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Autore: avalon9    15/11/2017    0 recensioni
Mi chiamo Michael Scofield. Ero un ingegnere civile. Sono stato un carcerato. Sono evaso da due penitenziari di massima sicurezza e ho coordinato l’evasione di mia moglie da un altro carcere. Sono stato un fuggitivo e un ricercato. Sono stato un manipolatore e un approfittatore.
Chi è Michael Scofield? In sei flussi di pensieri, sulla scia di cinque parole impresse su una lapide, l’immagine di un uomo che non si riesce ad etichettare.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Michael Scofield, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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# Zio

Lo zio Mike è. Era uno tosto. Voglio dire. Uno tosto davvero.

Uno di quelli sempre pronti a darti una mano. E per me c’è sempre stato, quando avevo bisogno. E anche quando non ne avevo. O non ne volevo.

È stato lo zio Mike a pagarmi quel viaggio che volevo fare. A Springfield. A vedere la tomba di Lincoln. Sì: ridete pure. Ma se porti il nome di un presidente, lo devi aver pur visto il posto dove è sepolto. No? Tanto più se è anche nello stato in cui sei nato.

Ecco. Lo zio Mike mi ha pagato il viaggio. E mi ci ha accompagnato, anche. Perché di farmici andare da solo la mamma proprio non ne voleva sapere. Ma con lo zio Mike. Con lo zio Michael sì.

Ed è stato lo zio Mike a tirarmi fuori dai guai. Una volta. Più di una volta, a dire il vero. Quando papà. Sì; insomma. Quando papà non c’era e io il mio patrigno non lo reggevo. Proprio per nulla.

Non era molto affettuoso, lo zio Mike.

Cioè: non è mai stato tipo da baci, abbracci e moine. Ma ti guardava. Ecco: a volte ti guardava. Non so. Ti guardava come se ti facesse sentire il centro del mondo. E quando ti abbracciava. E, giuro, non capitava spesso. Ma. Dio. Quando lo zio Mike mi abbracciava mi sentivo al sicuro. Davvero al sicuro. Perché era magro; cazzo se era magro. Non era robusto come papà; e nemmeno come lo sono diventato io. Ma. Ma era forte. Io lo sentivo forte. Fortissimo. Invincibile. E sapevo che lì, in quell’abbraccio, ero al sicuro. Che mi avrebbe protetto da tutto. E da tutti.

Io me lo ricordo così, lo zio Mike.

Mentre mi prende la testa fra le mani. Quella mani grandi e nervose che non riusciva mai a tenere fermo. Me lo ricordo così, che mi prendeva la testa fra le mani e me la premeva contro la sua fronte. Vicino. Così vicino che ci vedevo doppio e dovevo chiudere gli occhi. Ma lo faceva. E mi sussurrava che sarebbe andato tutto bene. Che le cose si sarebbero aggiusta e papà sarebbe tornato. Da noi. Da me.

Lo zio Mike ci ha sempre creduto in mio papà. Anche quando era incazzato, ma proprio incazzato incazzato. Perché mio papà era un campione nel fare le scelte sbagliate. Anche per i motivi giusti. E di solito era lo zio Mike che ce lo doveva tirare fuori. Ma anche allora. Anche allora poi mi chiamava. E mi diceva che le cose da grandi sono complicate. Che a volte i grandi litigano, ma che io non ci devo pensare.

Perché papà mi vuole bene. Mi vuole un mondo di bene. E anche lui. Anche lui me ne vuole. E che per me ci sarebbero sempre stati. Mio papà. E lui.

Ed era vero. È sempre stato vero.

Quando succedeva. Quando mio padre finiva nei guai, lo zio Mike c’era, per me. Mi veniva a prendere e andavamo al parco. Magari restavamo seduti su una panchina per ore, in silenzio; magari camminavamo un po’. Non parlava molto, ma stava con me. Stava sempre con me, se succedeva qualcosa a mio padre.

E poi. Poi mi faceva i pancakes ai mirtilli.

Facevano schifo. Cioè. Facevano davvero schifo. Lo zio Mike era bravo in tante cose, ma i pancakes proprio non li ha mai saputi fare. Ma ci provava lo stesso. Perché sapeva che erano i miei preferiti. E sapeva che mi ricordavano mio padre.

Non gliel’ho mai detto. Non gli ho mai detto che quei pancakes erano orribili, ma che io ero contento lo stesso. E adesso, ogni tanto, quando succede qualcosa. Quando succede qualcosa di brutto, o sono giù. In quelle occasioni li vorrei mangiare ancora, i pancakes dello zio Mike.

 

 

 

 

 


E siamo arrivati al quinto tassello di questo ritratto a mosaico.

Dopo il marito, il padre e il fratello, arriva lo zio. O meglio: la voce del nipote.

E devo ammettere che scrivere di L.J. è stato difficile e stimolante assieme. Perché del rapporto che questi due hanno (e ce l’hanno. Oh, se ce l’hanno. È certo da alcune frasi) non sappiamo niente. Nemmeno una cippa.

C’è qualche abbraccio; c’è qualche parola buttata lì per caso. Ma nulla di definito. Nulla di preciso. Solo molto fumo. Ed è anche un peccato che, di fatto, a un certo punto L.J. sparisca (manco è nominato, nell’ultima serie!). Va bene non renderlo il motore dell’azione ma, dico io! Linc ha fatto i salti mortali per riavvicinarsi a questo figlio che gli scappava fra le mani; e Michael gli vuole bene. Lo si vede. Anche prima di finire in prigione gli vuole bene. Per lui è importante. Eppure. Puff! Finito l’uso, finito il personaggio.

Un po’ come è successo con Veronica.

Peccato. Un vero peccato.

E allora, visto che comunque la parola uncle sulla tomba c’è (e qualcuno – leggi L.J. – deve aver insistito per mettercela) non potevo sottrarmi. Via, allora.

Immaginando questo rapporto di padre putativo-surrogato di Michael con un ragazzino che va crescendo, che odia suo padre solo perché amare un padre che non c’è e si mette nei guai una volta sì e l’altra pure è solo troppo difficile. La rabbia, molto spesso, è più comoda dell’amore. Soprattutto in un ragazzino; soprattutto in un adolescente.

Quindi: mi sono divertita ha vedere Michael attraverso gli occhi di un adolescente. Una specie di eroe salvatore senza spada e con poche parole in bocca. Un eroe con un’armatura di latta che può diventare la padella di un pancakes.

Forse con L.J. esce (o almeno a me piace pensare che esca) il Michael della quotidianità, quello che era prima del carcere, prima di tutto. Quello che era semplicemente come uomo di tutti i giorni. Troppo arrabbiato con il fratello per parlare; e troppo legato a lui e alla sua famiglia per abbandonare un nipote-bambino a se stesso.

E comunque sì: Michael non sa cucinare! Non si può essere bravi in tutto, no? E visto che la perfezione non esiste (nemmeno nelle storie) un difetto dovevo pure trovarcelo! Quindi: è una schiappa in cucina. Roba da lavanda gastrica. Sarà forse per questo che Linc ama cucinare? E quei pancakes ai mirtilli dovevano avere un ruolo. Assolutamente! Altrimenti erano un po’ troppo sprecati. Anche se forse sono uno dei protagonisti dell’episodio di attesa dell’esecuzione.

  
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