1. Sconosciuta a sè stessa
Il
rapimento della piccola scatenò la rabbia degli Angeli che
iniziarono ad riempire il cielo con grida assordanti in cerca del suo
cavallo o
di un minimo dettaglio per trovarlo. Tutta quella preoccupazione lo
rese ancora
più sospettoso e possibilmente ancora più
soddisfatto per aver rubato ad uno
degli Angeli più potenti il suo tesoro.
Schivò
l'ennesimo attacco, Exiel sembrava infuriato più con
sé stesso che con lui e questo lo portava in netto vantaggio.
Gli
sfiorò la spalla destra con il suo spadone, era il terzo
segno rosso che riusciva a infliggere al nemico e questo
provocò il suo
entusiasmo nel combattimento.
«
Dammi la bambina dannato.»
sibilò l' Angelo rabbioso.
Si
stavano avvicinando altri Angeli e per quanto lui fosse
bravo in combattimento era consapevole di non riuscire a batterli
tutti, non in
quel momento. Oltretutto doveva al più presto raggiungere il
Portale che lo
avrebbe condotto alla Gilda.
Improvvisamente
delle parole sussurrate e sempre più urlate
ad un ritmo inumano rieccheggiarono nel piano, gli Angeli si tapparono
con le
mani le orecchie, doloranti e urlanti.
Sorrise,
mentre il suo avversario finiva a terra agoniante.
Sapeva chi doveva ringraziare, rinfoderò velocemente la
spada e corse verso il
fitto bosco, là dove una ragazza dall'aspetto etereo lo
stava aspettando
accanto ad un anziano fasciato della sua stessa divisa, appeso ad un
bastone lo
guardava con un cipiglio scuro, gli occhi violetti pieni di sollievo e
gioia.
First, appena dietro di lui, gli corse incontro.
«
Ciel! Cos'è successo? »
«
Avete trovato la bambina?»
chiese prima di ogni altra cosa.
Il
vecchio annuì, mentre sentiva lo sguardo della ragazza su
di lui.
«
L'ho trovata tra le macerie del Trono. »
Il
pugno nodoso dell'anziano si strinse forte sul bastone.
«
Il Trono? Intendi il Trono di...? »
Lui
annuì grave.
«
Chi diamine potrebbe aver fatto una cosa...? Lui è
già...»
«
Exiel. E i suoi. Portate al sicuro la bambina, per loro sembrava molto
importante, curatela non era in buone condizioni, a malapena respirava.
»
«
E tu dove stai andando? »
«
Devo andare alla Gilda, devo parlare con Theana e Irial. »
«
Cosa sta succedendo, Ciel? »
Lui
scrollò le spalle, impotente e confuso egli stesso.
«
Vorrei tanto saperlo anch'io. Curatevi della bambina. Mia e Linue sono
le più capaci, chiedete loro un favore da parte mia. »
«
Non ci penso proprio, ci tengo alla mia vita. Chiederò un
favore a
Gabriel. Torna appena puoi. Abbiamo bisogno di sapere. »
«
Credo che verrete voi da me, c'è bisogno di un'assemblea. »
Montò
sul suo destriero e scomparve, così come era arrivato,
la sensazione che la vicenda fosse tutt‘altro che finita era
ormai certezza e
di qualunque cosa si trattasse la Gilda doveva prepararsi ad
affrontarla.
Sangue.
Tanto sangue.
Stava
scendendo dalla sua faccia, odore di bruciato,
urla e profumo di disperazione impregnavano quella stanza di morte.
«
Trovatelo!Quel dannato! »
Chi
stavano cercando? Era curiosa. Guardò il soffitto
dal quale scendeva il sangue.
C'era
una strana aurea malvagia in quel luogo.
Ingenua
uscì dalla camera. Le scale erano dipinte di
rosso, il sangue scendeva a piccoli rivoli spargendosi man mano sempre
di più.
Percepì
il suo stomaco lamentarsi per quella visione,
si guardò intorno in cerca di un'anima ancora viva, cercando
di non prestare
attenzione ai corpi mutilati di quella casa così decisamente
troppo grande.
Ma
il suo sguardo si incantò sulla figura di un
bambino, gli occhi grandi del colore della disperazione, consapevoli
della
morte, la guardava e non parlava, sapeva che lei non poteva fare niente
per lui
e si limitò a sorriderle. Un sorriso che non era affatto
come i sorrisi che
aveva sempre ricevuto, era freddo e pieno di un qualcosa che non
comprese.
Entrò nella stanza per cercare di salvarlo, riempiendosi il
vestito e le mani
di rosso, cercò di scostarlo dalla donna che era sotto di
lui e alla quale
sembrava così angosciantemente appeso. Non capendo ancora
che non poteva fare
nulla per lui. Così facendo un braccio della donna si
staccò e restò nelle sue
mani, veloce si alzò, cercando di non fissarsi su quel
quadro straziante che
aveva appena profanato.
Si
appese alla porta per cercare di restare in piedi,
consapevole dei passi e delle voci sempre più vicine.
Un
uomo comparve dalle scale, gli occhi perversi e cupi
di chi aveva sulle spalle un delitto di anime innocenti, si
voltò verso di lei,
spalancando prima gli occhi e poi la bocca.
«
ECCOLA!E' UNA DI LORO! »
Lei.
Cercavano lei.
Perché
la stavano cercando?
Pochi
attimi e lo comprese immediatamente, l'uomo tirò
fuori una spada pronto a sgozzarla.
Mi
vogliono uccidere.
Perché?
Un
clangore di colpi e un urlo, probabilmente uscito
dalla sua bocca, che si tappò poi.
Chiuse
gli occhi in attesa del dolore, aveva paura di
morire. Non aveva mai previsto di poter morire. Pensò al
bambino che poco prima
le aveva sorriso, forse non era così doloroso.
Un
urlo soffocato e il rumore di qualcosa che cade.
La
testa dell'uomo che aveva davanti era ai suoi
piedi, gli occhi la guardavano colmi di stupore, alzò lo
sguardo per evitare
quella scena disgustosa e vide il corpo dell'assassino cadere privo di
testa.
«
Seguimi. »
Un‘ombra
dallo sguardo severo che non aveva mai visto
la guardava, le mani tinte di rosso.
Sentiva
le mani che tremavano, così come le gambe, la
bocca anch'essa era piena di sangue.
«
Perché?»
quella
sola domanda le riempiva il cuore e la mente. Poi un altro rumore alle
sue
spalle questa volta e un grande dolore alla gamba.
«
Ah...»
Un
altro colpo secco e l'uomo alle sue spalle cadde,
al centro del petto la camicia divenne scarlatta, il corpo ora era
inesistente.
Il suo stomaco avvertì il suo limite.
Si
chinò appena per mettersi una mano sulla pancia,
cercando di trattenere il cibo che minacciava di salire a momenti.
Così
l'ombra benevola decise di prenderla in braccio,
capendo saggiamente che lei non avrebbe mosso un passo. Si strinse
forte al
collo dell'uomo cercando di non urlare dal dolore. Sapeva che non
dovevo farlo,
che era pericoloso.
«
Resisti.»
Mugulò
un sì.
Perché
volevano lei?
Il
suo protettore,, in qualche modo a lei conosciuto,
riuscì ad evitare tutti gli uomini, in quei pochi secondi si chiese che cosa aveva
fatto di male per
dover essere punita. Fuori pioveva, i tuoni e i lampi facevano da
sfondo a
quella serata così irrimediabilmente marchiata di morte.
Come
se persino il cielo volesse pulire i crimini che
erano stati compiuti quella notte.
«
Cos'è successo?»
chiese.
Vide
perfettamente il volto dell'ombra tirarsi in una
smorfia di dolore.
«
Hai male? »
chiese
ancora.
Le
labbra si deformarono, ma c'era qualcosa che non
andava in quel sorriso. Perché tutte quelle lacrime?
«
Sì, piccola. Ma ci sono ferite che nessuno puo'
curare. »
Restò
zitta, senza aver più nulla da dire.
Dopo
parecchie ore che correva il suo salvatore la
lasciò andare, le voci se n'erano andate, anche se
percepì ancora l'odore di
bruciato nell'aria.
D'un
tratto si sentì calciare malamente dentro i
cespugli, mentre una figura incappucciata si avvicinava lentamente a
loro.
«
Chi sei? Rivelati. »
la voce del suo salvatore era incerta, ma determinata.
«
Consegnami la bambina.»
rispose la cristallina voce indistinta da sotto il cappuccio,
dirigendosi verso di lei.
L'ombra
sbarrò la strada al nuovo pretendente.
«
No!»
gli occhi come due pozze di
cristallo nero dai quali brillò una scintilla di panico.
L'aria
sempre più tesa e irrespirabile, sentiva le
forze farsi via via più flebili.
«
Datemi la bambina. »
ripetè la voce, nel suo tono calmo una nota di irritazione.
Un
alito di vento portò un poco di respiro a
quell'aria sempre più rarefatta.
«
Tu non puoi salvarla. »
non c'era alcun intento derisorio in quella voce così eterea
e
inflessibile.
Il
terrore s'impadronì di lei.
«
E tu invece riuscirai nell'intento? »
il salvatore strinse forte il polso
della bambina. Le sta facendo male.
«
Posso arrivare più vicino alla salvezza di voi.
Datemi la bambina se
volete salvare la sua vita, o perirà davanti i vostri occhi.
»
Lentamente
la presa dell'ombra si allentò, mentre i
passi leggeri della figura oscura si avvicinano alla bambina. Una
strana voce e
delle strane parole la spinsero verso quelle braccia tese, vicino al pericolo.
«
Ti prego...Salvala. »
l'unica supplica di quell'anima dannata che, senza un
perché, l'ha
portata in salvo.
Sentiva
ancora la gamba bruciare, di sicuro non
sarebbe riuscita a scappare, perciò attese con finta calma
di vedere l'ombra
prenderla e portarla alla morte.
Iniziava
a capire che nessuno sarebbe venuto a
salvarla. Nessuno. Era sola.
Poi
un lampo di luce rossa divorò ogni cosa, la sua
mente scoppiò, provocandole un dolore lancinante ed acuto.
Sentiva
dei passi avvicinarsi, ma era al limite di
ogni sopportazione, non poteva più scappare, non aveva
nessuno che potesse
salvarla, né una ragione per vivere. Semplicemente si perse
nell'oblio sicura
di non tornare più alla luce.
La
consapevolezza di esistere la colpì prima di ogni altra
sensazione, ancor prima dell'impatto doloroso dei suoi occhi, da troppo
tempo
chiusi, con la luce.
Serrò
le palpebre per lenire il fastidio, socchiudendole pian
piano per abituarsi al bagliore della lampada appoggiata di fianco a
lei, sopra
un comodino.
Una
sola domanda le rimbombava nella mente: - Chi sono?-
Tutto
ciò che riusciva a ricordare era un lampo rosso e il
sentore che lei non avrebbe dovuto essere viva.
Era
sopravvissuta a cosa? Da dove veniva?
Serrò
le tempie tra i suoi pugni cercando di rimembrare anche
solo un dettaglio che la portasse alla conoscenza di sé, ma
più scavava, più si
perdeva nell'ignoto e nell'oscurità. Finché un
senso di vertigine non la
costrinse a smettere di brancolare nel buio più fitto della
coscienza.
Si
guardò attorno per appendersi a qualche ricordo della sua
vita, ed ebbe un instante di perplessità: non riconosceva
nulla di ciò che
apparteneva a quel luogo.
Dal
duro e ruvido letto in cui era seduta, al mobilio con cui
era decorata quella stanza. Tutto le era completamente sconosciuto.
L'aria
cominciò a diventare pesante e un senso di angoscia la
prese, impedendole di respirare. Più cercava di ricordare
più il suo corpo e la
sua mente si rifiutavano di collaborare.
Poi
un solo ricordo le balenò alla mente, senza che lei lo
volesse, senza che lei lo cercasse. Delle labbra color rubino
pronunciavano con
un tono dolcissimo un'unica parola.
Sheela.
Ebbe
la certezza che quel nome le apparteneva.
Si
passò la lingua tra le labbra, per bagnarle. Il labbro
inferiore era spezzato, riconobbe l'impronta dei suoi denti in quei
punti non
ancora rimarginati e delicati, come se si fosse imposta di non urlare.
La
porta lentamente si aprì e comparve una donna,
dall'aspetto piuttosto piacente, la guardò per un attimo in
silenzio, gli occhi
color della cioccolata un poco più spalancati. Dall'aspetto
curato capì che era
una donna piuttosto agiata.
«
Sei sveglia, piccola?»
Lei
annuì. In qualche modo si sentì sollevata nel
comprendere
le parole della giovane.
«
Mia, è sveglia.»
disse la
ragazza affacciando il viso fuori dalla stanza.
Una
seconda donna comparve nella stanza, più matura della
prima, i capelli castani raccolti in una crocchia scompigliata.
«
Oh, ben svegliata tesoro. Eravamo molto preoccupate per te, la tua
situazione non era delle migliori quattro giorni fa. Non sapevamo se ti
fossi
ripresa. Ma, non fa nulla, non fa nulla. L'importante è che
tu ora stia meglio.»
disse avvicinandosi lentamente alla
bambina. Le accarezzò la guancia con fare materno, mentre
gli occhi della
stessa tonalità della più giovane la guardavano
attentamente.
«
Tutto bene?»
«
Credo di sì.»
la sua
voce era roca e flebile come se avesse urlato con tutta la sua forza,
la gola
le faceva male, così anche la testa.
La
donna annuì incoraggiandola ad alzarsi.
«
Dovremo fare un bagno, che dici? Hai avuto la febbre molto alta, hai
sudato molto.»
Il
contatto con quella pelle fresca e morbida ebbe un effetto
lenitivo sulla piccola, che ebbe l'ultima conferma di essere viva e
vegeta.
La
giovane scomparve poco dopo, scusandosi e salutandola.
«
Ah, il mio nome è Mia, quella che hai visto poco fa era mia
sorella
minore, Linue. Mio fratello, Marcus è andato a caccia per
riuscire a darci un
poco di carne per stasera. Dovrebbe tornare a casa a momenti.»
«
Sheela.»
si presentò quindi la
bambina, ancora frastornata e confusa.
La
donna le sorrise, e iniziò a chiacchierare placidamente,
raccontandole la storia della sua famiglia, di sua sorella e del
fratello e di
tutti i sacrifici che facevano per mantenere l'orfanotrofio che
gestivano.
Sheela
provò subito un vago calore al cuore nel sentirla
parlare, il suo fare così premuroso e dolce ma deciso, aveva
un effetto
curativo sulla sua confusione interiore.
«
Ecco, qui puoi farti un bagno come si deve, nessuno ti
disturberà. Qui
ti ho appoggiato degli asciugami e dei vestiti puliti. Se hai bisogno
non fai
altro che chiedere.»
disse
infine Mia, chiudendo la porta di quel bagno molto caldo e
sorprendentemente
grande e accogliente.
Il
vapore che saliva piano dalla vasca, lasciando dietro di
sé goccioline brillanti nella parete di vetro nero, era
caldo e profumato.
Iniziò
a spogliarsi, notando la benda sulla gamba destra che
copriva un brutto taglio ormai in via di cicatrizzazione.
S'immerse
senza indugiare, sentendo gli ultimi rimasugli di
stanchezza andarsene.
Si
stupì nel vedere dei lividi giallastri disegnare segni
cicolari attorno alle caviglie e alle braccia, come se fosse stata
incatenata.
Non
si sforzò nemmeno di dare un senso a quella sensazione di
vuoto che l'attanagliò. Era come se quel corpo non le
appartenesse.
Sheela
rabbrividì.
Uscì
dalla vasca avvolgendosi in un asciugamano porpora,
ruvido ma pulito.
Notò
uno specchio e si avvicinò. Il viso sconosciuto che
ricambiò lo sguardo curioso era bello, tra la pelle candida
facevano capolinea
due petali di rosa rossa un poco socchiusi e due occhi a mandorla che
brillavano, sconcertati, di un blu misterioso. La massa fluente nera si
accompagnava alle due occhiaie che comparivano tra il candore del viso
come una
nota stonata, in tutta quella purezza.
La
mano destra della bambina andò a toccare la superficie
fredda del vetro, come per accertarsi del suo riflesso. Non si
riconosceva. Era
sconosciuta a sé stessa.
Si
passò velocemente una mano fra i capelli e si
sbrigò a
vestirsi, non voleva essere d'impiccio per quella gente.
Sentiva
delle voci provenire verso il corridoio della casa.
Decise
di indossare gli indumenti che le aveva portato Mia,
un vestito semplice, elegante ma comodo, mettendo da parte invece lo
straccio
rovinato che aveva addosso prima, uscì quindi dal bagno e si
ritrovò nel
corridoio della casa, a piedi scalzi e indecisa su dove andare. Il
chiacchiericcio l'attirò verso una stanza dalla porta
socchiusa. Percorse il
lungo corridoio, seguendo quella luce pallida provenire da una stanza
in fondo.
«
E la bambina?»
chiese
una voce profonda maschile.
«
E' guarita, sono ancora restia a credere che possa essere sopravvissuta
ad un simile cataclisma.»
«
Già, nemmeno io ancora me ne capacito. Ora dov'è?»
«
In bagno, le ho detto di farsi una doccia, povera piccola aveva un viso
così spaesato. Però...»
«
Però?»
«
Però, non è una bambina comune, Gabriel. Tutte
quelle ferite, chi
gliel’ha inferte? Come ha fatto a sopravvivere?»
«
Forse...»
«
Gabriel.»
l'interruppe la donna
guardando la bambina che era appena entrata. Lo sconosciuto si volse
verso la
porta appena più aperta.
Il
ragazzo, perché teoricamente non aveva tanti anni
più di
lei, era alto e muscoloso, con solo un paio di braghe di tela addosso,
i segni
scolpiti sul torace disegnavano delle linee decise e perfette. I suoi
occhi
verde intenso si accesero di una luce di velato sollievo.
«
Ohi ohi, a quanto pare stai meglio, bambolina. »
La
piccola annuì e si domandò se dovesse provare
pudore per
quella situazione insolita, ma né Mia né Gabriel
sembravano farsi problemi per
la nudità del ragazzo, quindi decise che nemmeno lei avrebbe
dovuto farsene.
«
Non avevo notato quei splendidi occhioni, principessina. »
«
Lasciala stare, non iniziare con le tue solite moine, buzzurro
scavezzacollo.»
lo ammonì la donna.
L'uomo
sogghignò, strizzando un occhio per togliere
dall'apparente imbarazzo la piccola, che però era
semplicemente in
contemplazione delle infinite cicatrici nel petto di lui.
«
Il mio nome è Sheela.»
disse lei infine, rispecchiandosi negli occhi di lui.
«
Ciao Sheela.» l'uomo
s'inginocchiò per guardarla meglio «
Cerca di perdonare la mia impazienza
ma...E' neccessario... »
l'espressione si fece nettamente più seria «
Ricordi qualcosa di ciò che è
successo quattro notti fa? »
Scosse
il capo, mordendosi le labbra. Chissà se nel suo
passato lo faceva quando era nervosa.
«
Ricordo solo il mio nome. »
ammise.
«
Ci sono ricordi davanti cui persino il corpo rifiuta di rimembrare.
Viste le sue condizioni non sono nemmeno stupita che abbia dimenticato
quel
disastro.»
sostenne la donna in sua
difesa.
Disastro?
Quale disastro?
«
Sono stati Gabriel e Marcus a portarti in salvo, eri in fin di vita
vicino ad un bosco non lontano dalla Fortezza Nera. Questo ti dice
nulla?»
provò la donna, dolcemente.
Sheela
scosse il capo.
«
Mi dispiace.»
poi si
voltò verso il ragazzo che ancora la stava guardando, perso
nei suoi pensieri «
Grazie per avermi salvata.»
Quelle
parole ebbero l'effetto di una sveglia nel ragazzo che
le sorrise distrattamente.
«
Non fa nulla, piccola. Per ora hai solo bisogno di molto riposo e di
mangiare.»
Lo
stomaco della ragazza brontolò a sua volta, quasi in
risposta alla frase dell'uomo che ridacchiò divertito.
«
Direi che è proprio il caso di preparare qualcosa, tra poco
arriverà
Marcus, poi dovrò andare a dare cambio a Linue, è
tutto il giorno che sta
all'orfanotrofio. E' fin troppo brava.»
disse tristemente la donna.
«
Ohi ohi, dopottutto nemmeno tu te ne resti con le mani in mano, sono
tempi duri questi, non è facile per nessuno. »
Sheela
si accoccolò sul divano di quella piccola cucina per
lasciarsi cullare dalle loro voci tranquille e pacate, aveva
sicuramente molta
fame, ma in quel momento il suo bisogno primario era dormire.
Si
svegliò sotto una coperta ruvida e calda, sentendo il
profumo di carne appena cotta il suo stomaco si lamentò di
tutti i giorni di
digiuno non voluto. L'atmosfera della stanza era molto più
movimentata e
serena, vide poi che era comparsa una nuova persona in cucina,
probabilmente
Marcus, il fratello di Mia. Era seduto sulla tavola con un coltello in
mano,
intento a tagliare un coniglio, i capelli biondicci bagnati e attaccati
alla
fronte.
«
Ohi ohi, ti sei svegliata piccola.»
lo sguardo ammiccante di Gabriel occupò subito la sua
visuale.
Lei
si strizzò gli occhi, sentendosi molto più
rilassata. Si
accorse che la sua testa era appoggiata alle gambe del ragazzo che le
accarezzava dolcemente i capelli.
L'altro
invece era seduto sulla sedia e la stava osservando
con un mezzo sorriso sulle labbra, il viso ovale ma più
affilato e marcato
delle sorelle.
«
Heilà principessa addormentata.»
sogghignò, mentre gli occhi scuri e penetranti sorrisero
accoglienti.
«
Tu sei Marcus.»
Il
ragazzo le sorrise in risposta, appoggiando il coltello e
il pezzo di carne ed avvicinandosi al divano.
«
E tu, principessina dagli occhi luminosi, puoi essere solo il piccolo
animaletto debilitato che abbiamo trovato quattro giorni fa, dico bene?»
Lei
annuì.
«
Domani dovremo presentarla alla Gilda. »
disse Mia, guardandola pensierosa.
«
Già, ma dubito che con quegli occhioni e quella pelle
candida abbia
problemi ad ambientarsi. Dovremo stare attenti a quel lascivo di
Micheal, ha
sempre avuto un debole per le belle donne. »
Sghignazzò Gabriel, il suo tono
mentre parlava dell'uomo era estremamente dolce, puro miele stillato.
«
Sebastian non gli permetterà di avvicinarsi, iperprotettivo
com'è con le
donne e i bambini. »
commentò
Mia uscendo nella cucina con delle bistecche fumanti in un vassoio.
«
Forza piccola, a tavola. »
ridacchiò Gabriel alzandosi a sua volta.
Sheela
si alzò, ma c'erano solamente tre sedie, guardò
confusa le persone sedute, Gabriel capendo l'inghippo la prese in
braccio e se
l'appoggiò sulle gambe. «
Scusaci,
ma le sedie se le sono prese tutti quelli della Gilda. Oggi dovevano
preparare
la sala per la riunione, se non ti dispiace per oggi mangeremo
così.»
«
A lui sicuramente non dispiace.»
intervenne Mia leziosa.
Lei
si limitò a scuotere energicamente il capo. Le piaceva
sentire la pelle calda e dolce del ragazzo sulla propria schiena, la
faceva
sentire al sicuro.
Iniziarono
a mangiare, la carne era squisita e lei non fece
complimenti.
«
Accidenti piccola, avevi fame?»
disse scherzoso Gabriel.
«
Lasciala stare, è normale che abbia così fame,
sono quattro giorni che
non mangia.»
Andarono
avanti così per tutto il resto della sera, a
scherzare, e ridere e discutere di cose serie, erano divertenti e
affettuosi
fra loro, c'era un legame molto profondo che li legava l'uno all'altro.
Ma Hikaru
capì che non erano tempi facili, era come se si rifugiassero
dentro quella casa
per sfuggire al mondo grigio e pericoloso che li aspettava il giorno
seguente.
«
Gabriel, portala nel mio letto, si sta addormentando.»
«
Ohi ohi, agli ordini signora.»
Le
ultime cose che la piccola sentì furono delle mani
delicate che le accarezzarono i capelli e delle parole sussurrate
dolcemente
nel suo orecchio.
«
Buonanotte principessina.»