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Autore: gufostorm    11/11/2017    1 recensioni
La mia mente era vuota, priva di idee. Dovevo scrivere ancora un altro horror, dovevo raccontare ancora di un altro omicidio, di un assassino magari psicolabile, magari con una storia difficile alle spalle e che magari riusciva a salvare se stesso, andando in prigione o uccidendo ancora. Il problema era però la vittima. Chi avrebbe ucciso? Come? Perché?
Magari poteva uccidere il suo compagno di vita, una scenata di gelosia? Troppo banale.
Un familiare? Un conoscente? La prima persona incontrata uscendo dal portone di casa?
No. Non andava. Ogni idea era insulsa, banale, scontata...
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ancora il blocco dello scrittore.
Non potevo continuare così.
La scadenza era troppo vicina, ed ancora non avevo scritto nulla.
La mia mente era vuota, priva di idee. Dovevo scrivere ancora un altro horror, dovevo raccontare ancora di un altro omicidio, di un assassino magari psicolabile, magari con una storia difficile alle spalle e che magari riusciva a salvare se stesso, andando in prigione o uccidendo ancora. Il problema era però la vittima. Chi avrebbe ucciso? Come? Perché?
Magari poteva uccidere il suo compagno di vita, una scenata di gelosia? Troppo banale.
Un familiare? Un conoscente? La prima persona incontrata uscendo dal portone di casa?
No. Non andava. Ogni idea era insulsa, banale, scontata.
Chiusi tutto, spensi il computer e, stanco, mi massaggiai le tempie. Avevo ancora cinque giorni. Potevo ancora farcela.
Mi alzai lentamente dalla sedia, andai verso la cucina, per poi ricordarmi che ormai non c’era rimasto nulla in frigo; dovevo uscire a tutti i costi, o sarei morto di fame.
Mi vestii velocemente, con abiti scuri, cercando di coprirmi il più possibile, iniziando a pregare non so quale dio che nessuno mi riconoscesse.
Scesi le scale lentamente, un passo alla volta. Odiavo uscire, stare in mezzo a tutta quella gente sudicia, perdermi nel loro rumore, nella loro vita monotona e standardizzata. Arrivato al portone esitai un istante, per poi aprirlo ed uscire.
La confusione, i rumori, la massa di persone che si muovevano tutti all’unisono.
Odiavo tutto ciò. Mi mossi riluttante, abbandonando il mio rifugio silenzioso, cercando di raggiungere il supermercato più vicino. Dovevo resistere solo dieci minuti lì fuori, giusto il tempo di prendere qualcosa di già pronto, per poi finalmente tornare nel mio regno, lontano da tutto e soprattutto da tutti.
Entrato nel supermercato mi diressi immediatamente verso il bancone dei cibi pronti. Ero quasi arrivato quando qualcuno mi urtò. Mi girai, mentre il disgusto cresceva lentamente dentro di me. Mi avevano infettato, contaminato; ero diventato sporco come loro.
<< Scusi, mi dispiace. >>
Una giovane ragazza dai lunghi capelli neri e dallo sguardo rammaricato si stava scusando.
Stavo per dire che non era nulla, quando vidi la sua espressione cambiare.
<< Ma lei è… >>
Mi aveva riconosciuto.
Le feci segno di non dire nulla. Se altri si fossero avvicinati sarei potuto morire.
La guardai un attimo, mentre lei cercava le parole giuste per dirmi chissà cosa.
Gambe lunghe, busto fino; ad un primo impatto sembrava essere curata, ma poi vidi i dettagli che cercava di nascondere: la sporcizia, la mancanza di cure, le dipendenze. Era sporca come tutti gli altri.
<< Le potrei chiedere un autografo? >>
<< Come, scusa? >>
Impegnato a valutarla, non l’avevo neanche quasi sentita parlare.
<< Ecco…mi chiedevo se magari lei potesse farmi un autografo. Magari non qui, magari in un posto meno affollato, meno vistoso, così nessuno le causerà problemi. >>
La guardai un istante ancora, poi la mia mente si accese.
<< Che ne dici, allora, di farmi compagnia per la cena? Ero uscito a comprare qualcosa, magari possiamo mangiare insieme e poi ti firmerò l’autografo. >>
I suoi occhi si accesero, mentre lentamente un dolce rossore colorava il suo viso.
Annuì velocemente.
<< Bene. Ti va bene un po’ di pasta? O preferisci della carne? >>
<< Pasta. La pasta andrà benissimo. >>
Comprai due porzioni di lasagne già pronte, poi tornai verso la via di casa, con lei che mi seguiva silenziosamente.
Apparecchiai velocemente la tavola, per poi servire la cena.
Cercai di non badare alla sporcizia ed al sudiciume che quella ragazza stava portando nel mio rifugio; cercai di resistere dall’urlarle contro, di essere gentile e cortese con lei. Dopotutto mi serviva, dopotutto forse lei era l’unica che avrebbe potuto risolvere il mio problema.
Stava parlando senza sosta di cose futili e noiose, poi finalmente disse qualcosa che mi destò dal torpore e mi fece prestare attenzione alle sue parole. Stava dicendo qualcosa del mio ultimo libro, quel capolavoro che avevo scritto qualche mese fa e che andò a ruba.
<< Non sei riuscita a trovarlo? Davvero? Allora, dato che ancora non lo hai, permettimi di regalartelo io stesso. Dovrei averne una copia nell’altra stanza. Se mi permetti un attimo, te la vado a prendere e te l’autografo anche. >>
Le sorrisi di malavoglia, per poi alzarmi e dirigermi verso il mio studio.
Era giunto il momento.
Passai davanti la mia libreria, ignorando completamente la copia del libro che le avevo promesso e dirigendomi invece verso l’armadietto dove tenevo i miei farmaci ed i disinfettanti. Dovevo avere ancora da qualche parte l’etilene che avevo usato in passato per alcuni esperimenti per uno dei miei libri.
Trovai la boccetta marrone infondo al mobile, dietro a tutto il resto. La presi, mentre un senso di eccitazione mi attraversava.
Presi delle garze dallo sportello vicino, vi versai sopra l’etilene e, cercando di respirarne il meno possibile, ritornai verso la cucina. Trovai la ragazza in salotto, in piedi, intenta ad osservare i libri che avevo lasciato nel mobile vicino alla televisione. Mi avvicinai lentamente e silenziosamente, sperando che non si girasse. La raggiunsi, mi accostai a lei, poi dolcemente le premetti la garza con l’etilene su bocca e naso.
La sentii dimenarsi, cercando di liberarsi dalla mia presa.
Sentii la paura ed il terrore che crescevano sempre di più in lei.
Poi finalmente sentii le sue forze indebolirsi, fino a che non cadde inerme tra le mie braccia.
La sollevai di peso, poi mi diressi verso l’unica porta della mia casa che raramente aprivo.
Girai la maniglia lentamente, per poi salire un gradino alla volta.
Strane emozioni e sensazioni si impadronivano di me. Ad ogni scalino le sentivo sempre di più; sentivo la loro presenza, la loro forza, mentre le idee mi si schiarivano sempre di più.
Raggiunto finalmente il piano superiore, andai a sistemare la giovane ragazza, ancora inerme, su quel letto così sporco che era perfetto per lei.
Lentamente le legai i polsi, poi le caviglie, per poi abbandonarla momentaneamente.
Andai verso il bagno, consapevole che avrei dovuto agire velocemente, prima che l’effetto dell’etilene finisse.
Mi lavai, mi cambiai, poi presi tutto il necessario e ritornai da lei.
Mi sedetti al suo fianco, le scostai i capelli dal viso, poi affondai l’ago nella sua pelle olivastra. Lasciai scorrere dolcemente il filo, per poi riaffondare nuovamente l’ago sul suo labbro. Lentamente, delicatamente e minuziosamente, le cucii quelle labbra così carnose da risultare fastidiose. Non ci volle molto. Il sangue che lentamente sgorgava dai punti incisi dava alla mia opera un tocco macabro ma anche affascinante.
Continuai ad osservare il mio operato ancora per qualche istante, per poi mettermi a pulire tutto in modo minuzioso e poi correre a recuperare il mio computer.
Ero intento a scrivere i primi capitoli del mio nuovo libro, quando un rumore dal piano di sopra mi fece capire che qualcuno si era finalmente svegliato, e che quindi io mi ero perso quella scena così importante, scena che avrei dovuto purtroppo omettere nel racconto…
   
 
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