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Autore: Ode To Joy    15/11/2017    2 recensioni
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[Lotor x Lance]
Post-S3
”I tuoi occhi sono blu…”
Lance avvertì una nota sorpresa nella sua voce. Sorrise.
“Adesso, però, devi dirmi di che colore sono i tuoi.”

Dopo una battaglia finita male, Lance si ritrova solo ed incapace di vedere a causa di un danno irreversibile subito agli occhi.
"Mi permetterai di vedere il tuo viso, prima che tutto questo finisca?"
Viene salvato e fatto prigioniero da un giovane generale Galra senza nome che ha tutte le intenzioni di sfruttare il Paladino a suo vantaggio.
"Hai già visto molto più di quello che avresti dovuto, Paladino Blu."
Ma ogni strategia ha i suoi punti deboli.
[Questa storia partecipa al contest “Humans +” a cura di Fanwriter.it!]
Genere: Guerra, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, McClain Lance
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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XI
Lance



”Che cosa sei per lui?”



C’era odore di pioggia nell’aria.

I capelli tra le sue dita erano umidi e così la pelle del corpo premuto contro il suo.

Eppure, erano solo brividi caldi quelli che Lance avvertiva lungo la schiena.

Tutto merito della bocca bollente contro la sua.

Lance rise ed il bacio finì. “Stiamo bagnando tutte le lenzuola!” Anche la sua pelle era umida.

Erano stati sorpresi da un temporale?

La stanza era completamente buia. Lance non poteva vedere niente ma poteva sentire tutto.

Davvero tutto.

“Sei così caldo…” Divaricò le gambe e si spinse verso l’amante con un’audacia che non gli apparteneva. Di norma, tutta la sua sicurezza si fermava alle parole. Non era mai andato oltre. Non ne aveva mai avuto l’occasione.

Si sentiva così bene. Per quanto tempo aveva desiderato vivere un momento così?

Lo cercò nel buio, trovò la sua bocca e si baciarono di nuovo. Era alto, forte. Lance si sentiva così piccolo tra le sue braccia ma non era un motivo per sentirsi intimorito. Al contrario…

“Facciamo l’amore?” Soffiò su quelle labbra calde.

Lo voleva… Lo voleva tanto.

Il suo amante gli accarezzò i capelli. Lance reclinò la testa all’indietro scoprendo la gola. Il respiro caldo dell’altro sulla pelle umida lo fece tremare di aspettativa. Si aggrappò alle sue spalle, si spinse nuovamente contro di lui alla ricerca di un po’ di sollievo da quell’eccitazione che gli spezzava il respiro.

“Che cosa sono per te?” Un sussurrò contro il suo orecchio.

“Uhm… Cosa?”

“Che cosa sono per te, Paladino Blu?”



”Che valore hai per loro?”



“Lance?”

Lance sbattè le palpebre un paio di volte. Il buio si era diradato completamente e così anche il calore, l’eccitazione. C’era un caffè d’asporto tra le sue mani: una doppia G arancione era stampata sul bicchiere di carta. Inarcò le sopracciglia. “Ci vedo…” Mormorò incredulo. “Ma che diavolo…?”

“Lance?”

Il Paladino Blu sollevò lo sguardo ed il timore di essere completamente impazzito ebbe la meglio su di ogni cosa. “Sto sognando, vero?”

Era seduto ad un tavolo della caffetteria della Garrison con una tazza d’asporto tra le mani ed i suoi compagni erano lì, con lui. Hunk era alla sua destra e Pidge alla sua sinistra. Aveva i capelli lunghi, come nella foto con suo fratello.

Fu lei ad interrompere il silenzio: “che cosa c’è?” Domandò.

Lance si rese conto che la stava fissando con la bocca spalancata. “Sembri una ragazza... “

Pidge aggrottò la fronte. “Ti sei svegliato più scemo del solito?”

Hunk gli tolse la tazza dalle mani con gentilezza. “Siamo certi sia caffè?” Domandò prendendone un sorso per controllare.

“Non è caffè. È una creazione firmata Galaxy Garrison che assomiglia a caffè,” disse Shiro. Era seduto di fronte a lui e sorrideva. Non era il sorriso spento e triste a cui Lance era abituato. No, era luminoso, pieno di speranze… Era il sorriso della foto che aveva visto al telegiornale dopo che la missione su Kerberos era stata dichiarata fallita. Non c’era alcuna traccia di bianco tra i suoi capelli ed il bel viso non era segnato da alcuna cicatrice.

Accanto a lui, Keith mangiava un cornetto al cioccolato, gli occhi viola fissi su di lui. “Sì, sembri più stupido del solito.”

Pidge si voltò a guardarlo e risero insieme.

“Keith…” Lo rimproverò bonariamente Shiro aggiustando una ciocca di capelli corvini dietro l’orecchio del mezzo Galra.

Lance inarcò un sopracciglio: si erano mai toccati così in loro presenza?

“Ehi! Cos’è questa assenza di reazioni?” Domandò Hunk.

Il Paladino Blu spostò lo sguardo su di lui. “Come?”

“Non ti offendi,” notò Hunk sospettoso. “Non replichi a modo tuo. Che ti passa per la testa?”

Lance dischiuse le labbra ma non disse niente per un lungo istante. “Tu eri il mio unico amico alla Garrison, Hunk,” disse senza pensarci troppo.

Pidge gli diede una gomitata. “Oh, grazie!” Esclamò acida. “E noi?”

Lance la guardò. “Tu sei arrivata per ultima!” Esclamò. “E loro…” Indicò Keith e Shiro. “Loro erano in un mondo tutto loro, a quel tempo!”

“Quale tempo?” Domandò Keith addentando di nuovo il suo cornetto. “Di cosa stai parlando?”

Lance sbuffò e si guardò intorno con urgenza. “È un sogno, vero? Sì, deve essere un sogno!”

“Sicuro di stare bene, Lance?” Disse Shiro con gentilezza.

Il Paladino Blu lo ignorò. “Dov’è Allura?”

“Chi?” Domandò Hunk.

“E Coran?” Lance si alzò in piedi ed i suoi compagni lo guardarono come se fosse completamente impazzito. “Noi non dovremmo essere qui! Noi non siamo mai stati tutti insieme alla Garrison! È Voltron che ci ha uniti!”

Shiro si alzò lentamente. “Che cos’è Voltron?”

Keith lasciò andare il suo cornetto ed allungò una mano verso Hunk. “Fammi provare quel caffè.”

“Non c’è niente nel caffè!” Sbottò Lance esasperato. Si prese la testa tra le mani. “È tutto sbagliato!”

Decine di occhi lo guardavano ma non gli importava: tutto quello non era reale.

“Mi hai sentito?” Urlò alzando lo sguardo verso il soffitto. “Tutto questo è sbagliato! Non otterrai niente da me in questo modo!”

Non sapeva contro chi stava urlando. Non era nemmeno certo di quello che gli stava succedendo ma ricordava bene le storie di Shiro riguardo al modo in cui i Galra avevano cercato di entrargli nella testa.

Lance strinse i pugni e chiuse gli occhi. “Non è reale, non è reale,” prese a ripetere. “Non è reale, non è reale, non è-”



”Che cosa ti manca di più?”



Quando riaprì gli occhi, Lance non era più alla Garrison.

La divisa bianca ed arancione era sparita e lo erano anche i suoi compagni.

Quel luogo, però, gli era altrettanto familiare e rivederlo ebbe il potere di chiudergli lo stomaco e fargli salire le lacrime agli occhi. Il rumore del mare fuori dalle finestra era l’unica cosa a spezzare il silenzio. Decine di fotografie decoravano le pareti bianche. L’arredamento era modesto ma la stanza era pulita, solo la vecchia poltrona che era appartenuta a suo nonno e poi a suo padre aveva visto giorni migliori.

Lance si spostò dal centro del piccolo salotto per toccarla. Le cuciture stavano cedendo sullo schienale e su uno dei braccioli. Quando era bambino, la maggior parte delle discussioni tra i suoi genitori avveniva a causa di quel vecchio mobile.

Sua madre era riuscita a liberarsene solo dopo che si erano trasferiti sul continente.

“Durante i traslochi qualcosa va sempre perso.” Era stata la sua giustificazione. Suo padre era stato in lutto per almeno un mese.

Lance prese tra le dita un batuffola bianco dell’imbottitura e prese a giocarci distrattamente. Un sorriso nostalgico gli illuminava il viso.

Un rumore di passi attirò la sua attenzione.

Sollevò lo sguardo. Un piccolo arco divideva il salotto dall’ingresso, dove si trovavano le scale. La cucina era dalla parte opposta ma Lance poteva vedere da lì che non c’era nessuno.

Il suono della risata di un bambino lo fece sobbalzare.

“Emily!” Chiamò correndo su per le scale. “Danny!”

Non c’era nessuno al piano di sopra.

“Mamma? Papà?” Riprovò aprendo la porta della stanza in fondo al corridoio. La camera matrimoniale era perfettamente in ordine, nessuna traccia dei suoi genitori.

“Che cosa stai facendo?”

Lance sobbalzò e si voltò. Un bambino era comparso dalla parte opposta del corridoio, di fronte alla porta della sua vecchia camera.

Non appena lo riconobbe, Lance sentì il respiro venire meno.

“Cerchi mamma e papà?” Domandò il piccolo avvicinandosi. Aveva addosso una piccola canotta bianca ed un paio di pantaloncini.

“Io…” Lance non sapeva come rispondere. “Dove sono Arth, Morgan e Percy?” Domandò poggiando un ginocchio a terra per guardare il bambino dritto negli occhi. Erano blu, proprio come i suoi.

“Sono cresciuti,” spiegò il bambino. “Non sono più qui.”

Lance sorrise tristemente ed annuì. “Sei rimasto solo tu, Lancelot?”

Il piccolo… Il se stesso bambino s’imbronciò. “Non mi piace quel nome, sa di vecchio!”

“Tranquillo,” replicò Lance. “Riuscirai a liberartene molto presto.”

“Promesso?”

Il Paladino Blu annuì. “Sarai solo Lance. Ti piace l’idea?”

Il viso del bambino s’illuminò con un gran sorriso. “E viaggerò tra le stelle?”

Lance si fece serio di colpo. “Sei sicuro di volerlo fare?” Domandò. “Non saresti più felice a casa con la mamma, il papà e tutti gli altri?”

Il bambino ci pensò. “Ma io ho sempre sognato di esplorare lo spazio!”

“Ma non ci sono solo belle cose nello spazio,” replicò Lance. “Andare lassù significherebbe rinunciare a tutto quello che hai qui, sulla Terra.”

Lancelot reclinò la testa da un lato. “Non posso avere tutti e due?” Domandò. “Le stelle e la Terra?”

Lance strinse le labbra. “Vorrei tanto che fosse possibile, piccolo.” Gli accarezzò i capelli castani e si sforzò di trattenere le lacrime. Sapeva che non era reale ma non poteva non provare tenerezza per quella creatura innocente, piena di sogni.

Non aveva ancora avuto il tempo di deludere se stesso.

“Che cosa desideri di più?”

Lance sbattè le palpebre un paio di volte. “Cosa?”

Il piccolo Lancelot sorrise di nuovo. “I tuoi sogni!” Esclamò. “È quelli che devi inseguire! Non il tuo passato, Lance!”

Il Paladino Blu gli sorrise e lo abbracciò.



”Qual è la tua più grande paura?”



“La-Lance…”

Il bambino tra le sue braccia era scomparso.

“La… La-Lance…”

Qualcuno lo chiamava.

La scena era cambiata di nuovo. La casa della sua infanzia era stata sostituita dall’hangar del Castello. Qualcosa, però, non andava.

“Che cosa…?” Le luci andavano e venivano e c’era troppo silenzio. Aveva di nuovo addosso la sua armatura ma era freddo, tanto freddo. I portelloni dovevano essere rimasti aperti.

Fece un passo, scivolò su qualcosa e cadde a terra. Imprecò a denti stretti e si fece leva su di una mano per alzarsi in piedi. Toccò qualcosa di bagnato. A causa della luce che andava e veniva, impiegò un lungo istante a rendersi conto che le sue dita erano sporche di rosso.

Era caduto su di una pozza di sangue.

Sgranò gli occhi ed il respiro venne meno.

“Non è reale…” Disse tremando. “Non è reale, non è…” Si voltò, la voce gli morì in gola. Tutti i suoi sforzi di restare calmo ed essere razionale finirono in pezzi… Come lo era il leone che aveva di fronte.

“Blue!” Urlò correndo verso di lei. “Blue!” Sollevò le mani ma non riuscì a toccarla: non aveva più la testa ed il resto di lei era in ogni angolo dell’hangar.

“Blue…” Lance singhiozzò. Non riuscì più a trattenere le lacrime. “Che cosa ti hanno fatto?”

Un ringhio in lontananza gli fece distogliere lo sguardo da lei: una luce dorata illuminava l’hangar accanto.

“Red!” Chiamò disperatamente. “Red!” Corse lungo il corridoio che collegava i due ambienti. Il leone che Keith gli aveva ceduto giaceva scompostamente al suo posto. Era flebile il bagliore dei suoi occhi ma non appena il Paladino Blu comparve di fronte a lei, il portellone d’ingresso si aprì.

Lance si sentì morire. “Keith!” Entrò nel leone tanto velocemente che per poco non inciampò sui suoi stessi piedi. “Keith!”

Il Paladino Rosso era seduto nella cabina di pilotaggio. La visiera del casco era sporca di sangue.

“Keith!” Lance lo afferrò per le spalle. “Resisti, Keith!” S’inginocchiò sul pavimento e prese il compagno tra le braccia. Lo liberò dal casco molto lentamente: non sapeva che danni aveva riportato e non voleva fargli male.

Gli occhi di Keith erano chiusi, era terribilmente pallido e perdeva sangue dal naso. “Keith!” chiamò tirandogli i capelli indietro. “Keith, ti prego, rispondi!”

Il Paladino Rosso si mosse debolmente.

Lance gli afferrò la mano. “Sono qui, Keith,” disse, piangeva ancora. “Sono io… Sono Lance!”

Keith riuscì ad aprire appena gli occhi. “Lance…”

“Shhh… Non parlare. Risparmia le forze.” Il Paladino Blu recuperò il casco dal pavimento con l’unica mano libera e lo indossò. “Coran?” Chiamò aprendo il canale di comunicamente con il ponte di comando. “Coran? Allura? Mi serve aiuto! Keith è ferito e non riesco a portarlo di sopra da solo!”

In risposta ricevette solo interferenze.

“Allura!” Urlò. “Coran!”

Ancora interferenze.

“Maledizione!” Lance si tolse il casco e lo lanciò contro il pavimento. Tra le sue braccia, Keith tremava violentemente. “Ehi, amico…” Lance lo abbracciò. “Va tutto bene,” mormorò tra le lacrime. “Stanno arrivando, va tutto bene.”

Appena un istante più tardi, Keith smise di muoversi. Anche Lance si fece immobile, come congelato, gli occhi blu persi nel vuoto. Piangeva ancora ma non sentiva niente, solo tanto freddo.

Era come se qualcuno lo avesse svuotato.

“Non è reale,” disse accarezzando distrattamente i capelli di Keith. “Non è reale…” Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. “Non è reale! Non è reale! Non è reale!”

Urlò fino a perdere i sensi.



”Che cosa desideri di più?”



Fu il rumore di un aspirapolvere a svegliarlo.

Gemette a bassa voce infilando le dita tra i capelli. “No…” Mormorò. “No, non di nuovo.”

“Invece sì!” Era Keith.

Lance aprì immediatamente gli occhi: era di nuovo nel salotto della casa della sua infanzia ma l’arredamente era diverso, più moderno. Quella, però, non era la cosa più assurda.

Keith che dava l’aspirapolvere lo era. Non aveva più l’aria da gatto selvatico con cui l’aveva conosciuto. Niente guanti da motociclista. Nessun mullet.

“Ma che…?”

“Cosa?” Ringhiò Keith girando intorno al basso tavolino al centro della stanza. “Ho disturbato il tuo pisolino di bellezza di metà mattinata?”

Lance si sollevò sui gomiti. “Mi sono addormentato sul divano?”

“E a me tocca fare le pulizie che avresti dovuto fare tu!” Continuò a lamentarsi Keith. “Quella bambina ti garantisce troppi privilegi! Allura si è addolcita con te grazie a lei!”

“Di cosa stai parlando?” Domandò Lance. “Quale bambina?”

Keith spense l’aspirapolvere e lo guardò storto. “Vuoi liberarti anche delle tue responsabilità come genitore?”

Lance sgranò gli occhi. “Keith, ti prego, dimmi di che cosa stai parlando?”

L’altro alzò gli occhi al cielo e sbuffò. “È tardi, valla a svegliare,” ordinò trascinando l’aspirapolvere fino alla cucina.

“Svegliare chi?” Domandò Lance.

Guinevere!” Urlò Keith dalla cucina.

Lance si bloccò. “Guinevere…” Ripetè, poi si spostò verso la cucina. “Tu come fai a sapere di Guinevere?”

Keith agganciò l’aspirapolvere al caricatore a muro vicino al frigorifero. “Mi prendi in giro?”

“Io non ti ho mai parlato di Guinevere,” disse Lance. “Non l’ho fatto nemmeno con Hunk. Penso che non se lo ricordi nemmeno mia madre… Era una fantasia di quando ero bambino!”

Keith inarcò le sopracciglia. “Beh… La tua fantasia ha due anni e dorme nella tua vecchia camera al piano di sopra. Trovi la strada da solo o vuoi che ti accompagni?”

Lance sbuffò e scosse la testa. “Non riesco a capire perchè sei così tanto presente nella mia testa.”

“Come faccio ad essere presente nella tua testa?” Ribattè Keith. “La tua testa è completamente vuota.”
Lance, però, era già a metà delle scale che portavano al piano superiore. La sua vecchia stanza era in posizione opposta a quella dei suoi genitori. Vi era una grande nuvola di peluche appesa alla porta, simile ad un fiocco nascita. Al centro, vi erano ricamate in azzurro un nome.

Guinevere…” Mormorò Lance passando le dita sulle nove lettere. Aprì la porta con cautela. Le persiane erano ancora chiuse ma la luce del sole filtrava dalle fessure permettendogli di muoversi liberamente. Il piccolo letto con le sponde era sotto la finestra, proprio dove, un tempo, era stato il suo.

Lance prese a torcersi le mani nervosamente prendendo un respiro profondo ad ogni passo. La bambina dormiva stringendo tra le braccia un peluche di leone azzurro. Il Paladino Blu sorrise tra sè e sè: lo aveva cucito lui? Era sempre stato più bravo di sua sorella in quelle cose e poteva immaginarsi mentre preparava il corredino per i suoi bambini.

”Non è reale.”

Lance si bloccò a metà di un passo, ingoiò a vuoto ed annuì. “Giusto…” Mormorò. Quella consapevolezza, però, non gli impedì di andare avanti, di stringere tra le dita la sponda di legno di quel lettino e di guardare la creatura che vi dormiva dentro.

I lunghi capelli ricciuti di lei erano sparsi sul cuscino. Erano dello stesso colore dei suoi. Lance allungò una mano tremante e glieli accarezzò. “Guinevere…” Chiamò dolcemente. La bambina lasciò andare il suo peluche e si stiracchiò assecondando il tocco della sua mano. Due occhi blu identici ai suoi si aprirono sul mondo e Lance sentì il respiro venire meno per un lungo istante. Sorrise.

“Ciao…” Disse lei con un sorriso assonnato.

“Ciao,” rispose Lance con un filo di voce. “Sei proprio come ti avevo sognata.”

Sì, lo era perchè quello era un sogno.

Eppure, i riccioli castani tra le sue dita erano così reali ed il sorriso sulle labbra di Guinevere era in grado di scaldargli il cuore.

”Non è reale.”

“Lo so, ho capito,” disse a voce abbastanza bassa per non farsi sentire dalla bambina.

”Lance! Non è reale!”

“Lasciami in pace,” disse alla voce nella sua testa. Afferrò la bambina sotto le braccia e la sollevò per stringerla al petto. Guinevere gli circondò il collo con le piccole braccia ed appoggiò la guancia alla sua spalla.

Lance affondò il viso tra i suoi capelli inspirandone il profumo a pieni polmoni. La sua bambina sapeva di buono, di casa.

”Lance!”

“Lasciami in pace, ho detto,” ripeté stringendo Guinevere ancor di più.

”Lance! Non è reale!”

“Smettila!”



”Lance!”



Ritornare alla realtà fu come salire in superficie dopo essere stati costretti a lungo sott’acqua. Spalancò gli occhi e la luce violetta quasi lo accecò. Strinse le palpebre, cercò di muoversi ma qualcosa gli bloccava un braccio, gli penetrava nella carne come un ago appuntito. Faceva male.

Lo cercò alla cieca per liberarsene. Qualcuno glielo strappò di dosso prima che ci riuscisse. Urlò di dolore. Si girò su di un fianco stringendo il braccio al petto, pulsava dolorosamente.

“Lance?”

“No…”

“Lance!” Gli afferrarono le spalle e lo costrinsero a sedersi. La testa gli cadde all’indietro, una mano scivolò sulla sua nuca e la tenne sollevata. “Respira!” Ordinò una voce che conosceva bene. “Lance, respira!”

Una mano era premuta contro il suo petto, Lance l’afferrò e fece come gli era stato detto. Dopo tre respiri profondi, la tensione che sentiva all’altezza dello stomaco si allentò ed aprì gli occhi: la luce viola non era forte come aveva creduto. Ci vedeva.,, Ci vedeva davvero.

“Lance…”

Il Paladino Blu sollevò gli occhi, rispose a quel richiamo senza pensarci. Conosceva quella voce. Era l’unica cosa che conosceva di lui.

Uno sguardo e non lo fu più.

Lance sorrise prendendo tra le dita una delle lunghe ciocche candide che ricadevano sulle spalle del suo salvatore. “Sei tu…” Mormorò. “Sei davvero tu.”

Lotor non disse nulla, la sua espressione era indecifrabile. “Quintessenza,” disse ma non era al Paladino che si stava rivolgendo. “Gli hai iniettato della Quintessenza?”

Lance inarcò le sopracciglia ma non ebbe il tempo di chiedere nulla.

“Non sei nella posizione di porre alcuna domanda, Lotor.”

Nell’udire quella voce, Lance rabbrividì. Allungò il collo per vedere oltre la spalla di Lotor: c’era qualcuno nell’angolo più buio della stanza, solo i lunghi capelli bianchi erano visibili oltre l’orlo del cappuccio scuro.

Lance dischiuse le labbra ma, ancora una volta, non riuscì a dire niente.

Lotor lo sollevò senza sforzo. “Hai finito di giocare con la sua mente, strega.”



 
   
 
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