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Autore: tixit    12/11/2017    3 recensioni
Una ragazzina torna a casa e cerca di adeguarsi alla vita in famiglia.
Breve storia minore su personaggi minori che non è diventata originale.
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sorelle Jarjeyes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sigyn la rossa'
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Si va alla ricerca di una identità

Per quanto la ragazzina avesse cercato di trattenere l’impazienza a favore delle povere ossa del giardiniere, il viaggio non fu poi così lungo. La polvere, invece, davvero tanta.

Versailles non era stata sempre proprietà della famiglia reale, pensò Sigyn mentre sobbalzava appollaiata tra i vasi: un tempo, lontanissimo, di un’epoca ancora prima della giovinezza del Nonno e probabilmente pure quella del nonno del Nonno - quasi duecento anni prima, capirai! - il suo signore era stato Martial de Loménie.

Martial aveva fatto una brillante carriera alla Corte del Re di Navarra, e, soprattutto, era stato amico di Ronsard, “poeta dei principi e principe dei poeti”. Sigyn sospirò pensando a John Donne - aveva fatto bene a nascondere il libro, gli amici dei poeti non sempre avevano vite facili.
Poi un giorno arrivò l’uragano: imprigionarono Martial con l’accusa di essere protestante e, la notte di San Bartolomeo, lo sgozzarono nella sua cella.
Prima però, dopo atroci minacce, gli avevano fatto firmare un documento in cui vendeva le sue terre e il suo castello alla famiglia Retz per una cifra ridicola, lasciando i suoi figli e la sua vedova praticamente senza fondi (ma vivi) - segno che la preoccupazione per l’anima di Martial, in tutta questa storia, c’era entrata fino ad un certo punto.

A Sigyn l’idea faceva venire i brividi: onestamente non le sembrava credibile che i Retz, pari di Francia, avessero desiderato così tanto Versailles per come era all’epoca, un posto che non doveva essere tanto diverso dalle terre della casa in Normandia.
La Versailles di de Loménie se la immaginava come il classico borgo piccolo, con un castello piccino, dalle mura spesse, alto al massimo un piano, forse due, con  i polli che giravano per il cortile interno, i panni stesi sul prato nei giorni del bucato, la colombaia rotonda, il frutteto, il villaggio fuori le mura con le case in mattoni rossi e il rumore della bottega del maniscalco, poi la chiesa, e il mulino a vento ai margini, su una stradina polverosa. Un posto dove non c'era niente eppure c'era tutto.
Un pari di Francia non avrebbe mai desiderato una cosa così di poco conto al punto di sporcarsi le mani con una porcata.

Sospettava piuttosto un odio profondo verso il povero Martial, e la volontà di fargli il maggior male possibile. Forse per via dell’odio religioso, forse per via di un altro tipo di odio che aveva colto l’occasione per scatenarsi.

Quanto a Martial, forse era stato un ugonotto, forse no, forse era stato semplicemente fedele al suo giovane Re, sicuramente era stato il tipo che teneva il punto e che non piegava il ginocchio davanti al potente di turno, solo perché il vento soffiava in quella direzione. Tutte cose che capiva, cose alla Castello di Hara, cose da Reynier, anche se erano cose il cui prezzo era sempre salato.

Quelli erano stati anni terribili.

Poi i Retz, a loro volta, passati un bel po’ di anni, avevano venduto tutto a Luigi XIII, terre e castello in rovina - un castello così desiderato da non averlo mai usato pensò Sigyn rattristata - e nessuno ci aveva più pensato.

Quasi nessuno.

Sigyn arrossì in imbarazzo - c’erano cose di cui non si parlava, amici del suo cattolicissimo Nonno, che cattolicissimi non erano. Ferite che non si erano rimarginate, nonostante il tempo passato. E poi c’erano persone che non sarebbero mai nate se le cose fossero andate diversamente.

Sigyn scosse le spalle - inutile pensarci troppo - comunque sia per Luigi XIV, un secolo prima, quello era stato un castello costruito da suo padre, il Luigi numero tredici, sulle fondamenta di un altro, come del resto usava, con le mura in mattoni rossi ed il tetto blu per via dell’ardesia - un giocattolo. Con dentro un altro giocattolo.
Un bel posto non solo per cacciare.

Gli piaceva così tanto che aveva sgomberato il villaggio, un paesino di duecento abitanti, perché non gli rovinasse la vista.


 

Arrivata in vista del Palazzo, piegò verso le Grandi Scuderie - se non ricordava male era così che si faceva, ma non ne era certa: ogni volta che era venuta in visita con Mère o con lo zio Jean-Claude, qualcun altro aveva guidato per loro. Lei era stata fatta scendere nel punto più comodo e di che fine avesse fatto la carrozza non s’era mai curata veramente.

Sigyn balzò giù da Naso Corto e fece cenno ad un ragazzo, appoggiato indolente al muro, perché la portasse vicino alle stalle.

“E’ di Madame Marguerite, Contessa de Jarjayes” disse in tono imperioso. Il giovane si strinse nelle spalle, ma non obiettò.

“Deruberanno sicuramente la carrozza…” gemette il giardiniere mentre poggiava i piedi in terra, tremolante, aggrappato al braccio della ragazzina.

“Si prenderanno quei vecchi vasi, dite? A Versailles non ne hanno?”

“Quelli di Versailles sono del Re!”

“E i nostri di un ospite del Re e l’ospite è sacro.”

“Lo sarebbe se avesse dieci anni di più!”

“Un ospite è un ospite.”

“Un invitato è un ospite, un moccioso che scavalca il muro e gira nel frutteto no.” L’uomo agitò il dito nodoso verso la ragazzina.

“State sereno, non vedo alberi di ciliegio qui in giro.” rispose Sigyn con un sospiro mentre si slacciava la redingote impolverata.

La ripiegò con cura e la infilò all’interno di Naso Corto, poi, da qualche recesso della carrozza, estrasse un cappellino di paglia civettuolo che si annodò sotto il mento.
Rimpianse un pochino la mancanza di uno specchio, ma, pensò pragmatica, le fughe erano così: scomode ed ineleganti. Toccava farsene una ragione


 

Mentre si lasciava le Grandi Scuderie alle spalle, dando il braccio al giardiniere immusonito, assaporò la vista.
Nell'arco di due generazioni di Re, la chiesa parrocchiale di Saint Julien era stata demolita e sopra ci avevano costruito il Grand Commun. Le cucine, insomma.
Almeno cinquecento anni di storia spirituale, matrimoni e battesimi, promesse d’amore e ultimi addii, sostituiti da spiedi, leccarde e lardo sfrigolante.
Sul terreno della parrocchia prima avevano deciso di allevare fagiani di prima scelta e poi avevano costruito il quartiere del Parc-aux-Cerfs, dove avevano finito per allevare altri tipi di prede, sempre di prima scelta, sempre di proprietà del Re. Prede di cui lei teoricamente non avrebbe dovuto sapere nulla.
Insomma, come del resto spesso accade, gli appetiti dell’anima avevano dovuto cedere il passo a quelli del corpo.  

E insieme alla chiesa era sparito anche tutto il paesino di Trianon. E pure qualche collina.
Sygin su quello era combattuta: lei era nata molto dopo tutto questi avvenimenti, per lei la realtà era questa, non ne aveva mai vissuta un’altra, né probabilmente l’avrebbe mai vissuta, poteva solo immaginare, grazie a qualche libro del Nonno, grazie all'essere andata un pochino in giro, che c’erano stati e c'erano altri mondi.
Ammirava i giardini di Versailles e la determinazione dei giardinieri - anche loro testardi come muli, doveva essere qualcosa che sviluppavano con la professione - però la volontà di ferro e la pretesa di cambiare la natura stessa un po’ la spaventavano: era la stessa volontà inflessibile del Generale. 
Ma davvero un giardino diverso, meno ordinato, sarebbe stato meno bello? Davvero non c’era un modo perché più mondi possibili convivessero?

Distrattamente giocherellò con un ricciolo sfuggito dalla cuffietta. Modernità e bellezza davvero non potevano andare a spasso con familiarità e accoglienza? ordine con gioia di vivere? giustizia e pietà? Sigyn rise tra sé: le sembrava di essere lo zio Jean-Claude. Scosse la testa e poi decise che le sarebbe piaciuto chiederlo a Clément - a qualcosa quella maitrise doveva pur servire.
 

Finalmente era arrivata alla Reggia, pensò, superando il cancello, c'erano quasi.


I giri per Versailles furono qualcosa di devastante. O forse estenuante. Di certo orribilmente inconcludente.

Tutti potevano vedere il Re, in teoria, e a quanto pare tutti si stavano dando un gran da fare per riuscirci - Versailles brulicava di curiosi di ogni tipo.

Riuscire a vedere una Contessa al servizio della Regina, invece, sembrava tutto un altro paio di maniche.

Le Guardie del Re erano cortesi nel respingerla verso le sale per i questuanti o verso i saloni di rappresentanza, allontanandola fermamente dalla Versailles più nascosta, quella degli appartamenti privati delle sole persone che avevano una vita privata: le Dame della Regina. Ma le Guardie non la ascoltavano, se non distrattamente.

Sigyn fu amaramente conscia dei vestiti di seconda mano, da usare solo in casa, con Oscar, André ed il precettore.
Ma le fughe erano così, altrimenti si sarebbero chiamate visite di cortesia, pensò, cercando di farsi coraggio.

Forse era il caso di riprendere Naso Corto andare a casa di un amico di suo Nonno? Abitava nel quartiere di Notre Dame, aveva un paio di palazzotti vicino alla piazza del mercato, e magari le avrebbe fornito un valletto ed un bagno caldo. Magari non in quell'ordine.

Luigi XIV aveva raso al suolo un paio di villaggi per avere la reggia dei suoi sogni, ma alla fine aveva compreso di non volere solo un castello, ma una Corte ed un pubblico per le sue feste - era il Re Sole, no? - ma per una Corte servivano dei Cortigiani, e, dopo una festa, serviva un posto dove questo pubblico potesse dormire. Sigyn sogghignò, le feste di un secolo prima, a quel che si diceva, dovevano essere state scatenate, dubitava che il giorno dopo un Duca sarebbe stato in grado di tornarsene al proprio hotel particulier a Parigi.
Certo c’erano solo 12 miglia in linea d’aria - “as the crow fliescome vola il corvo avrebbe detto la madre di Cassandra (un commento secco per ogni piano balzano che non incontrava la sua approvazione).
Erano tutte da percorrere andando verso est fino alla porta daziaria, e la strada adesso era tra le più trafficate d’Europa. Ma adesso. E sulla strada nuova costruita dal Re, che passava per il ponte di Sèvres, per le tazzine di cioccolata, insomma.
Allora, con i postumi di una sbronza, su una carrozza senza le fantastiche molle inglesi dello zio Antoine-Benoit, l’ipotetico Duca danzerino avrebbe rimpianto ogni bicchiere di vino ed ogni porzione di cervo che s’era sbafato ad ogni sobbalzo della carrozza. Niente strada del Re, ma solo le stradine tortuose che usavano i contadini per portare le mucche ai mercati parigini.
Alla faccia delle dodici miglia in linea d’aria.

All’epoca erano circolati racconti dell’orrore di alcuni grandi, costretti, dopo un ricevimento sontuoso, a cercare un letto in qualche buco del paese, o, peggio, a dormirsene in carrozza.
Per cui il Re, aveva ricostruito il nuovo villaggio di Versailles, come un paese ideale, ed incoraggiato i nobili a comprare dei lotti di terreno dal lato verso Parigi. Per invogliarli aveva garantito che quanto lì costruito non sarebbe mai stato soggetto a confisca in caso di debiti - una assicurazione per la vita, insomma, da cui era facile farsi tentare. E gli antenati dell'amico del Nonno si erano fatti tentare. Proprio come i Girodelle.

Quanto ai Jarjayes... Palazzo Jarjayes - cattolicissimo - esisteva da prima: la famiglia lo usava solo per allontanarsi dal suo stupendo palazzo parigino, per la caccia al cervo. Non era esattamente nelle nuove vie di Versailles disegnate dagli architetti del Sovrano, e non era possibile sapere se prima o poi avrebbe offeso la vista del Re, ma il Conte del 1671 era un uomo lungimirante: acquistò del terreno nuovo per allargare il Parco e fece dei lavori seguendo le richieste del Sovrano - le nuove abitazioni non dovevano essere alte più di due piani, la facciata doveva essere color crema e le tegole del tetto blu per via dell’ardesia.
A sottolineare che i piani erano due e solo due aveva messo quel giro di mensole del cornicione, così grossier, pensò Sigyn con un sorriso, così fortunatamente grossier, da poter accomodare una ragazzina con il suo petit panier.
Poi con una gran faccia tosta si era presentato dal Sovrano - del terreno era stato acquistato, Palazzo Jarjayes era su quel terreno, i lavori racchiudevano il Palazzo del passato proprio come Luigi XIV stava facendo con il Castello ereditato da Suo padre…

Sigyn sorrise tra sé, incurante della polvere: il Generale era sempre imbarazzato da questa storia, eppure c’era una vena ribalda nei Jarjayes, pensò, e lo pensò con simpatia. Era inutile perdere tempo quando era così vicina: tra poco sarebbe scesa in campo Mère, con la sua dolcezza, ed insieme avrebbero risolto ogni problema.

Il Conte del 1671 avrebbe sicuramente approvato.


Dopo l'ennesimo tentativo andato male, Sigyn si chiese se non fosse arrivato il momento di arrendersi.
A quanto pare non sembrava affatto la figlia di sua madre. Si chiese con sarcasmo se per caso non fosse venuto il momento di accettare che in realtà lei era solo la nipote di sua Nonna.
Il giardiniere appoggiato al suo braccio che continuava a ricordarle come questa non fosse stata altro che una pessima idea, e che era l’ora di tornare alla serra non aiutava l’umore e nemmeno la sua caviglia che aveva ripreso a farle male.

Le gracchiò qualcosa anche la voce della coscienza, sgradevole più dei lamenti del vecchietto: chi le diceva che Mère sarebbe stata contenta di vederla? In fondo da quando era tornata non le aveva mai scritto. Joséphine di sicuro glielo aveva detto, che lei era tornata: il fallimento del Generale, del Nonno e degli Zii. Di colpo ebbe paura - dopo Versailles non c'era un altro posto dove andare.

“E così siete un membro della famiglia de Jarjayes.” disse una voce cortese proprio dietro di lei. La ragazzina si voltò e notò con stupore che il ragazzo a cui aveva affidato Naso Corto era lì, accanto a loro.

Sigyn abbassò gli occhi - inutile discutere - “Si, certo.” rispose con cortesia, accennando una reverenza che però le riuscì traballante. Doveva assolutamente sedersi, pensò, non ce la faceva più.

“E siete venuta in visita, immagino… da dove?” il ragazzo aveva lo sguardo divertito.

“Saint-Malo.” Sigyn arrossì. Parlare della Normandia le faceva male. Però l’ultimo posto da cui era passata era stato proprio Saint-Malo - non era forse proprio la risposta corretta alla domanda che intendeva farle quel ragazzo, ma era la risposta giusta a quella che le aveva fatto. Soprattutto non era una bugia. E poi se uno voleva delle risposte precise, doveva almeno sforzarsi di fare domande precise!

“Siete una Sisteron?” chiese il giovane osservando i riccioli rossi, sotto il cappellino di paglia. "Acqua e sale?"

“Mia nonna.” Sigyn sorrise, questo era assolutamente vero. Si sentìva in imbarazzo - se c’era una cosa che proprio non si poteva fare era parlare con qualcuno che non ti fosse stato presentato. Ma questo, decise, era qualcosa che sapeva molto bene la figlia elegante di sua madre, non la nipote paesanotta di sua Nonna.

“Non somigliate alle figlie della Contessa, le giovani Mademoiselles de Jarjayes sono tutte…”

Sigyn trattenne un commento sarcastico e sorrise con cortesia “... Bellissime?“ azzardò ingoiando le lacrime - forse un giorno avrebbe chiesto perché loro erano loro e lei era lei. Perché a lei toccava essere definita sempre con quello che non era.

“Perfette di oro e zaffiro, come le placide estati trascorse guardando il mare.”

Fatte con lo stampino pensò Sigyn irritata, ma si trattenne - e poi era vero e Horthense era bellissima, come Catherine, Marie Anne, e anche Joséphine e c'era stato un tempo in cui si erano volute tutte molto bene. Si limitò a mormorare “Non avrei saputo esprimere meglio il concetto. Siete indubbiamente un poeta.”

“In particolare trovo deliziosa Mademoiselle Joséphine, ho danzato con lei ad un matrimonio… e no, non sono un poeta, ma qualcuno più abile di un poeta anche se, purtroppo, molto meno geniale.”

Sigyn avrebbe avuto voglia di rispondergli che era una definizione perfetta di Cortigiano, ma si fermò e lo guardò con attenzione: aveva l’età di Clément, forse qualcosa di più, o forse no, era difficile dirlo, erano così diversi… il "poeta" aveva gli occhi scuri ed i capelli neri, ma del resto nessuno possedeva gli impressionanti occhi da spettro dei Girodelle.
Portava la livrea del Re, aveva ballato con sua sorella, o poteva permettersi di mentire nel dirlo, perché era sicuro di riuscire credibile. Solo che non frequentava Palazzo Jarjayes. Però le Scuderie si.

“Un giovane paggio, dunque.” disse con un sorriso gentile. “Un allievo della scuola dei paggi del Re?” chiese con cortesia.

“Uno dei ventiquattro. Per servirvi.”

Sigyn socchiuse gli occhi. Forse era vero. Forse era una bugia. Ma lei non aveva con sé niente che le potesse essere rubato, giunti a questo punto. A parte Naso Corto s’intende, ed i vasi che preoccupavano tanto il giardiniere, ma se il ragazzo li avesse voluti  se li sarebbe presi da tempo.
Decise di fidarsi “Monsieur siamo venuti per...”

“Siamo qui per parlare di clematidi e di ananas!” si intromise, il giardiniere in tono cupo “Ma ormai si è fatto tardi, e bisogna assolutamente tornare alla serra: abbiamo venti vasi colpiti dai funghi che attendono di essere salvati!”

Il ragazzo sorrise, “Siete stati inviati per conferire con Madame de Jarjayes su faccende che le stanno a cuore perché riguardano il buon andamento del Palazzo e su cui desidera sicuramente essere consultata.” Sigyn annuì mentre il vecchino sospirava rumorosamente pieno di disapprovazione.

Il ragazzo proseguì ”E la Contessina de Jarjayes è di una gentilezza squisita superata solo dalla sua incomparabile bellezza…”

“Un angelo...” sospirò Sigyn ripensando alle frustate di Margot-Pur-Beurre.

“Bellezza che può essere espressa solo pensando a delle rose su un letto di gigli.”

Biacca, pensò Sigyn, stizzita, mentre annuiva timidamente. Quella cosa dei gigli funzionava fin dai tempi di Ronsard.

“Mademoiselle de Jarjayes ha pensato di permettere ad un membro molto piccolo della sua famiglia di visitare Versailles, senza metterla in imbarazzo con l’impegno di una visita ufficiale con tutto il peso della spinosa etichetta della Corte dei Borboni, che una visita ufficiale comporta…”

Sigyn sentì tutto il peso della polvere sul viso, i capelli ed il vestito e le sembrò che le si fosse depositato sul cuore: e così le toccava il ruolo della sgraziata ignorante che si sarebbe messa in imbarazzo da sola davanti alle altre Dame di Compagnia come sua madre.
“Saint-Malo è una città di provincia e non contiene tanta bellezza.” mormorò - forse era vero. Forse era stata tutta una pessima idea.

“Di Versailles ce ne è una sola, Mademoiselle…”

“Reynier...” sospirò Sigyn. Forse se fosse tornata, magari Margot non si era accorta di nulla, o magari il Generale le avrebbe creduto, poteva scrivergli lei e giocare d’anticipo.

“Ma la bellissima Contessina de Jarjayes è una giovane creatura molto attenta e vi ha sicuramente dato un biglietto e delle istruzioni. Biglietto che voi avete smarrito perché siete ancora una bambina, e infatti, ora che mi sovvengo, siamo stati presentati ad un ballo per bambini…” il ragazzo le strizzò l’occhio e Sigyn trattenne il fiato. E così le stava dando una via di uscita: le Guardie del Re non avrebbero mai lasciato passare una ragazzina impolverata che si ostinava a presentarsi come la figlia di una Contessa, quando chiaramente non lo sembrava, ma avrebbero lasciato passare con occhio distratto la nipote di campagna venuta a curiosare per Versailles a bocca aperta per la meraviglia, al seguito di un anziano giardiniere. Una bambina che si voleva lasciar divertire un pochino, prima di insegnarle per benino le regole dell'etichetta. Si, quello era molto più credibile.

“Dobbiamo assolutamente andare a girare quei vasi, devono prendere aria! Tutta colpa dell’umidità...” si intromise il vecchietto con voce lamentosa. “Fa male ai gerani e fa male alle mie povere ossa… Manderemo un biglietto per Madame Marguerite… le clematidi possono aspettare...”

Il ragazzo fece finta di non aver sentito "La Corte è una istituzione particolare," disse con tono leggero, "non permette mai di separare, in modo netto, la dimensione privata da quella pubblica. Qui tutti devono condividere uno stesso luogo, con i propri servitori nei propri alloggi, con dei cortigiani la maggior parte degli spazi, con la famiglia reale alcuni momenti, diventa necessario doversi attenere in modo continuo a regole di comportamento molto precise, non solo per motivi di decoro, ma anche per tenere a distanza la maldicenza, capace di far cadere in disgrazia un individuo."

“E' lo stesso con le larve...” brontolò il giardiniere “Bisogna attenersi a regole molto precise, se si vuole uscirne!”

Sigyn arrossì, ma il ragazzo non ci fece caso "A volte bisogna dare alle persone esattamente ciò che si aspettano... senza pretendere che vedano o che capiscano ciò che è fuori dalla loro portata" mormorò "Alcuni non sono più in grado di distinguere giusto da ingiusto o vero da falso, ma solo appropriato da sconveniente." fece un sorriso affascinante, "E per questo motivo passeremo per il Grand Commun."

“Passeremo per le cucine perché è così che si fa con i nobili di campagna?” chiese maliziosa Sigyn. "Secondo l'etichetta di Corte intendo..."

"Vengo anche io dalla campagna." rispose il giovane con aria molto seria "Passeremo per le cucine, perché è tra il Gran Commun e la Cappella che c’è qualcosa di molto importante, anzi direi di essenziale per l'ottima riuscita della Vostra missione e della mia giornata.”.

“Cosa?”

“La Guardia del Re che è anche uno degli istruttori di equitazione della scuola dei paggi, che mi conosce e che adesso è di turno e che sarà più che lieto di scortare una mia piccolissima amica venuta da Saint-Malo e che si è persa per Versailles. E che si è ricordata di un vecchio amico...” Il ragazzo sorrise e poi con un inchino aggiunse, “A proposito io sono de La Roche Guilhen de Lagondie, grande ammiratore di Vostra cugina.”

“Continuerò a pregare per la vostra anima, ma non credo basterà” esclamò il giardiniere, sdegnato.

“Sentitevi libero di organizzare una novena nell’Orangerie...” mormorò Sigyn, rassegnata, mentre si appoggiava al braccio del ragazzo.

   
 
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