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Autore: gufostorm    14/11/2017    0 recensioni
“Leggero, elegante, danzava con il vento, gli alberi che suonavano una delle sue odi più amate.
I lunghi capelli d’argento ricordavano l’acqua di un lontano ruscello estivo mentre, dolcemente, accarezzavano quella sua pelle così chiara che solo la luce della luna osava baciare.
Lui danzava, il vento danzava, e gli alberi continuavano a suonare, mentre i suoi abiti dai colori autunnali si confondevano sempre di più con la natura che lo abbracciava. Piccole e dolci orecchie a punta, ornate da elaborati intrecci di foglie ancora giovani, facevano capolino tra quella pioggia di capelli.
Lo osservai danzare lentamente, come se si stesse svegliando da un profondo sonno; poi, lentamente, i suoi passi aumentarono di intensità, le lunga dite affusolate iniziarono ad accarezzare dolcemente e lievemente ogni singola foglia che lo circondava, mentre le sue labbra sottili prendevano vita e la sua dolce voce iniziava ad accompagnare il canto degli alberi.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Leggero, elegante, danzava con il vento, gli alberi che suonavano una delle sue odi più amate.
I lunghi capelli d’argento ricordavano l’acqua di un lontano ruscello estivo mentre, dolcemente, accarezzavano quella sua pelle così chiara che solo la luce della luna osava baciare.
Lui danzava, il vento danzava, e gli alberi continuavano a suonare, mentre i suoi abiti dai colori autunnali si confondevano sempre di più con la natura che lo abbracciava. Piccole e dolci orecchie a punta, ornate da elaborati intrecci di foglie ancora giovani, facevano capolino tra quella pioggia di capelli.
Lo osservai danzare lentamente, come se si stesse svegliando da un profondo sonno; poi, lentamente, i suoi passi aumentarono di intensità, le lunga dite affusolate iniziarono ad accarezzare dolcemente e lievemente ogni singola foglia che lo circondava, mentre le sue labbra sottili prendevano vita e la sua dolce voce iniziava ad accompagnare il canto degli alberi.
Suoni di una lingua ormai lontana nel tempo si unirono all’aria sempre più leggera e pungente, mentre tutto intorno a lui cambiava di tonalità, mentre tutto intorno a lui prendeva vita, bruciando di fuoco vivo.
Il canto, poi, lentamente andò scemando, affievolendosi sempre di più, senza mai svanire del tutto. Ed anche lui, lentamente, iniziò quasi a sbiadire, confondendosi sempre di più con la natura che lo circondava, senza mai andarsene veramente.”
Accarezzai dolcemente quelle scritte, immergendomi in quei giorni ormai lontani, in cui era lei a leggermele, a raccontarmi di loro, del popolo nascosto. 
Mia nonna aveva trascorso l’infanzia nel Nord Europa; diceva di essere cresciuta con loro.
Se gli credevo? Non proprio, ma ero affascinata dai suoi racconti.
Ricordo quando, dopo l’ennesimo racconto, gli chiesi il perché non riuscissi a vederli, così lei mi raccontò una leggenda che ormai stava per andare persa per sempre.
Secondo questa leggenda, gli elfi erano figli di Eva, proprio come noi uomini.
Un giorno Dio annunciò ad Eva che sarebbe andato a trovarla, per conoscere tutti i suoi figli. Eva, come ogni madre premurosa, iniziò a lavare e preparare tutti i suoi figli per l’evento ma, poiché erano in tanti, non riuscì a fare il bagno a tre di loro. Per non mostrarli in disordine davanti al cospetti di Dio, li nascose ai suoi occhi, chiudendoli nell’armadio.
Durante la visita Dio chiese ad Eva se quelli che sedevano nella stanza erano tutti i suoi figli, e la donna confermò. Allora Dio, che è onnisciente, continuò: “Ciò che è nascosto a Dio, sarà nascosto anche agli uomini!”. Eva, a quelle parole, corse disperata all’armadio, ma lo trovò vuoto.
Dio aveva reso invisibili i tre bambini agli occhi degli uomini. Solo i puri di cuore avrebbero potuto vederli. Gli uomini li chiamarono “elfi”, il “popolo nascosto”.
Quando, però, gli chiesi il perché io non potessi vederli, nonostante fossi una “brava bambina” non mi rispose, mi lasciò solamente il suo vecchio diario tra le mani, mi accarezzò e mi disse semplicemente di cercare la mia risposta solo al momento opportuno. E quel momento era arrivato. Avevo trovato la mia risposta…
“Un giorno presi coraggio, mi avvicinai lentamente, lo sguardo fisso nei suoi occhi ambrati, e gli posi quella domanda che ormai da tempo assillava i miei pensieri: “Perché non tutti i puri di cuore riescono a vedervi?”. Lui mi guardò dolcemente, invitandomi a sedere su un tronco d’albero ormai morto. Poi, voltandosi a guardare il sole morente, mi rispose.
“A volte siamo noi a non voler essere visti. Vedi, mia piccola amica, noi viviamo a stretto contatto con la Natura. Noi ci nutriamo di lei e lei si nutre di noi. Questo legame che abbiamo instaurato con lei, ci permette di ascoltarla. E, in questo momento, sta piangendo, e noi sappiamo che piangerà fino alla sua morte.”
Inizialmente non capii il suo messaggio. Ci riflettei per settimane, ma fu tutto inutile. Solamente ora, che mi ritrovo a trascrivere i miei ricordi per non perderli, comprendo le sue parole. Loro avevano paura di noi, di ciò che stavamo facendo, della sofferenza che avremo causato.
Solo ora che mi ritrovo qui a scrivere, capisco la sua espressione così dolorosa mentre osservava il sole morire.”
“È proprio a causa di queste parole, che ora mi ritrovo qui, immersa nella natura, circondata da tutti voi, che avete ancora timore di me, dopo tutto questo tempo che mi conoscete. So che mi avete osservato, ho imparato a vedervi anche nelle piccole cose: nel vento che soffia impetuoso, nei fiori che nascono in mezzo alla neve e che resistono fino ai primi soli, nel canto degli alberi in autunno. Io vi ho sempre osservato, come voi avete osservato me, e vi siete presi cura di me. Ma ora vi vorrei chiedere di smettere di occuparvi di me e di smettere di avere paura di noi. Perché ho bisogno di voi: la natura sta gridando disperata, sta piangendo, e continuerà fino alla sua morte, a meno che voi non le ridiate speranza, a meno che voi non vi ricongiungiate a noi”.
 
   
 
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