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Autore: Angelika_Morgenstern    10/11/2017    8 recensioni
Questa storia partecipa al contest di Halloween indetto sul gruppo Facebook Efp famiglia: recensioni, consigli e discussioni
Quando feci per aprire lo sportello mi resi conto che era chiuso.
Andai per tirare su la chiusura di sicurezza, ma nulla, non volle saperne di aprirsi.
Eravamo intrappolati nella mia macchina.
Tutto questo sarebbe potuto sembrare comico finché non me ne accorsi: di fronte a me una ragazza.
I capelli biondi, sfibrati e secchi, gli occhi… strani.
Sembravano disegnati.
Il corpo era troppo piccolo e… perché aveva le braccia aperte?
Genere: Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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— Dannata pioggia. – impreco, mentre cerco di far andare i tergicristalli al massimo ma quest’acqua torrenziale non sembra avere l’intenzione di regalarci nessuna tregua.
Non si vede a un palmo dal naso, non posso correre e persino l’illuminazione stradale non aiuta, facendosi fioca grazie alla nebbiolina che aleggia sull’asfalto.
E poi accade: le luci partono del tutto, facendo piombare la strada nel buio più totale.
— Fantastico! Già immagino l’incazzatura colossale di Ellie. – esclamò spazientito.
La mia compagna mi aspettava per il cinema delle dieci, ma ormai l’appuntamento è bello che andato. Ormai sono le 10 passate, io sono ancora a metà strada e mi sono perso perché hanno deciso di mettersi a fare i lavori a metà novembre, chiudendo la strada perché la pioggia ha fatto crollare un pezzo di asfalto.
Solo dei veri geni incompresi decidono di fare i lavori in questa stagione.
All’improvviso salta anche la radio e mentre faccio zapping tra i canali, l’auto perde aderenza e sbanda, finendo fuori strada.
Il tempo sembra scorrere lentamente e la mia corsa si arresta addosso a non so cosa: la macchina inchioda, come se qualcosa l’avesse fermata da sotto, e subito mi viene in mente la marmitta.
Scendo imprecando sotto la pioggia, sti cazzi dell’acqua, se la macchina mi lascia da solo qui sotto è la fine!
Faccio il giro prendendomela con Dio e il dannato Karma, mi abbasso e noto che, per fortuna un grosso masso si è inchiodato sotto il fascione anteriore senza ferire il motore o qualcos’altro.
Che culo!
Felice mi rialzo, per poi urlare subito: all’altro lato c’è una ragazza.
— Oh, grazie a Dio! – dice, mentre stendo un braccio — Indietro! – urlo, tenendola a distanza.
— No, no, aspetta! Non sono una ladra, io… io…
Sposto appena lo sguardo sulla sua guancia, illuminandola con la torcia del telefono. La ragazza si volta, accecata dalla luce improvvisa, mostrandomi involontariamente il viso sporco di nero. Solo grazie all’illuminazione noto i vestiti bruciacchiati.
— Ma che…
— Tutto… è andato tutto a fuoco… – inizia a piangere.
— Ascolta, entra in macchina, ok? Ti porto in ospedale. Guida tu.
— Non… non so dov’è…
— Ci arriviamo col navigatore. Guida tu.
La ragazza entra nell’abitacolo, guardandomi con aria spaventata, e io entro al posto del passeggero, tirando fuori la pistola.
— Che stai facendo? Oh mio Dio! – piagnucola lei.
Veloce rispondo — Sono un agente di polizia, è una precauzione. Mi assicuro che tu non faccia cazzate. E ora metti in moto, forza.
Tanto ormai la serata con Ellie è sputtanata totalmente.
Per un po’ non parliamo, poi mi tranquillizzo: la ragazza tiene le mani sul volante tremando, cerca di soffocare i singhiozzi ma ovviamente non ce la fa.
— Accosta.
— …come?
— Non sei in grado di guidare. Accosta.
Esegue e ci scambiamo velocemente di posto.
Dal bagagliaio prendo una coperta di lana che porto per quando dormo da Ellie, porgendogliela — Almeno ti puoi asciugare.
— Grazie.
— Allora… com’è che ti chiami?
— Abby Road.
La guardo esterrefatto — Cos’è, un nickname?
— I miei erano fan dei Beatles, una cosa disumana… e mio padre si chiamava Road. Il suo sogno era avere una figlia femmina. Il resto lo capisci da solo.
— Erano?
Segue una pausa eloquente — Scusa, non volevo.
— No, è che… è appena successo.
— Scusami…?
— Loro… loro sono… appena morti.
Sono allucinato: ma che vuol dire appena morti?!
— Ma… cos’è successo? C’è stato un’incidente? Sono un poliziotto, puoi dirmelo… devi dirmelo! E se fossero ancora vivi?
Lei scuote il capo, che sembra pesarle sulle spalle come un macigno. La coperta scende sul braccio e noto un profondo taglio sulla spalla.
— Abby, cos’è successo esattamente?
Mi guarda.
 
— Marissa!
La donna dalle unghie laccate di rosso abbraccia l’altra visibilmente meno curata e con rughe sul viso che descrivevano alla perfezione i cinquant’anni di vita trascorsi.
— Margaret! Abby, Sam! Come state? Accomodatevi, forza! Il tempo minaccia pioggia.
La famiglia fece il suo ingresso nella casa di campagna, dal cui ingresso si vedeva bene il salone e il camino acceso — Laura ha voluto accendere il fuoco appena ha saputo che veniva Abby. Sa che le piace molto. – disse la padrona di casa, appendendo i cappotti al muro.
— Abby! – una bambina corse verso la ragazza, quasi agganciandosi al suo collo per farsi tenere in braccio — Stai calma Laura, sei cresciuta e tua cugina non ce la fa a tenerti in braccio! – l’ammonì sua madre.
— Allora dai, andiamo fuori! Devi vederlo! – esclamò la piccola, prendendo per una mano Abby, che uscì col cappotto ancora pendente dal braccio libero, tanto che le cadde a terra strada facendo.
La ragazzina la guidò verso quello che sapeva essere il campo di fiori rosa che in primavera fiorivano rigogliosi, vicino alla tomba della sorella di Laura, nonché cugina maggiore di Abby.
Lo spaventapasseri che troneggiava al centro del campo aveva un che d’inquietante: la paglia fungeva da capelli ed il colore ricordava quello della chioma della cugina defunta, Rose.
L’abito grigio che avevano fatto indossare al pupazzo era proprio uno dei suoi che Abby ricordava molto bene, stessa cosa per il cappello ed i guanti.
— Ti piacciono gli occhi? Li ho fatti io! Come quelli di Rose, vedi? Eh? Vedi? Vedi?
La ragazza trovò molto inquietante ed ossessiva quella ricerca di attenzioni da parte della cuginetta — Wow… somigliante! Sei brava, Laura!
— Ah, che bello! Hai sentito, Rose? – domandò la piccola, voltandosi verso lo spaventapasseri – Dice che le somigli!
Abby sentì un brivido scorrerle per la schiena quando si rese conto del fatto che sua cugina si rivolgeva al pupazzo come fosse vivo, per poi dirsi che è un gioco di bimba, nulla di che.
Le due si avviarono verso casa, rientrando per il freddo.
Un guanto dello spaventapasseri cadde a terra.
Qualcuno lo raccolse.
 
Il tepore del soggiorno rincuorò Abby, che ritrovò la pace nell’atmosfera famigliare conosciuta.
Suo padre e suo zio se ne stavano a parlare sui divani di fronte al camino, fumando sigari mentre il tg sportivo dava i risultati delle ultime partite di baseball; sua madre e sua zia erano in cucina, dove Laura la trascinò.
— Mamma! Mamma! Anche Abby ha visto Rose, dice che le somiglia tanto! – riferì la ragazzina senza nemmeno aver finito di aprire la porta – E Rose l’ha ringraziata!
Abby si aspettava che sua zia rispondesse ad una certa maniera alla piccola di casa, invece rimase di sasso quando quella l’assecondò — Tua sorella è sempre stata così bene educata, cosa ti aspettavi, cara?
La ragazza e sua madre si guardarono per poi sorridersi, sminuendo la questione. Anche sua madre l’assecondava da bambina, che male c’era?
— Lavatevi le mani che qui è pronto.
Le cugine si diressero verso il bagno, che Abby trovò freddo.
I muri rivestiti di mattonelle le fecero gelare il sangue nelle vene, diversamente da come ricordava lei: quando trascorrevano le feste dagli zii c’era sempre un’atmosfera accogliente, il bagno sapeva di panni appena lavati e la luce lo faceva apparire il luogo più accogliente del mondo, invece quella sera era tutto umido, quasi spettrale.
Cos’era successo?
Improvvisamente volle andarsene.
Laura rise di gusto senza un motivo e la cugina ebbe l’impressione di vedere un’ombra alla finestra che si allontanava in quel momento — Hai…?
— Era Rose. Non capisco perché, ma sembra divertirsi a giocare a nascondino da fuori!
La bambina andò in cucina e, appena uscita dal bagno, le luci si spensero, lasciando Abby al buio.
La ragazza sentì un rumore sommesso e si ridestò subito dai suoi pensieri, correndo nel salotto illuminato.
Una candela allo zenzero era stata accesa sul camino, facendo sì che la casa odorasse di buono. I suoi erano già a tavola, imbandita come al solito, e suo padre si voltò verso l’esterno — Guarda che razza di pioggia…
— Credi che la strada sia rovinata? – domandò sua madre.
Al contrario dei parenti, la famiglia viveva in centro città ma era un problema arrivarci quando pioveva per via delle strade ancora sterrate che si trasformavano in una sorta di sabbie mobili per ogni macchina che vi si avventurava.
— Potete restare a dormire. – propose lo zio.
Abby avvertì l’improvvisa sensazione di paura stringerle lo stomaco, che le si ribaltò nella cassa toracica quando sua madre e suo padre acconsentirono all’offerta.
— Evviva! – esultò Laura – Anche Rose ne sarà felice!
I genitori di Abby si guardarono confusi mentre la loro figlia stava letteralmente tremando di paura al pensiero di passare la notte in quella casa.
— Allora, Abby, come va a scuola? Quest’anno farai il terzo. Come ti trovi?
La domanda dello zio la tranquillizzò un poco: qualcosa di normale di cui parlare!
— Bene. Ho fatto subito amicizia, gli studi m’interessano molto, anche se alcuni professori sono davvero noiosi. Però mi piace ciò che ho scelto.
— Dillo che sei la secchiona della classe! – la schernì suo padre, facendo ridere tutti
— No, non è vero! Però m’interessa, sto attenta e così a casa studio di meno.
— Allora sei solo furba! – osservò vivacemente la zia.
Dopo le risate di rito, si rivolse poi alla madre di Abby — Senti, e te invece hai più fatto quel colloquio?
— Sì, è andato bene. L’asilo è simpatico, ti snerva perché i ragazzini di oggi sono impossibili, devi sempre dargli ragione altrimenti le mamme partono in difesa dei mocciosi. L’educazione è davvero cambiata, praticamente sei una baby sitter che deve servirli e riverirli come principini.
— Per carità! – obiettò sua sorella – Le vedo anche io quando porto a scuola Laura, e devi vedere come mi guardano. Solamente perché sono una donna di campagna.
— Allucinanti.
— Beh, io intanto so cucinare, loro no. – concluse la donna alzandosi per sparecchiare, mentre sua sorella si apprestava a darle una mano.
— Andiamo a giocare? – domandò Laura a Abby, che non aveva molta voglia di passare tutto il tempo con quella ragazzina — A cosa?
— Mamma e figlia.
— Per favore, sono troppo vecchia!
La piccola rifletté — Allora andiamo in camera di Rose. Sono sicura che troveremo qualcosa con cui giocare!
— Non credo sia una buon…
— Dai, sei lenta!
Laura era già partita per le scale di legno, coprendo in un attimo la distanza tra i due piani mentre la cugina maggiore la seguiva di malavoglia.
Non è che abbia tanta fantasia di starmene nella camera di una morta…
Ma non ebbe cuore di ribellarsi all’entusiasmo della cuginetta. E poi cos’avrebbero fatto? Guardato la tv? Sai che noia.
Quando Laura aprì la porta, una stanza buia e polverosa si mostrò agli occhi di Abby, che capì in un attimo che quello spazio non era stato mai più riaperto da quando quel mattino sua cugina era uscita per recarsi a scuola, non facendo mai più ritorno a casa per colpa di un’auto che la investì.
Una fifa blu s’impossessò di lei — Laura, che hai combinato?!
— Perché? Questa stanza è bella e poi a Rose non da mica fastidio, sa! È un peccato sprecarla!
— Ma cosa dici, dovevi avere rispetto per le cose di tua sorella.
— Oh, guarda, fa zip zap! – notò con dispiacere la piccola, che provò ad accendere la luce. Questa risultò intermittente e Abby provò a stringere la lampadina, riuscendo nel suo intento.
L’illuminazione non aiutò a migliorare di molto l’aspetto della stanza:  il letto era ancora sfatto, in giro gli abiti della ragazza, i panni sporchi ancora nella cesta, per non parlare di trucchi e profumi, ormai ingialliti nei loro flaconcini.
— Senti questo che buono! – esclamò Laura, fiondandosi sul letto della sorella per afferrare un profumo che aveva il colore delle foglie in autunno.
Lo spruzzò sul polso, ma l’odore che ne uscì risultò nauseabondo. Una volta doveva essere stato agrumato, pensò Abby.
— Buono, eh? È il preferito di Rose! Solo che devo rimetterlo a posto, se no s’arrabbia.
Lo sistemò sulla scrivania bianca angolare, fermandosi poi davanti allo specchio. Si voltò verso Abby — Proviamo i suoi vestiti!
— Ma sei scema? Si arrabbierà!
— Ma che, non mi dice niente, mai! – Laura aprì l’armadio a muro, che liberò un odore di chiuso da far voltare lo stomaco.
Abby fece fatica a restare dov’era, impaurita dal comportamento di sua cugina: come faceva a comportarsi come se nulla fosse?
Erano passati tre anni dalla morte di Rose e la famiglia sembrava essersi ripresa, cos’erano adesso quegli strani atteggiamenti?
E per quale motivo?
Forse Laura faticava ad accettare la scomparsa della sorella?
Oppure stavano impazzendo per il dolore troppo forte?
— Guarda che bello! – esclamò la piccola, uscendo dall’armadio con indosso un abito a fiori e delle scarpe rosse col tacco alto. Era davvero molto buffa, ma il fatto che quelli erano gli abiti di una defunta inquietava non poco Abby, che si guardò attorno.
— Sei bellissima… e sono sicura che Rose pensa la stessa cosa. Ma sono stanca, vorrei andare a dormire.
— Va bene. – annuì triste Laura.
Le due scesero di sotto, salutando i loro genitori, per poi tornare di sopra e dividersi nelle rispettive stanze.
Abby emise un sospiro di sollievo una volta nella sua. La luce era normale, non c’era polvere e si vedeva lontano un miglio che veniva tirata a lucido come una qualsiasi stanza della casa.
Chissà se la zia si arrabbierà con Laura ora che è entrata nella stanza di Rose.
La sacralità del ricordo della cugina era chiaro a tutti, ma pensava che ultimamente stessero davvero esagerando.
Si ficcò sotto le coperte, riflettendo sul fatto che la settimana prossima avrebbe avuto un importante compito di algebra, e pensando alle formule si addormentò profondamente.
 
Questo caldo è insopportabile.
Sono bagnata.
Sudata.
Fradicia.
Ma perché?
 
Un tonfo svegliò di soprassalto Abby, che aprì gli occhi a fatica.
C’era davvero troppa luce e pensò che lo zio avesse montato dei led troppo potenti per quella stanza degli ospiti.
Poi sentì crepitio e un altro tonfo, qualcosa che le bruciava la pelle. Iniziò a tossire, avvertendo chiaramente la difficoltà nella respirazione.
Ebbe l’impressione di mandar giù un cuscino di schiuma scura e quando riuscì ad aprire gli occhi si rese conto della situazione: la casa andava a fuoco.
Ma che…?
Si alzò di scatto avvolta nel pigiama di flanella, infilando di corsa il cappotto sulla sedia, troppo grande per la sua taglia ma sicuramente avvolgente.
Uscì sul corridoio, rendendosi conto che le fiamme avevano già avvolto la tromba delle scale.
— Mamma! Papà!
Nessuna risposta.
— Laura. Laura!
Si diresse nella stanza della cugina minore, aprendo la porta con cautela per non essere investita dalle fiamme, e la vide: era lì, in ginocchio a mani giunte.
— Sapevo, sapevo che saresti tornata! Non sei mai morta Rose, mai!
Di fonte a lei una figura a braccia aperte, come il Cristo sulla croce.
— Laura…?
La ragazzina si voltò, indicando la cugina — Ecco, è lei. Lei non ha voluto, lei non mi crede! Ma io lo sapevo, tu sei viva, sei qui con me e non mi lasci più sola, eh? Vero, Rose? Vero?
Il fuoco divampò di fronte alla bambina, che fece un passo indietro — Laura! Vieni qui, sbrigati!
— No! C’è Rose!
— Morirai, scema!
— Non mi succederà niente, mia sorella è qui con me!
Detto ciò la bambina guardò davanti a sé, sorridendo.
Prese la rincorsa e si gettò nel fuoco, a braccia aperte.
Le fiamme la inghiottirono e la piccola urlò, urlò più che poté il suo dolore insieme al nome della tanto amata sorella, e fu così straziante perché quando Abby se ne andò la ragazzina gridava ancora.
Ma la figura a braccia aperte era scomparsa.
Abby si diresse verso le scale, prendendo il coraggio per passare nonostante le fiamme, quando qualcuno le afferrò le spalle, le mani nere e mezze bruciate.
— Non farlo!
La ragazza si voltò, riconoscendo suo padre nella figura mezza mangiata dal fuoco.
— Papà…?
— Non… scendere…
In quella l’uomo si accasciò a terra, la pelle del viso sciolta in parte, i capelli che ancora emanavano fiammelle.
Abby urlò, urlò più che poté ma non ebbe il tempo per piangere il suo caro estinto: una trave cadde, quasi colpendola.
Nel fuggire si ferì una gamba, e all’improvviso una fiammata venne dal basso e fu così prorompente che le parve di vedere due occhi fissarla dal cuore dell’incendio.
La paura le diede la forza di rialzarsi e trascinarsi verso la finestra, sebbene non riuscisse a camminare bene. Aveva bisogno di respirare aria pura, ma si accorse troppo tardi che era tutto ermeticamente chiuso.
La tosse iniziò a non darle tregua, bussò al vetro, invano: nessuno poteva sentirla.
Il fiato le mancava e la fuliggine le otturò le vie respiratorie, tra il panico e tutto il resto sentiva che stava per svenire, sapeva che sarebbe morta lì.
No, non voglio.
Non voglio!
Fece appello alle sue ultime forze, voltandosi per prendere la sedia dalla quale aveva preso il cappotto, afferrandola e brandendola verso la finestra, che esplose in mille pezzi facendo sì che l’ossigeno si facesse spazio nei suoi polmoni, spingesse il diaframma in basso e le gonfiasse la pancia.
Non aveva mai respirato così in vita sua e ne prese un’altra boccata prima di realizzare che il fuoco l’avrebbe raggiunta poiché in cerca d’aria anche lui.
Con i gomiti ben coperti dalla giacca finì di rompere il vetro, trascinandosi sul tetto fuori dalla finestra. La grondaia l’aiutò a scendere sul prato, anche se alla fine cadde, prendendo una storta.
Con foga strisciò via, riparandosi quando il piano inferiore della casa esplose, facendo crollare il resto della struttura su sé stessa.
 
— Ho pianto a lungo, non volevo crederci.
La guardai esterrefatto mentre finiva di raccontarmi la sua storia.
— Non credi che possa esserci qualcuno vivo? – azzardai.
Fece cenno di no col capo.
— Dobbiamo tornare a controllare. Indicami la strada. – dissi, facendo manovra per tornare indietro.
— Mai!
— Ma perché no?!
— Ho paura, paura di quella casa! I miei sono morti, tutti quanti, non voglio tornare, non voglio! Quella casa è infestata!
— Non fare la bambina, sono un poliziotto, è una denuncia questa, devo effettuare i rilievi.
— No!
Urlando, Abby afferrò il volante, cercando di girarlo altrove. Non lo mollai e neanche lei ebbe voglia di darmela vinta, ognuno sterzava dalla propria parte e alla fine andò com’era prevedibile: la macchina finì di nuovo fuoristrada, stavolta in modo peggiore.
Il cofano batté ad un albero e picchiai la testa sul volante, con Abby che batté la sua sul cruscotto. La guardai una volta che l’auto si fermò e sentii un rumore di liquido, qualcosa che gocciolava.
— Cazzo, la benzina!
Quando feci per aprire lo sportello mi resi conto che era chiuso.
Andai per tirare su la chiusura di sicurezza, ma nulla, non volle saperne di aprirsi.
Eravamo intrappolati nella mia macchina.
Tutto questo sarebbe potuto sembrare comico finché non me ne accorsi: di fronte a me una ragazza.
I capelli biondi, sfibrati e secchi, gli occhi… strani.
Sembravano disegnati.
Il corpo era troppo piccolo e… perché aveva le braccia aperte?
Sentii un urlo: Abby si era ripresa.
Le luci si mossero e mi voltai ancora verso il finestrino: quell’essere si era mosso e aveva qualcosa di luminoso in mano.
— Lei è… è uno spa… spaventapasseri… Rose… è… è…
Abby non riuscì a farneticare nulla che avesse senso e finì definitivamente quando quel mostro lasciò cadere quel che aveva in mano per terra.
Troppo tardi mi resi conto che si trattava di un accendino acceso.
Troppo tardi mi ricordai che per terra c’era la benzina.
Troppo tardi.
   
 
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