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Autore: simocarre83    15/11/2017    1 recensioni
Questa raccolta di breve storielle è ambientata nei luoghi e con i personaggi dei racconti "Ricordi" pubblicati nella sezione Avventura. Sono però dei racconti a sé stanti, quindi potete leggerli come e quando volete. se poi vi incuriosiscono, sapete dove trovare gli altri. trattano di diversi argomenti, con diverse tipologie di racconto. Ed ecco perché li ho pubblicati in questa sezione. Buona lettura!
Genere: Comico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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INUTILE SPIEGARSI

Un urlo. Questa volta, Michele non poté impedire agli incubi di riportarlo al mondo reale. E fare la stessa cosa con Simone e Giuseppe.
I quali, dopo l’esperienza vissuta fino a tre giorni prima, non poterono fare altro che scattare in piedi e preoccuparsi enormemente per qualsiasi cosa stesse succedendo al loro amico. In effetti, da quando era tutto finito, il venerdì precedente, Simone aveva invitato Michele e Giuseppe a restare per quella settimana a casa sua, prima che arrivasse il resto della famiglia. Ora, arrivati a mercoledì mattina, mancavano ancora due giorni prima della separazione obbligata, e sia Giuseppe che Simone si erano accorti del fatto che qualcosa in Michele lo stava lentamente stancando. Durante il giorno era spesso stanco e scontroso; la sera, piuttosto che uscire, preferiva chiudersi in cameretta ed ascoltare la musica. Da solo. Se solo avessero avuto il sonno un po’ meno pesante, i due si sarebbero facilmente accorti delle notti pressoché insonni del loro amico. Passate a rigirarsi sul letto, se sveglio, o svegliarsi per colpa degli incubi, nelle poche occasioni in cui riusciva, stordito dal sonno, a dormicchiare un po’. Ma mai più di un’ora per notte. In effetti, si riusciva ad addormentare, stremato, dopo le 3 del mattino per svegliarsi, come era accaduto anche quella notte, verso le 4, 4 e mezza, per colpa degli incubi.
Di solito si svegliava e ansimando riusciva a trattenere l’urlo, anche se poi l’effetto lo sentiva comunque. Allora si alzava e andava a bere un goccio d’acqua, oppure andava in bagno, o si fermava a sedersi qualche minuto in cucina. Cercava per quanto fosse possibile di non accendere nessuna luce, anche se lo spazio che avevano a disposizione, soprattutto dopo quella prima notte, l’aveva fatto propendere per chiedere a Simone se era possibile prendere per sé la cameretta. Mentre Simone dormiva sul letto matrimoniale dei suoi nonni, e Giuseppe sul letto a castello dove, di solito, dormiva Simone.
L’incubo finì che stava urlando. E quando si svegliò si accorse che non urlava solo nel sonno. Pochi decimi di secondo dopo, ad occhi sbarrati, vide la luce della camera da letto che si accendeva. E rumore di quattro piedi che a terra percorrevano, passo dopo passo, lo spazio che li separava dalla sua camera.
“Michele tutto a posto?!” chiese un Giuseppe agitato ma ancora confuso dal sonno. Michele non gli rispose e questo non fece che accrescere l’ansia nei suoi due amici.
Nell’oscurità di quella cameretta, potevano scorgere solamente il ragazzo seduto sul letto. Non fecero in tempo ad accendere la luce che Michele si alzò di scatto, avvicinandosi alla porta con la precisa intenzione di chiuderla. Ma proprio in quel momento, provvidenzialmente, una macchina curvò proiettando, per poco più di un istante, la luce dei fari dentro casa. E, solo per un momento, quella luce illuminò il corpo e il volto di Michele.
Era in pantaloncini e basta. Sul petto si potevano ancora intravedere le tracce delle brutte cose che aveva passato nelle due settimane precedenti, tracce per altro visibili anche in Simone e Giuseppe. Però il viso era quello di un diciassettenne, squadrato e forte, lo sguardo intenso. Le guance con un filo di barba, erano visibilmente rigate dalle lacrime e la fronte imperlata dal sudore.
I due si resero immediatamente conto della situazione ma, vedendo il suo scatto e la sua reazione, preferirono lasciar perdere. Era decisamente strano, Michele, in quei giorni. E quella era semplicemente un’ulteriore conferma di questo. Ma risolsero la questione dando la colpa all’incubo e ritornarono a dormire, consapevoli che il gesto appena compiuto dal loro amico non lasciava alcuna breccia aperta alla conversazione. E neanche alla porta.
Il mattino seguente, alle sette e mezza, Simone si svegliò. Con il fatto che Michele non usciva, non avevano neanche loro molta voglia di uscire, quindi alle undici erano a letto e, a parte la piccola pausa di quella notte, era finalmente e completamente rientrato nel giro delle otto ore che conosceva benissimo. Giuseppe, mettendo la sveglia, si sarebbe alzato solo un’ora dopo, giusto in tempo per fare colazione e correre con i suoi amici a casa di Maria, da dove partivano per il mare.
Preso ancora dal sonno, ma ben memore della situazione verificatasi la notte precedente, si affacciò alla porta della cameretta per accorgersi del fatto che era vuota. Il letto era a posto, quindi evidentemente Michele si era svegliato e aveva avuto il tempo di rifarsi il letto prima di uscire. Mise sul fuoco la caffettiera e andò a sciacquarsi la faccia e mettersi il costume.
Uscito dal bagno ritornò in cucina e si accorse dei cambiamenti appena avvenuti. Due tazzine, un cucchiaino in una delle due e nella stessa un po’ di zucchero. Sul tavolo, vicino ad esse, un post-it e una carta da gioco.
Sul post-it c’erano scritte solo due cose:
“Amaro per me, due cucchiaini di zucchero per te, giusto? Possiamo berlo fuori? Ti aspetto”
E la carta da gioco era un “Asso di Cuori”. E questa voleva dire solo una cosa. Michele gli stava chiedendo scusa. Ma per cosa?
Intanto il caffè era pronto, e lo versò. Prese le due tazzine ed uscì. Seduto sulla panca fuori di casa c’era Michele. Girò la testa e Simone poté finalmente vedere nei suoi occhi, lucidi e stanchi, qualcosa di più. Gli porse la tazzina. Michele gli fece posto sulla panca.
“Posso fare qualcosa per te?” fu la semplice domanda di Simone.
“Voglio sfogarmi, voglio parlarti di tante cose, voglio chiederti scusa per come mi sto comportando in questi giorni ma più di ogni altra cosa, voglio qualcuno che mi ascolti. E che, spero, non mi giudichi per quello che sentirà!” rispose Michele, tutto d’un fiato.
Simone rimase in silenzio per qualche secondo. Gli dispiaceva che un suo amico, come poteva considerarsi Michele in quel momento, temesse che lui l’avrebbe giudicato. Forse gli anni passati da due parti diverse della barricata l’avevano portato a vedere Simone come una persona semplicemente molto sicura di se e un po’ arrogante. Però era vero che ogni tanto lui, da arrogante, si comportava. Prendeva sempre le parti della ragione, sempre e comunque. E quell’autostima e sicurezza che doveva sempre mostrare in famiglia, suo malgrado, a volte lo spingeva a manifestarla anche con gli altri. Ma quello non era, assolutamente, il momento di prendersela troppo, di giudicare, di pensare a cosa rispondere. Michele aveva bisogno di qualcuno che lo ascoltasse per rispetto, per stima e per il piacere di ascoltare un amico. Sapeva che, dall’alto dei suoi difetti, per lui sarebbe stato difficile, ma avrebbe usato tutte le proprie energie, pur di riuscirci.
“Ok!” fu l’unico risultato di quel ragionamento.
“Grazie! Non immagini quanto questo sia importante per me! Ma ti devo chiedere prima un altro favore!”
“Tranquillo! Non ne parlo con nessuno, neanche con quel dormiglione che c’è adesso in camera da letto!” rispose Simone.
Michele gli sorrise, forse per la prima volta pienamente contento di rivedere Simone come l’aveva conosciuto per una vita fino a quattro anni prima. E questo gli permise di rilassarsi un attimo e di incominciare a parlare.
“Non mi ero mai considerato una persona orgogliosa. Almeno non così tanto orgogliosa. E egoista. Ripensando a tutto quello che mi è successo è incredibile come Marco sia stato capace di imboccare Amaraldo per parlarmi toccando le corde giuste. Ricordo che quando ha incominciato a parlarmi male di Giuseppe, quasi lo faceva per scherzo. Una volta eravamo in giro e ho visto Antonella, la sorella di Giuseppe che lo sgridava. Sarà stata una sciocchezza sicuramente, però forse ha esagerato un po’. Insomma, Giuseppe era visibilmente scosso. Gli si erano inumiditi un po’ gli occhi. E Amaraldo non ha potuto cogliere occasione migliore. Dapprima scherzando, poi in maniera sempre più spinta. Ad un certo punto gli dissi di finirla. E lui, semplicemente, mi rispose chiedendomi: ‘perché?’. Quello fu il mio sbaglio. Gli dissi che doveva smetterla perché Giuseppe era un bambino ed era normale che si comportasse in quel modo. Non c’era alcun motivo di prenderlo in giro. Lui mi rispose dicendomi che voleva prenderlo in giro, e si divertiva a farlo, proprio perché era un bambino. Quella risposta mi spiazzò. Semplicemente, e malauguratamente, bastarono quelle frasi per farmi iniziare a vedere Giuseppe per quello che era, cioè un bambino, e smisi di vedere Giuseppe per quello che avrebbe dovuto essere per me. Un amico. Incominciai a considerare anche gli altri in quel modo. Poi arrivasti tu. E per qualche giorno Amaraldo si dimenticò completamente degli altri. Mi chiese di raccontargli quello che facevamo insieme. Sciaguratamente gli dissi tutto. Dei compiti delle vacanze, del seguire le persone di nascosto, dei giretti che ci facevamo al castello a esplorare quel palazzo desolato. Diede del moccioso immaturo anche a te. Io gli impedii di dire quella cosa. Sapevo che non era vero. Che io e te parlavamo anche di un sacco di cose, stavamo semplicemente crescendo entrambi. Fu a quel punto che Amaraldo disse la cosa che mi allontanò definitivamente da voi. Mi chiese se quelle cose le facevo anche quando ero da solo. Seguire le persone, andare al castello eccetera. Ed io, ovviamente, gli risposi di no. E lui mi disse che quello era il motivo per cui dava a te del moccioso ma non pensava assolutamente la stessa cosa di me. In due semplici conversazioni aveva buttato dalla finestra la mia stima nei vostri confronti. Io ebbi anche la faccia tosta di continuare a pensarci per trovare delle motivazioni ulteriori da addurre per non fargli dire quelle cose. Solo che psicologicamente era una lotta troppo impari. Coglieva letteralmente ogni occasione per denigrare te e gli altri. Ogni occasione. Quando arrivasti in soccorso di Giuseppe e degli altri due, l’anno scorso, arrivò addirittura a dire che Giuseppe non era abbastanza uomo da affrontare la situazione da solo, e che tu non eri abbastanza uomo da lasciare che gli altri se la cavassero da soli. E io, a quel punto, dopo anni di lavaggio del cervello, semplicemente ci credetti. Quando qualche giorno dopo finì ancora peggio, gli bastò farmi capire che quello che avevate fatto era un vero e proprio atto di bullismo. Che voi non eravate degni di appartenere al mio gruppo. E stupidamente gli diedi ragione. Qualche tempo prima aveva accennato ai Tre Fratelli. Io ho sempre avuto paura di avvicinarmi a quel gruppo. Eppure dopo quello che era successo, avevo così tanta voglia di farvela pagare che non ci pensai due volte. Dopo l’iniziazione Cosimo prese completamente il controllo della mia vita. Mi telefonava a qualsiasi ora del giorno e della notte e dovevo essere sempre pronto a rispondere e a disposizione. Non mi coinvolsero mai in attività criminali, ma si trattò di un vero e proprio addestramento mentale. A volte Cosimo mi chiamava e mi faceva passare con lui un’ora nel corso, la sera, ad osservare ragazzi e ragazze che passavano per il corso. Per ogni ragazzo mi dovevo inventare un insulto e per ogni ragazza una cosa oscena sul loro conto”.
Simone, assorto in quel racconto, non aveva neanche incominciato a bere il caffè. Ma sapeva che era stato meglio così, perché altrimenti a quel punto avrebbe potuto benissimo vomitarlo.
“Purtroppo, fare quelle cose incominciò a divertirmi. Iniziai a non vederci nulla di male. Qualche volta ho assistito Cosimo o Amaraldo in qualche spedizione punitiva. Facendo delle cose orribili. A volte filmavano le spedizioni punitive che facevano nei confronti di qualcuno e mi costringevano a vederle e a descriverle davanti agli altri tre in ogni particolare. Uno dei Tre Fratelli si assicurava che non mi dimenticassi di nulla. La cosa peggiore erano gli incontri nei quali ci veniva rifatto il disegno. Dopo aver ripetuto il giuramento, venivano estratti a sorte due altri appartenenti della banda che dovevano farti qualsiasi cosa per trenta secondi. E finché si trattava di Dorian e Salvatore non c’erano grossi problemi. Ma quando, e mi è successo un paio di volte, mi sono capitati Cosimo e Angelo era più dura.  Molte volte sono riuscito a mantenere un certo distacco emotivo. Poi un giorno accadde una cosa che mi fece perdere di colpo tutto il distacco emotivo possibile e immaginabile. Per punire un compagno di classe di Salvatore che si era permesso di prenderlo in giro, gli rubammo il cane e lo portammo alla radura. Poi gli dicemmo di venire a riprenderselo, solo che al posto del cane c’era solo una cassetta in cui erano state riprese le torture a cui lo sottoponevamo e la sua uccisione. Mentre per tutte le altre volte, in un modo o nell’altro si era trattato di punire qualcuno che si era macchiato della colpa di aver fatto qualcosa, quella volta stavamo torturando un animale, una vittima innocente. Inutile dire che arrivai a casa appena in tempo e vomitai anche l’anima. Cercai di farmi vedere il meno possibile da loro dopo quella volta. Mi rifiutai categoricamente di partecipare all’ultima spedizione punitiva, quella nei confronti di Francesco, per averti salutato. Dopo 3 giorni mi chiamarono e mi dovetti presentare per forza al loro cospetto. E mi ci volle veramente pochissimo tempo per capire che il prossimo ad essere punito sarei stato io. Il resto è la nostra storia”.
Simone a quel punto, non solo non aveva voglia di esprimere giudizi su quella persona. Aveva anche incominciato a perdere seriamente la voglia di ascoltare come continuava, quella storia. Perché quello che era successo nelle due settimane successive a quanto da lui raccontato lo sapeva. L’aveva vissuto insieme a lui. Quello che non sapeva era il motivo delle ultime notti insonni ed agitate. Quella era indubbiamente una cosa legata a quanto da lui appena raccontato. E sapeva che non gli sarebbe piaciuto. Per niente. Ma aveva detto che lo avrebbe ascoltato. Sempre e comunque. Era li per quello e, nonostante tutto, avrebbe tenuto fede a quella sua affermazione.
“Sono quattro notti che sogno le torture che ci hanno inflitto, che sogno quel povero cane, che sogno di essere picchiato. Stanotte ho sognato addirittura di essere mandato da Cosimo a picchiare mia sorella. Ho paura. Ho paura che da un momento all’altro possa uscire il Michele di quest’ultimo anno e fare qualcosa di sbagliato, profondamente violento e ingiusto, nei vostri confronti o nei confronti di qualcun altro. Ho paura di diventare spietato come Cosimo, che era disponibile a picchiare ciascuno dei suoi due fratelli più piccoli, o come Marco, che si divertiva a torturare le proprie vittime come ha fatto con noi. Ho paura che questi sogni siano un inevitabile futuro con il quale mi debba ritrovare a convivere! Ho paura che cose che ho pensato su ragazzi e ragazze in quelle serate passate nel corso, possano ritornarmi alla mente, e possano scapparmi con te, con Giuseppe, con gli altri, o peggio, con Maria, Antonella, Annalisa, o altri! Ho paura che le persone che ho fatto soffrire possano in qualche modo rivivere le stesse cose con me!”.
A questo punto Michele era seduto, con i gomiti sulle cosce e macchie causate dalle lacrime erano visibili lungo tutto il tratto di pavimentazione posta sotto la sua figura.
E Simone non stava messo meglio.
Se non altro capiva fino in fondo per quale motivo Michele aveva deciso di parlargli lontano dalle orecchie indiscrete e ancora sofferenti di Giuseppe. Era stato spaventoso sentire quello che aveva raccontato Michele in quei minuti. Era spaventoso e pericolosamente tragico. Adesso, però, che Michele lo stava guardando capì anche che si aspettava una risposta. Una risposta che il suo cervello non si aspettava certamente di dover preparare. Cosa poteva dirgli mentre nella sua testa frullavano ancora tutte le immagini che la sua mente aveva prodotto ascoltando il racconto di quel ragazzo? Dentro di sé provava rabbia, pietà, dolore, compassione, per quel suo coetaneo che era lì, davanti a lui, così debole soprattutto emotivamente, non per difetto suo, ma per tutto quello che aveva passato in quei mesi. E tutto quello gli toglieva il fiato, figuriamoci dargli le parole. Aveva soprattutto timore che qualsiasi cosa potesse dirgli avrebbe potuto farlo sprofondare ancora di più nelle tenebre emotive da cui invece voleva farlo uscire.
Per la prima volta, in vita sua, iniziò un discorso indiscutibilmente da persona matura. Anche se non se ne rese conto subito.
“Mi dispiace, Michele! Mi dispiace per tutto quello che stai affrontando. Mi dispiace per quello che ti è successo, per le notti insonni che stai passando, per la tua paura. Mi rendo conto che se 4 anni fa mi fossi preso la briga di tirarti quel pugno che ti sei preso solo 15 giorni fa, probabilmente la tua vita sarebbe cambiata e non avresti sofferto così tanto”.
Fu quello sguardo profondo, da parte di Simone, che in quel momento colpì Michele a farlo calmare un po’. Fu però quello che Simone fece e disse dopo, a toccarlo a tal punto da farlo uscire da quell’impasse emotiva che gli stava tormentando la coscienza e l’anima intera.
Simone gli mise una mano sulla spalla, e continuò.
“Su ogni altra cosa, però, ha vinto l’amicizia, quella che ci ha fatto arrabbiare, soffrire e soprattutto lottare, fino alla fine, contro tutto e contro tutti, anche nella radura più oscura, e nella situazione peggiore! Giuseppe è stato disposto a subire quanto di peggio Marco potesse fargli, per l’amicizia che ci legava. E in quel gruppo, l’altra sera, nel gruppo di persone con cui Giuseppe si è mostrato leale c’eri anche tu. Tutto quello che hai passato, di brutto, di pesante, di logorante, tutto si è risolto con la tua decisione di ritornare da noi. Quindi non avere paura di te stesso. Ci siamo presi tutti quanti l’impegno di essere tuoi amici. Se ti senti male per quello che hai fatto, cercaci. E noi saremo sempre pronti ad ascoltarti. Se quello che hai paura di fare in futuro ti assale e ti abbatte, cercaci. E noi saremo sempre pronti a consolarti. A questo servono gli amici. Sfruttaci, per così dire, nel modo giusto, e vedrai che niente e nessuno ti farà più soffrire come ti è successo in passato. Adesso ci siamo qui noi, noi tutti, io, Maria, Giuseppe, Vito e Nicola, Francesco ed Emanuele, chiunque altro su questa terra tu consideri come amico. Siamo qui, pronti a volerti bene e a curare il tuo malessere”
Mentre Simone stava dicendo quelle cose, sentiva, lentamente, la spalla di Michele, da cui non aveva allontanato la mano, rilassarsi, il suo respiro calmarsi.
Lentamente gli occhi di Michele si erano asciugati. Stava capendo che l’amicizia, quel sentimento che stava riscoprendo lentamente in quei giorni di inizio estate, era il sentimento a cui doveva aggrapparsi per lottare contro quegli altri suoi sentimenti negativi.
Un sottile sorriso si affacciò in quel momento sul viso del ragazzo. Si sentiva stranamente bene. Molto meglio che nei giorni precedenti, molto meglio che negli anni precedenti. Stava addirittura ritornandogli il sonno.
Fu solo una cosa, quella che si sentì di dire al suo amico in quel momento.
“Grazie!”
Mentre Simone in quel momento, da perfetto diciassettenne qual era, si sentì di aggiungere solo una cosa.
“Sto caffè fa schifo! Aspettiamo che si svegli quell’altro e ce lo andiamo a bere al bar?”
Una sola, vera, unica, sincera e amichevole risata all’unisono chiuse definitivamente quel discorso.

---o---

Si! sono pazzo... ma fidatevi... Simone l'avrebbe detto veramente!
  
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