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Autore: 50shadesofLOTS_Always    12/11/2017    3 recensioni
Dal terzo film della saga: “Si comincia con qualcosa di puro, di eccitante. Poi arrivano gli errori, i compromessi. Noi creiamo i nostri demoni.”
I demoni - e non solo - incombono su Tony Stark, che ha appena dichiarato al mondo di essere Iron Man...
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[probabile OOC di Tony/dosi massicce di Pepperony con una spolverata di zucchero a velo/perché amo Ironman]
Genere: Azione, Comico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Sorpresa, Tony Stark
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Note pre-capitolo: la storia prende avvio dalla scena finale del primo film ed è scritta su falsa riga del secondo. Inoltre le parti in arancio e allineate a destra sono dal POV di Pepper mentre quelle blu e allineate a sinistra dal POV di Tony. Buona lettura!
 

STORM

“You terrify me,
we’ve still not kissed and yet I’ve cried.
You got too close, and
I pushed and pushed hoping you’d bite.
So I could run, run
and that I did but throught the dust.”
- Fair Game, Sia
 
“What have I been doing lately
To make you wanna go?
I take you out dancing, honey.
Spend a night romancing,
nights out on the town”
- Stick around, AC/DC

La brezza oceanica sferzava la lucida carrozzeria di una Rolls Royce nera, il cui incedere costante – direzione Malibu Point – era screziato dal sole prossimo a tramontare. Il cielo dorato e l’aria frizzante della California restituivano tutta la bellezza di fine estate. Niente a che vedere con la cappa che si era creata nell’abitacolo. I suoi passeggeri erano avvolti da un pesante silenzio, esteso anche a Happy che cominciava a sentirsi soffocare. Il suo sguardo guizzò sullo specchietto retrovisore, esitando un attimo in più sulla donna che aveva imparato a conoscere come Signorina Potts. Le labbra rosee erano rilassate come il resto dei tratti del suo volto, ma la rigidità con cui sedeva – l’atteggiamento taciturno, troppo… ma davvero troppo – la stavano tradendo ed evidenziavano ancora di più la collera, che tentava di reprimere. Ne era certo, si trattava della proverbiale calma prima della tempesta, che si sarebbe abbattuta sul loro boss, a un braccio di distanza da lei. Ma il suddetto era troppo impegnato in uno dei suoi hobby preferiti, ovvero farsi trascinare dai deliri di onnipotenza, per prestare attenzione al tempo. Infatti, come da manuale, aveva continuato a vantarsi sulla conferenza.
« E’ stato un semplice successone! Non trovi, Happy? » gongolò al colmo dell’esaltazione per poi volgersi a vedere la sua reazione. Lo chaffeur si mosse inquieto sul sedile ed evitò accuratamente il suo sguardo, avvalendosi della sacrosanta facoltà di non rispondere. Non assecondare Tony era scortese, farlo sarebbe significato innervosire la Potts. Perdere il lavoro non era lo scenario peggiore.
Il geniale cervello del miliardario intanto, subodorò quantomeno la tensione che faceva vibrare le molecole che lo separavano dalla sua compita assistente, che studiò con la coda dell’occhio. Tra le piccole mani, reggeva un tablet, su cui continuava ad appuntare con efficienza.
« Potts – esordì, come se l’avesse notata solo in quel momento - So di essere favoloso da sempre, ma non credevo che sarei riuscito a lasciarla senza parole » disse con una buona dose di autocompiacimento.
Virginia però lo ignorò spudoratamente e continuò nel proprio lavoro. Anche lei era un essere umano con dei limiti e dato che erano stati ampiamente superati, non avrebbe concesso a nessuno, men che mai a Tony, una tale soddisfazione sul proprio sistema nervoso. L’uomo, vedendo che i suoi tentativi di blandirla si stavano rivelando superflui, gonfiò le guance ed espirò rumorosamente. Insomma, cosa poteva aver mai fatto per meritare la sua indifferenza? Fu allora che notò, con una certa apprensione, che la donna non si era ancora prodigata nel fargli la ramanzina giornaliera, che tanto adorava. Soprattutto se pronunciata con una tonalità di voce che superava di due ottave quella normale.
Urgeva una soluzione drastica. Sbuffò, poi di nuovo.
« La smetta immediatamente » sbottò lei all’improvviso, facendo sobbalzare anche Happy.
Tony fu costretto a trattenere un ghigno per il risultato ottenuto, ma nel momento in cui realizzò che l’oggetto tecnologico attirava la piena attenzione della donna, cosa intollerabile per lui – “Primo comandamento: non avrai altro centro universale all’infuori di Tony Stark” – si sporse di lato per sbirciare. Fu, con una certa sorpresa, che si accorse di un pallino azzurro alla fine della pagina di quel giorno, per le ore diciannove a voler essere precisi. Quindi poco più di un’ora.
Virginia roteò gli occhi quando il miliardario decise di portarla oltre quei limiti, cliccando sul promemoria. Accanto, vi era segnato il ristorante Providence e un nome, Thomas. Si accigliò, poi diede voce con palese stizza alla prima domanda che i suoi neuroni riuscirono a formulare.
« Chi diavolo è Thomas?! L’unico che conosco con quel nome da la caccia a un topo in tv – si ritrasse per fissare la donna – E’ un nuovo membro associato? » chiese e ancora prima di ricevere una risposta, sentì la  necessità di indossare l’armatura.
« No, è un amico » rispose lei, rendendosi conto di aver appena commesso il primo errore da non compiere quando si ha l’intenzione d’ingaggiare una guerra contro l’ego di Stark.
« Che genere di amico? »
« Non sono affari suoi, Signor Stark » replicò piccata e Tony incrociò le braccia sul petto con fare seccato.
Happy, per almeno due nanosecondi, sperò che si limitasse al muto infantilismo perché conosceva perfettamente il significato di quelle parole; vale a dire un ammonimento che non avrebbe lasciato margine di trasgressione. Ma l’altro, che in quel momento non era particolarmente raziocinante – la causa più plausibile erano le gambe accavallate di Pepper – non riuscì a vedere il campo minato in cui aveva appena messo piede. Più o meno figurativamente.
« Certo che lo sono! Lei lavora per me e non… »
« Io non le ho mai chiesto che genere di amiche si porta a letto » sputò lei, col sistema nervoso ormai fuori uso. Happy scrutò di sfuggita lo specchietto e potè vedere che un’ombra era calata sul volto dell’osannato playboy. Ma dovette ricredersi e scosse il capo rassegnato quando, Tony riprese col suo classico repertorio.
« Mi sembra tesa ultimamente » disse dopo qualche attimo e l’autista sentì la donna mandare al diavolo le buone maniere.
« Forse perché lavoro per lei » ribatté, riponendo il pad nella borsa quando la vettura superò il cancello della proprietà e si avviò lungo il vialetto di ghiaia.
« Potrei darle lezioni di box » propose lui allegro, incurante del tono acido.
Quando l’auto si fermò, Happy le aprì la portiera. Virginia lo ringraziò con un cortese sorriso – se avesse parlato, probabilmente sarebbe scoppiata – e raggiunse l’ingresso della Villa con passo spedito. Tony la seguì a ruota, restando abbastanza indietro per poterla ammirare in tutta la sua leggiadria su un paio di Louboutin nere, che avrebbero fatto impallidire le più famose modelle di alta moda, tanto erano vertiginose. E lui di modelle e attrici ne aveva incontrate. Ne approfittò per un’eccellente visione del suo lato b, fasciato da un tubino in tinta, corto fino alle ginocchia.
Happy montò di nuovo in macchina e ripartì, seppur recalcitrante a lasciare il boss ad affrontare l’ira funesta dell’assistente. Già vedeva il titolo in prima pagina sul Chronicle: ‘Non fate arrabbiare le assistenti! Potrebbe essere l’ultima cosa che fate’.
Virginia digitò il codice di accesso nello stesso momento in cui Tony si fermò alle sue spalle. Si allineò al visore per la scansione retinica, compiendo un passo indietro quasi impercettibile. Dovette mantenere l’equilibrio quando con quel movimento, percepì il calore dell’uomo vicino alla schiena.
« Ma conosco anche metodi più piacevoli per distendere i nervi… » sussurrò roco.
Lei fu costretta a trattenere il fiato perché le parole soffiarono calde direttamente dietro il lobo auricolare. Fu salvata da JARVIS, che aprì la porta d’ingresso permettendole di sfuggire alla trappola del miliardario, che schioccò le labbra. Era riuscito a scorgere la tinta scarlatta che le aveva incendiato il sangue sulle guance. Trotterellò con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni fino in salotto, dove Virginia lasciò il tablet sul tavolino da caffè in vetro.
« Buonasera, Signorina Potts »
« Ciao JARVIS » rispose lei, spostandosi verso la cucina openspace.
« Ha lasciato il cellulare a casa, così mi sono preso la libertà di prendere i suoi messaggi – continuò il maggiordomo – Il Signor Reed arriverà come programmato con lei »
« Grazie JARVIS ».
Tony sollevò lo sguardo verso il soffitto, come se potesse davvero parlare col computer.
« Un momento… Tu lo sapevi? » chiese irritato.
« Certamente, Signore » rispose l’AI e Tony storse il naso, maledicendo sé stesso per averlo creato così “carino”. Lo avrebbe resettato per quel libero atto d’insubordinazione, ma prima doveva risolvere l’Enigma Potts. Il soggetto in questione si avvicinò al bancone e con gesti moderati, si versò dell’acqua in un bicchiere. Ma dal modo in cui lasciò chiudere il mobile da cui aveva preso la bottiglia, capì tutto con la stessa semplicità con cui si fa uno più uno. O almeno, questo era quello che credeva.
« Le devo fare i miei complimenti – Virginia avvicinò il bicchiere alla bocca – Fingere di avere un appuntamento galante per vendicarsi »
Pensò che non avesse sentito bene. Lei che si abbassava a un tale livello? Giammai.
« Vendicarmi di cosa? » domandò, cercando di restare calma ma finì comunque per inarcare le sopracciglia verso l’alto per l’assurdità di quell’insinuazione.
« Avanti… - sollevò un braccio verso di lei per enfatizzare il concetto – Vuol farmi credere che non ce l’ha ancora con me per quella sera? »
« Quale sera? »
« Lo sa » rispose lui, fingendo un tono indulgente quando la vide sbarrare gli occhi in modo impercettibile.
Virginia si riprese, sperando che i capelli nascondessero le orecchie bollenti.
« Quello che non so è dove vuole arrivare » disse, posando il bicchiere.
« Gliel’ho già spiegato come sono andate le cose. Non può avercela ancora con me per qualcosa che non avrei potuto… »
« Lasci che le spieghi io una cosa, Signor Stark – iniziò, appoggiandosi al bancone – Lei non è il centro della mia vita, anche perché sotto questo aspetto si compensa da solo. Perciò lei è liberissimo di dire, fare e credere quello che vuole mentre vado a prepararmi dato che la mia giornata lavorativa si è conclusa almeno un’ora fa » aggiunse, aggirando il piano per dirigersi in camera.
« Non mi piace quando ha impegni » borbottò con lo stesso tono capriccioso che una volta l’aveva fatta sorridere.
Virginia si fermò a metà passo e si girò con uno sguardo quasi omicida, Tony perse tutta la baldanza.
« Per dieci anni, ho impedito che la sua azienda finisse in bancarotta solo perché lei odia le scartoffie. L’ho difesa quando tutti la accusavano di stress post traumatico e, anche se non se lo ricorda, sono stata sempre io a raccattarla nei luoghi più impensabili quando lei era troppo arrabbiato col mondo per stare in piedi » disse con le braccia premute contro i fianchi e i pugni stretti fino a sbiancarsi le nocche.
Tony non l’aveva mai vista così e il bollettino meteo si fece immediatamente plumbeo. Era diventata un denso cumulo di parole scure miste a fulmini di rabbia a lungo imbrigliata. Il viso era diventato paonazzo e la mascella serrata.
« E indovini un po’? Non ho mai preteso un aumento, né particolari attenzioni da lei. Ma avrei gradito un minimo di riconoscimento per esserle stata fedele, perché non scherzavo quando ho detto di odiare dover cercare lavoro! – sbraitò prima di perdere la voce – Perciò se è tutto per oggi, Signor Stark, io avrei un impegno ».
Intanto Rhodey era entrato in casa e pur non avendo sentito chiaramente le parole, aveva udito una voce femminile piuttosto arrabbiata. Non aveva faticato a riconoscerla perché gli era già capitato di sentirla sgridare l’amico. Quando mise piede sulla soglia della cucina, che si affacciava sul salotto quasi come il bancone di un pub, capì però che quella che aveva interrotto non era stata una lite superficiale. Virginia infatti lo intercettò, fugacemente, con aria colpevole prima di posare nuovamente lo sguardo su Tony ancora spaventato dalla minaccia delle dimissioni, ma soprattutto per aver scorto un dettaglio sconcertante: gli occhi azzurri della donna erano ricoperti da una patina acquosa.
« E’ tutto, Signorina Potts » le assicurò a bassa voce.
Non si era neanche accorto del Colonnello a pochi passi.
« Grazie » e sparì nella propria camera per chiudersi la porta alle spalle con un leggero tonfo.
Tony si guardò intorno, come spaesato da tutta quella quiete. L’uragano si era spostato nella sua cassa toracica. Rhodey lo osservò, scendere i gradini verso il divano.
« Si può sapere qual è il tuo problema? »
« Non ti ci mettere anche tu » sbuffò il miliardario, cercando di zittirlo con un gesto vago della mano come se stesse scacciando una mosca.
« Ti abbiamo chiesto di seguire il gobbo. Non ci vuole un genio per farlo » ribatté l’altro, ormai in quarta.
Si girò, aggrottando la fronte mentre con una mano si allentava il nodo alla cravatta fino a scioglierla e lasciarla pendere al collo.
« Sbaglio o avevi detto di volerne restare fuori? » sibilò e Rhodey sollevò le braccia.
« Ero preoccupato per te »
« Per questo mi hai voltato le spalle quando ti ho chiesto di »
« …assistere al tuo suicidio? Avevi bisogno »
« …di te, Rhods! – tuonò Tony di rimando – Avevo bisogno di un amico ».
Rhodey lo osservò, cominciando a sentirsi un po’ colpevole per il modo in cui lo aveva trattato nell’angar. Lo aveva fatto credendo di aiutarlo, perché conosceva gli effetti della guerra sulle persone e Tony aveva manifestato i più gravi, come l’atteggiamento che aveva tenuto alla precedente conferenza.
« Gli amici non dicono sempre sì – si avvicinò e lo scosse per una spalla – Parliamo un po’ ».
 
Dopo tre quarti d’ora, Virginia uscì dal bagno con lo spazzolino ancora in bocca, ma coi capelli asciutti e un completo intimo color nude perché ancora non aveva deciso cosa indossare. Aveva conosciuto Thomas durante una delle tante feste a cui Tony l’aveva trascinata. Le si era avvicinato con cautela e malgrado avesse esordito con una frase fatta – < Cosa ci fa una bella ragazza come te seduta da sola? > – Pepper era rimasta folgorata dai suoi modi garbati. Chiacchierando, fra un sorso e l’altro di un Martini, era venuto fuori che si era trasferito da poco ad L.A per lavoro, in un nuovo ufficio legale. Successivamente erano rimasti in contatto con qualche mail e una volta erano riusciti a prendere perfino un caffè insieme, finché dopo quasi due settimane, l’aveva invitata a cena. Lei non aveva saputo resistere alla prospettiva allettante di una piacevole distrazione e così aveva accettato. Aprì l’armadio e passò in rassegna degli abiti, trovando per ognuno qualcosa che non andasse bene per quell’occasione. Troppo scollato, troppo elegante, troppo serio, troppo acceso. Ci aveva pensato a lungo, immersa in una nuvola vaporosa di bagnoschiuma insieme a qualche pagina di Austen, ma non aveva un’ampia scelta perché la maggior parte del proprio guardaroba si trovava nel suo appartamento in centro. Mentre alla Villa, teneva solo un paio di tailleur, alcuni cambi e gli abiti più costosi che di solito usava per eventi mondani. Tranne uno.
Sospirò dal naso, poi chiuse gli occhi e pescò una gruccia. Tirò fuori un compromesso in organza color borgogna: scollo a barca con maniche appena presenti, cinta di stoffa arricchita da un modesto ricamo floreale con perline e gonna morbida sui fianchi, fino al ginocchio. Lo adagiò sul letto e andò a sciacquarsi la bocca. Lo indossò, chiudendo la zip sulla schiena grazie ad anni di allenamento e si avvicinò allo specchio per appuntarsi i capelli con una spilla dorata. Un tocco di mascara e un paio di pizzichi sulle guance. Dalla scarpiera, prese un paio di Jimmy Choo beige con la punta placcata in oro e recuperò una pochette che le riprendesse. Con lo stretto necessario in una sola mano, prese un giubbotto in pelle beige e si avvicinò alla porta. Rimase immobile, con lo sguardo limpido fisso sul battente e un nodo alla gola.

In quel lasso temporale, Rhodey e Tony si erano accomodati su parti opposte del divano semicircolare che regnava incontrastato nel salotto.
« Se te lo dico, devi »
« …tenere la bocca chiusa. Avanti » concluse il Colonello – che aveva già fiutato il riferimento indiretto di Pepper – poggiando i gomiti sulle ginocchia.
« Il micro reattore ha un malfunzionamento » disse Tony infine, passandosi una mano su una spalla con fare nervoso.
« Malfunzionamento? »
« L’incidente alle Industries ne ha danneggiato la parete interna »
« Com’è possibile? » chiese Rhodey dubbioso.
Era un’esperto d’armi, ma si stava parlando di un congegno inventato due decenni prima e che a malapena, era stato considerato operativo. Fino ad ora.
« C’è un motivo perché era stato creato un solo reattore: se ne mettessi due, entro un certo raggio di chilometri si creerebbe una sovrapproduzione di energia. E gli esiti sarebbero imprevedibili »
« Non capisco »
« Quando ho detto a Pepper di sovraccaricare il reattore »
« Lo hai fatto di proposito?! Mi avevi detto che era stato un incidente! »
« Rhodey, tappati la bocca un secondo! – lo riprese, alzando la voce – Sapevo che la vicinanza di due reattori ad arco, anche se di dimensioni molto diverse, avrebbe fatto un bell’arrosto. Solo che quando quello della fabbrica è esploso, sono stato colpito e non era stato previsto ».
Tony distolse lo sguardo da quello dell’amico. Ricordava esattamente il momento in cui appeso per un braccio, proprio sopra il reattore, aveva gridato a Pepper di premere quel bottone. Il fascio pulsante di atomi lo aveva sferzato, facendolo sbalzare fuori l’apertura da cui Obadiah si era sporto.
« Sento che è in arrivo un »
« …ma c’è un altro problema – Rhodey sospirò – Credevo che il palladio non sarebbe risultato pericoloso. Per com’è stato concepito il micro reattore, sarebbe dovuto restare inerte »
« E invece? » domandò il Colonnello con tono circospetto, subodorando la conseguenza a quel problema.
« Sta intossicando il mio sangue. All’inizio non lo sapevo, poi ho cominciato ad avere mal di testa e nausea. La quantità di palladio nel mio organismo è arrivata al tredici percento, per adesso »
« Mi stai dicendo che »
« …sto morendo » concluse Tony, guardandolo di sottecchi.
Non voleva che provassero pietà, ma doveva assolutamente dirlo a qualcuno o avrebbe dato di matto.
« Non puoi fare nulla? »
« A parte bere litri di clorofilla e continuare coi test? ».
James si passò una mano sulla nuca mentre cominciava a ricreare il quadro completo. L’incidente alla fabbrica aveva danneggiato le pareti del reattore che racchiudevano il palladio che, non più inerte, stava avvelenando Tony. Rivelare la sua doppia identità era una scaramuccia adolescenziale a confronto.
« L’hai inventato tu, aggiusti tutto » disse dopo qualche attimo di riflessione.
« Per farlo dovrei trovare prima un elemento in grado di sostituire il nucleo di palladio. E al momento non c’è… » disse senza riuscire a celare lo sconforto.
Per la prima volta sentiva che il suo genio non valeva niente e che l’onda di eventi lo avrebbe sommerso.
Fu un suono a far sollevare il capo ai due uomini. Una porta che veniva aperta.
Tony percorse tutta la figura che si affacciò dalla camera degli ospiti: dalle caviglie sottili come quelle delle prime ballerine, le gambe snelle e i fianchi lievemente sporgenti sotto l’organza appena svasata, il petto nascosto di cui si intravedeva la clavicola, fino al volto quasi privo di make up. Approdò prima sulle labbra piegate appena verso l’alto come in principio di un sorriso, e dopo affogò nelle iridi cerulee, in parte oscurate da una deliziosa frangetta fulva. Il resto della fluente chioma era sostenuto con una morbida acconciatura dietro la nuca, da sembrare quasi fatta in fretta, e che lasciava libera una ciocca ribelle a sfiorarle uno zigomo.
Tony sentì la bocca riarsa, impiegò qualche secondo per riprendersi e tornare sul pianeta Terra. Rhodey che aveva assistito al distaccamento della sua mascella, decise di rompere il ghiaccio.
« Pepper – esordì il Colonnello con un sorriso sardonico – Sei incantevole » disse sincero, facendola involontariamente arrossire.
« Grazie, Colonnello » mormorò, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
« Meglio che vada. Devo sbrigare delle faccende – annunciò alzandosi, fissando alternativamente la donna e il migliore amico – Buona serata ad entrambi ».
Tony non lo contò neanche quando lo avvertì che lo avrebbe richiamato e balzò in piedi.
« Altrettanto » rispose Virginia, osservandolo uscire.
S’irrigidì quando vide il miliardario avvicinarsi a lei con passi cadenzati. Le porse una mano e prima ancora che potesse pensarci, lei la afferrò. Tony, con un passo, la fece girare su sé stessa. La gonna tracciò una circonferenza perfetta e quando si fermò, la stoffa danzò allegramente per qualche istante in cui colse l’occasione, datagli dalla distrazione della donna, per trarla a sè. Virginia fu costretta a fermare il dolce impatto con entrambe le mani: una reggeva ancora la pochette mentre l’altra si distese sul petto dell’uomo. La testa prese a vorticarle, forse per la piroetta o forse per il profumo virile e gradevole di Tony che la sostenne, con un braccio attorno alla sua vita.
« Se vuole, la accompagno » propose e qualcosa nei suoi occhi scuri stava per convincerla ad accettare.
« La ringrazio, ma… »
« Il Signor Reed è al cancello » intervenne JARVIS, togliendo qualsiasi possibilità.
« Fallo entrare in garage » ordinò Tony, allontanandosi per poi seguirla verso il piano inferiore, senza staccarle gli occhi di dosso.
Virginia non seppe interpretare quella richiesta, ma tutto venne accantonato nel momento in cui una macchina arrivò e fece un giro di centottanta gradi, ritrovandosi già pronta per ripartire. Il motore si spense mentre Tony si passava una mano tra i capelli. Più per darsi una calmata.
La portiera del guidatore si aprì e ne uscì un uomo alto, di bella presenza con un completo color sabbia, abbinato ad una camicia color carta da zucchero. Il volto era pulito, fresco ed era completato da un paio di occhi grigi. Prima di avvicinarsi, si chinò all’interno della vettura e prese un mazzo di calle bianchissime.
Lei si guardò le spalle, pregando il boss di comportarsi bene poi andò incontro al nuovo arrivato.
« Ciao Thomas » esordì, fermandosi dopo mezzo metro.
« Virginia, sei bellissima » mormorò l’altro affabile, baciandole una guancia.
Nel farlo, posò una mano sulla sua schiena e Tony sentì degli artigli conficcarsi nel proprio ventre, tanto da essere costretto da distogliere lo sguardo.
« Non sono alla tua altezza, ma spero che ti piacciano » aggiunse Thomas, porgendole i fiori.
Tony dovette mordersi la lingua per non fargli presente che il fiore che Pepper preferiva in assoluto era la gerbera. Si ricordava perfettamente la volta in cui gliene regalò una per puro caso, per fare lo sbruffone scoprendo invece di aver fatto centro. L’aveva tenuta in un vaso sulla propria scrivania alle Industries fino a che, purtroppo non era appassita.
Thomas si girò a destra e a sinistra con gli occhi spalancati per la meraviglia.
« Non ho mai visto tante belle auto in vita mia… ».
Virginia si volse e sorrise all’indirizzo del miliardario, che accettò il tacito invito a farsi avanti.
« Sono del mio capo. – lo indicò con un gesto della mano – Thomas, voglio presentarti Tony Stark »
« Vuoi dire quel Tony Stark? » balbettò quello.
« Tony, lui è il Signor Reed »
« E’ un piacere » asserì, mostrandosi più gentile di quanto lui stesso fosse capace.
E il fatto che quello che aveva davanti fosse un buon partito, gli rendeva il tutto ancor più difficile.
« Il piacere è tutto mio – si volse verso le vetture – Sono davvero tutte sue? ».
Le carrozzerie erano così lucide che ci si poteva specchiare senza problemi, i cerchioni così splendenti che sembravano poter scintillare. Lo sguardo di Thomas si soffermò su un telone scuro e traslucido con su impresso il logo del Motor Club di Monaco.
« Alcune erano di mio padre – lo squadrò – Che lavoro fa? »
« Sono avvocato, in attesa di una causa – Tony annuì, fingendo interesse – Lei è un genio »
« Così dicono – ‘Sono un imbecille’, pensò – In realtà il mio mestiere è fare arrabbiare la Signorina Potts. Senza di lei sarei finito »
Nessuno fiatò per un minuto abbondante, il disagio tangibile come uno spettro.
« A che ora hai prenotato? » domandò Virginia dopo essersi schiarita la voce, spezzando così l’atmosfera densa.
« Per le diciannove e trenta »
« Allora sarà il caso »
« …che andiate » terminò Tony quando lei lo guardò di sottecchi.
Thomas allungò nuovamente una mano per salutarlo e malgrado fosse riluttante, ricambiò la stretta.
« Signor Stark, è stato un onore »
« L’onore sarà mio se la riporta a casa per le undici » mormorò, smorzando il tono grave con un’espressione ilare. Lei però riuscì a captare la velata minaccia, inserita tra le righe. O almeno fu quello che le parve.
« Sarà fatto » rispose Thomas, ignaro del fatto di essersi appena accostato – per eccesso - al proprio territorio, in cui la sua assistente era inserita. In quanto playboy, non poteva tollerare la sfida di un altro Alpha. Infatti li seguì verso la macchina e prima che il damerino potesse pensarci, spalancò lo sportello del passeggero per Pepper, che lanciò un’occhiata ad entrambi. Ebbe la netta sensazione che il proprio capo stesse compiendo uno sforzo enorme nel controllarsi. Non aveva fatto battutine ambigue, allusioni impertinenti o asserzioni arroganti. Mentre uno si accomodava alla guida, l’altro la fissò come un cucciolo smarrito. Strinse un po’ di più i fiori al petto, cercando di rallentare il sangue.
« Buonanotte, Signor Stark »
« Buonanotte, Signorina Potts » rispose Tony, restando di sasso quando la donna si baciò la punta delle dita per poi premerle delicatamente sulla sua guancia. Salì a bordo e con attenzione, chiuse lo sportello per poi osservarli partire per la serata.
Si grattò la nuca, sbuffando, quando un bagliore intermittente attirò la sua attenzione. Abbassando lo sguardo, notò con un cipiglio pensieroso che il nucleo si era già esaurito. Si diresse verso la scrivania, battendo le mani e attorno ad essa presero a fluttuare degli schermi virtuali.
« Ehy J » disse, arrotolandosi le maniche della camicia fino ai gomiti.
« Signore, ho preparato la sua clorofilla »
« Quanto devo bere di questa schifezza? » disse, aprendo la borraccia con una mano e cominciando ad ingollarne il contenuto.
« Due chili al giorno per controbilanciare i sintomi » rispose l’AI mentre Tony si lasciò sfuggire un’espressione schifata.
« Ancora un po’ e diventerò io un vegetale » commentò ironico per poi aprire la finta scatola di sigari.
Con un indice, contò le sostituzioni restanti e si appuntò mentalmente di farne un nuovo ordine.
« Come vanno i test? » domandò, dando un’occhiata critica ai dati sugli schermi mentre si sbottonava la camicia.
« Ho tentato ogni combinazione possibile per ogni elemento conosciuto, ma nessuno è risultato come valido ed effettuabile rimpiazzo per il palladio » rispose JARVIS, parendo perfino dispiaciuto alle orecchie di Tony che, posizionando le dita ai lati opposti, ruotò il mini reattore e lo estrasse con cautela.
Tolse la vecchia lamina di palladio e ne inserì una nuova prima di riposizionare il congegno al proprio posto. Colpì su di esso fino a che non udì lo scatto della placca.
« La Mark V? »
« Ultimata, ma le consiglio di limitarne l’uso » aveva assunto un tono premuroso.
« Sono Ironman » annetté lui, come se fosse l’unica argomentazione da considerare.
« Me ne rendo conto, Signor Stark. Per questo se permette, le suggerisco di avvertire la Signorina Potts quanto prima »
« Infatti non te lo permetto. Se le dici anche mezza sillaba, ti disattivo per sempre » soffiò, ricordandosi come gli aveva deliberatamente nascosto l’appuntamento.
« Ma Signore, è a corto di tempo e soluzioni. Potrebbe »
« …morire?! – guardò un punto imprecisato del soffitto - A chi importerebbe… ».
Nascose la scatola in un vano a portata di mano, ma discreto sotto la scrivania, su cui giaceva la valigetta della Mark IV ancora in fase di assemblaggio. Non lasciava mai il lavoro in sospeso, ma la concentrazione era svanita e i suoi pensieri erano da tutt’altra parte. Salì fino in salotto – per cercare il proprio carburante, pizza surgelata e alcol– dove a fargli compagnia c’era solo la flebile luce dei faretti a led, che illuminavano la cascata accanto alle scale. I riflessi dell’acqua, che correva su una lastra di vetro, disegnarono sul pavimento dell’ampio soggiorno un reticolo di onde tremolanti, interrotto bruscamente sotto al cono di luce creato dalla lampada.
Fu allora che Tony vide la sagoma scura di un uomo, davanti alla finestra. Assottigliò le palpebre, indietreggiando in prossimità delle scale così da poter fuggire verso il laboratorio.
« Io sono Iron Man » lo parafrasò con voce pacata, ma solida come il ghiaccio.
Tony non replicò e attese che lo sconosciuto si voltasse. Quando lo fece, la prima cosa che lo incuriosì fu la benda in pelle nera sull’occhio sinistro, tenuta ferma dietro la testa calva da una sottile fibbia. L’abbigliamento scuro – impermeabile, pantaloni militari infilati negli anfibi, maglia a trama verticale a collo alto – accentuava l’espressione truce con cui lo stava calcolando.
Tony avvertì la stessa sgradevole sensazione che provava ogni qualvolta suo padre lo riprendeva.
« Pensa di essere l’unico supereroe al mondo? »
« Sicuramente il più fico » rispose, storcendo la bocca in una smorfia di becero narcisismo.
« Signor Stark, lei è entrato a far parte di un universo più grande. Solo che ancora non lo sa » annunciò lo sconosciuto a metà fra la solennità e l’avvertimento mentre aggirava il grosso divano in pelle color panna.
« Lei chi sarebbe? » domandò Tony, sentendosi sotto minaccia.
« Nick Fury, Direttore dello SHIELD »
« SHIELD » ripeté, senza riuscire a mostrarsi sorpreso.
Era troppo bello perché nessuno di quell’organizzazione si facesse sentire. Quasi si aspettò di vedere Coulson spuntare in una nuvola di fumo, degna di un prestigiatore, con tanto di bacchetta, guanti e cilindro.
« Strategic Home »
« ...land Intervention Enforcement Logistic Division. So benissimo chi siete – disse, avviandosi verso la cucina – Cosa volete? ».
Fury invece fu preso in contropiede, gli parve di sentire una certa autorevolezza circa l’argomento nella voce del miliardario. Era come se sapesse già tutto.
« Vogliamo aiutarla, Signor Stark » rispose, osservandolo prendere una pizza dal mini freezer e impostare il microonde.
« Aiutarmi? Tsk! Non riesco a farlo da solo, vorreste farcela voi? – rispose il miliardario con forte scetticismo – Senza offesa, ma neanche tre dei vostri migliori cervelli equivarrebbero col mio » aggiunse, aprendo un’anta in basso appena dietro il bancone.
« Quello nel suo torace è un reattore ad arco, ideato da suo padre e da uno scienziato russo deportato, Anton Vanko – si fermò dalla parte opposta – Ma è un’energia incompleta »
« No. Funziona da quando sono riuscito a… »
« E’ la chiave per qualcosa di enormemente più grande e Howard diceva che il futuro dipende da lei » lo interruppe con la stessa pazienza che usa un insegnante, per poi riprendere a passeggiare per il salotto.
« Da me? Questa è buona » ridacchiò Tony, versandosi dello scotch visto che il whiskey era terminato.
« Che ricordo ha di suo padre? » chiese Fury, guardandolo da sopra la spalla ma continuando a dargli le spalle mentre proseguiva verso un mobile che faceva angolo, di fianco al divano.
« Non ce l’ho. Non c’è mai stato, né per me né per la donna che diceva di amare – lo indicò con il bicchiere – Sa altro su di me? »
« Il palladio la sta avvelenando » rispose prontamente, fermandosi quando il suo unico occhio buono vide una piccola cornice.
« Mi sta ricattando? » chiese Tony, bevendo un sorso di alcol. Trovava intrigante quella conversazione.
« Abbiamo una formula che rallenta i sintomi » lo informò Fury, afferrando il quadretto e  tornando verso di lui, con passi lenti ma regolari.
« E’ tempo perso, Signor Fury » lo avvertì, sprezzante.
« E’ tempo perso se lei non ne fa buon uso » disse, posando la cornice sul bancone.
Tony abbassò gli occhi e il bicchiere, riconoscendo subito quella foto. Fu scattata diversi anni prima, durante una serata che ricordava con piacere: lui in uno smoking poco ortodosso e Pepper fasciata da un sobrio abito lungo e nero, durante la festa di fine anno lavorativo, il primo per lei.
« La ascolto ».

Angolo Autrice: Salve a tutti!! Comincio col ringraziare chiunque sia arrivato fin qui :*
Per chi è nuovo: "Lasciate ogne speranza a voi ch'intrate!"
Per chi già mi segue... Lo so, sono orribile. Ho ancora la serie di Iron Family da mandare avanti, ma soprattutto
devo ancora scrivere l'ultimo/gli ultimi due capitoli di You'll be in My Heart. Ma ahimè, ultimamente l'ispirazione
sembra esaurita e ha deciso di prendersi una vacanza *sob*
Inoltre queste due ultime settimane sono state piene di impegni per me, fra scuola e danza, perciò spesso non avevo
neanche molte energie da spendere.
Siccome avevo già avviato questa nuova long, ho deciso di pubblicarne il primo capitolo per farvi sapere che
sono ancora viva e che tornerò a breve, anche con nuove one-shots ;)
Quindi spero che continuerete a seguirmi mentre mi auguro che questa sottospecie di prologo sia stato di vostro 
gradimento. Se vi va, lasciate pure un commentino :)
A presto,
50shadesOfLOTS_Always!

PS: ad 
_Atlas_SignoraStark e BlackTitan, un baciotto e un GRAZIE DI <3

 

   
 
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