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Autore: Pinkproudhead    16/11/2017    0 recensioni
Passi gran parte delle superiori a desiderare di uscirne ed un giorno, senza alcun preavviso, le superiori ti si riversano addosso senza che tu l'avessi chiesto. Così succede a Bonnie che, spinta dall'amico di sempre Peter M.Butler (vi ricorda qualcuno?) si ritrova nell'occhio del ciclone, tra gare di matematica e balli della scuola, corsi di biologia avanzati e elezioni a presidentessa di istituto. E allora arrivano i drammi, nuovi amici, nuove esperienze e arriva anche il primo amore, però arriva male a bordo di una moto truccata. Sullo sfondo si muovono, leggere, le vite degli altri personaggi.
Genere: Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yuri | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Capricorno, bilancia...È perfetto! Non ti pare?- 
Bonnie annuisce senza convinzione mentre avanza per il corridoio, al suo fianco Peter è entusiasta, sta continuando a parlare e parlare e parlare. Nemmeno la confusione della folla che alla campanella finale si affretta per uscire riesce a placarlo. È da stamattina che parla senza sosta, argomenti della conversazione: la festa, la serata, Bimo, l'oroscopo e le stelle e chissà che altro. Ha smesso di ascoltarlo qualche minuto dopo, è riuscita a essere persino grata alle lezioni che non hanno in comune (le più pesanti, per la precisione) per il fatto di poter riposare il cervello. Dal canto suo a Peter sembra non importare nulla del palese disinteresse del suo interlocutore, parlando a se stesso più che altro, come in una sorta di monologo. Dimostra, anzi, anche un lieve disappunto per il mancato coinvolgimento che sperava di ottenere. 
-Potresti ascoltarmi? Ti sto parlando di una cosa piuttosto seria e tu non ti degni nemmeno di rispondermi.- 
-Ma cosa devo risponderti? Sai come la penso su queste cialtronate, non posso dire niente senza rischiare di offenderti. - dice in tono accusatorio
Peter d'un tratto la supera e le si para davanti costringendola a fissarlo negli occhi, o meglio, costringendola a fissarlo e basta dal momento che è di qualche spanna più basso. Piccolo ingorgo in corridoio, qualcuno protesta, questo non distoglie l'attenzione di Peter dalla sua scena madre. 
Con fare molto drammatico comincia -Mi hai già parecchio offeso con queste tue cattiverie gratuite, per la cronaca.- Cerca di essere serio ma gli sfugge un sorriso, Bonnie allora ride di rimando e lo supera di nuovo dandogli una leggera spallata e si rimette in marcia, anche lui quindi riprende a camminare e a seguirla. Qualche metro dopo, accertatasi che sia di nuovo accanto a lei, riprende la parola -Offeso?- comincia d'un tratto -Dovrei essere io quella offesa, vorrei ricordarti.- 
Peter ruota gli occhi -Stai ricominciando? Ti ho già chiesto perdono, sono desolato. Comunque alla fine tutto si è risolto per il meglio per tutti, e questa storia è chiusa, non mi pare il caso di continuare questa pantomima. Che altro dovrei fare per chiederle ulteriormente umilmente scusa?- conclude in tono canzonatorio.
-Tacere, ad esempio -risponde lei di rimando, sarcastica. Si ferma, il corridoio è terminato, si trovano ormai all'uscita principale, escono senza nessuna esitazione. 
È una giornata d'autunno fredda, il cielo è terso, tuttavia tira un vento che non perdona. È ormai tardo pomeriggio e il cielo sta cominciando a imbrunire colorando l'orizzonte di un blu cobalto sbiadito. Davanti a loro si erge l'enorme cortile della Washington High School. In lontananza i campi da gioco fanno da cornice a l'immenso prato che circonda la scuola, prima di svanire e lasciare posto al parcheggio. È ben curato e custodito, tuttavia nemmeno il miglior giardiniere può impedire che il vento dissemini ovunque le foglie ormai ingiallite e morte per via della stagione, che si trovano infatti da ogni parte donando al paesaggio un aspetto un po' disordinato ma meno artificioso del solito. I tavolini di legno sparsi qua e là, in genere sempre pieni di studenti a ripassare o semplicemente e trascorrere il pomeriggio sono vuoti; stare all'aperto è una vera sfida contro la natura.
Una folata di vento più forte li coglie all'improvviso, si stringono entrambi nelle loro giacche.  
-Se lo desideri posso darti un passaggio adesso, però.-  
-Mi piacerebbe accettare ma ho bisogno di andare in biblioteca- risponde Bonnie 
-Biblioteca? Le persone vanno ancora lì? Non è stata rimpiazzata da internet da circa...non saprei, un po' di tempo- 
-In realtà tutto inizia nel 1960 con l'inizio delle ricerche, poi nel 1967...- 
-Non m'importa veramente!- la interrompe Peter -Era solo una battuta, perché prendi sempre tutto così sul serio?- 
-Non prendo tutto sul serio, stavo solo cercando di rendermi utile, non importa, fatto sta che devo rifiutare l'offerta.-  
-Che cosa devi cercare comunque in biblioteca che google non possa fornirti?- 
-Una ricerca sulla condizione sociopolitica americana a partire dall'indipendenza degli Stati Uniti, concentrandomi in particolare sull'evoluzione in questa città. Per questo preferisco avere a disposizione il materiale dell'epoca.-
Peter alza le spalle, annoiato, finisce di abbottonarsi il cappotto doppio petto color cammello, infila le mani in tasca, il vento gli scompiglia i capelli scuri e gli arrossa il viso pallido. 
-Ma che corsi stai seguendo?- Non si aspetta nessuna risposta.- Va bene, come preferisci, ci vediamo.- 
Bonnie fa un cenno rapido, così si salutano. 
La biblioteca, come aveva previsto Peter, è deserta. L'unica presenza sembra quella dell'arcigna bibliotecaria, che , come da manuale, è vestita come una cariatide, ha un'espressione poco accomodante sul viso, un grosso paio di occhiali da lettura e una crocchia di capelli che sembrano spruzzati di bianco. Sembra più inacidita del solito e si muove per i tavoli deserti a passo svelto, come se stesse cercando qualcosa, le riserva uno sguardo tutt'altro che accogliente, come di sfida, ma Bonnie lo ignora, l'ambiente è caldo e piacevole, il silenzio quasi innaturale, e non sarà certo quella megera a rovinargli l'umore. 
Il materiale sulla storia cittadina, scopre dopo una breve ricerca sul database, è relegato in una stanza all'ultimo piano, una stanza così piccola da sembrare una soffitta, e nessuno li consulta da quello che pare un decennio. Sono polverosi ed enormi, rilegati in cuoio e pesantissimi, aprirli le causa un moto di tosse ed enorme fatica, scritti a mano in un corsivo criptico chissà quanti anni prima; si prospetta un duro lavoro. In questo angolo dimenticato da dio si trova una sola piccola scrivania, una lampada è pronta per illuminare il piano di lavoro, un ambiente che sembra essere in attesa di lei. 
Non riesce però a concentrarsi come vorrebbe, un fastidioso ticchettio continua a darle su i nervi, possibile che il rumore dei tacchetti bassi delle orribili scarpe della bibliotecaria riescano ad arrivare fin lassù? Eppure è certa di non averla sentita salire le scale, così come è certa che non ci sia nessuno oltre lei nei paraggi. Sarà una tubatura che perde, un topo intento a rosicchiare un volume da qualche, pensiero che la disgusta leggermente, una lampadina in fin di vita, un ramo che batte sulla finestra per il vento. Certo, il vento, (come ha potuto non pensarci prima?) è la soluzione più logica. 
Il ticchettio però è ritmico e persistente, assomiglia vagamente al rumore di dita che digitano compulsivamente su una tastiera. Il che avrebbe senso, in una biblioteca, ma se è lei l'unica presente come potrebbe spiegarsi? 
Questo pensiero la tormenta, i primi cittadini e i loro impieghi hanno perso qualsiasi importanza, decide alla fine, esasperata, di fare un giro di tutto il piano per arrivare in fondo alla questione. Oltre alla stanza in cui si trova c'è un grosso salone, nel quale si aggira sospettosa, completamente vuoto. Altre due piccole stanze polverose, deserte. Due bagni, uno per le donne e uno per gli uomini, entrambi desolati. Uno sgabuzzino per le scope anch'esso assolutamente privo di vita. Sta iniziando a innervosirsi, il rumore è totalmente scomparso dal momento in cui è uscita dalla stanza. Tutto è di nuovo muto. 
Quando rientra qualcosa di ancora più strano la attende, non c'è più solo il ticchettio nell'aria ma anche quella che assomiglia vagamente a una musica. Una musica ovattata ma distinguibile, una musica che sembra musica rock o qualcosa del genere, non totalmente riconoscibile, come una musica altissima sparata da un paio di cuffiette. 
Adesso l'assale un sentimento che non è più frustrazione, né curiosità, ma assomiglia tremendamente alla paura. Si ferma in mezzo alla stanza, immobilizzata. 
La voce della ragione le dice di prendere le sue cose ad andarsene, ma la voce ancora più razionale le suggerisce che non può esserci nulla di spaventoso in fin dei conti. Aguzza l'udito, come in uno scadente film dell'orrore di serie b il suono proviene dall'armadio. Non si può essere spaventati da un tale stereotipo. Si avvicina quindi cauta, spaventata ma smaniosa di avere finalmente una risposta. 
Poi, senza indugiare ulteriormente, con un gesto rapido, apre l'anta. 
-Signorina Wright posso spiegarle!- strilla una voce 
-Io non...cosa sta succedendo?- riesce a borbottare prima che venga spinta con forza nell'armadio che viene poi chiuso nuovamente con forza ma con un'attenzione particolare nel non fare rumore.
-Tu non sei la signorina Wright, chi sei? Che stai facendo qua?- chiede la voce con tono accusatorio. Bonnie è sconvolta, il suo corpo è irrigidito. 
L'armadio all'interno è molto più grande di quello che ci si potrebbe aspettare, si trova infatti incastonato tra due librerie e questo fatto, a una prima occhiata esterna, non lascia trasparire le sue reali dimensioni. Si tratta sempre di uno spazio angusto, certo, ma il soffitto, se così può essere definito, è alto quasi quanto la stanza e la larghezza e la profondità sono a misura di persona, o almeno, di una persona esile. Adesso che sono in due sembra di stare in una scatoletta di sardine, non c'è nemmeno lo spazio di respirare. Al suo interno uno sgabello, un computer gettato per terra nella foga, qualche foglio accartocciato per terra, una luce da notte attaccata al soffitto con lo scotch adesivo illuminano due occhi che la stanno scrutando dall'alto in basso. 
-Mi stai chiedendo che sto facendo qua?-
-Parla piano, cazzo!- le intima l'altra voce bisbigliando.
-Parlare piano? Cosa stai facendo in un armadio, perché, chi sei?
La persona dall'altra parte emette quello che sembra essere un moto di frustrazione, poi la sua voce, una voce di donna, si addolcisce. -Non posso spiegarti adesso, non posso stare qua.- 
-Perchè?- risponde Bonnie. 
Come annunciato l'altra non risponde. -Penso di doverti effettivamente delle spiegazioni. Ma non adesso. Usciamo, ma fai piano.-  
E lei ad uscire per prima, rapidamente, con aria sospetta si avvicina verso la porta della stanza e la chiude con delicatezza. Dopo un momento che si concede ancora per lo sbigottimento anche Bonnie esce dall'armadio. Alla luce naturale riesce a vedere bene la ragazza: è molto alta, persino più alta di lei, i larghi indumenti che indossa non riescono a nascondere una corporatura talmente esile da sembrare scheletrica, capelli neri che arrivano più o meno alle spalle, arruffati, in disordine, sembra se li sia tagliati da sola, cadono distrattamente su un viso spigoloso e severo, occhi neri, incarnato evanescente. È certa di non averla mai vista prima di allora. 
-Vediamoci fuori di qua.- dice mentre tende l'orecchio verso la porta chiusa controllando che non stia arrivando nessuno. 
-Io non so chi sei, non so che intenzioni tu abbia, eri nascosta dentro un armadio, perchè dovrei fidarmi di te?-
Lei si gira e sorride in modo beffardo, la sua espressione seria cambia di colpo, continua a parlare flebilmente -Che tu ti fida di me o meno non è un problema mio, fino a prova contraria sei tu che mi hai disturbato. Ti chiedo solo un favore, e te lo chiedo dal cuore, non dire a nessuno che ero qua, non sono autorizzata a stare qui.- 
Adesso la frustrazione proviene da Bonnie -Ma perché e perché dovrei farti un favore?- Non riesce a capacitarsi, vorrebbe urlare, continua a sentirsi minacciata. 
-Senti, seriamente, vediamoci fuori e ti dirò tutto quello che hai bisogno di sapere- adesso è infastidita, si muove velocemente verso di lei. Bonnie non risponde, è indecisa sul da farsi. 
-Va bene?- la incalza l'altra speranzosa.  
Si arrende -Va bene, va bene.- 
Il suo viso questa volta si accende di gioia -Ci vediamo qua davanti.- 
Bonnie è confusa, più confusa di prima-Non dobbiamo fare comunque la stessa strada per scendere?- 
-Tu non ne hai idea- risponde concedendosi una risata un po' più forte, e dopo aver velocemente spento la luce, raccolto il computer e aver chiuso l'armadio con un lucchetto che tira fuori dalla tasca si avvicina verso la finestra ad altezza uomo posizionata all'angolo e senza tentennamenti la scavalca, ritrovandosi nel buio.
  
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