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Autore: NicolaAlberti    15/11/2017    0 recensioni
Prima parte cap. 1-10 "PURGATORIO" - Seconda parte cap. 12 - 21 "INFERNO"
Una storia d’amore impossibile immersa in un’ambientazione surreale dai tratti cyberpunk e dai richiami danteschi. Una minaccia robotica che spinge il protagonista alla paranoia e alla fuga tra i meandri di una labirintica e utopica costruzione babelica che ha sostituito l’antica città di Parigi. La ricerca della verità tra le intricate illusioni di una nuova era tecnologica che ha stravolto il mondo, mentre qualcosa di oscuro e insondabile, un dubbio perenne nella mente del protagonista, continuerà a modificare la sua percezione del reale, costringendolo ad esplorare il dedalo della propria coscienza.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ero nuovamente consapevole. Ero un file vivente. Questa volta, a differenza della passata realizzazione di questa verità, non percepivo la mia condizione come qualcosa di annichilente e insopportabile; tutto ciò che c'era di tragico in questo fatto era come scivolato via. Ero un file VIVENTE. Mi sentivo VIVO! Avevo letteralmente preso vita all'interno di un mondo illusorio.

Il solo fatto di sapere che avrei potuto ancora incontrare Amal, nel bene o nel male, e al di là di ogni simulazione, mi generava un'incomprensibile e assurda speranza alla quale attaccarmi. Cominciavo a sospettare (ma non osai ancora domandarmelo esplicitamente) che anche lei condividesse il mio stesso destino e la mia stessa condizione, la mia stessa inconsistenza, ma, per quanto terribile potesse sembrare, tutto questo significava anche che c'era quantomeno la possibilità di poter vivere assieme ad Amal in questo universo virtuale. Era come se il terrore di crederla finta si fosse tramutato in una droga per l'anima. Obliavo, forse volutamente, tutte le incongruenze che stavano alla base delle esperienze che avevo vissuto in quel luogo. Per esempio, le copie. Erano anch'esse dei file copiati infinite volte o erano vere? Quanto di questo mondo era parte di ciò che proiettavo io stesso e quanto era indipendente? Mi era impossibile stabilire quali fossero i confini di questo reame fittizio, di questo spazio, generato all'interno di un dispositivo di salvataggio informatico, nel quale sembravo virtualmente muovermi ed esperire. Procedevo semplicemente trascinato dagli eventi e, ad ogni nuova tappa, mi credevo realizzato o distrutto, cogliendo, di volta in volta, solamente l'ultimo sviluppo della storia che stavo vivendo. Il resto aleggiava nel mio subconscio, incompreso e tralasciato, fino al momento in cui un nuovo evento vi puntava un fascio di luce a rinverdirne la memoria. Ero semplicemente e stupidamente assorbito solo nel presente, come se mi spostassi in una sorta di memoria temporanea.

All'uscita del Tempio rincontrai Cicero. L'uomo proseguiva fluttuando lungo la passerella, diretto verso di me. Si trovava a circa trequarti del percorso e sembrava parlasse da solo. Stava ripetendo le ultime parole che mi aveva rivolto prima di dirigerci al Tempio: «Io non mi sono mai rivolto personalmente al Lama, per cui non so dirti come affrontare questa esperienza. Il mio unico consiglio è quello di ascoltare e di non parlare a vanvera... Proseguiamo».

Lo interruppi giungendo dal lato opposto.

«Ma non era ciò che mi stavi dicendo poco fa?», chiesi incuriosito.

Ci fu qualcosa di simile ad uno scarto temporale, come un frame mancato. La passerella ora scorreva nell'altro verso e avevo l'impressione che stesse lentamente scendendo verso il basso. Sorrisi. Ora che sapevo di muovermi all'interno di una realtà virtuale, credevo scioccamente di aver compreso, almeno in parte, alcune delle leggi e delle sfasature di questo mondo. Ricordai le parole di Amal: "pensa solo che tutto quello che vedi è finto anche se sembra reale e che puoi controllarlo un po'...cerca comunque di non pensare cose brutte, sennò di solito succedono... ". Prima ero convinto che Cicero fosse un personaggio incongruente, ma non capivo il perché, ora invece lo vedevo per ciò che era: una semplice proiezione della coscienza di qualcuno, se non addirittura una banale simulazione che io avevo creato per me stesso. Avrei provato a seguirne i consigli e le regole. Volli dargli fiducia, credendolo un po' come la proiezione del mio Maestro Interiore.

Il corridoio continuò ad aumentare la sua inclinazione fino a tuffarsi letteralmente verso il basso. Sebbene stessimo praticamente precipitando, i nostri piedi rimanevamo sospesi a una decina di centimetri dal canale. Cominciai a notare, sul distantissimo fondo di quell'abisso, un riflesso blu oltremare, uno sfondo d'oceano che si stagliava oscuro, delineando i contorni delle piattaforme che ci saettavano velocemente da ogni lato. Una luce spettrale e innaturale si diffondeva da quel fondo indistinto, senza che si riuscisse a capire quale ne fosse la fonte.

La nostra corsa cominciò a diminuire di velocità e contemporaneamente sentii che stava diminuendo anche la pendenza. La sensazione era quella di star raggiungendo il fondo di un iperbolico e chilometrico scivolo. Seguii l'onda di quella sensazione e mi lasciai trasportare fino a che non ci fermammo con un semplice passo su una piattaforma trasparente, forse di vetro.

Ora che eravamo fermi riuscivo a vedere distintamente sotto i miei piedi. Avevamo percorso circa metà di quel abisso e sembrava che sul suo fondo non ci fosse nient'altro che una distesa d'acqua, una sorta di mare sotterraneo: probabilmente un bacino idrico che raccoglieva le acque residue della Senna. "Tutto qui?", pensai. Sicuramente ci dovevano essere su quel fondo delle sale di controllo, dei terminali e dei generatori di energia. Giudicai che la distanza fosse ancora troppa per poter discernere con esattezza alcunché. Era impossibile dare un giudizio. "Probabilmente ci sono delle stazioni laterali che non riesco a vedere da qui", pensai molto semplicemente.

Cicero allungò il braccio indicando qualcosa a breve distanza, proprio di fronte a noi. Giusto a ridosso del muro dal quale si allungava la nostra piattaforma trasparente c'era una cabina.

«la RAM», disse, «al suo interno vi sono contenuti tutti i dati che compongono le tue identità. Quando uscirai dall'altra parte sarai Uno e riuscirai a vedere il Maelstrom».

Per quanto mi fosse stata ripetuta questa cosa, le parole di Cicero non sembravano aggiungere nessuna delucidazione utile. Riconobbi comunque immediatamente l'oggetto che mi stava di fronte: era una cabina di trasferimento, identica a quelle dello snodo. Vedendola, ogni mia sicurezza, ogni ragionamento svanì, per lasciare posto ad un rinnovato senso di spaesamento e di frustrazione. Come mi si poteva chiedere di entrare lì dentro a sangue freddo, ancora una volta? Il Lama aveva detto esplicitamente che non c'era via d'uscita dall'Ade. Quindi cosa avrebbe comportato un mio ulteriore tentativo di teletrasporto? Dove sarei finito questa volta?

Tentai di rassicurare me stesso pensando al fatto che faceva tutto parte di una simulazione, della quale ero il protagonista. Indugiai nuovamente sulla riflessione che avevo fatto appena uscito dal tempio, e mi domandai: "Se veramente tutto ciò che vedo è una simulazione, un luogo creato dalla mia coscienza, qual è il ruolo di Amal?" Non ero in grado di comprendere come potessi avere un attaccamento così morboso verso una "persona" così lontana e diversa da me. Non capivo il perché le dessi così tanta e ingiustificata importanza e perché rischiassi così tanto per lei.

Questi dubbi si fecero strada, strisciando tra i meandri della mia psiche, restituendomi alla più buia e agghiacciante paura di perdere ogni cosa. Sentivo ora, con rinnovata potenza, l'imperare di quell'istinto di sopravvivenza che Cicero denotava nei dannati. Non volevo entrare.

Mi sentivo perso nell'oblio di questo mondo e mi erano state date due opzioni per poter rivedere Amal: l'orologio e l'abisso, ma solo la seconda delle due, a quanto avevo capito, mi permetteva di incontrarla di persona. Mi era stato detto dal gatto nero che avrei dovuto assorbire i ricordi, le esperienze e il dolore della moltitudine. Anche Amal era intrappolata in questo incubo, in questo dolore?

Ebbi paura. Non fu più la volontà di riunirmi a lei, ma la volontà di saperla in salvo a spingere le mie successive decisioni. La paura divenne terrore e disperazione, inginocchiato al di sopra del nulla mi colsero le vertigini e un senso di nausea.

Allungai il braccio sinistro e quasi in preda al panico balbettai: «e-effettua olochiamata... A-Amal...».

Qualche istante dopo comparve la sua figura a mezz'aria sopra il dispositivo. Aveva una espressione dura e distante, che esprimeva con evidenza rimprovero e disprezzo. «Cosa vuoi?», disse seccamente. Sembrava non cogliere minimamente il mio evidente sconvolgimento, oppure non se ne curava.

«S-stai bene Stella? Dove sei... sei al sicuro?».

«Sì, sono a casa, che cazzo vuoi?». La sua voce era alterata e scocciata, ne fui ferito profondamente. Sembrava mi stesse facendo un favore a rispondermi, una concessione. Avrei potuto anche morire e non gliene avrebbe importato nulla! Non ci credevo.

«Amal... so che sei qui da qualche parte, non preoccuparti... sto arrivando e ce ne andremo assieme da questo inferno».

«Ma chissene... fai quel cazzo che ti pare, ma non sognarti di provare a cercarmi! Fatti una vita!».

La sua immagine scomparve lasciandomi interdetto e distrutto.

Cicero era rimasto in piedi a pochi passi di distanza. Aveva assistito a tutto e non aveva fiatato.

«Perché?» sussurrai con gli occhi sbarrati verso la cabina, mentre le lacrime scendevano silenziose rigandomi il volto, «non ha nessun senso! Lei mi amava...».

«Ama come se più tardi dovessi odiare». Sentenziò in risposta Cicero, invitandomi ancora una volta verso la cabina con un gesto del braccio. Aveva un'espressione grave.

Mi alzai e mi inviai meccanicamente verso la cabina. I miei piedi si muovevano quasi da soli. Posto di fronte al vetro oscurato della cabina scorsi il riflesso di un volto. Sovrapposi l'immagine del viso di Amal alla mia, fino a riuscire a distinguerne nitidamente le fattezze e l'espressione: sorridente, pazza, spensierata... felice.

«Il volto è lo specchio dell'anima», dissi: erano parole che non uscivano da me, ma da una sorta di spirito che sembrava controllarmi intimamente.

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