiozzo che la signora McClain ricaccia indietro con un sospiro rigido e chiudendo un attimo gli occhi. Nel mentre entra Jaxson e poggia caffè e tè come richiesti; osserva senza capire l’album di foto e viene invitato a uscire con un cenno rigidissimo di Iverson.

La signora McClain è di nuovo padrona di sé. Entrambi ignorano le tazze per guardarsi in viso. Iverson sa che non ha la maschera che dovrebbe indossare, ma sa anche di non avere quello che la signora vuole da lui.

« Ha visto mio figlio morire? »

« Signora… »

La mano che sfogliava le pagine si posa su quella del Comandante. Nonostante le piccole cicatrici, le chiazze più chiare, è morbida e calda. Non stringe, non fa pressioni. Rimane ferma, in un contatto labile come le speranze cercate.

« … no »

« … è ancora vivo? »

« … non lo so »

C’è un respiro spezzato, che si sgretola, dopo essere rimasto trattenuto tanto a lungo.

« Grazie. Mitch, grazie »

E l’album viene chiuso.





 

So you can keep me
Inside the pocket of your ripped jeans
Holding me closer 'til our eyes meet
You won't ever be alone, wait for me to come home

 

La pausa pranzo a lavoro è quasi finita. È quel momento in cui mancano pochi minuti, c’è ancora tempo, ma nulla da fare. Una foto tirata fuori dal portafoglio.

« È uno dei tuoi fratelli? »

« Eh? Ah sì, è Lance »

« Ha un nome più carino del tuo. E anche il viso, è più dolce »

« Eheh, è tutto nostra madre, ma non emozionarti, è gay, anche se ancora non sa di esserlo »

« Spiritoso! Fa ancora il liceo? »

« Non proprio… studia alla Garrison. È il piccolo vanto di famiglia »

« Wow! Deve essere super intelligente! »

« Diciamo che è bravo a cacciarsi nei guai e a sopravvivere »

« Avete una lunga esperienza di marachelle alle spalle immagino »

« Decisamente troppe! I capelli bianchi della mamà sono merito nostro »

« Ehi… ti manca? Hai lo sguardo triste »

« … Sì »

Un silenzio trattenuto fino all’orlo ultimo di una lotta interiore.

« Sono un idiota...  »

« Perché dici così? Potresti provare a telefonargli? »

« Non è così semplice »

« Avete litigato? »

« Anche… per questo sono un idiota doppio. Non gli ho chiesto scusa quando potevo »

« Cosa? … Oh! Io, perdonami, non pensavo che- »

« È scomparso quasi un anno fa. Un tragico incidente durante un’esercitazione top secret con altri due compagni. Caso chiuso e archiviato per la sicurezza nazionale. Abbiamo fatto un funerale a un’urna col suo nome e dentro poteva esserci polvere del deserto per quello che so »

« Davvero, scusami, non volevo farti ricordare- Mi dispiace »

Occhi che si fissano in quelli di un’altra persona, una collega, una conoscente poco più. Il bisogno di tirare fuori il tormento.

« Ci penso sempre. Ed è strano, sai? Credevo mi sarei rassegnato, eppure la parte di me che si cacciava nei casini con lui è convinta che è ancora vivo da qualche parte e un giorno tornerà. È stupido? »





 

Loving can heal, loving can mend your soul
And it's the only thing that I know, know
I swear it will get easier,
Remember that with every piece of you
Hm, and it's the only thing we take with us when we die


 

 

Una cornice con la foto composta di un uomo, ben sistemato e in posa. Due mani attraversate da rughe che la tengono per osservarla.

« Lance aveva gli occhi di Antony. Sono due gocce d’acqua »

Un sospiro da un altro uomo intento a tagliare verdura per la cena.

« Mamá ne abbiamo già parlato… Lance ha- » una pausa tra le parole ma non nei gesti; il coltello continua a tagliare. « Aveva gli occhi di Rosa »

« Li aveva più chiari, ne sono sicura »

« … come credi »

« Rosa è andata ancora in quel covo di disgraziati? »

« Sì »

« Crede davvero che ci ridaranno Lancey? L’ho vista prendere l’album di famiglia »

« Non si fermerà »

« Lo so, e se lo farà, trascinerò le mie vecchie ossa davanti ai cancelli di quel manicomio e gliele farò vedere io le stelle. Ah, mi stavo dimenticando. Ha chiamato di nuovo quella donna, Coleen Holt. Ha lasciato un messaggio per Rosa. Dice che verrà nel fine settimana con “l’uomo che conosce i segreti della Garrison”. Un tale Ken Kogane. Questa storia sta diventando un complotto e ci farà uscire tutti matti »

Il coltello si ferma a metà e il signor McClain fissa sua madre.

« Aspetta mamá, cosa hai detto? Credevo che… riguardo a Lance… pensassi- »

Parole che faticano a uscire. Tutto fatica a essere fatto da un anno. Anche tagliare le verdure per la cena.

« Che Lancey fosse morto? Lo credevo »

« Cosa ti ha fatto cambiare idea? »

« Il fatto che nessuno in questa casa si comporti veramente come se la mia briciola fosse tra gli angeli del Signore. Guarda la gatta »

Entrambi si girano verso la finestra. Sul davanzale, la gatta grigia a pelo lungo, Lluvia, è sdraiata composta, muove la coda pigramente e tiene il muso puntato in alto, verso il cielo che si scurisce.

« Sofia dice che vuole diventare un pilota di astronavi e andare a cercare Lance tra le stelle. Con Pepe e Cloe hanno ribaltato la libreria per cercare libri da studiare. “Ci servono mappe del cielo abuela!” mi ha detto. “Cloe penserà alle cose da portare e Pepe costruirà in giardino il razzo! Ha già chiesto a Babbo Natale tutto!” »

Il signor McClain sorride e riprende a tagliare la verdura.

« Sono bambini »

« E pensi che facciano bene ad avere queste speranze? »

« Mi pare di capire che adesso la nutri anche tu, questa speranza »

« Non rigirare la frittata! »

Una lunga pausa dove i rumori sono quelli della lama sul tagliere, del sobbollire dell’acqua sui fornelli, della gatta che sbadiglia, si stiracchia e si riaccuccia.

« Sono stata dall’avvocato Martedì »

« Non eri andata a una visita medica? Cosa c’entra l’avvocato? »

« Ho cambiato il testamento. Se Lancey dovesse davvero tornare quando non ci sarò più, la casa a Varadero… be’, l’ho intestata a lui »

« Cos- »

« Voi ne avrete l’usofrutto finché non tornerà, non ti preoccupare. Per quel che vale quella catapecchia »

« No mamá, aspetta. Non è questo, intendevo… l’hai fatto davvero? »

« Certo che l’ho fatto davvero. La mia briciola è riuscita a farmi amare quel posto e tu sai che io non vedevo l’ora di venire in America. Ma a Lance è sempre piaciuto laggiù… abbiamo passato delle belle estati quand’era piccolo… e io… avevo bisogno di fare qualcosa per lui. Anche se l’avvocato mi ha fatto una testa così per via del certificato di morte di Lance e tutto il resto... »

Si aggiunge un fruscio ai rumori di fondo, quello di un pezzo di scottex strappato dal rotolo.

« Non sto piangendo »

« Lo so mamá »

« È colpa della cipolla »

« Che non ho ancora tagliato… »

« Oh, taci! »




 

Hm, we keep this love in this photograph
We made these memories for ourselves
Where our eyes are never closing
Hearts were never broken
And time's forever frozen still



 

Fogli, pastelli e matite sparse sul pavimento, insieme a fotografie e colla. Tre bambini, una gatta e un tablet rubato ai grandi.

« Così va bene? »

« mmmh Pepe nel prossimo volantino “WANTED” scrivilo più grande e rosso! Così si vede meglio! E usa la foto dello tío al mare l’anno scorso, quella sulla tavola da surf »

« ‘Fia o p’eo copette »

« Brava Cloe! Ce ne servono tante! Nello spazio fa freddo, chiederemo ad abuela anche i suoi maglioni »

« Ma quelli di abuela puzzano di fiori »

« Profumano Pepe! E allo tío piacciono! »

« Uffff come vuoi, il capo sei tu »

« ‘Fia, ‘Fia, quetto qué? » un ditino che indica un grande disegno scuro.

« È una mappa del sistema solare Cloe »

« ¿qué? »

« È dove c’è la Terra. Qui. Noi siamo qui »

« Oooh. Tea! ‘appa! »

« Sì! »

« Tío do’e? »

« Nessuno lo sa Cloe, per questo andiamo a cercarlo! Inizieremo da qui, vicino Plutone! Plutone ha tante lune e lo tío studiava per andare su Kerberos »

« Kebe! Kebe! Pecché? »

« Perché lo tío cercava il suo eroe »

« Bat’an! Pipitello! »

« No no! Un eroe vero! Si chiama… aspetta »

Ditina agili che scorrono ricerche sul tablet. La foto di un uomo in divisa, sorridente, sotto un nome.

« Ecco, Taka… shi Shiro… gane »

« Bah, che nome strano. Non sembra da supereroe »

« mmmh… Tío raccontava sempre che è il pilota più bravo della sua scuola »

« Se è il più bravo perché lo cercava su Kerberos? » il faccino crucciato di un bambino concentrato nel rimarcare col pastello rosso la scritta “WANTED”.

« Sulla Wiki c’è scritto che due anni fa è sparito anche lui come lo tío durante una missione! »

« … facciamo i wanted anche per lui? »

« Se ci avanza il tempo. Lo tío è più importante »

Il sole si è abbassato sull’orizzonte; i pastelli ancora grattano la carta. Su una pila di fogli scritti e con foto di Lance prese in prestito dagli album di famiglia stanzia Lluvia, che fissa pigramente i bambini all’opera.  

« Questo è il secondo progetto del razzo, se il primo non funziona »

« È come quello che voleva guidare lo tío! Fantastico Pepe! »

« Ho copiato dal sito della Garrison, ma ho fatto le ali più grandi così vola meglio. Ho aggiunto un altro motore di emergenza qua »

« ‘Fia, ‘Fia, guada »  

« Cloe, quello è lo tío ma l’altro chi è? »

« Eoe! Tata! » il disegno viene sollevato e le ditina indicano le mani unite dei due personaggi. « Tío t’oa eoe! I’ieme! »

« Ma che dice? Io non la capisco quando parla »

« Cloe intende che se sono scomparsi tutti e due forse sono insieme! »

« Che scemenza, l’universo è troppo grande! »

« Per questo ci servono tanti volantini »

« Ok, ma poi a chi li diamo nello spazio? »

« Agli alieni! Tío Lance diceva che ci sono tanti diversi tipi di alieni e bisogno trovare solo quelli buoni che ti aiutano! Come in MIB! O i Signori del Tempo per esempio! Viaggiano in una cabina blu! O quelli con le spade laser! Sono super buoni e ci aiuteranno sicuro! »

« Ma quelli sono film »

« C’è sempre qualcosa di vero »

« Se lo dici tu… Però allora ci saranno anche gli alieni-insetto! »

« Bleah! No che schifo! »

« Possiamo portarci Lluvia »

La gatta muove la coda su e giù e dà il suo assenso chiudendo e riaprendo lentamente gli occhi verdi.

« Allora dobbiamo pensare anche al cibo per lei e alla sabietta »

« Aggiungo un piccolo magazzino al progetto del razzo »

La gatta inizia a fare le fusa. I bambini tornano a colorare i fogli.

« ... Sofia, senti... e se lo tío se ne è andato davvero in cielo? Quello dove c'è anche abuelo? »

Le punte dei pastelli si fermano. Tre paia di occhi si guardano sgranati.

« ‘Fia…  tío no… tío no »

« Pepe! Hai fatto piangere Cloe! »

Un abbraccio tra bambine.

« Io… scusa Cloe, non piangere! Non volevo »

« Bravo! »

« Non dirlo a papá o si arrabbia! »

« Fai qualcosa! »

Un singhiozzo premessa di un pianto a dirotto.

« Cloe! Aspetta! Non urlare! Stiamo andando in missione per cercare lo tío, non c’è niente da piangere! Lo tío non è con abuelo! Abuelo era vecchio! Tío Lance… tío Lance è forte! Ricordi quando è caduto dall’albero per recuperarci la palla? Non si è fatto niente! Con il mio razzo lo troveremo di sicuro! E Sofia ha fatto la mappa! Tu hai preso le merendine e le coperte! Troveremo di sicuro lo tío! »

Un mignolino si allunga verso il maschietto, due occhioni azzurri che chiedono “prometti?” perché la bocca non sa ancora pronunciare bene la parola e il momento è importante.

« Prometto »




 

Wait for me to come home
Wait for me to come home
Wait for me to come home
Wait for me to come home



 

« Ehi Lance, tutto ok? »

Uno sguardo che si solleva da una foto tenuta con entrambe le mani.

« Sì… sì. Pensavo a casa » una pausa e una domanda che nasce spontanea. « Pensi mai a tornare indietro Shiro? »

Passi che si avvicinano; Shiro si siede vicino e rimane a scrutare il panorama di stelle oltre il vetro del Castello.

Non ci sono risposte, non subito. Diversi pensieri condivisi nel silenzio.

« Non tanto sinceramente »

« La tua famiglia? »

« … è complicato. Credo. In realtà non così tanto. I miei sono separati, non si parlano molto e- » uno sguardo che cade sulla foto tra le mani del paladino blu. Un sorriso divertito. « Non ho una famiglia così numerosa »

« Oh, questi sono solo i parenti stretti, e ne manca qualcuno. La settimana scorsa era il compleanno di Sofia, lei, è la nipote più grande, anche se Pepe è più alto. Cloe qui non c’è, ma ora dovrebbe avere tre anni e mezzo e sono certo faccia ancora fatica a parlare, ma rimedia con un talento naturale per il disegno »

« Sembrano… vivaci »

« Sono delle pesti! Ma è un gene di famiglia. Tutti e tre insieme non so cosa potrebbero combinare »

Brevi risate, di cuore.

E di nuovo cala il silenzio nello sguardo con cui viene rimirata la foto.

« Dopo quasi un anno pensi che ci abbiano dichiarati morti? Come hanno fatto con te? »

« Lance è... sì. La Garrison ha dei protocolli. Se non mi aveste tirato fuori, forse avrebbero insabbiato tutto. È una questione troppo grande… »

« Sì lo so. Ma… » dita che sfiorano il centro della fotografia. « Ti farò conoscere mia madre, quando torneremo » un sospiro che non vuole essere davvero malinconico. « Le avrò fatto diventare tutti i capelli bianchi… conoscendola, starà cercando di far sputare la verità alla Garrison »

Una mano che stringe una spalla.

« Non vedo l’ora »




 

"Wait for me to come home."

[Photograph - Ed Sheeran]





 

Finita. L’intento era finirla prima di Lucca, ma nisba. Tra l’altro l’epilogo non era davvero previsto ~

È una storia “sfogo”, dove ho preferito il dialogo alle descrizioni, per - come ha detto Yuki - non ‘annacquare’ le emozioni. Protagonisti, questi immaginari famigliari di Lance.

I nomi della madre (Rosa) e del padre di Keith (Ken) vengono da un paio di fanfic lette tempo fa, non ho avuto troppo sbatti a cercare in giro nomi confesso. Per Cloe serve un traduttore, sorry lol

Linko delle fanart di Alexandra Lumetta ( QUI ) che anche se non sono state l’ispirazione primaria ci azzeccano tantissimo *love*

Per il resto sono una sequenza infinita di headcanon e malinconia gratuita. E un pizzichino di Shance (vai Cloe, cresci bene XD) perché me gustava.

Se avete letto, grazie mille!

 

Pagina autore: Nefelibata ~

 
   
 
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