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Autore: rainbowdasharp    15/11/2017    1 recensioni
"Aveva letto un milione di teorie, riguardo la sua scrittura: “un poeta”, lo definivano e Leo davvero non capiva – un poeta di cosa, della sovversione? Della ribellione silenziosa a cui si era condannato?"
| leotsu (e presenza di altre coppie, seppur accennate), soulmate!au |
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Leo Tsukinaga, Tsukasa Suou, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 7: Nella vastità dell'universo


 

“Quel luogo senza tempo mi aveva accolto senza indugio, avvolgendomi in un caldo tepore che ricordava quello della famiglia, dell'abbraccio materno che mi cullava persino nelle notte insonni. Tutto in quel luogo sembrava dirmi di riposare, di pensare a me e non al mio dovere, a quello che mi ero lasciato alle spalle. Gli incubi di tanto in tanto bussavano alla mia porta: i ricordi opachi mi accusavano – colpevole!, colpevole!, gridavano senza pietà. Fiamme e distruzione, urla e pianti disperati mi costringevano a svegliarmi, ad affrontare nuovamente la pallida e fredda luce della luna, fin quando la brezza leggera non tornava a sussurrarmi dolcemente che non c'era più niente che fossi costretto a fare.”

 

Quando Leo la mattina aprì gli occhi, si sentiva quasi ubriaco: era il soffitto della sua camera quello che vedeva, sì, ma c'era qualcosa di profondamente diverso in lui, una consapevolezza recente, nuova e piena di—vita.

Quella consapevolezza non tardò a farsi sentire: vicino a lui, un respiro lento, rilassato lo fece quasi sussultare fin quando, ormai finalmente sveglio, riuscì a rimettere insieme le ultime ore del giorno precedente.

Aveva baciato Robin. Senza alcun motivo, seguendo solo quello che il suo istinto gli gridava a gran voce, aveva posato le proprie labbra su quelle del moro – le stesse che, adesso, erano leggermente dischiuse dalla magia del sonno, facendo sì che il suo volto sembrasse ancora più puerile del solito – ma nessuno dei due si era tirato indietro, di fronte a quella sfida; il giovane aveva assunto un colorito decisamente acceso sulle guance e persino sulle orecchie, a tal punto da essere visibile anche nella fioca luce della serata. Poi aveva sorriso, timidamente, come se fino a quel momento non avesse aspettato altro ma no, aveva detto. Lo aveva colto di sorpresa.

“Sei imprevedibile” aveva mormorato il più giovane, lasciando che il suo sguardo vagasse altrove, quasi pensieroso.

Poi, ancora, un altro colpo di testa: era tardi, gli aveva fatto notare e i mezzi pubblici rischiavano di non passare più, considerando quanto avrebbero impiegato per tornare alla stazione.

“Fermati da me, stanotte”.

Aveva rischiato di farlo scappare, forse; era ancora presto per raccogliere quel frutto. Eppure, Robin aveva accettato nonostante quel rossore silenzioso, nervoso ma deciso. Ma, quando erano arrivati a casa sua...

Una mano interruppe i suoi pensieri, appoggiandosi sulla sua guancia. Era una carezza leggera, ancora piena di incertezze, eppure calda e gradita.

«Buongiorno» sussurrò con voce flebile il ragazzo, gli occhi ancora assonnati. Quel viola adesso non faceva più paura ma, piuttosto, lo attraeva a sé... era così tanto che non si sentiva più in quel modo, che non avvertiva più il desiderio di avere qualcuno così vicino. «Spero di... non essermi mosso troppo, dormendo» aggiunse il moro, prima di strofinarsi gli occhi nel tentativo di svegliarsi definitivamente.

Leo gli sorrise, poi gli diede un buffetto sulla fronte. «Ho il sonno pesante, a meno che non mi prenda l'ispirazione. Anche se questa mattina mi sono svegliato senza coperte, questo sì».

Quella piccola provocazione fu abbastanza perché Robin prendesse un lieve colorito roseo sugli zigomi – il rosso aveva notato quanto facilmente si imbarazzasse, quando gli veniva fatto notare qualche atteggiamento poco... cavalleresco, per così dire.

«Sorry» borbottò il più giovane, sollevandosi in piedi. Aveva ancora indosso gli abiti, decisamente più stropicciati, della sera prima.

Leo stentava a crederci, ma... quella notte avevano dormito e basta. Si erano addormentati fianco a fianco, come se fosse un'abitudine consolidata, farcita di classiche farfalle nello stomaco, che ancora avvertiva svolazzare nonostante fossero passate chissà quante ore. La presenza di Robin lo rassicurava pur rendendolo pieno di voglia di fare e l'idea che avessero dormito insieme, vicini, senza alcuna pretesa... aveva un gusto dolce, simile ad un tè caldo gustato sotto le coperte nel pieno dell'inverno.

Forse la ferita di Izumi era ancora troppo recente perché non riuscisse a fare paragoni, ma Robin lo faceva sentire come un liceale alla sua prima cotta, una di quelle estive, così fragili eppure forti nel trasmettere emozioni, con l'imbarazzo tipico dell'adolescenza e al tempo stesso il desiderio di qualcosa di più, il bisogno di sognare ancora e ancora. La sua precedente relazione era più simile ad un mare in tempesta, qualcosa di forte e pericoloso, così bello ed inquietante da lasciare senza fiato.

Lo scrittore sbatté lentamente le palpebre, mentre osservava il più giovane guardarsi attorno confuso, forse in cerca del bagno.

«Sei ancora vergine, vero?» concluse ad alta voce, con un sorrisetto divertito, facendo trasalire il povero Robin che, se poco prima era a disagio, adesso era nel panico più totale.

«Non--!» provò subito a difendersi il moro, perdendo immediatamente la sua solita compostezza: il volto tornò di quel colorito rossastro che la sera prima Leo aveva solo intravisto mentre il ragazzo prese a gesticolare nel blando tentativo di negare quella realtà evidente. «... mi pare un po'... frettoloso... parlare di questo argomento!»

La cosa peggiore? Leo scoprì esattamente in quel momento che il volto imbarazzato di Robin, nonché il suo pudore riguardo il sesso lo divertivano. Più di quanto non avrebbero dovuto.

Il sorriso dunque divenne un ghigno. «Beccato, eh?»

«Nient'affatto!»

Il rosso trovò solo allora la voglia di alzarsi dal letto, giusto per gustarsi ancora e ancora quell'espressione di Robin: inutile dire che ormai il rossore aveva raggiunto tonalità preoccupanti, senza contare che quando Leo gli si avvicinò ulteriormente, il moro non poté fare a meno di arretrare fino a trovarsi con le spalle contro l'armadio.

«Ah, no?» insistette il romanziere, poggiandogli le mani sul petto: riusciva a sentire il suo cuore battere all'impazzata ed era un suono così entusiasmante che non ci pensò due volte a poggiarvi contro l'orecchio, per ascoltarne meglio il suono. «La trovo una cosa adorabile».

«Adorabile?» ripeté Robin, quasi fosse un'offesa. Intanto, però, non diede alcun cenno di volerlo allontanare.

«Non è il genere di... complimento che mi piace».

Eppure, inutile negarlo, Robin era davvero adorabile. La sua facciata principesca non era, come si sarebbe potuto pensare, fasulla – anzi; lui credeva davvero in quei valori, li rispettava ed ammirava al punto di spingersi a nascondere quei suoi lati infantili che, invece, a Leo erano sempre piaciuti, sin da quando si erano conosciuti. La sera prima, quando si era seduto sul letto, evidentemente rigido e incapace di nascondere le occhiate nervose che gli gettava, Leo non aveva potuto far altro che abbracciarlo e lasciare che si stendesse accanto a sé, limitandosi a punzecchiarlo sotto le proteste poco convinte del più giovane. Eppure Robin aveva continuato e sfiorarlo quasi fosse un oggetto di estremo valore ma anche tremendamente fragile, come se un qualunque gesto avesse potuto rompere ogni equilibrio tra loro.

«Vorresti sentirti dire che sei affascinante?» Intanto, le braccia del moro si erano chiuse delicatamente attorno alla sua vita, rendendo esplicito il desiderio di prolungare quel contatto.

«Charming, non di meno» ma c'era un lieve accenno di sorriso in quelle parole, perché con ogni probabilità Robin sapeva che Leo gli avrebbe difficilmente dato una simile soddisfazione. Non si conoscevano poi da molto, era vero, ma avevano trascorso abbastanza tempo insieme da quanto meno intuire che il rosso non era tipo da sbottonarsi in simili complimenti, quanto più esprimere il suo apprezzamento in dispetti, alla stregua di un bambino.

Leo si limitò dunque a ridacchiare, godendosi quel contatto ancora per un po'. Quando lo aveva baciato, la sera prima, non aveva pensato minimamente alle conseguenze e questo, purtroppo, valeva anche adesso: come gestire un'infatuazione per uno studente universitario di cui, in definitiva, non sapeva poi un granché? Robin sembrava condividere i suoi stessi dubbi, o così credeva. Era come se fosse... incredulo, spiazzato dall'evolversi delle cose.

Ad interrompere quello strambo momento fatto di un paradossale miscuglio di perplessità e anticipazione, fu il telefono di Robin che prese a squillare con insistenza dalla scrivania, dove lo aveva lasciato la sera prima. Il moro trasalì e, in fretta e furia, lasciò Leo per precipitarsi a rispondere mentre il più grande lo osservava incuriosito.

«No, non—mi sono dimenticato. Ho avuto... un contrattempo, ma sarò lì nel pomeriggio» farfugliò, mentre si passava una mano tra i capelli, evidentemente più agitato di quanto non volesse far intendere al suo interlocutore. «Va bene, va bene... A dopo» e chiuse la chiamata, con un sospiro arreso.

«Tutto bene?» si sentì in dovere di chiedere.

«Sì, è solo il mio... coinquilino».

«Preoccupato perché non sei tornato a casa?» insistette il rosso perché, dopotutto, se non si conoscevano... bastava cominciare a farlo.

Robin si lasciò andare ad una smorfia irritata. «Direi divertito, perché—beh, è un'occasione ottima per ricattarmi, questa». All'espressione ancora più incuriosita di Leo, il moro scrollò le spalle. «Te l'ho detto, la situazione coi miei genitori è complicata».

Più lo scrittore sentiva parlare dei genitori del ragazzo, più aveva la sensazione che non gli sarebbero mai andati molto a genio; sembravano avere grandi aspettative nei confronti del figlio, che però non facevano altro che schiacciarlo di continuo, influenzando quasi tutte le sue azioni – un animo così forte chiuso in una gabbia troppo, troppo stretta per tutto quello che in poco tempo aveva potuto percepire di Robin. La gabbia, però, aveva iniziato ad incrinarsi e lui, probabilmente, ne era l'evidente conferma: immaginava fosse per questo che sembrava così stranito dallo sviluppo della loro relazione. Chissà, si chiese, mentre lo guardava fissare il cellulare con una certa preoccupazione, se sarebbe stato in grado di opporsi a tal punto per una semplice infatuazione, forse destinata persino a morire sul nascere.

Dopotutto erano altri, i loro Predestinati.

Forse Robin sarebbe uscito da quella porta, salutandolo con un sorriso e contemporaneamente sarebbe uscito dalla sua vita, lasciandogli l'ennesima speranza infranta, un fragile pezzo di vetro frammentato.

«Leo?» La voce del ragazzo, di nuovo, lo riportò alla realtà: eccoli... il suo sorriso, il suo imbarazzo così ingenuo. Eppure, nella sua insicurezza, Robin afferrò le sue mani per stringerle nelle sue. Lo stava rassicurando? Leo cercò la risposta nei suoi occhi ametista, ma non ne ricevette alcuna; piuttosto, il moro si chinò verso di lui quel tanto che bastava per sfiorare le sue labbra con timidezza, quasi non fosse sicuro di avere il permesso di farlo.

Il cuore del romanziere sembrò impazzire, fin troppo ghiotto di quella bocca. Anche le sue labbra chiesero di più e allora si sporse in avanti, ansioso di approfondire quel contatto – Robin, ancora, non indietreggiò. Nella sua timida ma sicura fermezza, sembrava accettare tutto di Leo: le delusioni, la frustrazione, la sua voglia di rivalsa contro tutto e tutti. Con quei gesti, accoglieva la sua stessa essenza con la pazienza di un dottore nei confronti di un paziente.

Il bacio non durò tantissimo, ma fu quasi una conferma della testardaggine di entrambi: fu necessaria, affinché le loro mani si lasciassero, doverosa perché entrambi camminavano verso un sentiero nuovo, completamente inesplorato.

«Ci sentiamo più tardi».

 

Ma chi aveva inventato qualcosa di così vago come il “ci sentiamo più tardi”?

Leo era seduto di fronte al suo computer, vicino alla tastiera le solite per niente esagerate tre tazze di caffè (c'era da dire che, negli ultimi tempi, il numero delle tazze, superava di gran lunga quello delle pagine che riusciva a scrivere; mentre quel giorno era riuscito quanto meno a concludere la bozza di un intero capitolo) e ogni tanto lanciava occhiate nervose al cellulare.

L'ispirazione era arrivata nel momento stesso in cui Robin aveva lasciato il suo appartamento e da prima di pranzo, non aveva fatto altro che scrivere, appuntarsi idee, dimenticandosi persino di mangiare. Una volta affievolitasi, alla stregua di uno spirito, Leo non aveva fatto altro che fissare il cellulare, domandandosi cosa intendesse Robin con un banale “più tardi”.

Era straniero, pensò. Sapeva con certezza che in alcuni luoghi del mondo, come l'Egitto, cinque minuti erano i corrispettivi di un'ora... ma dubitava che l'Inghilterra (o qualsiasi altro paese anglofono, da cui Robin di certo proveniva) potesse avere simili usanze.

Picchiettava impaziente le dita sulla scrivania, incerto sul da farsi – non era mai stato così—nervoso, all'inizio di una nuova relazione (anche se, forse, il fatto che non sapesse neanche se di tale si trattava contribuiva a renderlo inquieto) e di solito era lui che teneva gli altri sulle spine, come se dovesse mettere alla prova il loro reale interesse per lui. Beh, si ripromise, non lo avrebbe più fatto: l'attesa era insopportabile e di certo la sua poca propensione ad aspettare non aiutava.

Era ormai quasi l'ora di cena, quando il telefono squillò... ma non era il numero che si aspettava: il nome di Madara Mikejima lampeggiava sullo schermo, condito di una foto particolarmente stupida del soggetto in questione. Con un grugnito e uno sbuffo, lasciò scorrere le dita sullo schermo.

«Pronto?»

«Uoh, che voce lugubre!» fu la replica dall'altro capo del telefono, seguita da una risata divertita. «Brutto momento? Blocco dello scrittore?»

«Lascia perdere. Che volevi dirmi?»

«Ma come, che volevo dirti? Si tratta del mio amico hacker! Sei stato tu a chiedermi di trovarti qualcuno di veramente bravo!» A Leo fu necessario qualche momento per ricordare di cosa Madara stesse parlando, tanto che l'amico insistette dopo qualche secondo di troppo di silenzio. «Per il sito strano che avevi trovato! È davvero una coincidenza, anche Arashi mi ha chiesto aiuto con un sito...»

Leo sbatté le palpebre ancora una volta, poi gli tornò in mente: l'hacker per scoprire di più sul sito dei Dissidenti, quello che aveva messo in contatto lui e Robin per primo. La loro ricerca dei Dissidenti, che si era conclusa con una porta chiusa in faccia e un invito ad uscire, gentile o meno.

Ne valeva ancora la pena? E poi, che c'entrava Arashi? «Scusami sono stato assorbito dal... romanzo. Chi è questo tuo amico?»

Udì un sospiro quasi esasperato, sempre con quell'atteggiamento da fratello maggiore che Madara aveva nei suoi confronti; era un buon amico e un ottimo consigliere, ma proprio per questo spesso Leo si sentiva a disagio nel parlare con lui: lo conosceva troppo bene, avrebbe finito con lo scorgere anche quello che lui non voleva che filtrasse in alcun modo dalla sua persona – un po' come Arashi. Per questo, per gli sfoghi peggiori, fino a qualche settimana prima almeno, la migliore alternativa era stata Shu.

«Si chiama Makoto Yuuki. È giovane, ma molto sveglio! Lavora in un negozio di informatica vicino a quell'enorme pasticceria in centro... Com'è che si chiama? Suou?»

Leo scrollò le spalle, anche se Madara non poteva di certo vederlo. Immaginava che, nonostante quel che era successo la sera prima, un tentativo (l'ultimo, probabilmente) non potesse nuocere un granché... Inoltre, lui e Robin si erano avvicinati proprio per quel motivo. Insistendo, forse, avrebbero potuto avere idee più chiare di quello che volevano l'uno dall'altro.

«Mandami l'indirizzo allora, Mama. E grazie». Ci fu un attimo di silenzio, prima che un fischio di approvazione quasi disintegrasse il timpano di Leo. «Che c'è ora?»

«Ti è successo qualcosa di bello? Non è da te ringraz-»

Leo chiuse la chiamata.

 

- Ucchu~ so che abbiamo detto di fare le cose a modo nostro, ma il mio amico mi ha trovato un hacker! Ti va di fare un ultimo tentativo? Quando ci ricapita di conoscere un hacker, poi?! Potrebbe ispirarmi!!

 

C'erano state due conseguenze positive alla chiamata di Madara: la prima, la principale, si era distratto almeno un po' dall'arrovellarsi sul come gestire la sua relazione con Robin; la seconda, non meno importante, è che aveva trovato la scusa per scrivergli senza sembrare eccessivamente apprensivo. E gli aveva anche non troppo direttamente chiesto di uscire.

Si sedette sul letto, con il cellulare tra le mani. Non riusciva a capire perché adesso si sentisse così agitato quando la mattina, consapevole di aver agito senza pensare, era stato tutto così naturale da non dover neanche fingersi “carino”. All'inizio di ogni relazione, una persona cerca di apparire al meglio di sé, con la paura di sbagliare, di irritare l'altro e di perdere un'occasione e questo valeva anche per lui ma– no, con Robin il problema non si era mai posto: dopotutto, non c'era stato niente di normale nel loro incontro, né nel modo in cui si erano avvicinati. Forse era anche per questo che, nonostante il rifiuto dei Dissidenti, era ancora curioso: non voleva concludere l'avventura, gli sembrava troppo presto.

Potevano giocare, ancora per un po'.

La risposta tardò un po' ad arrivare e, con sua grande sorpresa, il messaggio di Robin conteneva un'inaspettata novità.

 

- Scusa, Leader! Sono stato occupato con le lezioni fino a poco fa... Sicuro sia una buona idea? Non ho mai conosciuto un hacker e quei “tipi” non mi sembravano amichevoli. Se vuoi comunque andare, però, io sarò al tuo fianco.


Assurdo trovarsi con il cuore in gola nel leggere “sarò al tuo fianco”. Leo era uno scrittore e chi meglio di lui sapeva che le parole avevano tutte un peso diverso, anche quando avevano un simile significato? Robin non gli aveva detto un semplice “verrò con te”, ma “sarò al tuo fianco”. Riusciva quasi ad immaginarselo, sulle labbra un sorriso timido, che pronunciava quelle parole con fermezza nonostante l'imbarazzo. “Sarò al tuo fianco” implicava non un'uscita assieme, qualcosa di più profondo, di così forte da scuotere un mondo intero – il suo mondo. Erano bastate quattro semplici parole per causare in lui un terremoto. Non aveva idea se l'avesse fatto con consapevolezza, ma...

“Ci sono cascato di brutto”, fu il suo unico pensiero, fin troppo sincero.

E come parlare di quel Leader? Non aveva idea di come interpretarlo. Certo, i suoi amici più stretti lo chiamavano (chi affettuosamente, chi meno) “re” perché ai tempi delle scuole superiori aveva annunciato a metà scuola che un giorno sarebbe tornato col suo esercito di alieni, gli stessi che lo avevano rapito, a conquistare la Terra, così da liberarla dalla piaga del Predestino. Tuttora, Ritsu, Arashi (e—anche Izumi, quando ancora si parlavano) continuavano a chiamarlo a quel modo, a dimostrargli che lo accettavano per quel che era, in tutta la sua stramberia.

Ma Leader, davvero, sfuggiva alla sua comprensione.

Glielo chiese, curioso. Gran parte del nervosismo della giornata scomparve, così, con lo spiraglio di un sorriso sulle labbra: la consapevolezza che, seppur si fossero visti anche chissà quanti giorni dopo, Robin avrebbe atteso, rendeva in grado anche lui di pazientare, di lasciare che quel fiore sbocciasse.
 

- Leader? Hai visto qualche film di recente, per caso? Non mi avevi mai dato un soprannome!


Stavolta, la risposta fu rapida. A quanto pareva, una volta presa confidenza, comunicare con Robin diventava più semplice e meno distaccato, forse perché il giovane si sentiva finalmente in grado di esprimersi senza la pressione di dimostrarsi troppo adulto. Le sue parole era ancora pregne di un'educazione ed un modo di parlare che Leo non conosceva nella quotidianità, ma allo stesso tempo sembrava soffermarsi meno su quello che voleva comunicargli, che fosse più naturale nell'esprimersi; probabilmente, anche per questo motivo rileggere “sarò al tuo fianco” lo faceva sentire leggero, quasi ubriaco.

Aveva—dimenticato cosa si provava, nel sentirsi felici. Quello che aveva fatto negli ultimi mesi era stato prevalentemente vivere un incubo continuo, cancellando ad ogni ripetizione i momenti belli passati insieme a Izumi: i sorrisi, i dispetti, i baci e, perché no, anche le discussioni. Tutto era andato distruggendosi, di fronte alle ultime parole che gli aveva rivolto, quel pomeriggio di ottobre.

Si lasciò cadere sulle lenzuola, lo sguardo fisso al soffitto, immaginando il cielo stellato che amava tanto fissare quando si sentiva solo, cercando di consolarsi: chi poteva dirsi veramente amato in un universo così vasto, così infinito? Neanche il Predestino poteva salvare l'uomo dall'essere semplicemente un essere vivente come gli altri, con il bisogno incontrollabile di avere qualcuno al proprio fianco per sentirsi forte.

La vibrazione del cellulare lo distaccò da quella sua riflessione: Leo portò il cellulare in alto, in contrasto con quel cielo verso cui sollevava lo sguardo così spesso e invece di ritrovarsi illuminato, seppur nella sua immaginazione, dalla luce debole della luna, il suo volto venne per lo più abbagliato dallo schermo del suo smartphone, le parole di Robin che brillavano nel loro nero su bianco.

 

- Mi scuso se è sembrato inopportuno ma oggi, durante le lezioni, ho pensato che se davvero vogliamo fare le cose a modo nostro, anche noi siamo un movimento sovversivo! E tra noi, sicuramente il leader sei tu. Grazie per avermi trovato.

Rilesse quelle parole a lungo, incredulo. Si sollevò di nuovo a sedere, persino, cercando di metabolizzare quel che aveva appena letto.

Leo ricordava ancora il suo primo libro, il primo in assoluto che era riuscito a leggere. Era una fiaba, niente di meno, una di quelle per bambini in cui un orsacchiotto cerca in ogni modo di ritrovare la sua amata stella e cerca in ogni modo di arrivare sino al cielo per farle compagnia, perché la luna la ha abbandonata. Leo aveva costretto sua madre prima a raccontargliela così tante volte che la donna non aveva neanche più bisogno di aprire il libro per recitarla ad alta voce e poi la aveva implorata di insegnargli a leggere prima del tempo, pur di poterla narrarsela da sé quando lei non poteva.

Era una storia infantile, niente di meno, ma conteneva già allora tutti gli elementi che nelle storie di Leo, nei suoi romanzi tanto amati dal pubblico, non mancavano mai: una missione disperata, il cielo, la luna traditrice. E la storia si concludeva così, con la stella che tra le braccia dell'orsacchiotto diceva: “Grazie per avermi trovato”.

Era una coincidenza? Sicuramente. Questo però non gli impedì di portarsi le mani alla bocca, mormorare parole incredule a bassa voce e poi scoppiare a ridere, così, come una liberazione.

Perché poteva pure essere un umano solo, come tutti, ma nonostante in quella stanza non ci fosse nessuno, il calore di Robin era ancora lì, sulla sua pelle. Nella sua anima.
 


Note: Nell'ultimo mese e mezzo mi sono sentita davvero un sacco in colpa per non aver più aggiornato - ammetto di aver sperato di riuscire a pubblicare almeno un capitolo tra Romics e Lucca, ma purtroppo non è stato così. Questo capitolo è un piccolo ponte verso quello che aspetterà, perché dopo un primo bacio non è semplice sbrogliare i propri sentimenti - Leo non fa eccezione, anzi. Ho cercato di inserire quanti più elementi del canon come "re", "leader" e devo dire che mi sono davvero divertita un sacco a farlo; c'è un sacco di forza nei soprannomi, io per prima li ritengo importantissima perché è qualcosa di privato, personale e intimo. Il rapporto tra Leo e Robin ha questa natura, sviluppatasi grazie ad una complicità che entrambi avevano sottovalutato.
Poi ho voluto inserire Mama, che tornerà anche nel prossimo capitolo (perché io amo lui e il suo rapporto con Leo, ebbene) insieme a Makoto, che ho già accennato e forse anche qualcun altro... Dalla settimana prossima, spero di riuscire ad aggiornare di nuovo con tuta calma il venerdì! Ormai abbiamo superato la metà della fanfic (ancora rido pensando che non doveva assolutamente essere così lunga, ma lasciamo stare) e chissà come andrà?
Buona lettura! ~

 

   
 
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