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Autore: Jade Tisdale    15/11/2017    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 16:
Protecting you

 

 

There’s a room where the light won’t find you
Holding hands while the walls come tumbling down
When they do I’ll be right behind you

 


«Ricapitolando, abbiamo festoni, palloncini, piatti e bicchieri... che altro? Ah, sì, ci sono anche i cappellini di carta. Eppure ho come l’impressione che manchi qualcosa...»
Nyssa osservò prima Sara, poi la lista che aveva tra le mani, e infine di nuovo Sara. «Non dimentichi la torta?»
«È vero, all’inizio mi ero scordata della torta, ma ho già rimediato. Ho chiesto ad Adam di prepararmene una domattina, così sarà pronta per l’ora di cena.»
«E da quando tu e Adam siete amici?»
«Da quando mi ha prestato il suo libro di cucina. Ci sono delle ricette che devo assolutamente provare!» Di fronte all’occhiata confusa di Nyssa, Sara si schiarì la voce. «Comunque, c’è ancora qualcosa che non quadra. Pensò che farò un salto al supermercato. Magari durante il tragitto mi verrà in mente cosa manca.»
«Vuoi che ti accompagni?»
«No, ieri sera sei rimasta al lavoro fino a tardi, perciò è giusto che ti riposi. Posso provare a chiedere a mio padre se ha voglia di venire con me.»
La figlia di Ra’s abbassò improvvisamente il volume della TV, guardando Sara dritto negli occhi. «Voi due non avete più parlato di quello che è successo la settimana scorsa, non è vero?»
Canary arricciò il naso. «No. Credo che sia rimasto scosso nel vedermi combattere con un mercenario della Lega.»
«E ti aspetti che io creda che ti farai accompagnare da lui anche se non vi parlate da almeno dieci giorni?»
Sara fece una smorfia, trattenendo a stento un sospiro. «Ti prego, lasciami andare da sola. Non puoi tenermi rinchiusa nella torre per sempre.»
«Non sto rinchiudendo nessuno. Sto solo cercando di proteggerti.»
«“Prima o poi arriveranno”» sussurrò Sara, stringendosi nelle spalle. «Sei stata tu a dirmi questa frase. E hai anche aggiunto che a quel punto non avremmo più potuto fare nulla.»
«Lo so» esordì cautamente Nyssa, poggiando una mano su quella di Sara. «Ma ciò non significa che dobbiamo smettere di essere prudenti.»
«Non dobbiamo neanche smettere di vivere, se è per questo.»
La mora ritrasse di colpo la mano, come se con quelle parole Sara le avesse dato la scossa.
«Ti invierò un messaggio non appena arriverò al supermercato, okay? E un altro quando sarò sulla via di casa. Non mi capiterà niente, lo giuro.»
Nyssa percepì un brivido attraversarle la schiena. Era strano come appena una settimana prima Sara fosse scoppiata in lacrime tra le sue braccia al pensiero di aver dovuto combattere contro uno della Lega,, mentre adesso sembrava aver ritrovato tutto il coraggio e la forza che aveva perso quel giorno. Non riusciva a spiegarsi come potesse essere così tranquilla pur sapendo di avere costantemente un mirino puntato alla propria testa.
«E va bene» soffiò l’Erede, abbozzando un sorriso. «Ma se non torni entro un’ora ti verrò a prendere.»
«Non ti preoccupare. Sarò più veloce di un fulmine» rise Sara, scoccandole un bacio sulla guancia.
«Lo spero.»
Sara fece per alzarsi dal divano, ma quando si ritrovò in piedi, fu costretta a piegarsi in due dal dolore. Si portò una mano alla schiena e l’altra sul pancione, mentre Nyssa si affrettò a sorreggerla per evitare che cadesse.
«Sara?» esclamò, spaventata. «Sara, cos’è successo?»
«N-Niente» balbettò lei, rimettendosi in posizione eretta. «Non lo so. È stato come un... Non saprei nemmeno io come definirlo. È come se qualcuno mi avesse dato un calcio alla schiena, e al tempo stesso ho percepito qualcosa qui» spiegò, toccandosi il basso ventre.
«Il bambino ha scalciato troppo forte?»
«No, è stato qualcosa di diverso. Più forte di un calcio.»
Nyssa si incupì, stringendo appena il braccio di Sara. «Stenditi.»
«Ma, Nyssa...»
«Sara, non cominciare.»
«Il compleanno di Laurel è domani.»
«Non ha importanza. Andrò al supermercato più tardi. Adesso stenditi sul divano e cerca di riposare.»
Sara non si oppose; al contrario, annuì e si fece aiutare da Nyssa per mettersi comoda. Stava già meglio, ma provava ancora una strana sensazione che non avrebbe saputo decifrare.
Nyssa le mise una mano sulla fronte. «Vado a prenderti dell’acqua» disse agitata, scomparendo in cucina. Quando tornò, aveva un bicchiere pieno nella mano destra e una busta bianca in quella sinistra.
«Sara» proruppe poi, porgendole la busta. «Hai dimenticato di spedire gli inviti per la festa.»



Oliver riemerse da una pila di scatoloni con una bottiglia di whiskey in mano e un sorriso soddisfatto.
«Com’è che all’improvviso il Verdant è così fornito?» ironizzò Dig, porgendo all’amico il proprio bicchiere vuoto.
«Dobbiamo ringraziare Thea e i soldi di Merlyn. Quando il Verdant riaprirà, avremo a nostra disposizione almeno qualche centinaia di queste ogni notte» spiegò, alzando in aria la bottiglia di vetro.
«E cosa ti fa credere che a tua sorella andrà bene?»
«Rischiamo le nostre vite per salvare quelle di persone innocenti. Tra cui la sua. Credo che questo potrebbe essere un ottimo modo per ringraziarci.»
John scosse il capo divertito. «Sai, non ti ho conosciuto nel pieno della tua adolescenza, ma credo che questa sarebbe una tipica frase del vecchio Oliver.»
Il diretto interessato rise appena. «Sto solo scherzando. Thea ha messo da parte una scatola di liquori per la squadra, tutto qui.»
«Lo immaginavo» affermò Diggle, sollevando il bicchiere ormai non più vuoto. «A cosa brindiamo?»
«A tua figlia» rispose Arrow, senza nemmeno pensarci due volte.
«E alla tua» proseguì John. «O al tuo, visto che non si sa ancora se diventerà un giocatore di football o una ballerina.»
Oliver sembrò sul punto di arrossire, ma prima che l’amico potesse accorgersene, fece tintinnare i loro bicchieri. «Affare fatto.»
Dig buttò giù un sorso di whiskey. «Ormai siamo padri, Oliver. Tutti e due. E pensare che fino all’anno scorso ero solo la tua guardia del corpo.»
«In realtà, sono quasi passati due anni dal giorno in cui mia madre ti ha ingaggiato per evitare che mi cacciassi nei guai» rivelò Oliver, osservando il fondo del proprio bicchiere. «Non riesco a credere che le nostre vite siano cambiate così tanto in così poco tempo.»
«Non dirlo a me, fratello» continuò John, scuotendo nervosamente il capo. «Non dirlo a me.»
«A proposito, mi sono dimenticato di chiedertelo prima. Come mai hai scelto il nome “Lisa” per tua figlia?»
«Io e Lyla lo abbiamo scelto insieme, in realtà» spiegò Diggle, poggiando il tumbler ormai vuoto sul bancone. «Significa “la promessa di Dio”. Volevamo che la nostra primogenita avesse un nome con un significato particolare. Le persone con questo nome sono tenaci, avventurose e incredibilmente combattive. Un po’ come sua madre.» Rise.
«Già. Sembra proprio la descrizione di Lyla.» I due si scambiarono un’occhiata. «È davvero un bel nome.»
«Grazie. E tu e Sara? Avete già pensato a un nome?»
«Sinceramente? Non ne abbiamo neanche mai parlato.»
«Oh, andiamo. Se dovessi scegliere un nome adesso, proprio ora, quale sarebbe il primo a venirti in mente?»
L’uomo sembrò pensarci su per qualche istante. «Se fosse un maschio, lo chiamerei Tommy.» Dig sorrise appena nell’udire quel nome. «Ma con tutto quello di cui mi sono dovuto occupare in questo periodo, non ci ho mai pensato seriamente. E poi è giusto che sia Sara a scegliere il nome.»
«Lo avete fatto in due, Oliver.»
«Lo so. Ma lei ha voluto questo bambino più di quanto lo volessi io. È un motivo più che valido per darle la precedenza sulle decisioni importanti.» Arrow buttò giù tutto il whiskey in un colpo solo, chiudendo gli occhi al passaggio del liquore nella sua gola. Un giorno, forse, avrebbe smesso di darsi la colpa per aver scelto Felicity al suo bambino. Ma quel giorno non era ancora arrivato. «E Alena?»
Diggle prese un respiro profondo. «È un nome che ho sentito in Afghanistan durante i miei ultimi mesi di servizio. Un villaggio era stato bombardato dai Talebani, e noi stavamo aiutando i sopravvissuti a cercare i loro cari in mezzo a centinaia di morti. Trovai una bambina ancora in fasce poco distante. Le mancavano un braccio e una gamba. Quando la madre l’ha riconosciuta, è scoppiata in un mare di lacrime, e mi ha chiesto di seppellirla in un posto lontano.»
Oliver si paralizzò sullo sgabello, scioccato. «E tu lo hai fatto?»
Dig sospirò pesantemente, passandosi una mano sul collo. «Non potevo dirle di no. Voleva che la sua bambina riposasse per sempre in un posto più pacifico. È addirittura arrivata a chiedermi di portarla in America, ma sapeva che era impossibile. L’abbiamo messa insieme agli altri bambini. È stata la cosa più difficile che mi abbiano mai chiesto di fare.»
Istintivamente, Oliver si ritrovò a pensare a quando aveva seppellito il corpo di suo padre, Yao Fei, Shado e infine Taiana. Aveva visto morire davanti ai propri occhi Akio Yamashiro, sua madre e persino Sara, ma nonostante tutto Oliver aveva sempre trovato la forza per andare avanti. Non poteva immaginare quale impatto avesse avuto in John vedere un neonato morto e mutilato e doverlo seppellire insieme a chissà quanti altri bambini sotto i sei anni.
«Io…» Si schiarì la voce, inspirando a fondo. «La bambina si chiamava Alena, giusto?»
Diggle scosse la testa. «No. Quando l’abbiamo trovata non le era ancora stato dato un nome. Alena era la sorella più grande, morta qualche anno prima per poliomielite. È stato uno di quei momenti che ti cambiano la vita. Dover dire a una donna che ha già perso una figlia che la sua bambina nata da poco è morta a causa di una bomba.» Fissò distrattamente un punto nel vuoto, ripensando con dolore agli avvenimenti di quel giorno ormai lontano. «Alena è un nome che mi ricorda quanto la vita possa essere tremenda, ma come un figlio possa rendere tutto migliore. Quella bambina era una guerriera, Oliver. E voglio che anche Lisa diventi forte come una combattente.»
«Trattandosi di tua figlia, John, sono più che sicuro che sarà una tosta.»
«E tua moglie ha acconsentito a darle quel nome pur sapendo quale storia celasse?»
«In realtà, potrei avere omesso qualche particolare» rivelò Dig, rivolto alla terza voce. «E comunque non è mia moglie. O almeno, non più.»
«Vorrai dire “non ancora”.»
Nyssa rise sotto ai baffi nello scorgere l’imbarazzo negli occhi dell’uomo. Era sempre stata brava nello scoprire rapidamente i punti deboli delle persone.
«Cosa vi porta qui?» domandò Oliver rivolto a Sara, la quale aveva la mano stretta intorno al braccio di Nyssa.
«Stavamo solo facendo una passeggiata. E poi, qualcuno ci ha avvertite che era un ottimo giorno per festeggiare» aggiunse l’Erede del Demonio, mentre faceva l’occhiolino a John.
«Beh, allora direi che si può cominciare a bere, giusto?» scherzò Sara, con un’alzata di spalle.
«Non ti preoccupare. Berrò anche per te» rispose la mora, ricevendo in tutta risposta un finto broncio da parte dell’amata.
«Per te ci vuole qualcosa di più leggero» spiegò Oliver, mettendosi le mani in tasca. «Tipo dell’acqua gassata.»
Prima che Sara potesse rispondere a dovere, il suo iniziò a squillare all’improvviso. Quando la donna lesse il numero sullo schermo, puntò l’indice in direzione di Oliver. «Devo rispondere, ma ti consiglio di trovare da qualche parte una birra analcolica prima che ritorni.»
Il vigilante trattenne una risata, mentre Sara si allontanò rapidamente dal gruppetto.
«Pronto?»
Silenzio. Nessuno rispose. Poi, dopo qualche secondo, udì qualcuno dall’altro capo del telefono schiarirsi la gola, e Sara capì all’istante chi fosse.
«Scusa se ti chiamo da una cabina telefonica, ma ho dimenticato il cellulare a casa di Rick e non mi andava di tornare a prenderlo.»
«Figurati. C’è qualcosa che non va?»
«Sì. Cioè, no. Volevo solo... parlarti di una cosa.»
Sara prese un respiro profondo, pronta ad ascoltare quello che Sin aveva da dirle.
«Ecco, io... Volevo ringraziare te e Nyssa per avermi ospitata a casa vostra nelle ultime settimane. È stato un gesto davvero generoso da parte vostra.»
«Non dirlo nemmeno. Sai che potrai sempre contare su di noi.»
Cindy sospirò sommessamente, ma Canary percepì comunque il suo malessere. «Sin, sai che a me puoi dire tutto, vero? Tu e Richard avete litigato?»
«No, anzi, tutto il contrario» si affrettò a rispondere la mora, imbarazzata. «Ho deciso di andare a vivere con lui. Insomma, di provarci.» Fece un pausa, pensando con attenzione alle parole da usare. « Sono passata poco fa a prendere le mie cose e a salutarvi, ma non vi ho trovate a casa. Ho nascosto la chiave sotto allo zerbino.»
«Sei ancora nei paraggi? Possiamo rientrare subito, se vuoi. Siamo...»
«Sta’ tranquilla, Sara. Mi trasferisco soltanto un paio di chilometri più in là. Potremmo vederci tutte le volte che vorremo» la rassicurò Sin, anche se in realtà quella più spaventata delle due doveva essere lei.
La bionda annuì convinta. «Hai ragione. Possiamo vederci quando vogliamo. E poi, tra un paio di mesi, ti insegnerò come cambiare un pannolino.»
«Passo!» Cindy scoppiò in una sonora risata, mentre a Sara cominciarono a pizzicare gli occhi. «Sarà meglio che vada. Il tempo sta per scadere.» Le tremava la voce mentre pronunciava quelle parole. «Beh, allora... ci vediamo.»
Sara avrebbe tanto voluto dirle di non andarsene, di restare a vivere insieme a loro ancora un po’, di aspettare almeno che nascesse il bambino. Anche se Sin passava la maggior parte delle sue serate in giro per la città, sia lei che Nyssa ormai si erano abituate all’idea di avere una ragazzina in giro per casa. Non erano mai state infastidite dalla sua presenza, anzi: fino ad allora Cindy non aveva fatto altro che rendere le loro giornate un po’ più semplici.
Ma Sin ormai era adulta, un’adulta pronta ad andare a convivere con il suo ragazzo. E Sara doveva lasciarla andare.
«Aspetta!» urlò all’improvviso, assicurandosi che la mora non riattaccasse. «E la tua cassettiera?»
«Puoi tenerla» soffiò Sin, come se fosse stata la cosa più ovvia del mondo. «Al momento non mi posso permettere un regalo per il bambino, perciò… spero potrai apprezzare comunque il gesto.»
A Sara si scaldò il cuore. «Lo apprezzo molto, Sin.» Subito dopo, la comunicazione si interruppe.
Sara mise il cellulare in tasca e si passò l’indice sotto all’occhio destro. Non avrebbe avuto alcun senso piangere. Doveva essere felice per la sua amica, la quale aveva finalmente trovato il coraggio di dare una svolta alla propria vita. Scosse il capo, ricacciando indietro le lacrime. Sii felice.
Quando Sara ebbe raggiunto nuovamente il gruppo, Nyssa stava parlando animatamente con Diggle riguardo a sua figlia, mentre Oliver teneva lo sguardo fisso sullo schermo del proprio cellulare.
«Aspetti una telefonata importante?»
Oliver, colto alla sprovvista, alzò lo sguardo spaesato. «Cosa...? Oh, no, stavo solo cercando di rintracciare Felicity. Stranamente non risponde alle mie chiamate.»
«Forse è in una zona in cui non c’è campo. Perché non riprovi?»
«Non ce n’è bisogno.»
Felicity li raggiunse a passo spedito, il fiato corto e il volto pallido. Prima che qualcuno potesse chiederle cosa le fosse capitato, lei riprese la parola.
«Dovete venire a vedere.»
I presenti si scambiarono occhiate confuse, ma non esitarono un secondo di più. Uscirono dal Verdant il più in fretta possibile, e la prima cosa che videro una volta in strada fu un’immensa scia viola squarciare il cielo sopra un palazzo. Un segnale di fumo.
Il respiro di Sara si fece affannoso.  La Lega degli Assassini, avrebbe voluto dire, ma prima che potesse tramutare quel pensiero in parole, Nyssa fece un passo avanti e guardò Oliver negli occhi, più seria che mai.
«Non vi immischiate.»
E si allontanò di corsa prima che qualcuno potesse fermarla.



«Cos’hai intenzione di fare?»
Nyssa si infilò i guanti da combattimento sotto lo sguardo accusatorio di Sara. «A te cosa sembra?»
«Mi sembra che tu voglia farti ammazzare.»
L’Erede del Demonio strinse i denti nell’udire quell’affronto. «Sono sopravvissuta alle missioni più pericolose che un uomo potesse affrontare. So badare a me stessa, Sara. Sarab non mi fa di certo paura.»
«Non è di lui che mi preoccupo» spiegò la bionda, una vena di paura nella voce. «Ma tuo padre...»
«Lui non sarà più un problema da oggi in poi.»
Sara, confusa e scioccata nel sentire quelle parole, aggrottò la fronte. «Che intendi dire?»
Nyssa contò le frecce, le ripose con cura nella faretra e se la mise sulle spalle. «Me ne occupo io. Tu resta qui.»
«No.» Sara si frappose tra Nyssa e la porta, stringendole il braccio con tutte le forze che aveva. «Se credi davvero che ti permetterò di sacrificarti per me‒»
«Sarab vuole me» soffiò la mora con decisione. «Ti ha usata solo per arrivare a me. È me che voleva fin dal principio. Se mi uccide, potrà diventare il nuovo Erede del Demonio. Ma se invece lo uccido io...»
Sara deglutì con forza, terrorizzata all’idea che Maseo giocasse sporco e riuscisse così ad avere la meglio sulla sua amata. «Non sappiamo cosa ti attende. Maseo potrebbe essersi trascinato dietro un intero esercito. E nonostante ciò, tu vuoi che io me ne stia in disparte.»
«Non saresti di grande aiuto sul campo nelle tue condizioni attuali.»
«E Oliver? Gli avevi chiesto di darci una mano in caso di necessità. Perché di punto in bianco hai deciso di giocare al lupo solitario e di andare a combattere per conto tuo?»
Nyssa si liberò dalla stretta di Sara con un forte strattone, dopodiché le immobilizzò entrambe le braccia con una mano e poggiò l’altra sulla sua nuca.
«Ascoltami bene» sussurrò, mentre gli occhi glaciali di Sara la scrutavano con attenzione. «Ho troppi cadaveri sulla coscienza. Non voglio che altre persone muoiano a causa mia. Soprattutto il padre di mio figlio.»
Sara non voleva sentire il resto di quella frase. Voleva che Nyssa la baciasse, che le dicesse che sarebbero potute scappare ancora, e ancora, e ancora, fino a quando Ra’s si sarebbe scordato di loro e avrebbe smesso di dargli la caccia. Ma Nyssa non fece nulla di tutto ciò.
«Non sto andando a morire. Sto andando a combattere per noi. Per te. Sto andando a salvarti la vita.»
«Allora permettimi di venire con te. Combattiamo insieme questa guerra.»
Canary riuscì a scorgere l’ombra di un sorriso sulle labbra di Nyssa, ma fu solo per un istante. «Ho bisogno di sapere che sarai al sicuro. Oliver e gli altri ti proteggeranno. Di questo ne sono certa.»
Sara cercò di lottare, di liberarsi dalla presa di Nyssa, ma era tutto inutile. Avrebbe tanto voluto dire qualcosa, anche solo una parola, una sillaba, ma aveva gli occhi pieni di lacrime e il cuore in gola, e così le uscì solo un lamento strozzato.
«Ti amo, Sara» sussurrò la donna dai capelli neri, divorata dal dolore. Poi, con estrema delicatezza, si avvicinò all’amata di qualche centimetro, facendole credere che l’avrebbe baciata. Si fermò a un soffio dalle sue labbra, fece pressione sul suo collo e la strinse tra le proprie braccia quando perse i sensi. La adagiò a terra con cura, scostandole i capelli dal viso per ammirare quanto fosse diventata bella. Spostò la mano ancora più in basso, indugiando sul pancione, e fu allora che capì di non potersi permettere altro tempo.



Quella notte, Starling City pareva più buia che mai. In cielo non c’erano stelle, e la luna era coperta da una coltre di nuvole. Come se l’universo già sapesse che qualcuno, quella stessa notte, avrebbe necessitato del buio per agire a proprio favore.
Nyssa arrivò in cima al palazzo con solo l’oscurità a farle compagnia. Teneva l’arco teso, pronta a scoccare una freccia contro chiunque intralciasse il suo cammino. Non percepiva il minimo rumore, ed era questo che la preoccupava più di tutto.
Sapeva che Sara era al sicuro. L’aveva portata in uno dei loro nascondigli segreti, sulla cima di un edificio a Howard Street. Nessuno l’avrebbe trovata. Nessuno le avrebbe fatto del male. Doveva solo trovare un accordo con Maseo, o eventualmente ucciderlo, e tutto si sarebbe sistemato. Tutto sarebbe tornato alla normalità.
«Ero convinto che ti saresti presentata in compagnia dei tuoi nuovi amici.»
Nyssa si voltò lentamente, inspirando a pieni polmoni l’aria gelida dell’autunno. «Sono la figlia di Ra’s al Ghul, Erede del Demonio. A differenza tua, io non ho bisogno di un esercito» disse cautamente lei, alludendo alla dozzina di mercenari che se ne stavano impalati dietro a Sarab.
«Loro sono qui solo per essere testimoni di questo incontro. Se non lo avessi capito, è stato Ra’s al Ghul in persona a chiedermi di tenere d’occhio sia te che Ta-er al-Sahfer» spiegò il giapponese.
Nyssa digrignò i denti. Le sue teorie si erano rivelate sbagliate... a metà.
«Credo sia inutile dirti che tuo padre è molto deluso dal tuo comportamento. Ma in fondo, se lo aspettava.»
«Se aveva qualcosa da dirmi, poteva anche farlo con la sua lingua.»
«Non avrebbe mai attraversato il globo solo per darti una lezione simile. Dovresti saperlo bene.»
Un sorriso amaro contornò le labbra della mora. «No, ma certo. Non muoverebbe un dito nemmeno se qualcuno lo minacciasse di uccidermi. Per questo ha mandato te. Il suo burattino.» Nyssa cercò di calcare il più possibile quella parola, attendendo una reazione imprevedibile da parte di Maseo. «Non mi stupisce che tu non sia ancora riuscito a tagliare i fili. D’altronde, c’era da aspettarselo da uno come te.»
L’uomo incrociò le mani e dedicò all’Erede uno sguardo divertito. «Giusto perché tu lo sappia, tuo padre ha sospettato che gli stessi nascondendo qualcosa fin dal giorno in cui tu e Sara ve ne siete andate. Mi ha chiesto di ingaggiare i migliori guerrieri per potervi controllare senza dare nell’occhio, e indovina un po’ come ha reagito quando ha scoperto della gravidanza di Ta-er al-Sahfer?»
Nyssa deglutì impercettibilmente, mentre Maseo la osservava con quel ghigno insopportabile.
«Sapeva che le parole non sarebbero servite con te. Sapeva che non saresti più tornata indietro.» Fece una pausa, mentre una lieve brezza gli accarezzava i capelli raccolti nella sua solita coda bassa. «Così, mi ha dato l’autorizzazione per passare alla fase due.»
«Che suppongo fosse ucciderci, giusto?»
Maseo colse l’ironia nel tono di Nyssa, ma restò serio. «No. Ra’s al Ghul voleva solo pareggiare i conti. O almeno, era così inizialmente. Adesso, invece...»
Il rumore di un tuono interruppe bruscamente la conversazione tra i due. Sarab alzò lo sguardo verso il cielo, scuro e prossimo alla pioggia. Nyssa, invece, non mosse un muscolo, pronta ad agire.
«Le cose sono cambiate.»
Maseo estrasse la katana dalla fondina e si avventò sulla donna ad una velocità quasi impercettibile. Nyssa scoccò una freccia, che Sarab parò con la propria arma; subito dopo, lui tentò di colpirla all’addome, ma Nyssa fu più scaltra e si difese con il proprio arco, spingendolo contro la resistenza della katana.
«Ritirati prima che sia troppo tardi, Sarab. Non ho voglia di perdere il mio tempo con te» lo sfidò la figlia del Demonio, con gli occhi carichi di rabbia.
«Non esiste che io perda questo incontro. Dimostrerò a tuo padre che sono degno del mio nome.»
L’uomo lasciò andare la presa, ritraendosi bruscamente e indietreggiando di qualche passo. Nyssa rischiò di perdere l’equilibrio, ma puntò i piedi a terra e digrignò i denti, visibilmente adirata.
«Io sono Nyssa al Ghul, Erede del Demonio. E ti ordino di darmi ascolto!»
Maseo non si lasciò intimidire dalle grida di Nyssa. Al contrario, sporse il mento in avanti, con aria di sfida. «Io servo Ra’s al Ghul. Non prendo ordini da un semplice guerriero come te.»
A quel punto, Nyssa divenne furente. Colpì Maseo dritto allo stomaco, per poi assestargli un gancio destro in pieno viso e rubargli la katana. Con un calcio lo costrinse a inginocchiarsi a terra, e gli puntò la lama alla gola, cosicché lui fosse obbligato a guardarla negli occhi.
«Ho dato ordine ai miei uomini di ucciderti in caso tu decidessi di uccidere me» la informò il giapponese, senza mostrare il minimo segno di terrore. «Tuo padre non potrà prendersela con un uomo morto, perciò non verrò punito per averti uccisa e aver disobbedito ai suoi ordini.» Sarab osservò fiero lo sguardo impotente della figlia di Ra’s al Ghul. «Per quanto tu possa sforzarti di raggiungermi, sono sempre un passo avanti a te. Perciò, sei tu quella che dovrebbe arrendersi dei due.»
Maseo afferrò la katana con la mano destra, mentre con quella sinistra assestò un pugno sul viso di Nyssa. I suoi movimenti furono così rapidi che l’Erede non ebbe il tempo di prevederli. L’arco di Nyssa cadde a terra, e un rivolo di sangue le uscì dal naso. Si pulì col dorso della mano, dopodiché si liberò della faretra, consapevole che la scelta migliore per fronteggiare Maseo era un corpo a corpo. Nel frattempo, l’uomo puntò la propria arma alla gola di Nyssa, capovolgendo la situazione di pochi secondi prima.
«Farà un po’ male, ma mi assicurerò che tu non muoia» spiegò l'uomo, scendendo lentamente fino all’altezza dello stomaco di Nyssa. «Forse ti resterà una cicatrice. O magari, potrebbe andarti peggio...»
«Ti consiglio di non farlo.»
Sarab avrebbe riconosciuto quella voce ovunque. Per questo motivo, anziché alzare lo sguardo per guardare la sua interlocutrice negli occhi, si limitò a sorridere sotto ai baffi.
«Felice di rivederti, Al-Sahfer. È ammirevole che tu voglia combattere nonostante la tua... situazione.»
A Nyssa si raggelò il sangue. Quanto tempo era passato da quando aveva lasciato Sara nel loro rifugio? Un’ora, forse? O molto di più? Non seppe darsi una risposta, ma quello che era certo era che Sara aveva ripreso conoscenza prima del previsto. Troppo prima.
«Allontanati da lei, o giuro che ti pianto una freccia in un occhio» lo minacciò la donna, l’arco teso in direzione del suo viso.
Maseo osservò prima Nyssa, poi Sara, e infine di nuovo Nyssa. Non aveva affatto paura di Sara, questo lo sapevano bene entrambi, ma decise comunque di ritrarre la katana e di indietreggiare di qualche passo. Non appena Sarab si fu allontanato, Nyssa si voltò in direzione di Canary, che aveva l’arco ancora puntato in direzione dell’uomo.
«Che stai facendo?» domando la figlia di Ra’s, un pizzico di preoccupazione nella voce.
«Ti salvo la vita.»
Nyssa serrò la mascella, cogliendo al volo l’allusione alle parole che aveva pronunciato lei stessa poco prima. Il suo desiderio in quel momento era di stringere Sara tra le propria braccia e di metterla al sicuro, ma ormai era troppo tardi. Non aveva idea di quello che sarebbe successo di lì a poco, ma ormai Sara non avrebbe più potuto scappare. C’erano dentro insieme.
«Bene bene» esordì ad un tratto Sarab, iniziando ad applaudire in modo ironico. «A quanto vedo nemmeno la gravidanza ti può fermare, Al-Sahfer.»
«Il mio nome è Sara Lance.»
Maseo si lasciò andare ad una risatina amara. «Già. Non sei mai stata davvero una di noi. Sei riuscita persino a raggirare la figlia del Demonio.»
«Sono stata una di voi fin troppo a lungo» lo schernì la bionda, mentre l’amata tratteneva a stento la propria collera. «E Nyssa è perfettamente in grado di prendere le sue decisioni da sola.»
«Non è quello che pensa suo padre.»
«Quello che pensa mio padre è irrilevante» s’intromise l’Erede del Demonio, mentre minuscole goccioline di pioggia si insidiavano tra i suoi capelli. «Nessuno ha il diritto di dirmi come devo vivere la mia vita.»
Per un istante, Sara provò una sensazione piacevole all’altezza del cuore. Era la prima volta che Nyssa si opponeva realmente al volere di suo padre. Era la prima volta che si ribellava a Ra’s al Ghul, e in un certo senso Sara era felice di vederla uscire finalmente dal suo guscio. Nyssa aveva trascorso la sua intera vita a subire le ingiustizie del padre, e adesso era finalmente riuscita a farsi valere. Era fiera della donna che si trovava davanti, fiera della persona che era diventata. Ma quello non era né il luogo, né tantomeno il momento adatto per dirglielo.
«Ciò non toglie che questi mesi lontano da casa ti abbiano rammollita. Se Ta-er al-Sahfer non fosse intervenuta, probabilmente a quest’ora saresti già morta. Sei una vergogna per tutti quei guerrieri che sono morti bramando l’agognato titolo che ti trascini dietro fin dal giorno della tua nascita.»
A quel punto, Nyssa non riuscì più a trattenersi. «Stai recitando alla perfezione il copione, giusto? Stai cercando di convincermi a farmi tornare a Nanda Parbat con te. So dove vuoi arrivare. Se non tornerò a casa, perderò il diritto a diventare la prossima Testa del Demonio.»
Un secondo lampo squarciò il cielo, incitando la pioggia a farsi più violenta. Alcuni degli uomini di Sarab indietreggiarono, coprendosi il volto con il braccio per cercare di contrastare il vento che si scagliava contro di loro.
«Se il problema è solo questo, allora puoi tornartene a casa vittorioso. Ti cedo il mio titolo di Erede del Demonio.»
Maseo scoppiò in una piccola risata. «Tuo padre sapeva che mi avresti fatto questa proposta.»
«Allora digli che mi hai sconfitta in combattimento. Digli che mi hai uccisa, e finiamola qui, adesso e per sempre.»
«Non è così semplice» spiegò Sarab, inspirando profondamente. «Ra’s vuole che ti riporti a casa ad ogni costo. Quello che accadrà dopo non mi riguarda. Ma devo obbedire al suo volere.»
Il temporale continuava a farsi sempre più brusco, ma né Sara, Nyssa o Maseo si mossero di un millimetro. Ogni momento sarebbe stato buono per ricominciare a combattere.
«A proposito, Al-Sahfer» riprese a dire l’uomo, voltandosi in direzione di Sara. «La Dottoressa Kawamura ti manda i suoi saluti.»
Sara si paralizzò, mentre uno strano formicolio le invase le gambe. No.
«Che cosa gli hai fatto?» domandò, stringendo con ancora più forza l’arco.
«È stato fin troppo facile convincerla a parlare. È bastato minacciarla di fare del male a suo figlio per farla cantare come una gallina» spiegò il giapponese, evitando spudoratamente di rispondere alla domanda di Canary.
«Se le hai torto anche solo un capello, ti giuro che‒»
«Come puoi anche solo credere che io abbia paura di te? Non sarei intimidito nemmeno se tu e Nyssa combatteste insieme. Come potrei temervi se non siete nemmeno riuscite a tenere testa all’agente Richards?»
«Aspetta un attimo» esclamò Sara, allentando appena la presa sull’arco. «Quel nome...»
«Sei stato tu.» Nyssa impugnò la propria spada, sentendo la rabbia ribollirle nelle vene. «Sei stato tu a mandare l’Incantatrice.»
«Abbiamo diversi infiltrati all’H.I.V.E, in caso non lo sapessi» la informò l’uomo, rigirandosi distrattamente la katana tra le mani. La voglia di combattere che aleggiava tra lui e Nyssa era palpabile nell’aria intrisa di pioggia. «Ma sfortunatamente, la Richards non era una di loro. Era una semplice guerriera che cercava vendetta per il proprio coniuge deceduto, ma ho voluto comunque darle un’opportunità. Inutile dire che me ne sono sbarazzato personalmente subito dopo il suo fallimento.»
Ecco perché riuscivo a prevedere le sue mosse, rifletté la figlia di Ra’s al Ghul. Perché Damien Darhk e mio padre hanno ricevuto lo stesso addestramento.
«C’è solo un modo per porre fine a tutto questo» gridò Maseo, cercando di farsi sentire nonostante il rumore del temporale. «È una proposta che arriva direttamente da tuo padre. Ma ho voluto aspettare che fosse presente anche la tua amata per discuterne.»
Il fatto che Sarab si rivolgesse a Sara come “la sua amata” non faceva altro se non aumentare l’ira di Nyssa, la quale era pronta a scagliare il prossimo attacco.
«Una volta nato il figlio che Ta-er al-Sahfer porta in grembo, lui ‒ o lei ‒ dovrà essere consegnato alla Lega degli Assassini, diventando il nuovo Erede del Demonio.»
A Sara mancò il fiato per parlare. Il cuore prese a batterle talmente forte da farle temere che qualcuno potesse sentirlo martellare. Era un’idea assurda. Sapeva che Ra’s la odiava con tutta la sua anima, ma sarebbe davvero arrivato a tanto? Le avrebbe tolto il suo stesso figlio, pur di farle del male? Si diede della stupida per aver pensato il contrario. Ra’s aveva fatto lo stesso con la madre di Nyssa. L’aveva privata del lusso di poter vedere la propria figlia crescere. Per quale motivo non avrebbe dovuto fare lo stesso con lei?
«In questo modo, voi due potrete essere le artefici del vostro futuro. Se vorrete vivere una vita al di fuori della Lega, tuo padre non ve lo impedirà. Ma in cambio, vuole un’anima pura con cui poter ricominciare da zero. Un’anima che abbia il sangue di due guerrieri dignitosi come Sara Lance e Oliver Queen.»
«Come fai ad essere certo che il padre sia Oliver Queen?» domandò l’Erede del Demonio, i capelli fradici appiccicati al viso.
«Non dubitare delle risorse di tuo padre. Lui sa tutto» spiegò Sarab. «Ra’s alleverà questo bambino come se fosse suo figlio, addestrandolo come ha fatto con te e preparandolo ad accettare il suo destino. E un giorno, probabilmente, gli cederà il proprio anello, permettendogli di diventare il prossimo Ra’s al Ghul.»
«È la proposta più folle e meschina che abbia mai sentito» sibilò Nyssa disgustata.
«Non era questo che volevate? Poter essere libere? Ra’s vi sta offrendo questa possibilità su un piatto d’argento. In cambio dovrete solo pagare un piccolo prezzo.»
«Un piccolo prezzo? Non siamo tutti come te, Maseo. Non tutti rinunciano ai propri figli con così tanta facilità» azzardò Sara, la voce incrinata a causa della paura che qualcuno potesse portarle via il suo bambino. Il solo pensiero le dava la nausea.
Maseo non si lasciò sfuggire l’allusione, motivo per cui puntò la katana in direzione della bionda. «Sapevo che non avreste accettato. In tal caso, Ta-er al-Sahfer, ti dichiaro colpevole di tradimento: nei confronti di Ra’s al Ghul per aver deciso di avere un bambino senza il suo consenso; nei confronti di sua figlia, Nyssa al Ghul, legittima Erede del Demonio, tua amante, per aver concepito un figlio con un altro uomo; e nei confronti della Lega degli Assassini per aver lasciato Nanda Parbat come fuggitiva. In qualità di braccio destro di Ra’s al Ghul, ordino ai miei uomini di ucciderti in questo preciso istante.»
I mercenari obbedirono all’istante. Nonostante la pioggia, la maggior parte di loro prese a correre in direzione di Sara, la quale si difese a distanza servendosi dell’arco di Nyssa. Colpì un guerriero alla gamba sinistra, uno dritto al cuore, un altro all’altezza dello stomaco. Un quarto uomo la raggiunse, e fu allora che si ritrovò costretta a dover combattere con il proprio corpo. Gli sferrò un paio di calci, colpendolo prima in un fianco e poi in mezzo alle gambe; per concludere, gli assestò un pugno sulla mascella, facendolo cadere rovinosamente a terra.
Nel frattempo, Maseo camminava lentamente verso Nyssa. Lei lo squadrò, la spada ben salda nella mano destra.
«Dovrai passare sul mio cadavere prima di fare del male alla mia amata.»
Sarab ricambiò l’occhiata, impassibile. «Questa potrebbe essere la tua ultima possibilità di riappacificarti con tuo padre. Se la sprechi schierandoti dalla parte di quella traditrice, allora non credo gli dispiacerà più di tanto se ti uccido.»
«Puoi farne quello che vuoi di me» lo minacciò la donna, puntando la lama affilata al suo torace. «Ma non azzardarti a toccare Sara!»
Maseo non attese un secondo di più. Fece roteare la propria katana, la quale si scontrò con la spada di Nyssa. Il contatto tra le due armi diede vita ad una danza di attacchi aggressivi e impetuosi, tanto che nessuno dei presenti osò mettersi tra i due. I mercenari di Nanda Parbat si avventarono tutti su Sara, la quale riuscì a tenergli testa colpendo la maggior parte di loro prima che potessero raggiungerla. E quando le frecce finirono, iniziò a lanciare coltelli e shuriken, fino a quando non ebbe sconfitto tutti i guerrieri e poté finalmente tirare un sospiro di sollievo. Ma Nyssa non aveva ancora regolato i conti con Maseo.
La lotta era addirittura più cruenta di quella di pochi minuti prima. Né Sarab né Nyssa sembravano disposti a dar tregua all’altro, e Sara non aveva idea di come aiutare la sua amata. Se si fosse intromessa, avrebbe solo rischiato di peggiorare le cose, o addirittura di venire uccisa. Allo stremo delle forze, iniziò a boccheggiare. Adesso poteva solo pregare nelle abilità di Nyssa.
Quest’ultima non si sarebbe data per vinta facilmente. Sara lo capì dallo sguardo con cui scrutava Maseo: l’avrebbe ucciso non appena ne avrebbe avuto l’occasione. E quell’occasione arrivò così all’improvviso che Sara non riuscì nemmeno a vederlo con i suoi occhi. Fu solo quando Nyssa ritrasse la spada che Sara capì.
Maseo aveva la bocca semiaperta e gli occhi spalancati dal dolore. Cadde sulle ginocchia con lo sguardo perso nel vuoto, mentre Nyssa osservava con fierezza la sua spada ricoperta di sangue. La ferita sullo stomaco di Maseo era profonda, ma non mortale. Avrebbe sofferto al punto giusto.
«Riferisci un messaggio a mio padre» sbottò l’Erede del Demonio, puntando la lama affilata in direzione di Sarab. «Digli che la prossima volta non mi limiterò a uccidere un plotone. Se qualcuno attenterà nuovamente alla mia vita o a quella di Sara, giuro che ammazzerò ogni guerriero di Nanda Parbat con le mie stesse mani, fino a lasciarlo senza uomini. E poi gli taglierò la testa e mi impossesserò dell’anello che mi spetta di diritto.»
Sara non si era accorta che la pioggia si era attenuata. Ormai si era ridotta a gocce quasi piacevoli. Faceva un caldo...
«R... R...» Maseo tossì forte, vomitando grumi di sangue. Un paio di mercenari ‒ probabilmente gli unici sopravvissuti alle frecce scagliate da Sara ‒ si avvicinarono al giapponese e lo aiutarono a rimettersi in piedi. Il sangue aveva ormai macchiato gran parte della divisa di Maseo, che riuscì a gracchiare un flebile: «Ritirata!», prima che i due uomini lo trascinassero via. Dopo pochi istanti, un terzo guerriero emerse da un gruppo di uomini privi di vita. Zoppicava, ma Nyssa lo lasciò andare per pietà. Suo padre avrebbe sicuramente ricevuto il messaggio.
Quando finalmente smise di piovere, Nyssa poté tirare un sospiro di sollievo. Riusciva a sentire i lividi e i graffi bruciare nella pelle, ma in quel momento si trattava di dolori irrilevanti. «È finita» si ritrovò a sussurrare, voltandosi in direzione della sua amata. Ma Sara non rispose.
«Sara?» domandò di fronte al suo sguardo sconvolto. «Sara, che cosa c’è? Sei ferita?»
La bionda aprì leggermente la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Le girava la testa.
No.
Sentì un impellente bisogno di bere e di gridare.
No, no, no.
Il cuore le batteva talmente forte che le parole di Nyssa le arrivarono come un eco lontano. Fu solo quando la donna le mise le mani sulle spalle e la scosse con forza che Sara riuscì finalmente a sospirare, esalando quelle parole e la paura che si celava dietro di esse.
«Mi si sono rotte le acque.»



Nyssa correva a perdifiato tra i corridoi dell’ospedale. Non sapeva dove andare. Avanzava senza una meta con Sara tra le braccia che tremava come una foglia, lasciandosi alle spalle una scia di stanze buie e desolate ‒ fatta eccezione per i pochi pazienti anziani che aveva incrociato durante il tragitto, ma loro di certo non avrebbero potuto aiutarla. La figlia di Ra’s al Ghul stava facendo del suo meglio per tenersi lontana da porte e finestre ‒ il timore che Maseo e i suoi uomini fossero ancora nei paraggi le dava il voltastomaco ‒, ma ciò aveva solo peggiorato le cose. Si era persa in un ospedale.
«È troppo presto, Nyssa» le sussurrò Sara all’orecchio poco dopo. «Non sono nemmeno alla trentesima settimana. È troppo presto.»
A Nyssa scoppiava la testa. Dove diamine erano gli infermieri quando avevi bisogno di loro?
«Lo so. È troppo presto. Ma ce la faremo, okay? Tu ce la farai.»
La bionda si lasciò sfuggire un lamento strozzato.
«Andrà tutto bene» riprese a dire l’Erede, rivolta più a sé stessa che a Sara. «Te lo prometto.»
Sara socchiuse appena gli occhi, stringendo più forte che poté la stoffa nera della tuta da combattimento dell’amata. Odorava di sangue, di morte e di Nyssa.
«Resta insieme a me» sussurrò in tono disperato, gli occhi gonfi di lacrime.
Nyssa sussultò lievemente. Non avrebbe lasciato Sara per nessun motivo al mondo. «Sì. Tu però tieni gli occhi aperti, okay?»
Sara stava davvero facendo del suo meglio, ma non ci riusciva. Nonostante le contrazioni, era come se il suo corpo stesse cercando di cadere in un sonno eterno.
«Non voglio farlo da sola» proseguì, con un tono di voce talmente basso che persino Nyssa faticò a sentire le sue parole.
Ma la donna non demorse. Salì un piano di scale il più velocemente possibile e si ritrovò in un corridoio pieno di dottori. «Forse ci siamo» esclamò sollevata.
Quando Sara si rese conto della situazione in cui aveva messo Nyssa, ormai era troppo tardi. «Ti vedranno tutti.»
«Non ha importanza.»
«Nyssa, scopriranno chi sei» balbettò la bionda, in tono flebile e preoccupato. «Almeno copriti il viso con il cappuccio e il velo.»
Ma Nyssa aveva ormai smesso di ascoltarla. O almeno, finse che fosse così.
«Ho bisogno di aiuto!» gridò la figlia di Ra’s, attirando l’attenzione dei presenti. «Le si sono rotte le acque!»
Un paio di infermiere si scambiarono un’occhiata confusa, mentre una terza donna ‒ probabilmente una dottoressa ‒ le indicò una stanza vicina e le disse di adagiare Sara sul letto.
«Bisogna chiamare un’ostetrica» affermò rivolta a una delle due infermiere, per poi tornare a guardare Sara. «Quanto tempo è passato dalla rottura delle acque?»
«Venti minuti, credo» rispose Nyssa, titubante. «Forse mezz’ora. C’è voluto un po’ per arrivare qui.»
In tutta risposta, Sara emise un grido di dolore e serrò le palpebre con fare disperato.
«Sono le prime contrazioni» spiegò la dottoressa, il cui cognome era Schwartz ‒ sulla sua targhetta c’era scritto così. «Significa che il bambino sta per nascere.»
«Ma è troppo presto» sibilò Sara, ma la dottoressa non riuscì a comprendere le sue parole.
«La scadenza è ancora lontana» ripeté Nyssa, trovando le parole adatte per spiegare la situazione. «È a malapena al settimo mese.»
«Ormai il sacco amniotico si è rotto. Non possiamo più fare nulla, se non far uscire questo bambino.»
L’ostetrica entrò nella stanza in quel preciso istante, rivolgendo un’occhiata prima a Nyssa, poi alla Dottoressa Schwartz, e infine a Sara. Nyssa era a conoscenza del motivo per cui tutti la stessero guardando in quel modo, ma non le importava. Voleva solo che il bambino nascesse senza complicazioni e che Sara si riprendesse presto.
«Ti devo togliere i pantaloni» spiegò la donna con un tono dolce. «Posso?»
Sara annuì debolmente, mentre l’ostetrica, con l’aiuto delle due infermiere, coprì le gambe della bionda con un telo, per poi toglierle prima i jeans e poi gli slip.
«Credo che noi due dovremmo andare in un’altra stanza, così da dare loro un po’ di privacy e poter... parlare» dichiarò la Dottoressa Schwartz rivolta a Nyssa.
Quest’ultima scosse il capo con decisione. «Non se ne parla. Non me ne vado finché il bambino non sarà nato.»
«È dilatata di sette centimetri» proruppe improvvisamente l’ostetrica, rivolta più a sé stessa che a qualcuno in particolare.
La Schwartz la guardò stupita. «Così tanti centimetri... in così poco tempo?»
«A quanto pare il bimbo ha parecchia voglia di uscire. Oppure le acque si sono rotte molto prima, ma viste le sue condizioni potrebbe non essersene nemmeno accorta» concluse la donna, alludendo al fatto che Sara fosse fradicia a causa della pioggia. «Dobbiamo portarla subito in sala parto.»



Quando l’ennesimo grido di Sara squarciò la quiete della stanza, ormai era dilatata di nove centimetri. Nyssa, in piedi accanto a lei, le passò una mano sulla fronte sudata e le sussurrò delle frasi incoraggianti all’orecchio.
«Oliver sta arrivando» aggiunse poi, mentre la bionda riprendeva fiato. «Dovrebbe essere qui a momenti.»
«E Laurel? E... mio padre?»
«Ci ha pensato tua sorella ad avvisarlo. Sta arrivando anche tua madre. Laurel ha detto che sarebbe salita sull’ultimo treno in partenza da Central City.»
Sara deglutì sommessamente. «Bene» biascicò poi, in preda agli spasmi.
«Non appena arriverà la prossima contrazione, dovrai spingere con tutte le tue forze» spiegò cautamente l’ostetrica, guardando Sara negli occhi. «Hai capito?»
Canary annuì in risposta, per poi stringere più forte che poteva la mano di Nyssa. Quest’ultima vrebbe voluto dirle che non se ne sarebbe andata per nessun motivo al mondo, ma sapeva che le parole non sarebbero servite. Sara sapeva che sarebbe rimasta fino all’ultimo istante. Glielo poteva leggere negli occhi.
«Forse sarebbe meglio se fosse il padre del bambino ad assistere al parto» suggerì l’ostetrica, il cui nome era ancora un’incognita per Nyssa.
Al sentire quelle parole, l’Erede del Demonio serrò la mascella con fare seccato. «Il padre non è qui al momento. E io sono la madre.»
«Okay, ma forse...»
«Se proverete anche solo ad allontanarmi da questa stanza, farò qualsiasi cosa in mio potere pur di restare qui. In questo momento, mia moglie ha bisogno di me. E io non ho alcuna intenzione di abbandonarla in un momento come questo.»
L’ostetrica stava per controbattere, ma la voce di Sara attirò completamente la sua attenzione.
«Credo... credo che sia vicina» sussurrò, iniziando ad ansimare per la paura. «Mi viene da vomitare.»
«È un sintomo assolutamente normale, Sara» la rassicurò l’ostetrica, poggiando le mani sulle sue ginocchia. «Adesso devi solo prepararti e spingere quando te lo dico io.»
Sara prese un respiro profondo. Avrebbe ricordato quel momento per il resto della sua vita. Avrebbe raccontato a suo figlio di come sua madre era rimasta al suo fianco durante tutto il parto, stringendole la mano e rassicurandola con la propria voce. Glielo avrebbe raccontato durante una domenica pomeriggio noiosa, oppure, sulla sua tomba. Questo dipendeva solo da lei.
Quando la contrazione arrivò, Nyssa spinse insieme a lei. In quell’istante, fu come se i loro corpi si fossero uniti, diventando una cosa sola. Nyssa poteva sentire quello che sentiva lei, ne era sicura. Nyssa provava il suo stesso dolore. E Nyssa, come lei, aveva tanta paura.
Continuò a spingere ancora, e ancora, e ancora, fino a quando l’ostetrica non le disse più di spingere e Nyssa allentò appena la presa sulla sua mano. Le sembrò di udire le urla di un neonato e la parola “cordone”, ma non ne era sicura.
Poi, il buio.

*

Quando aprì gli occhi, tutto ciò che vide fu una luce bianca che minacciava di accecarla.
Chiudi gli occhi e riprovaci.
Sbatté le palpebre un paio di volte, chiuse di nuovo gli occhi e li riaprì. Questa volta riuscì a mettere a fuoco la stanza ‒ anch’essa bianca e abbastanza spaziosa ‒ e la persona seduta accanto a lei.
«Laurel...»
L’avvocato si voltò di colpo, attirata dalla voce di Sara. «Finalmente» sussurrò, passandole una mano tra i capelli umidicci. «Ti sei svegliata.»
«Quanto tempo ho dormito?»
«Non saprei. Io sono arrivata un’ora fa, più o meno, e tu eri già svenuta.»
Svenuta? Non ricordava proprio nulla. Era come se si fosse appena svegliata dopo una sbronza ‒ anche se in realtà non si era mai sbronzata davvero, visto il modo quasi ultraterreno con cui riusciva a sopportare l’alcool.
«Dove ci troviamo? Cosa mi è...» Ma prima che Sara potesse concludere la frase con la parola “successo”, le tornò alla mente ogni cosa.
Il segnale di fumo. Maseo. Il combattimento. Le contrazioni. Nyssa. Il bambino. Suo figlio...
«Dov’è?» domandò, iniziando a guardarsi intorno preoccupata. «Dov’è il bambino? E dov’è Nyssa? Dove sono?»
«Calmati» ordinò cautamente Laurel, poggiandole una mano sul braccio. Le stava sorridendo. «Va tutto bene. Nyssa è con lei adesso.»
Lei. Il cuore prese a batterle all’impazzata. «È una bambina?»
«Sì. È una femmina.» Il sorriso sul volto di Laurel si ampliò a dismisura.
«È una femmina» ripeté Sara, emozionata come non mai. A quel punto, lei stessa non riuscì a contenere l’emozione e si alzò di scatto in piedi. Fortunatamente, Laurel la afferrò prima che cadesse a terra.
«Che ti salta in mente? Sei troppo debole per alzarti, adesso.»
«Ho bisogno di vederla» sussurrò flebilmente, gli occhi che le brillavano dall’emozione. «Laurel, io devo vederla.»
La donna osservò la sorella con fare preoccupato, dopodiché sospirò. «C’è solo un piccolo problema...»
Sara aveva lo stomaco vuoto, ma in quel momento era come se un grosso macigno si fosse lasciato cadere dentro di lei. Si sentiva pesante e confusa.
«Cosa le è successo?»



Oliver, Nyssa e suo padre se ne stavano di fronte a una vetrata con degli sguardi indecifrabili. Oliver aveva le braccia incrociate, Quentin piangeva, e Nyssa teneva lo sguardo fisso sul vetro.
Sara camminava a piedi nudi sul pavimento freddo dell’ospedale, sorreggendosi sul braccio di Laurel. Fu suo padre il primo a notarla.
«Oh, bambina mia!» esclamò emozionato, andando ad abbracciarla.
La bionda fu subito contagiata dall’aria malinconica di Quentin, tanto che gli occhi iniziarono a pizzicarle. «Papà...» esordì, in tono preoccupato. «Lei è... Lei non ce l’ha fatta, non è così?»
Il Capitano Lance non sembrò del tutto stupito da quelle parole, ma rispose comunque scuotendo il capo. «No. Assolutamente no, non pensarlo nemmeno. Sei stata bravissima, tesoro. E la tua bambina è stupenda» affermò, dandole un bacio sulla fronte. «Ora va’ da lei.»
Sara annuì debolmente, per poi lasciare andare la presa su Laurel e avvicinarsi lentamente a Nyssa. Quest’ultima non si mosse di un passo ‒ non ne aveva le forze ‒, ma quando Sara fu a pochi centimetri di distanza da lei, la attirò verso di sé e la strinse tra le proprie braccia come se fossero passati secoli dall’ultima volta che lo aveva fatto.
«Ascoltami bene» le sussurrò all’orecchio, in tono calmo e rilassato. «Ce l’hai fatta. Il parto è andato benissimo. Ma il problema viene adesso. Sapevamo che sarebbe comunque andata a finire così, perciò, quando la vedrai, non pensare subito in negativo. Qualunque cosa ti passi per la testa, non devi lasciarti impressionare, okay?»
«Così mi metti paura» ammise Canary, la voce leggermente incrinata.
Nyssa scosse la testa. «Non devi averne. Nostra figlia è una guerriera.»
E con una lentezza quasi maniacale, Sara si allontanò da Nyssa, prese un respiro profondo e si voltò verso la vetrata. Una schiera di incubatrici occupò la sua visuale, costringendola a doversi avvicinare ancora di più al vetro per capire quale fosse sua figlia. La riconobbe quasi subito: indossava una delle tutine che le aveva regalato Laurel, con su scritto “Mommy’s Little Princess”. Era tra le ultime file, ma Sara riuscì comunque a notare quanto fosse minuscola, in tutti i sensi.
«Quanto...»
Nyssa intercettò la sua domanda prima ancora che Sara finisse di formularla. «Poco più di un chilo. Ma dicono che si riprenderà in poche settimane.» Si avvicinò all’amata di qualche passo, per poi metterle un braccio intorno alla schiena. «E io ci credo. È una bimba forte. Si è capito fin dal primo istante.»
«Che intendi dire?»
«Sei svenuta subito dopo averla messa al mondo. Si è presentata con un pianto disperato, per poi smettere improvvisamente quando l’hanno portata fuori dalla stanza. A quanto pare si era già stancata di avere i genitori intorno.»
«Beh, mi dispiace per te, signorinella, ma per i prossimi venticinque anni ti starò col fiato sul collo» rise Sara, mentre calde lacrime le bagnavano le guance.
«Venticinque? Come mai così tanti? Io e tua madre abbiamo smesso di trattarti come una bambina già al liceo» intervenne Quentin, cercando di sdrammatizzare.
«E come risultato mi sono ritrovata a dover sopravvivere in mare aperto. Due volte» puntualizzò, senza riuscire a distogliere lo sguardo dalla bambina.
«Se non fosse stato per quella barca, forse ora non saremmo qui.»
Sara si sentì osservata. Nonostante quelle parole fossero uscite dalla bocca di Nyssa, il suo sguardo si posò istintivamente su Oliver, il quale se ne stava in disparte a pochi passi da loro. Non aveva proferito parola fino a quel momento, ma bastò un’occhiata affinché entrambi si capissero e consolassero a vicenda.
Nostra figlia è una guerriera. Le parole di Nyssa riecheggiavano come un’eco nella mente di entrambi, e mai come in quel momento gli sembravano più vere. Oliver avrebbe tanto voluto aggiungere: «Come la sua mamma», ma Sara avrebbe capito comunque. Così, si limitò a fare un cenno col capo.
Subito dopo, un’infermiera uscì dalla stanza e rivolse un sorriso raggiante a Sara. «Signorina...»
«Lance» la anticipò Canary, prima che dicesse “Queen”.
«Venga con me» la incitò la donna, poggiandole delicatamente una mano sul braccio. «Le faccio conoscere la sua bambina e, nel frattempo, le insegnerò a tirare il latte.»
Sara guardò Nyssa titubante, ma quando la mora le sorrise trovò il coraggio di seguire l’infermiera dentro la camera piena di bambini nati prematuramente.



Da vicino, sua figlia era ancora più piccola di quanto non sembrasse da lontano. Aveva la pelle candida come la neve e qualche ciuffo di capelli biondi e ribelli come i suoi. Era così bella...
Dopo averle insegnato a tirare il latte e averle fatto lavare le mani, l’infermiera la incitò ad avvicinarsi all’incubatrice.«Avanti, non abbia paura. La può anche toccare, se vuole.»
Sara prese un respiro profondo, sentendosi improvvisamente più pesante. Infilò la mano destra nella fessura circolare della macchina trasparente, ma si fermò prima di arrivare a toccare la sua manina. Era così gracile che al solo pensiero di sfiorarla temeva di poterle fare del male. E poi, stava dormendo così serenamente che le sarebbe dispiaciuto svegliarla.
«Dobbiamo comunque interrompere il suo pisolino per darle il latte» spiegò l’infermiera, come se le avesse letto nel pensiero. «Coraggio!»
Sara deglutì con forza. Con l’ansia alle stelle, afferrò la mano della bambina con due dita e percepì un brivido attraversarle le schiena. E con sua grande sorpresa, la piccola iniziò a muoversi. Si mise a scalciare e a muovere le braccia, per poi stringere con la poca forza che aveva la propria mano intorno all’indice di Sara. Quel gesto le fece scaldare il cuore, ma la vera sorpresa fu vedere sua figlia aprire gli occhi per la prima volta. Erano piccoli e dolci, di un colore a metà tra i suoi occhi cerulei e quelli blu di Oliver. E la stava guardando. La osservava con quegli occhietti vispi e innocenti, tanto che Sara arrivò a chiedersi se quella bambina fosse davvero sua figlia. Sembrava così tranquilla e serena malgrado tutto, a differenza della madre che aveva avuto paura durante tutta la gravidanza. Ma adesso le sembrava tutto molto più facile.



Sara rientrò nella sua stanza pochi minuti dopo, facendosi aiutare nuovamente da Laurel per evitare di perdere l’equilibrio e ritrovarsi sul pavimento.
«È stato bellissimo» dichiarò la bionda, il cuore che ancora le batteva dall’emozione. «Il parto è stato doloroso, ma quando l’ho vista... Dio, Laurel, è stato come se tutto il resto non avesse avuto più alcuna importanza. Era come se esistessimo soltanto noi due.»
«Non posso nemmeno immaginare cos’hai provato quando l’hai vista, ma spero di sperimentarlo presto» ammise la sorella maggiore, delineando un sorriso.
Sara ruotò appena la testa di lato. «In un modo o nell’altro, diventerai madre. Non voglio che mia figlia cresca senza nemmeno un cugino.»
«Puoi sempre chiedere a Thea e a Roy di darsi da fare.»
«Quando quei due avranno dei bambini, probabilmente io sarò già in pensione» ironizzò Canary con una risata. «A proposito, che ore sono?»
«Le tre del mattino. Quasi le quattro, in realtà.»
«Aspetta un momento» proruppe Sara, assimilando rapidamente il significato di quelle parole. «Non vorrai dirmi che...»
«…Tanti auguri a me!» canticchiò in risposta l’avvocato.
«Oh, no! Non ci posso credere.»
«Che c’è? Non mi dirai che ti eri dimenticata del mio compleanno?»
«No, anzi. In realtà, è proprio il contrario» rivelò la sorella minore, sbuffando sommessamente. «Ti stavo organizzando una festa di compleanno, ma io e Nyssa abbiamo avute delle... complicazioni, e di certo non mi sarei aspettata di partorire proprio oggi» spiegò scoraggiata.
«Sì, Oliver mi ha detto di quello che è successo questa notte. E Nyssa ci ha assicurato che per un po’ potrete stare tranquille.»
Sara serrò le labbra più forte che poté, stringendosi inspiegabilmente nelle spalle. «Scusami.»
«E di cosa?»
«Per il fatto che la bambina sia nata il giorno del tuo compleanno.»
Laurel inarcò entrambe le sopracciglia. «Stai scherzando, spero.»
«No.»
«Allora devono essere i postumi dell’epidurale.»
«Non l’ho nemmeno fatta, l’epidurale.»
Laurel prese un respiro profondo, sporgendosi leggermente verso la sorella. «Ti stai davvero scusando per una cosa del genere? Voglio dire, perché dovresti? Diventare zia è senza ombra di dubbio il regalo di compleanno più bello che potessi ricevere.» Poiché Sara non sembrava convinta delle sue parole, aggiunse: «E se proprio vuoi saperlo, mi importava così poco di festeggiare il mio compleanno che stavo organizzando il tuo baby shower proprio per domani. Cioè, oggi, visto che è già mattina.»
Sara spalancò le palpebre, stupita. «Che cosa?»
«Avevo già invitato tutti. Diggle e Lyla con la piccola Lisa, Thea e Roy, mamma e papà, Felicity... e ovviamente Oliver. Josh avrebbe tenuto chiuso il locale apposta per noi nonostante fosse sabato, ma poco fa gli ho inviato un messaggio dicendogli di annullare. “Ehi, scusa se te lo dico solo ora, ma la festa è annullata. Mia sorella ha partorito!” Immagino già la sua faccia quando si sveglierà e lo leggerà!»
Sara non poté fare a meno di sorridere imbarazzata. «Non so proprio cosa dire...»
«Non devi dire niente» la rassicurò la castana, stringendole le mani tra le proprie. «Sono più che sicura che avrei adorato la festa che stavi organizzando.»
«Sì, ma...»
«Niente ma» la rimproverò Laurel con un occhiolino. «Adesso hai bisogno di riposare.»
La donna si alzò in piedi, spense la luce e uscì dalla camera in silenzio. Sara chiuse gli occhi nel tentativo di dormire, ma la sua mente continuava a ricondurla a sua figlia. Non desiderava altro che stringerla tra le proprie braccia, cantarle una ninna nanna, cambiarle un pannolino o poterla allattare. Voleva fare la mamma, ma il parto prematuro avrebbe costretto quella creatura a restare rinchiusa nell’incubatrice per chissà quanto tempo ancora.
Sara inspirò profondamente. Quel profumo che tanto amava si diffuse in fretta nell’aria. Non l’aveva sentita entrare, ma anche col buio riconobbe al volo quei lineamenti che ormai conosceva a memoria.
«Posso restare un po’ qui con te?»
Sara deglutì, annuendo appena. «Non chiedo altro.»
Nyssa sorrise, andandosi a sedere accanto a lei. Poi prese a giocare con le ciocche bionde di Sara, mentre con la mano libera le accarezzava la mano. «Sono felice che sia andato tutto bene.»
«Anch’io» sussurrò la bionda. «Vorrei solo che fosse qui con noi adesso.»
«Lo so, ma dobbiamo essere pazienti. Si rimetterà, vedrai.»
Annuì ancora, questa volta con più convinzione. «È forte come te.»
Nyssa si bloccò con la mano a mezz’aria, colpita e imbarazzata da quelle parole.
«Prima hai detto che sono tua moglie» la punzecchiò poi Canary, un sorriso malizioso stampato sul viso. Nyssa riuscì a scorgerlo grazie alla luce fioca emanata dalla luna.
«Mi è venuto d’istinto. Ormai stiamo insieme da così tanto tempo che è come se fossimo sposate, non credi?»
Sara sembrò pensarci su per qualche secondo. «Non ne abbiamo nemmeno mai parlato.»
«Di cosa?»
«Del matrimonio.»
«Non è vero.»
«Intendo, da quando ho scoperto di essere incinta. Da quando siamo tornate a Starling City.»
La figlia di Ra’s si accigliò, senza perdere il tono sereno con cui si stava rivolgendo a Sara. «Vuoi farlo adesso?»
L’altra scosse la testa. «No. Adesso no. Vieni qui con me.»
Nyssa assecondò il volere di Sara e si distese accanto a lei. La bionda si accoccolò sul suo petto, poggiando la testa sulla spalla dell’amata. «L’ho chiamata Kaila.»
L’Erede del Demonio riprese ad accarezzarle i capelli, lentamente e con dolcezza. «È un bellissimo nome.»
«Per semantica, è uguale a Laurel» rivelò la donna con un sorriso. «Anche se probabilmente il suo secondo nome è ancora più bello.»
«Giusto. Dimenticavo che voi americani avete questo vizio di dare due nomi ai nascituri» esclamò la mora con una piccola risata. «E sarebbe?»
Sara esitò per un istante, ma poi si lasciò andare. «Amina.»
Nyssa si irrigidì di colpo. Non sentiva pronunciare quel nome da anni. Forse l’ultima volta era stato più di vent’anni prima.
Fu come se qualcosa dentro di lei si fosse rotto. O aggiustato, sotto altri aspetti. Non si era mai sentita così confusa prima d’ora, ma adesso ebbe la certezza che, qualunque cosa sarebbe accaduta da quel giorno in avanti, sarebbe stata legata a quella bambina per l’eternità. Sua figlia. Amina.
Scoppiò senza nemmeno rendersene conto, e i ruoli si invertirono. Questa volta fu lei ad appoggiare la testa sulla spalla di Sara, piangendo e singhiozzando ad un ritmo incontrollabile, respirando a fatica e stringendo con forza la stoffa del camicia da notte di Sara. Voleva solo piangere, e in quelle braccia sapeva che avrebbe potuto farlo senza essere giudicata.



Nyssa appoggiò il gomito sul distributore di bevande e prese un respiro profondo. Era sgattaiolata fuori dalla stanza non appena Sara si era addormentata. Aveva bisogno di riflettere.
«Finalmente ti ho trovata.»
Nyssa alzò lo sguardo di colpo, ritrovandosi faccia a faccia con la Dottoressa Schwartz.
«Ho saputo che il parto è andato bene e che il bambino è nell’incubatrice» proseguì, prima ancora che Nyssa potesse risponderle. «A proposito, è un maschio o una femmina?»
«Femmina» rispose istantaneamente l’Erede, trattenendo a stento un sorriso.
«Sono davvero felice per voi.»
Sembrava sincera. E Nyssa decise di crederle.
«Ha bisogno d’altro, Dottoressa Schwartz?»
«In effetti, sì» dichiarò l’altra, sospirando appena. «Direi che forse è il caso che anche tu ti faccia visitare.»
«Non ce n’è alcun bisogno, mi creda. Sto benone» dichiarò, nonostante avesse una ferita al braccio sinistro che le bruciava da morire e una serie di tagli e lividi sul viso, sul petto e sulle mani ‒ ed erano solo quelli visibili. Laurel le aveva portato un cambio di vestiti e un borsone in cui nascondere la sua tuta da combattimento, e solo ora Nyssa si rese conto delle macchie di sangue presenti sulla camicia viola, dovute alla mancanza di garze o cerotti che coprissero i tagli. Si chiese cosa avrebbe pensato Sara una volta sveglia se avesse visto dell’altro sangue sui suoi vestiti.
«Però... forse, se potesse fornirmi del disinfettante e delle bende, mi potrei curare da sola.»
La dottoressa acconsentì con un sorriso, facendole cenno di seguirla.


Mentre attraversava il corridoio affiancata dalla Dottoressa Schwartz, Nyssa non riusciva a smettere di pensare allo stato in cui si era trovata Sara poche ore prima, ma soprattutto al fatto che fosse svenuta subito dopo il parto. Non l’aveva mai vista soffrire così tanto, nemmeno durante i suoi primi allenamenti alla Lega degli Assassini. E si ritrovò a domandarsi se tutto quel dolore non fosse stato provocato anche da un fattore psicologico, dallo stress e dalla paura che le avevano accompagnate durante quei lunghi mesi di lontananza da Nanda Parbat.
«Sono molto profonde» commentò poco dopo la dottoressa, riferendosi alle sue ferite.
«Mi sono fatta di peggio. So badare a me stessa.»
«Non lo metto in dubbio» proseguì l’altra, porgendole una benda, una scatola di cerotti e del disinfettante. «Ma visto che sei in un ospedale, tanto vale approfittarne e medicarti prima che si infettino.»
«E se non avessi l’assicurazione medica?»
La Dottoressa Schwartz sospirò sommessamente. «Quello che tu e la tua amica fate ogni notte insieme ad Arrow... credo che sia un pagamento più che sufficiente.»
«Non ho mai parlato di un possibile coinvolgimento della mia... amica.»
Uscendo dalla sua bocca, quella frase ‒ o meglio, quella parola ‒ risultava ancora più stupida di quanto avesse potuto immaginare.
«In ogni caso, chiunque voi siate, vi ringrazio» disse la donna. Sul suo volto si formò un lieve sorriso. «Come ho già detto, potete stare tranquille. In questo ospedale siamo piuttosto riservati. Non diremmo mai nulla, nemmeno sotto tortura.»
Non può dirlo con certezza se non l’ha mai provato sulla sua pelle, pensò Nyssa, ma si morse la lingua per evitare di ripeterlo ad alta voce. Invece disse: «Non è questo che mi preoccupa. Voglio solo che vada tutto bene.»
Intuendo a cosa si stesse riferendo la mora, la Schwartz annuì lentamente. «Filerà tutto liscio. Si sistemerà tutto prima che ve ne accorgiate.»



Sara fu svegliata da un rumore lieve ma deciso, simile a quello provocato da un picchio mentre becca il tronco di un albero. Riuscì solo a borbottare un roco “Chi è?” prima di iniziare a stropicciarsi nervosamente gli occhi.
La porta si aprì di uno spiraglio. «Posso entrare?» sussurrò una voce maschile che conosceva molto bene.
«Certo che sì.»
Oliver si richiuse lentamente la porta alle spalle, impegnandosi con tutto sé stesso a non fare il minimo rumore. «Ti ho svegliata?»
«No» mugugnò la bionda, per poi chiedergli che ora fosse.
«Le sei e un quarto» rispose prontamente Oliver, andandosi a sedere sulla poltrona. «L’infermiera mi ha detto di dirti che tra poco ti verrà a chiamare per, beh...»
L’uomo si passò una mano tra i capelli con fare imbarazzato. Sara inarcò un sopracciglio.
«Per tirare il latte?»
Oliver esitò, ma poi si ritrovò ad annuire.
«Sai, non è una parolaccia. Puoi dirlo tranquillamente.»
«Lo so, ma... insomma, noi due non stiamo più insieme.»
Sara trattenne a stento un sospiro. «È cambiata ogni cosa.»
Arrow annuì ancora, ma questa volta distolse subito lo sguardo da Sara.
Negli ultimi mesi, le loro vite si erano complicate in una maniera quasi incredibile. Non solo l’anno precedente Oliver aveva scoperto che Sara, la sua Sara, era ancora viva, ma anche che si era unita ad una setta di assassini e che aveva avuto una lunga relazione con la figlia di Ra’s al Ghul. E come se non bastasse, dopo averci riprovato per l’ennesima volta e aver capito che non erano fatti l’uno per l’altra, sia lui che Sara avevano cambiato rotta, lei tornando insieme a Nyssa e Oliver dichiarandosi finalmente a Felicity. E adesso lui e Sara avevano avuto una bambina. Sembrava quasi di essere in un film.
«Sarei dovuto venire con voi» esclamò all’improvviso Arrow, prendendosi la testa tra le mani. «Non dovevo lasciarvi andare a fronteggiare gli uomini della Lega da sole. Io e Dig stavamo per raggiungervi, ma poi Felicity ci ha ricordato che noi non facciamo parte della Lega degli Assassini, che non abbiamo idea di come funzionino le cose a Nanda Parbat e che avremmo solo rischiato di peggiorare le cose.»
«Ed è così» confermò Sara. «Non devi fartene una colpa, Oliver. Avete fatto bene  a non intervenire. Avreste solo rischiato di mettere le vostre vite in pericolo. E, probabilmente, avreste reso la nostra situazione ancora più complicata.»
L’uomo si ritrovò a dover annuire, seppur scoraggiato. «Immagino che Nyssa se la sia cavata.»
«Eccome, se se l’è cavata» aggiunse Sara, con una piccola risata.
«Però, se ti avessimo impedito di andare con Nyssa, forse non avresti partorito così presto» ipotizzò Oliver.
«O forse doveva semplicemente andare così.»
Arrow tirò su col naso, ripensando al momento in cui Nyssa gli aveva indicato un punto preciso oltre quel maledetto vetro. «Da quando l’ho vista non riesco a non preoccuparmi per lei. È così indifesa...»
«Lo so» ammise Sara. «Ma è bella tosta» continuò, le lacrime che le pizzicavano gli occhi. «I dottori dicono che si rimetterà presto. Sono speranzosi. E lei molto combattiva.»
Il vigilante non riuscì a trattenere un sorrisino. La mela non cade mai tanto lontana dall’albero, pensò. «Come i suoi genitori» disse. Senza attendere una risposta da parte di Sara, proseguì: «Nyssa mi ha detto che l’hai chiamata Kaila.»
La bionda annuì debolmente. «Sì. Anche se devo ammettere di essere stata un po’ egoista. Non ti ho nemmeno chiesto se avessi già pensato a un nome.»
«Beh, è un bene che tu non l’abbia fatto, perché probabilmente sarei rimasto in silenzio.»
«È solo che quando l’ho vista, il cuore ha iniziato a battermi forte e non ci ho capito più niente» aggiunse Sara con occhi sognanti. «Era così innocente e bella e calda... E quando ha aperto gli occhi la prima volta il nome mi è uscito di getto, come se dentro di me avessi sempre saputo che sarebbe stata una femmina e che le avrei dato quel nome e‒»
«Sara» la interruppe dolcemente Oliver. «Non devi affatto giustificarti. Hai scelto un nome bellissimo» spiegò contento. «Kaila Queen. Suona bene, no?»
«Suona benissimo.»
«Sempre che tu sia d’accordo a farle prendere il mio cognome, sia chiaro.»
«Ne abbiamo già parlato. Avrà il tuo cognome. E tu avrai ancora un po’ di tempo per pensare ai nomi dei tuoi prossimi bambini» ironizzò Sara. «Perché tu e Felicity avrete dei figli giusto?» Glielo chiese come se fosse logico, ma in realtà era un’eventualità a cui non aveva mai pensato. Non avrebbe avuto senso per lei e Nyssa avere altri figli ‒ rischiare di mettere in pericolo la vita di un figlio era già troppo per loro ‒, ma aveva dato per scontato che sarebbe stato Oliver a dare un fratello o una sorella alla loro primogenita.
«Non lo so. Non abbiamo mai parlato di bambini. E nemmeno di matrimonio, se è per questo» ammise lui con un sospiro. «Però, forse...»
«Forse è arrivato il momento di compiere il passo successivo» lo incitò la bionda. «Sempre se tu sei pronto, ovviamente.»
Oliver inspirò profondamente, per poi tenderle la mano per aiutarla ad alzarsi. «Adesso non riesco a pensare ad altro che a nostra figlia.»
Sara sorrise a labbra strette e afferrò la sua mano.

*

Kaila Amina Queen era nata all’una e trenta del 15 Novembre 2014 ‒ ben nove settimane prima della data prevista per il parto. Nessuno si sarebbe aspettato che arrivasse con così tanto anticipo, ma già a poche ore dalla sua nascita, aveva dimostrato a tutti di essere una vera guerriera. Aveva i capelli chiari come quelli della madre e la boccuccia a forma di cuore come quella del padre, gli occhi celesti e il nasino a patata; crescendo, i capelli le si sarebbero leggermente scuriti e i suoi occhi avrebbero acquisito una tonalità di verde simile a quella di sua zia Laurel. Ma nessuno ‒ nessuno ‒ ne era al corrente, perché il futuro era ancora incerto e misterioso.
Per adesso, non potevano fare altro se non restare uniti per tentare di proteggere quella vita preziosa e indifesa che aveva tutto il diritto di essere vissuta.
Era l’unica cosa che contava, e lo avrebbero fatto insieme.
Come una famiglia.














Ok.
Voi non potete capire quanto questo capitolo sia importante per me. Non potete nemmeno lontanamente immaginare da quanto tempo avrei voluto scriverlo, quante idee mi sono venute in questi anni, quanto coraggiosa sia stata a non buttare giù nemmeno una bozza perché ho sempre avuto questo capitolo ben chiaro nella mente ed ero certa che sarebbe stato lunghissimo ed emozionantissimo. (È lunghissimo ed emozionantissimo, vero?)
Finalmente è nata. Vi ho voluti trollare fino all’ultimo facendovi credere che fosse un maschietto, e invece... vi presento una Sara Lance in miniatura!
Non ho altro da dire, se non che per me è stato davvero un onore aver premuto “invio” per mostrarvi, finalmente, questo importantissimo capitolo, che non solo è dolcioso grazie all’entrata in scena di Kaila, ma anche perché segnerà un’importante svolta per la storia.
In che senso, chiedete? Beh, questo lo dovrete scoprire da soli ;)

   
 
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