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Autore: Sette Lupe    10/11/2017    1 recensioni
Una serie di one shot ispirate ad altrettante immagini che possono essere lette come tali o usate come spunti per la scrittura di fanfic più lunghe ed articolate. Ulteriori tag (specialmente quelli riguardanti i personaggi presenti) potrebbero essere aggiunti in seguito.Ogni capitolo tratterà di una storia a sè. Se una delle immagini o uno dei testi vi ispira, vi invito a scrivere su di essi ed a farmelo sapere: sarei felice di poter leggere le vostre opere.
Genere: Avventura, Comico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad, Kadar Al-Sayf, Malik Al-Sayf
Note: AU, Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo: 3

Parlando di Affari

Nel dodicesimo secolo le persone credevano ad un sacco di cose: superstizione e realtà si fondevano in un guazzabuglio confuso e contorto.

Un po’ accadeva per pura e semplice ignoranza della maggior parte delle leggi che governano la natura e le sue manifestazioni, un po’ perché la quasi totalità delle persone non conosceva quasi nulla del mondo al di fuori del proprio piccolo villaggio quindi era difficile confutare le storie che arrivavano da lontano…  senza contare che agli esseri umani è sempre piaciuto credere in qualcosa; che sia meraviglioso o raccapricciante non fa differenza: quello che conta è il brivido d’emozione.

Beh, un po' avveniva anche perché certi soggetti se ne andavano in giro a raccontare corbellerie a cui la gente finiva per credere per i motivi sopracitati.

Malìk lo sapeva fin troppo bene: era uno di loro.

E si divertiva pure: trovava esilarante come la gente fosse disposta a bersi ogni sorta di fesseria, se raccontata nel modo giusto e dal personaggio adatto.

Non si trattava tuttavia di un mero passatempo: in quanto Rafiq degli Assassini di Gerusalemme, infatti, uno dei compiti di Malìk era gestire le informazioni in entrata e in uscita dalla confraternita così da fornire il miglior supporto possibile ai confratelli in missione. In particolare doveva assicurarsi che le notizie in entrata fossero quanto più complete e affidabili possibile mentre quelle in uscita fossero un misto di inesattezze e totali falsità, sufficientemente fuorvianti da mandare in confusione anche il più accanito segugio templare e abbastanza inquietanti da scoraggiare l'interesse di curiosi e ficcanaso. Il metodo più efficace per diffondere questa vantaggiosa disinformazione, aveva scoperto, era quello di sfruttare le dicerie popolari: esse si propagavano in maniera assai rapida tra la popolazione e, di conseguenza, raggiungevano anche le orecchie dei templari e dei loro affiliati, tenendoli opportunamente sulle spine.

Non era facile mantenere le voci sotto controllo e in linea con le esigenze dell’Ordine, soprattutto perché per riuscirci era necessario avere la capacità di assumere diverse identità a seconda del risultato che si desiderava ottenere, ma lui se la cavava abbastanza bene: ufficialmente faceva credere di essere un umile scrivano e libraio preservando così il suo anonimato, meno ufficialmente era conosciuto per essere il contatto più diretto con la temibile setta degli Assassini; solo pochissimi, infine, sapevano che era egli stesso il misterioso e temuto "Rafiq" di Gerusalemme.

Quel pomeriggio Malìk era alla bottega, dividendo il suo impegno tra i clienti da servire, l'elaborazione di un piano per rimettere al loro posto le guardie che si erano fatte troppo prepotenti da quando si era diffusa la notizia della caduta del vecchio Gran Maestro, e l'essere di cattivo umore per via del khamsin che aveva cominciato a soffiare portando nubi soffocanti di sabbia dal deserto.
Il suo scontento si fece ancor più intenso quando un drappello di soldati entrò nella bottega: il loro atteggiamento non era certo quello di chi cerca libri o mappe.

"Ci mancavano solo questi" brontolò tra sé mentre i nuovi arrivati scacciavano in malo modo i clienti.

"Oggi chiudi prima, libraio" ringhiò il capitano chiudendo bruscamente la porta.

Malìk inghiottì le parole velenose che gli erano salite alle labbra: per questa gente era solo un libraio storpio, e come tale doveva comportarsi. Aggirò quindi il bancone inscenando un umile protesta e lamentosa:"Ma, capitano, non capisco... qual è il problema? Non ho fatto nulla di male"

In tutta risposta il nerboruto soldato lo spinse rudemente contro la balaustra e lo afferrò per il bavero, torcendo il tessuto per bloccargli il respiro.

"Io invece dico che abbiamo trovato il ratto giusto" sibilò minaccioso: "So per certo che sei invischiato con gli Assassini, storpio, e se devo schiacciare quella tua testolina di topo per arrivare a loro, sappi che non ho nessun problema a farlo”.

Malìk dovette fare uno sforzo per restare nella parte, rinunciando a spaccare subito la mascella di quel bifolco: "Avete sbagliato persona vi dico" esalò cercando di sembrare terrorizzato e confuso.

"Davvero? Ti ho visto parlare con Amir, e ho fatto quattro chiacchiere con lui" ritorse il capitano, godendo della sorpresa nello sguardo della sua vittima. Estrasse un pugnale dalla cintura e appoggiò la lama sulla sua gola: "So che alcune guardie ricevono soffiate per levarsi dai guai quando l'Angelo della Morte è in città. Ora, tu mi organizzerai un incontro con il capo della setta per farmi entrare nel giro, altrimenti... “.

Non era necessario che finisse la frase: Malìk aveva comunque inteso a meraviglia. Non che la minaccia lo toccasse granché, piuttosto era stupito dalla piega che avevano preso gli eventi. Davvero quell'uomo voleva diventare uno degli informatori degli Assassini? Certo l'approccio non era stato uno dei più raffinati, ma un informatore in più poteva essere utile; inoltre Malìk aveva un'idea su come fargli abbassare la cresta e allo stesso tempo mettere in giro una di quelle storielle che tanto lo divertivano e che tanta presa avevano su quelle menti ottuse. Dove accidenti era Altaïr, adesso che gli serviva?

Proprio in quel momento un lampo argentato passò tra il suo volto e quello del capitano del drappello, seguito da un tonfo sordo; ai due fu necessario qualche istante per rendersi conto che si era trattato di un coltello, scagliato con tale forza da conficcarsi per una buona metà della sua lunghezza nello stipite della porta lì accanto.
Malìk non aveva bisogno di controllare per sapere chi lo aveva lanciato: Altaïr, solo un incosciente come lui poteva azzardare un tiro simile. Certo il suo carattere era notevolmente migliorato negli ultimi tempi, ma per certi aspetti rimaneva sempre il solito asino. Fortunatamente per Malìk, un asino con un’ottima mira.

La presa sul collo della sua tunica si era allentata e lui osservò divertito l'espressione di orrore sul volto dell'uomo nel trovarsi con un Assassino appollaiato sul bordo del soppalco, dove fino ad un attimo prima non c'era niente, che lo fissava con brillanti occhi dorati dalle profondità del cappuccio.

"E’ apparso dal nulla… è un Jinn" sibilavano le altre guardie tra di loro.

Malìk quasi si lasciò sfuggire una risata: era proprio quella la storia che aveva intenzione di usare quel pomeriggio!

Non che fosse una favola nuova: da un sacco di tempo si sentivano voci inerenti al fatto che non tutti gli Assassini appartenevano al mondo degli umani. Comunque era la più adatta da rammentare a quelle guardie arroganti, e Altaïr in quel momento era perfetto per la parte che avrebbe dovuto recitare, con il cappuccio abbassato fino a mettere in ombra gli occhi e una sciarpa di lino che gli copriva la metà inferiore del volto, indossata per non respirare la polvere sollevata dal khamsin mentre era fuori.
L'unico problema era quello di non aver avuto il tempo di accordarsi prima, quindi poteva solo sperare che Altaïr indovinasse le sue intenzioni e gli reggesse il gioco.

Malìk si schiarì la voce attirando l'attenzione del capitano del drappello: "Secondo me fareste meglio a mettere via il pugnale: credo sia quello a disturbarlo"

L'uomo si ritrasse mentre i suoi sottoposti sfoderavano le armi. Ambiente angusto e quattro persone che combattono, povere le mie mappe! Gemette interiormente il rafiq vedendo Altaïr che cambiava posizione preparandosi ad uno scontro. Meglio sbrigarsi ad agire.

"Calma, signori" intervenne amichevolmente: "Non c'è bisogno di usare la violenza... potevate dirmelo subito che eravate venuti per parlare di affari" aggiunse con un sorrisetto, mentre sfilava il pugnale dallo stipite. Poi, guardando l'Assassino, batté un paio di volte il manico del coltello sul legno del bancone emettendo un basso fischio, lo stesso che usavano molti falconieri per invitare i loro rapaci a passare dal posatoio al loro pugno. La confusione delle guardie per quello strano comportamento era tanto palese quanto comica.

Altaïr, che invece aveva compreso quali fossero gli intenti del confratello, si lasciò cadere dal ballatoio e atterrò sul piano di legno del bancone, quindi si sedette a gambe incrociate in attesa di ordini.

"Visto? È docile. Se non fate movimenti bruschi non attacca" spiegò Malìk con lo stesso tono che avrebbe potuto usare un addestratore di animali . Si avvicinò ad Altaïr e scostò la falda della veste che copriva lo stivale destro per infilare il coltello da lancio nel fodero vuoto legato al polpaccio. Altaïr rimase fermo, limitandosi a sollevare leggermente il ginocchio, all'apparenza per consentirgli di raggiungere meglio la fondina giusta, in realtà il movimento nascose alle guardie la sua mano sinistra.
Ho capito, ti seguo. Segnalarono le sue dita. Non esagerare. Aggiunsero dopo un istante.

"Sapete cosa credo, capitano?" cominciò allora il rafiq cambiando il tono della voce e abbandonando in un istante il personaggio del libraio per calarsi altrettanto velocemente nella sua nuova parte: "Credo che, più che un ratto, voi abbiate preso un granchio. E uno bello grosso."

La guardia deglutì ma non rispose, rendendosi improvvisamente conto che se c'era un "topo in trappola" in quella stanza, non si trattava di certo del geografo: aveva riconosciuto quel particolare tipo di Assassino. Tre guardie erano troppo poche per affrontarlo.

Malìk gongolò tra sé nel vedere quanto in fretta si fossero ribaltati i loro ruoli: "E credo anche che voi non abbiate davvero parlato con Amir, anche se sono sicuro ci abbiate visti assieme. Ne sono certo perché, se davvero foste venuto dietro suo consiglio, lui vi avrebbe certamente spiegato come io non sia la persona più adatta al genere di approccio che avete appena tentato" aggiunse rimettendo a posto il lembo della tunica di Altaïr e lisciandola come fosse stata l'ala del suo falco preferito.

Le spade rivolte verso i due Assassini si sollevarono fremendo. Malìk continuò il suo discorso avanzando verso di loro senza dimostrare il minimo timore: "Non che me la sia presa ovviamente: sono un cittadino onesto e rispettoso, io" spiegò sfidando con lo sguardo il capitano a contraddirlo: "Non oserei mai contestare il modo di agire di un tutore della legge ... tuttavia il mio amico laggiù ... "

Si era fermato a pochi centimetri dalla punta di una delle spade. Altaïr si alzò in piedi nel momento in cui si rese conto che l'arma non si sarebbe abbassata: calcolato o no, il rischio a cui si stava esponendo l'amico era troppo alto a suo parere.

"Seduto" gli ordinò Malìk quando, seguendo lo sguardo del comandante, si accorse dell'atteggiamento aggressivo dell'Assassino.

Altaïr non obbedì. Che diavolo stai facendo? Chiesero i suoi occhi da sotto l'orlo del cappuccio. E' pericoloso.

"Ho detto seduto"

Con un ringhio frustrato, stavolta l'Assassino eseguì l'ordine.

"Credevo che gli Angeli della Morte obbedissero solo al Gran Maestro degli Assassini" mormorò diffidente il capitano.

"Sì, oppure a qualcuno delegato da lui. Ci vuole comunque polso per tenerli sotto controllo: sono creature formidabili, ma a volte è difficile ragionarci... con questo in particolare"

"Quindi voi siete ..."

"Un caro amico del Rafiq di Gerusalemme" terminò per lui Malìk: "Gli Angeli della Morte mi hanno sempre affascinato e, sapendolo, lui ha interceduto presso il nuovo Gran Maestro perché mi concedesse la fedeltà di uno di loro come premio per la mia."

"Stai dicendo che ti appartiene?"

"Sto dicendo che mi ascolta e mi protegge. Appartiene solo all’Ordine degli Assassini, sarei uno stolto a pretendere la proprietà di una creatura simile"

"Ne parli come fosse una bestia"

"Oh, capitano, definirlo bestia non credo sia appropriato... ma forse, in effetti, lui non è propriamente come noi"

L’Assassino grugnì, evidentemente irritato dalla piega che stava prendendo la conversazione.

"In che senso è diverso? E'... umano, giusto?" squittì una delle guardie timidamente.

"Certo che lo è, idiota! Non crederai davvero ... " il capitano interruppe il suo latrato vedendo che Malìk si era voltato ridacchiando e stava studiando l'Assassino come se riflettesse sulla domanda postagli.

"Beh, ne ha tutto l'aspetto, giusto?" Rispose poi dopo un attimo di riflessione: "Devo ammettere però che non ho mai indagato approfonditamente. Vedete, io non pongo mai domande di cui non sono sicuro voler sentire la risposta" aggiunse.

Il pallore che si diffuse nei volti dei suoi interlocutori, confermò a Malìk che la sua messa in scena aveva colto nel segno: "E comunque non importa da dove o da chi venga. L'importante è che se ne stia buono dov'è e, per assicurarcene, consiglio di mettere da parte le armi: lo innervosiscono. Del resto se dobbiamo parlare di affari non servono"

Con riluttanza le guardie rinfoderarono le spade. Altaïr si mise nuovamente comodo sul piano in legno del bancone e piantò gli occhi addosso a Malìk con un’aria di rimprovero. Dopo facciamo i conti, gli promise il suo sguardo.

Malìk gli rivolse un sorriso sornione e cominciò a passeggiare lentamente per la stanza mentre procedeva a spiegare ai suoi ospiti la situazione:"Innanzitutto dovete sapere che il Rafiq è una persona riservata quindi farò io da tramite per tutti i contatti con l'Ordine. Il gioco è molto semplice: informazioni in cambio di altre informazioni"
"E la protezione dagli Angeli?"

Malìk sorrise con indulgenza: "A proteggervi da loro ci dovrete pensare voi stessi. Io posso dirvi quali posti evitare e quando: è più che sufficiente. Sapete sicuramente che, se non li si intralcia, non sono quasi mai pericolosi"

Il capitano non sembrava soddisfatto, ma si astenne dal protestare.

"Parlate con Amir… e intendo veramente" consigliò Malìk con una strizzatina d’occhio: "Ditegli che avete il mio benestare, vi spiegherà molti trucchi per evitare guai"
"E immagino che dovremo lasciar stare gli Assassini"

"Quello è a discrezione vostra. Gli Assassini si rendono conto che dovete comunque fare il vostro dovere e non chiedono privilegi. Tutti sanno quali rischi corrono nel fare quello che fanno, e tutti devono essere pronti ad affrontare le conseguenze… non siete d’accordo, capitano?”

L'uomo lanciò uno sguardo ostile ad Altaïr poi annuì.

“Sono curioso: se non avete parlato con Amir come avete saputo a chi rivolgervi?"

"L’ho visto discutere con te diverse volte, e ho notato che lui non era mai presente quando gli Assassini mettevano a segno un colpo grosso, così ho capito che doveva esserci qualcosa sotto. Non mi piace questo accordo: pende troppo dalla vostra parte"

Malìk annuì in segno di ammirazione verso le capacità deduttive del capitano: "Dalla parte degli Assassini, volete dire" precisò poi: "Io sto nel mezzo e faccio da mediatore"

"Con un Angelo della Morte come guardaspalle?"

"Ho solo accettato il dono di un amico. Non è colpa mia se nessun altro ha pensato di regalarmi nulla"

Il capitano delle guardie rispose con un grugnito scontento.

"E comunque non sono io a dettare le regole. Se non gradite i termini sapete dov'è la porta"

"Sì, e so anche che una volta uscito verrei fatto a pezzi assieme ai miei uomini. Quanti Assassini ci sono qua fuori?"

Malìk ridacchiò: "Siete un uomo perspicace, capitano. Quello che mi stupisce è che non abbiate avuto la lungimiranza di riflettere su questo particolare prima di cominciare la partita"

"Quindi ora non posso tornare indietro"

"Lo desiderate? La mia offerta è più generosa di quanto possa sembrare"

"Non hai ancora chiesto il mio nome"

Malìk lo osservò attentamente prendendosi tempo per riflettere: quest'uomo aveva un certo potenziale, poca morale forse, ma un notevole senso pratico e una certa acutezza, se confrontato con la media delle guardie. Erano caratteristiche allettanti, che tuttavia lo rendevano anche pericoloso: "Mi interesserà solo se accetterete di giocare" rispose infine.

"Non è un gioco, è realtà"

"Nulla è reale"

Il comandante ignorò il suo ultimo commento e girò la testa verso i suoi uomini, incerto sul da farsi. Malìk gli lasciò tutto il tempo di ragionare, appoggiando al bancone la schiena e scambiando un rapido sguardo con Altaïr.

"Quali sono le altre regole?" chiese poco dopo il capitano.

"Nessuna: tutto è lecito " rispose Malìk con un sorriso ferino.

L'uomo rimase ancora un istante in silenzio, quindi annuì seccamente: "Giochiamo allora. Io sono Faaroq"

"Bene capitano Faaroq, sono lieto della vostra decisione. Sappiate che non ci saranno zone della città da evitare per almeno una o due settimane. Tuttavia devo avvertirvi che il mio amico avrà bisogno comunque di sgranchirsi le gambe; di solito esce da mezzanotte a mezzogiorno. Decidete voi se cercarlo o meno"

"La prima soffiata è omaggio?"

Malìk ridacchiò: "Nessun omaggio, capitano Faaroq: voi mi siete stato molto utile oggi"

Faaroq si rabbuiò un istante, aveva intuito di essere stato raggirato in qualche modo, ma non capiva dove fosse la trappola:"Buona giornata" mormorò prendendo congedo, mentre passava con diffidenza accanto all'Angelo della Morte.

Altaïr non si mosse, limitandosi a seguirli pigramente con lo sguardo.

"Buona giornata anche a voi" rispose cordialmente Malìk richiudendo la porta una volta che l’ultima delle guardie fu uscita. Forse il capitano Faaroq non aveva avuto tutti i torti nel consigliargli di chiudere prima: era una bella idea quella di prendersi qualche ora di libertà e, con il khamsin che soffiava violento, era improbabile che si presentassero altri clienti quel pomeriggio.

Si sedette quindi sul bancone, mentre Altaïr si liberava finalmente della sciarpa: “Allora, che ne pensi?” chiese compiaciuto.

“Penso che tu ti stia facendo prendere troppo la mano con questa storia delle informazioni fuorvianti… e che ti diverta troppo la recita del Domatore di Demoni, non è ora di cambiare il copione?” borbottò l’altro.

Malìk ridacchiò con la lingua tra i denti come un monello di strada: “Sì, ad un certo punto ho temuto di essermi spinto troppo oltre, devo ammettere, ma a quanto pare ha funzionato a meraviglia. Sono affidabili?”

“Se non lo fossero stati li avrei lasciati uscire? Sei un’incosciente: finirai per metterti nei guai a raccontar frottole del calibro di quest’ultima”insistette Altaïr scuotendo la testa.

“Ipocrita: ti sei divertito quanto me a vedere quei bifolchi tremare come vitelli appena nati. Altrimenti perché mi avresti retto il gioco per tutto il tempo? Inoltre, parlando di incoscienza, ti sembra un tiro da tentare? Potevi cavarmi un occhio con quel pugnale. Non potevi inventarti qualcos’altro?”

Altaïr scrollò le spalle e incrociò le braccia sul petto: ”Sono riuscito in lanci più difficili” affermò sollevando il mento, poi piegò la testa di lato lanciandogli un’occhiata sorniona: ”Ma se ti infastidisce tanto, la prossima volta resto fermo e nascosto in attesa di ordini: voglio proprio vedere quanti ne riesci ad abbaiare con la trachea schiacciata e una lama sulla giugulare”

Ad Altaïr fare la parte dell’animale ben addestrato non era mai piaciuto particolarmente.

Malìk aprì la bocca per rispondere, ma la richiuse subito dopo: “Quanto ti odio, quando hai ragione” bofonchiò alla fine raccogliendo le gambe sul bancone in una posizione quasi speculare a quella dell’amico.

L’altro sogghignò, poi gli rifilò un calcio poco convinto allo stinco: “Mi hai dato della bestia” lo accusò poi.

“Tecnicamente non sono stato io a darti della bestia”precisò Malìk: “Le mie parole sono state travisate: non ho mai detto né che fossi una bestia, né tantomeno un jinn… non è colpa mia se quei bifolchi sono più superstiziosi di un vecchio marinaio”

Ifrit” lo insultò l’altro: “Conosco anch’io il trucco di parlare per essere fraintesi. Non cambia il risultato: adesso quegli idioti se ne andranno a dire a tutta la città che io sono un demone o chissà cos’altro” scattò Altaïr: “Ti starebbe bene finire accusato di stregoneria.”

Malìk ridacchiò: “Ma tu non eri quello cui non interessavano le opinioni altrui? Da quando hai cominciato a prestarvi attenzione? E inoltre questa storia è la più adatta, credimi: non l’ho scelta a caso”

Altaïr si sporse in avanti: “E intanto Malìk passa per il Signore dei Demoni, mentre Altaïr fa la parte dell’animale! Mi hai comandato di sedere come fossi stato un cane, e sei addirittura arrivato a dirgli che non ero come voi” lo accusò piantandogli un dito al centro del petto, un ringhio ribolliva nella sua voce.

Malìk scansò la mano dell’amico con un gesto brusco: “Siamo permalosetti oggi, hmm? E poi è vero che non sei come noi: inutile negarlo” sentenziò maliziosamente.
Se c’era una cosa che a Malìk piaceva ancor più del gabbare gli zotici, era senza dubbio stuzzicare Altaïr. Ed era anche dannatamente abile nel farlo, a giudicare come l’Assassino parve gonfiarsi dalla rabbia mentre ringhiava un Come prego? che avrebbe fatto correre a rintanarsi anche un vero jinn.

“Sì beh, anche tralasciando la faccenda di quel giochetto che sai fare con gli occhi e di cui, come ho detto a quei bifolchi, voglio sapere il meno possibile, dall’aspetto di quella gente posso dire che in questa stanza eravamo tutti di stirpe puramente semitica tranne uno: tu sei imbastardato con i Jafeti"

"Hey!"

"Suvvia, non è certo un segreto il fatto che tu sia due volte bastardo: meticcio e illegittimo*"

"Questo è un colpo basso!"

"No" lo corresse con finta noncuranza Malìk, scendendo dal bancone: "Un colpo basso è costringerti a darmi una mano a ritirare i tappeti ed i cuscini dal giardino prima che siano rovinati dalla sabbia ricordandoti che in effetti una mano è esattamente quello che mi devi" aggiunse con un sorriso astuto.

Il fatto di essere già sceso dal bancone ed essersi avvicinato alla porta che dava sul giardino interno, concesse a Malìk i pochi, preziosi istanti che gli permisero di salvarsi dal primo assalto di Altaïr. Non sperava di sfuggirgli davvero: Altaïr era stato più veloce di lui anche quando aveva due braccia, però poteva dargli un po’ di filo da torcere. Del resto qualche livido era un prezzo che ci si doveva rassegnare a pagare (e comunque accettabile) se si sceglieva come passatempo preferito quello di provocare il Gran Maestro.

Tuttavia l’Assassino arrestò il suo inseguimento quasi subito, fermandosi ai piedi del muro che Malik aveva appena scalato per uscire dall’apertura sul tetto.
Il Rafiq si chinò sul bordo della grata aperta stringendosi nella djellaba per proteggersi dal vento sempre più forte e dalla sabbia pungente che esso trasportava. Perché Altaïr non lo aveva seguito? Il sorrisetto astuto che aveva sulle labbra mentre lo osservava con i suoi occhi dorati, non prometteva nulla di buono.

“Beh? Tutto qui?” lo stuzzicò ancora: “Un po’ di vento e il grande Altaïr rinuncia al suo assalto?”

L’altro ridacchiò: “Sai cosa Malìk? Hai ragione: in questo cortile ci sono un sacco di cose che si rovinerebbero se coperte di sabbia e polvere”

Malìk scese con un elegante salto e si fermò di fronte all’amico stringendo gli occhi a fessura e fissandolo.

L’assassino gli porse un cuscino senza abbandonare il suo atteggiamento serafico: “Hai chiesto un aiuto, Malìk, non hai detto che dovevo occuparmene da solo, quindi vedi di darti da fare” gli consigliò dolcemente.

“Stai dicendo che ti è già passata l’arrabbiatura?” chiese incredulo.

“Non so di cosa tu stia parlando, fratello” rispose dolcemente. Agli occhi del Rafiq era a dir poco inquietante: stava preparando una vendetta. Una terribile vendetta, ne era certo.

Il guaio era che Altaïr, durante tutte le prove che aveva dovuto affrontare nell’anno precedente, aveva imparato molte cose; una di queste era l’abitudine di ponderare e preparare ogni azione, un’altra era la pazienza di attendere il momento opportuno per mettere in atto i suoi propositi e … beh, sarebbe stata una cosa stupida ricadere nei vecchi errori. Malìk avrebbe smesso di girargli attorno diffidente come una volpe selvatica, prima o poi: colpire ora, caricando come un toro infuriato, non gli avrebbe fatto guadagnare nessuna vittoria significativa sull’astuto Rafiq.

Inoltre lui non era una persona vendicativa, si disse mentre prendeva congedo garbatamente dal confuso e sospettoso amico; non più almeno.

No, non era vendetta: si trattava di giustizia.
 

 
N.d.A.
(*) - Da quanto ho letto, l'appellativo Ibn-La'Ahad significa Figlio di Nessuno, un trovatello. Dato che all'epoca (a quanto ne so) tra le popolazioni mediorientali non era abituale l'utilizzo del cognome preferendo identificare gli individui tramite l'indicazione del nome del padre, del luogo di nascita o di una caratteristica peculiare della persona stessa, Altaïr non può aver semplicemente ereditato questo epiteto. Ciò sembra contrastare con quanto si legge nei libri e nei siti riguardanti la saga di Assassin's Creed, dove è riportato il nome del padre di Altaïr (Umar) e della madre (Maud), specificando che il padre di Altaïr era stato egli stesso un Priore di grande abilità e ben conosciuto tra gli Assassini. Ho letto anche che Maud era cristiana, quindi ho pensato che il nome Ibn-La'Ahad potesse stare ad indicare, piuttosto che un orfano o un trovatello, un figlio illegittimo: è infatti improbabile che Umar e Maud avessero potuto contrarre matrimonio regolare in quanto appartenenti a due religioni differenti (per quello che ne so all'epoca era necessario che uno dei due coniugi si convertisse alla fede dell'altro per potersi sposare), e Umar non avrebbe potuto riconoscere un figlio nato da un'unione illecita. Senza un padre che lo riconoscesse in maniera ufficiale quindi, secondo la mia teoria, Altaïr non poteva divenire Ibn-Umar e la gente cominciò a chiamarlo Ibn-La'Ahad.
 
 
  
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