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Autore: EffyLou    14/11/2017    0 recensioni
Johann Trollmann è un pugile, beniamino del popolo tedesco negli ultimi anni della Repubblica di Weimar.
Indisciplinato, imprevedibile, borioso. Non sono i suoi difetti più grandi. Johann Rukeli Trollmann appartiene ad un popolo scomodo: è uno zingaro. Conquista le platee di Germania e fa innamorare le donne tedesche.
Nella sofferenza che porterà il Nazismo, il suo unico punto fermo e pilastro incrollabile è Frieda. Johann tocca l'apice e il fondo, assaggia il successo e la disperazione, conosce la serenità e la guerra. La derisione nazista si scontra con l'orgoglio di uno zingaro, che proprio non vuole saperne di abbassare la testa a quelle umiliazioni.
C'è solo un modo per far tacere quell'anima in rivolta: ridurlo ad un numero e darlo in pasto al Porajmos, l'Olocausto del popolo zingaro.
- - - - - -
I veri combattenti non temevano la loro ultima battaglia, e se c'era una cosa che Rukeli aveva sempre fatto, era dimostrare di non temere neppure il Diavolo. Neppure il Nazismo.
Genere: Drammatico, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Novecento/Dittature, Olocausto
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19. Und jeder Atemzug für dich

 
 
Frieda gli fece fare un giro della casa, per fargli capire l’ambiente. Infine lo accompagnò alla sua stanza, quella degli ospiti di fronte alla sua. Aveva il soffitto spiovente, su cui era incastrata un’enorme finestra che dava sui tetti dei palazzi di Praga. Era essenziale, color beige per la maggior parte. C’erano un paio di poltrone, un letto grande con le lenzuola bianche, un cassettone, la moquette, scaffali con diversi libri. Profumava di vaniglia.
Johann aveva seguito Frieda tenendosi a debita distanza, le mani in tasca, e la osservava con attenzione e curiosità. Gli sembrava più matura, persino meno sbarazzina.
Lei si fermò di fronte alla porta della sua stanza, gli lasciò la chiave sul palmo della mano.
Quelle grandi mani che colpivano duro, che accarezzavano dolcemente. Ebbe un fremito, al ricordo dolceamaro.
«Questa è la chiave, in caso volessi uscire o desideri un po’ di pace senza Hedy che ti ronza intorno» mormorò.
Si lasciò sfuggire un sorrisetto. «Va bene. Grazie»
«Allora buonanotte»
«Ci rivediamo dopo un anno e “Allora buonanotte”? Sul serio?» esclamò allargando le braccia.
«Vuoi parlare? Vieni» aprì la porta della sua stanza e lo invitò ad entrare con un cenno del capo.
Johann le passò davanti mimando un sarcastico “Grazie” con le labbra, e andò a sedersi sulla poltrona all’angolo della camera. Lei si accomodò sul bordo del letto.
«E comunque, tanto per la cronaca, se mi dici “Vieni, parliamo”, e mi inviti in camera tua… Penso a tutto meno che al fatto che dobbiamo effettivamente parlare, biondina» sghignazzò.
«Sembri un tredicenne»
«L’età mentale è quella. – alzò le spalle con nonchalance, poi si fece più serio. – Dobbiamo davvero parlare. Ci sono delle cose che devo dirti» il tono di voce perse ogni traccia di simpatia, si fece serio e quasi perentorio.
«Se sei venuto fino a Praga per farmi la predica, puoi benissimo tornartene da dove sei venuto. Tu mi hai detto “E allora vattene adesso!” e io me ne sono andata» replicò Frieda, mettendosi subito sulla difensiva.
«Non fa una piega» commentò sarcastico, inarcando le sopracciglia con aria eloquente.
«Io capisco qualsiasi cosa, lo so che era un brutto momento per te. Ma mi hai trattata come se non fossi niente, mi hai mandato via a calci. Io che volevo solo starti accanto, Johann»
«Quello che tu non capisci, invece, è che non ti ho trattata così perché lo trovavo divertente. – si chinò appoggiando i gomiti alle ginocchia. – Ti ho lasciata andare e ti ho trattata male perché dovevo salvarti da me, dalle scelte che avevo preso e che avrei preso in futuro, e dalla Germania»
«Tutto ciò che volevo era stare con te, non volevo abbandonarti in quel momento difficile»
«Carino da parte tua, ma la vuoi sapere una cosa? – allargò le braccia. ─ Vuoi sapere come sarebbe stata la tua vita se fossi rimasta con me? Ecco un assaggino. Mi avresti visto combattere con una divisa a noleggio delle camice brune. Mi avresti visto tornare a casa pieno di ferite perché mi aggredivano e mi rompevano bottiglie di vetro addosso, mi avresti visto sporco di uova, salse e altri cibi unti. Mi avresti visto combattere in un mercato per racimolare qualche soldo, come un maledetto fenomeno da baraccone. Mi avresti visto quando venivo privato della licenza di pugile ed ero sull’orlo della disperazione. Quando venivo costretto ai lavori forzati. Non mi avresti visto per intere giornate, neanche la notte avresti dormito con me. Perché mi alzavo all’alba, andavo a lavare aeroplani fino a mezzogiorno; poi pranzavo ad una mensa per senzatetto per sbrigarmi. Andavo a spalare carbone fino al tramonto, cenavo, e dopo cena andavo a fare il cameriere fino alle tre del mattino. Per guadagnare due soldi che non mi permettevano nemmeno di fare una spesa decente. Saresti stata in una casa che non è neanche la tua, costretta a dividerla con una signora cieca, un cane, e me. Ti saresti sentita in colpa perché non avresti fatto in tempo a pagarle l’affitto tutti i mesi, nonostante la fatica del lavoro. Ti saresti sentita umiliata, piena di vergogna, l’esistenza ridotta ad una routine forzata e ad un’orribile quotidianità. Era questa la vita che volevi? Per cosa? Solo per stare accanto ad uno zingaro che non ha niente da offrirti?»
Frieda aveva le lacrime agli occhi.
Il suo Johann, quell’anima così preziosa, aveva vissuto tutto questo in solo un anno? Era questo quello che provava? Umiliazione, vergogna, sensi di colpa, il senso di panico e claustrofobia che gli serrava la gola a causa di quell’incubo che stava vivendo. Lui, che aveva sempre bisogno d’aria e di uscire dai confini imposti.
Si era sentita un’egoista. Nonostante tutte le difficoltà, anche economiche, lui era lì. Aveva speso soldi tanto sudati per comprare un biglietto e andare da lei, in un altro Paese. Lei, che se n’era andata come il vento. Non aveva lottato neanche un po’.
Johann si passò le dita tra i ricci neri. «Non guardarmi in quel modo. Non compatirmi, odio la sensazione di far pena a qualcuno»
Frieda sfarfallò le ciglia. «Tu mi hai mandata via prima, non potevi sapere se le cose sarebbero andate così. Magari se fossi rimasta, sarebbero andate in modo diverso» provò a dire, le lacrime che pungevano dietro gli occhi solo immaginando la sofferenza del suo campione.
«Non credo. Avevo già deciso di noleggiare una divisa delle SA per combattere, e sapevo che mi avrebbero tolto la licenza. Mi aspettavo le aggressioni, mi aspettavo persino i lavori forzati. Certe situazioni possono andare solo in una direzione per quelli come me, non era difficile immaginarlo»

Per quelli come me c’è solo l’oblio. Fantasmi di una vittoria fatiscente.

«Rimani qui» sussurrò, una lacrima che le rigava il viso.
La guardò intensamente e infine strinse appena le labbra. «Non posso. Ho venti giorni di tempo per stare qui. Dopodiché metterei a rischio la signora Berger e la mia famiglia, se non torno»
«Posso tornare in Germania insieme a te» provò a insistere.
«Non voglio che torni, è pericoloso lì. Non posso darti una vita dignitosa e nemmeno dedicarti il mio tempo. Verrò a Praga quando tutto sarà sistemato. Non ho niente da offrirti, Frieda, niente»
Il suo sguardo divenne cupo e quando incrociò gli occhi di lei, pieni di lacrime, gli fece come l’effetto della macchina della verità. Un pensiero oscuro, che forse lo tormentava da troppo tempo, si stava materializzando e prendendo forma con le parole e la voce. «A volte penso che non ho fatto altro che rovinarti la vita nell’ultimo periodo. – ammise. – E che tu non meriti una vita di sofferenze con uno zingaro che non ha nulla da offrirti, meriti un uomo tedesco che sia in grado di darti serenità. E mi sento in colpa per tutto il tempo che ti ho fatto sprecare, mi sono preso i tuoi migliori anni senza darti niente in cambio. Eppure non ce la faccio a lasciarti andare. Questa era una buona occasione per permetterti di avere la vita che meritavi, e invece non ce la faccio. Perché è vero che non ti merito, ma al contempo odio pensarti con un altro, e dopo tutto questo tempo non riesco più a immaginarmi senza di te. Ti guardo e non so se scoppiare a piangere dalla gioia di vederti o dal dolore che ti ho causato. Non hai idea di quello che mi fai»
Frieda era rimasta interdetta da quelle parole. Tra tante cose, mai si sarebbe aspettata che lui si sentisse così in colpa nei suoi confronti. E forse, tra tutte le cose che le aveva detto quella sera, quella confessione era stata la più dolorosa per lei da ascoltare.
«Come puoi pensare una cosa simile? – sussurrò, come colta da una mancanza di energie. – Come puoi credere di avermi fatto sprecare tempo o non avermi dato niente in cambio, Johann? A me non importa se sei zingaro, se non sei ricco. Mio dio, ma come ti viene in mente? – si sporse verso di lui, gli prese il viso fra le mani. – Tutto quello che voglio, tutto quello che merito, tutta la mia serenità, tutto quello che ricevo in cambio… sei tu, sei sempre stato tu. Non è vero che non hai niente da offrirmi, Johann, non è vero. Mi hai sempre dato tanto, più di quanto io abbia mai desiderato o immaginato, e non te ne rendi nemmeno conto. L’unico uomo che voglio è il mio amante guerriero col cuore da poeta, occhi selvaggi e mani capaci di colpi duri e carezze di seta. È il mio migliore amico, il mio complice, la parte combaciante»
Una lacrima gli brillò tra le ciglia. Le prese una mano e se la portò alle labbra, baciandola e stringendola tra le sue, colto da un profondo senso di pace, un’emozione vibrante e bruciante che non credeva essere più in grado di provare. Capì che doveva smettere di pensare a cosa sarebbe stato meglio per lei, ci pensava da sola a fare una cernita di cosa era meglio e cosa no, cosa voleva e cosa no. E se Frieda voleva lui, allora andava bene, non si sarebbe negato.
«Mia anima, ogni respiro è per te»
 
  
 
Il mattino seguente, Frieda aprì gli occhi che il sole filtrava dalle tende avorio.
Si stiracchiò, allungando le braccia al soffitto e si portò le mani agli occhi, stropicciandoli. Restò una manciata di secondi seduta sul letto, cercando di svegliarsi completamente, dopodiché scansò tutte le lenzuola e si alzò per aprire le tende e le finestre. L’aria era fresca, tirava un filo di vento piacevole, non c’erano nuvole.
Era una giornata meravigliosa. Meravigliosa per stare dentro la boutique a combattere con la clientela esigente di Praga. Si guardò allo specchio, si diede una sistemata ai capelli.
Si catapultò in sala da pranzo con una vestaglia da camera in seta, i piedi nudi. Da quando abitava con zia Rosa, indossava solo tessuti raffinati e indumenti eleganti, anche se si trattava solo di dormire. Si sentiva estranea alla vera sé, quella che passava il tempo libero in campagna, a ripulire le stalle dei cavalli e fare passeggiate nelle campagne di Berlino, quella che si vestiva da uomo e metteva baffi finti per poter guidare indisturbata fino al maneggio.
Ora abitava nell’eleganza e raffinatezza di zia Rosa. La sua vita era cambiata radicalmente da quando era arrivata a Praga, si sentiva ancora un pesciolino fuor d’acqua. Con l’arrivo di Johann, si sentiva di nuovo a casa.
Lui è casa mia.
Si ritrovò a pensare. I suoi capelli, il suono della sua voce, la sua pelle, la morbidezza delle sue labbra. Non era un posto, casa sua. Era Johann. Non riusciva a togliersi dalla testa la discussione della sera precedente. Era stata intensa, profonda, a tratti terribile per le emozioni negative di Johann. E poi era tutto finito. Lui le aveva dato un bacio delicato ed era uscito dalla stanza augurandole sogni d’oro.

Hedy volteggiava nella sala come una ballerina, intenta a spolverare.
«Dov’è zia Rosa?» domandò.
«Di sotto. Sta importunando l’ospite»
Frieda alzò un sopracciglio e si fiondò di sotto, nel retrobottega della boutique. Sua zia aveva fatto provare al povero sinti tutti i capi maschili più pregiati e raffinati, e la dimostrazione erano quei completi abbandonati sul pavimento e sulle sedie. Ora indossava un completo blu scuro e posava davanti alla macchina fotografica della zia.
«Buongiorno» esordì, appoggiandosi allo stipite della porta con la spalla, le braccia incrociate e un sorrisetto furbo.
«Buongiorno, tesoro» la salutò distratta la zia.
«Ehilà» lui le sorrise, mordendosi il labbro e alzando un sopracciglio. Gli occhi neri che la studiavano attento, senza girare la testa nella sua direzione.
Rosa squittì. «Okay, ho finito. Olga, lascio a te il negozio. Ma prima datti una sistemata, tesoro. Vi saluto»
Si fiondò fuori dalla boutique per far sviluppare quelle fotografie.
Johann si tolse la giacca del completo blu, restando con la camicia e i pantaloni scuri.
«Tua zia è…»
«Impossibile?»
Sorrise, mentre si arrotolava le maniche. «Volevo dire esuberante. Ha insistito per avermi come modello di punta per la sua nuova collezione. Mi sembra di essere tornato ai tempi di quando ero chiamato ovunque per fare pubblicità. Secondo lei nessuno di quegli abiti mi rendeva giustizia. – indicò col mento gli indumenti buttati a terra. – Mi ha preso qualche misura e ha detto che me ne avrebbe confezionato uno»
«Qui puoi tornare ad essere un divo, devi solo rimanere. – sorrise incerta. ─ Le piace cucire abiti su misura, su corpi che secondo lei meritano. Lo ha fatto anche con me, l’abito di ieri sera, sai…»
Si avvicinò come una pantera. Frieda si sentì piccola davanti a lui, si inchiodò appoggiando la schiena allo stipite della porta. Lui era di fronte a lei, non la toccava. Leggermente chino, il braccio posato sul legno dietro la ragazza a tagliarle le vie d’uscita.
«Quell’abito… - sbuffò un sorriso. – Ho ancora una vecchia abitudine che non ho perso»
«Chissà quante sottovesti avrai strappato, allora» replicò, incrociando le braccia al petto, falsamente gelosa.
Johann capì l’antifona e inclinò la testa. «Nemmeno una, donna di poca fede, non ingelosirti. È passato un anno, sto impazzendo»
Si sciolse, le era rimasto fedele, e quegli occhi erano terribilmente sinceri. Ma lei s’incupì.
«Non ho un piacevole ricordo delle ultime volte che…»
«Lo so. – la interruppe. – Dannazione, lo so, credimi»
Ricordava i lividi sui polsi sottili, sull’avambraccio, i succhiotti violenti sul collo. Macchie violacee a sporcare la pelle di porcellana.
Ma lei non temeva più il suo tocco, ora. Con la mano libera le carezzò il fianco, portando con sé la camicetta da notte e sfiorando con le dita la pelle nuda. Frieda si era irrigidita, ma non perché aveva paura. I suoi occhi brillavano di sorpresa e di malcelato desiderio.
Johann le sorrise come un lupo. «Sei tremenda»
«Cosa? Perché?»
Le pungolò la punta del naso con il dito. «Conosco quello sguardo, biondina. Non posso soddisfarti qui»
Lei arrossì di botto. «Tu sei tremendo! Vedi cose che non ci sono! A-adesso devo aprire la boutique, se non ti spiace. Fammi passare»
Johann si allontanò di un passo, un sorriso di sfida sul volto. «D’accordo. Ci vediamo a pranzo, allora»


 
* * *
 
 
Dieci giorni erano passati.
Frieda cedeva terreno solo quando lo aveva pericolosamente vicino e quando lui la sfiorava.
Johann la provocava, sotto il tavolo le accarezzava la coscia nuda fino all’orlo della gonna. Lei stringeva le gambe. La sera, che si aggirava con una camicia da notte, era il momento preferito del giovane: la guardava aggirarsi per la casa martoriandosi il labbro con i denti, bruciandole la pelle e i vestiti con lo sguardo. E adorava guardarla arrossire dall’imbarazzo.
Durante il giorno lei si occupava della boutique, dei clienti. Lui girava per Praga senza allontanarsi troppo dal palazzo.
I soldi extra della signora Berger li spese per comprare una collana a Frieda. Si era stancato di giocare. Altri dieci giorni e sarebbe dovuto tornare ad Hannover, anche se il tempo trascorso era stato piacevole e divertente, sentiva il bisogno fisico di averla addosso.

Quella mattina le fece trovare un vassoio con dei pasticcini davanti alla porta della sua camera. E un biglietto.
Lei ingurgitò i pasticcini come niente, godendosi la panna e la glassa di ognuno di loro. Johann fece capolino dal bagno, i capelli umidi. Un asciugamano sulle spalle e un paio di pantaloni scuri. Quando la vide, sorrise astuto come una volpe.
«Potevi gustarteli dentro, invece che seduta lì»
«Non ci ho penfato» rispose, le guance gonfie di pasticcini. Inghiottì tutto d’un fiato.
Fece irruzione nella camera di Frieda, si chiuse la porta alle spalle. L’attirò a sé, accarezzandole la pelle dei fianchi sotto la sottana.
Lei posò le mani sulle sue braccia, a volerlo respingere. «Ti alleni ancora o mangi chili spinaci? Hai le braccia forti, devo chiamarti Popeye
«Ho altre cose non meno forti, nel caso te ne fossi dimenticata»
Frieda scoppiò a ridere. «Più passa il tempo e più diventi sporcaccione, come funziona?»
Johann la studiò con sguardo assottigliato, quasi le stesse leggendo l’anima. Le prese il mento tra le dita e le sollevò il viso per guardarla meglio. «Non voglio che pensi che mi sei mancata per quello. Ma a parole sono bravi tutti, e questo è solo il mio modo di mostrarti quello che provo. È poco gentiluomo e non molto romantico, lo so, ma se non altro è sincero. – abbozzò un sorrisetto cauto. ─ Mi dispiace, se vuoi ti porto a cena in un bel ristorante» e ammiccò, quasi la proposta allettasse anche lui.
Frieda scosse appena la testa con un sorriso di divertita rassegnazione. «Quando mai le cene in bei ristoranti hanno fatto per noi?»
 
 

Rosa non l’avrebbe saputo. Non sapeva delle provocazioni e dei dispetti che si erano fatti quei due, nei precedenti dieci giorni. Ai suoi occhi si tenevano a distanza di sicurezza. Forse qualcosa si era spezzato. Non poteva sapere che invece qualcosa li avrebbe legati in modo definitivo, quella notte.
Quella sera, Johann avrebbe dormito nella camera di Frieda.
Dopo cena, dopo che Rosa andò a dormire, bussò piano alla porta della ragazza.
Lei gli aprì, invitandolo ad entrare. Rukeli si lasciò cadere sul letto a braccia aperte, come un bambino. Era a petto nudo, un paio di vecchi pantaloncini da boxe a fargli da pigiama.
«Questo letto è comodissimo» sospirò, la faccia affondata nel materasso. Frieda lo guardava a braccia incrociate. Spense la luce e si sdraiò vicino a lui.
La luce della luna piena, filtrata dalle tende, proiettava ombre morbide nella stanza, rendeva i loro corpi eterei. Eterni.
Johann si girò sulla schiena, fissò il soffitto. Le braccia aperte: uno che penzolava fuori dal materasso, l’altro sul grembo di Frieda.
«Ti manca Berlino?» le chiese, senza guardarla. Lei studiò il suo profilo: la sua fronte dritta, le sopracciglia disegnate, il naso all’insù, il profilo delle labbra carnose, il mento tondo.
«A me manchi tu. – rispose in un sussurro. – Posso abbracciarmi a te stanotte?»
Con le dita sfiorò le sue, titubante. Lui restò in silenzio a lungo poi si voltò a guardarla, anche lei si girò. Quegli occhi di cielo brillavano, Johann si accorse che erano lucidi per il pianto sommesso. La guardò intensamente.
Gli mancava da morire la sua Frieda, la dispettosa ragazza cosacca. Gli mancavano i giorni passati, quelli in cui erano stati felici e si divertivano. Le chiacchierate, i progetti e i segreti confidati sotto le lenzuola, le promesse, i battibecchi e le discussioni. Lei lo aveva fatto crescere, gli aveva insegnato lo scontro con chi si ama. Ogni volta che la guardava, non importava quanto tempo era passato, sentiva sempre la stessa netta sensazione del sentimento puro, delicato e profondo che provava per lei.
La voleva con sé, ma non poteva portarla in Germania. Doveva saperla al sicuro, lontano.
Eppure era come perennemente calamitato verso di lei, e non era solo l’attrazione fisica a provocargli quell’effetto. Frieda lo appagava, calmava il suo animo irrequieto, gli donava quelle sensazioni di pace e calore che l’avevano portato a considerarla casa. D’altronde era sempre stato così, fin dai loro primi anni: lei era il suo unico punto fermo, l’unico pilastro incrollabile.
Johann strinse la sua mano, intrecciando le dita a quelle di lei. Non spezzò il contatto visivo. 
«Posso avere te stanotte?»







 
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(( la frase Ogni respiro è per te, l'ho gentilmente presa in prestito dal signor Goethe haha in realtà volevo imbucarci anche qualcosa di D'Annunzio ma al momento non mi veniva in mente niente di pertinente ))

Sì aggiornamento rapido perché avevo ricontrollato questo capitolo come se fosse il diciottesimo, convinta che dovevo postarlo ieri. E quindi era pronto, perciò eccovelo.

Non so, forse è un po' smielato, però cercavo di farvi capire la frustrazione di Johann, che non ha nulla ed è convinto di non poter offrire niente a Frieda, che non la merita, quando lei d'altro canto non è interessata a qualcosa di materiale ma a lui in sé. Frieda cerca di fargli capire che lui, offrendole la sua sola presenza e il suo affetto, le offre la cosa più preziosa.
Johann e Frieda saranno proprio "Due cuori e una capanna" hahah

Ah e ovviamente le battute e la vena "sconcia" di Johann non potevano mancare. Povero ragazzo, dopo tutte le disgrazie che ha passato ora ha un momento di serenità a Praga... deve pure dare libero sfogo alla sua lingua biforcuta, no? HAHAHA

Che ne pensate? Vi sono arrivate le emozioni di Johann? Fatemi sapere! ♥

Alla prossima ♥

   
 
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