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Autore: pamina71    13/11/2017    8 recensioni
Sono passati cinque anni dalle ultime indagini di André ed Oscar, che ora vivono apparentemente tranquilli a Gravelines, in realtivo anonimato, giacchè intorno infuria il Terrore. In questa vita quasi agreste giunge una vecchia conoscenza, in cerca di aiuto, e una situazione incresciosa li porta a condurre una rapidissima indagine.
Una mini-long per chiudere la serie noir che siete state tanto gentili da seguire nei mesi scorsi.
Il titolo è parte di un aforisma: Ci sono anni che pongono domande e anni che rispondono. (Zora Neale Hurston).
Questa storia fa parte della serie "Lupi, giganti ed altre avventure"
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Victor Clemente Girodelle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lupi, Giganti ed altre avventure'
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5. Il mantello dell'invisibilità.

 

Era quasi l'alba, quando la manina che Oscar teneva nella sinistra ebbe un leggerissimo fremito1, risvegliandola da quello stato di desolata prostrazione in cui era rimasta tutta la notte. Si soffermò ad osservarlo con attenzione, per cogliere altri movimenti. Le parve che tentasse di respirare un poco più a fondo, dilatando le piccole narici.

Artigliò con energia la spalla di André, che nella penombra del camino non aveva veduto quei movimenti minimi. In un attimo le fu accanto, ad osservare il piccolo che lentamente si risvegliava da quel sonno innaturale. Si mosse, poi aprì gli occhi verdi, vide chini su di sé i genitori preoccupati e felici. Non notò le facce stanche, si accorse solamente di essere amato, che era buio e che era al sicuro nel lettino.

- Sono stanco.

Poi si girò sul fianco sinistro, il suo preferito, e si rimise a dormire. Questa volta normalmente.

André ed Oscar si abbracciarono, sfiniti. Non osarono lasciarlo solo, e si strinsero nel lettino di Antoine per riposare un paio d'ore.

 

A metà mattina tutta la città sapeva che il piccolo Christophe si era ripreso, sebbene il medico gli avesse imposto di restare a letto per alcuni giorni. Oscar, anzi, la Cittadina Grandier aveva faticato a tener fuori tutta la gente che avrebbe voluto vederlo. Solo un piccolo drappello di amichetti aveva avuto il permesso di entrare, mentre André, con l'aiuto di Victor, aveva dirottato gli uomini all'osteria dove aveva lasciato detto che venisse offerto da bere a chiunque si fosse presentato entro mezzogiorno, mentre la zia Ninon si era sobbarcata l'incarico di intrattenere le donne, ben sapendo che la moglie di suo nipote le avrebbe mal sopportate.

Cosicché, arrivando a casa loro, il Gendarme Blanquart trovò solo i due coniugi che, nella stanza dei bambini, sedevano in mezzo ad un gruppetto di marmocchi con le mani inzaccherate di marmellata, tentando di mandarli via con le buone dalla stanzetta del figlio.

- So che non è un buon momento, però vorrei parlarvi.

André chiamò Marotène, chiedendole di badare ai piccoli in cucina, cosicché lui ed Oscar potessero parlare col Gendarme.

Seduti al piano di sotto, dopo aver aperto un sidro, ascoltarono Blanquart.

- Per ora la città è sollevata perché vostro figlio si è ripreso, ma la gioia durerà poco, e presto si riprenderà a parlare dell'uccisione di Suger. E presto torneranno a puntare l'attenzione sul vostro amico. Ma io credo che il colpevole sia da ricercare molto più vicino. Aiutatemi, e cerchiamo di fare in fretta.

- Dovremmo parlare con chi ha avuto a che fare con lui per lavoro, e inoltre capire se e a chi ha davvero prestato soldi a strozzo. - Disse André.

- E io sono sicura di dover parlare alla vedova. Qualcosa in quello che ha detto ieri sera mi ha fatto una strana impressione. Ma non saprei cosa, con esattezza. - Sospirò. - Ma non oggi. Adesso devo stare qui. Christophe è vivo, debbo badare a lui. Mezza giornata in più nelle indagini non cambierà gran cosa, ed il nostro amico saprà sopportare sguardi sospettosi per qualche ora ancora.

 

Il mattino seguente, dopo una giornata trascorsa quasi interamente nella stanza dei bambini, André partì relativamente presto per raggiungere l'intendente. Christophe dormiva ancora, di un sonno sereno e sano.

Oscar sarebbe andata più tardi dalla vedova Suger, per parlare con lei. Non era sicura che avrebbe ottenuto qualcosa. Il suo rapporto con le altre donna della città era sempre stato ambivalente. Da un lato il suo essere “forestiera” aveva significato essere accolta con malcelato sospetto, reso più forte dai suoi atteggiamenti particolari, come l'indossare talvolta abiti maschili, per cavalcare come nessuna di loro faceva, per tirare di scherma o andare a vela col marito. Dall'altro, proprio il fatto che arrivasse da Parigi glieli aveva resi possibili, con una impunità dovuta al fatto che, per i chiusi normanni, i parigini erano comunque strani.

Inoltre, il suo riserbo, amplificato dal non dover lasciare intendere le proprie origini aristocratiche, si combinava con la scarsa loquacità della gente di Normandia, facendo sì che negli anni si fosse saputo poco di lei, e che non avesse stretto legami con le donne del luogo.

La sua liberalità le aveva guadagnato una stima silenziosa, ma non la confidenza.

Si recò quindi dalla Cittadina Suger poco prima dell'ora di pranzo, per portarle consolazione e la rassicurazione che il gesto di Paul non aveva avuto conseguenze. Non denaro. Suger lasciava l'officina e una casa. La vita che conducevano non era lussuosa, ma non mancavano di nulla. Forse le voci che lo volevano usuraio non erano così infondate, pensò Oscar entrando nel salottino, arredato con mobili forse un po' troppo solidi rispetto a quanto era abituata a vedere, ma intarsiati con cura. Alcuni quadri alle pareti tentavano di dare lustro alla stanza, una pendola dorata avanzava qualche pretesa di stile.

- Cittadina Grandier! - La accolse la vedova. - Sono davvero lieta che vostro figlio si sia ripreso! Non potete sapere quanto questo mi abbia tenuta in ansia. Mi sentivo responsabile per il gesto del mio. Domani lo manderò a scusarsi. Ma accomodatevi. - Aggiunse, zoppicando attorno alla tavola per preparare delle tazze per offrire un té.

Oscar la osservava. Non pareva eccessivamente addolorata per la morte del marito. Non se ne stupì. I racconti di paese raccontavano di botte e soprusi, di un orco avaro e manesco. Nessuna donna lo avrebbe rimpianto. Un pensiero le passò rapido. E se lo avesse ucciso lei? Immaginò il momento di non ritorno, l'attimo in cui l'odio avrebbe potuto prendere il sopravvento, Guardò le mani minute, il livido in volto, che cominciava a prendere una sfumatura giallastra ai bordi. Avrebbe avuto la forza di gettare un sasso contro il marito, con una forza tale da ucciderlo? Quanto successo a Christophe suggeriva di sì. Ne avrebbe avuto il coraggio? Forse. Il coraggio dei disperati, che si ribellano quando non ne possono più. Ma una donna che ha subito per un decennio, o forse più, si ribellerà mai? Avrà mai questo coraggio? Si chiese, mentre l'altra si affaccendava attorno con la teiera.

Pensò a sé stessa. Lei non avrebbe subito nemmeno per una settimana. E, reagendo subito, non avrebbe portato le cose a un tale grado di sfacelo. Ma era un ragionamento forse poco adatto al contesto. Oppure quella donna minuscola riteneva giusto ciò che le veniva fatto, credeva di meritarselo?

La vedova arrivò con un vassoio recante tazze e teiera, accompagnata da una ragazzina sui quindici anni, che presentò come la figlia Olympe. Oscar si chiese cosa avesse spinto i genitori nella scelta di un nome tanto altisonante, mentre i fratelli ne avevano di molto più comuni.

La ragazza teneva gli occhi bassi, forse più per abitudine che per reale necessità. Oscar , nuovamente, pensò a sé stessa. Un padre rigido, certo, ma né lei né le sorelle avevano mai dovuto assumere un atteggiamento tanto dimesso, tanto tendente all'invisibilità. Un atteggiamento che Olympe indossava coma un mantello.

 


1  Non garantisco sulla verosimiglianza dal punto di vista clinico.

   
 
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