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Autore: Uudenkuu    16/11/2017    3 recensioni
Un breve racconto di una fenice, di una morte e di una rinascita dalle ceneri.
“Devo proprio dirtelo, la tua musica mi ha cambiato la vita. Non esagero, dico sul serio. La mia vita era senza uno scopo, sai,” e Yoongi non capì il motivo di quel bisogno d’aprirsi così tanto perciò strizzò le labbra fini in una smorfia di disappunto, “Ma l’ho trovato. La tua musica me lo ha fatto trovare. Ci credi? Che ho capito di non poter fare l’avvocato? Devi credermi. Sono Park Jimin.”
“Min Yoongi.”
Un barlume di speranza invase le iridi languide del più piccolo.
“Ho trovato un senso, Min Yoongi!”
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Min Yoongi/ Suga, Park Jimin
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Before the Show

Part 1



Le dita del ragazzo dai capelli verde acqua si muovevano freneticamente sulla tastiera polverosa di un pianoforte di seconda mano. Di quelli che si affittano in un negozio musicale di periferia, stonato abbastanza da poter infastidire il musicista e non la massa noncurante che l’ascolta. Il pedale scricchiolava al peso degli anfibi di cuoio, accompagnato dallo sfrigolio della pelle sintetica che fasciava le gambe asciutte del giovane. Il maglione nero gli copriva l’esile collo pallido, così come le maniche stirate fino alle nocche nascondevano le dita ossute ed affusolate che si stavano esibendo in un difficoltoso concerto in la. Scuoteva la testa, seguendo il ritmo incalzante dell’allegro, non proprio rappresentativo del suo stato d’animo perenne e della sua maniera di presentarsi alle altre persone. Ma quando suonava, si dimenticava di dover odiare tutto e tutti, di fingersi troppo pigro per rivolgere la parola ad un suo coetaneo o troppo infastidito per poter rispondere cortesemente a una domanda. Quando suonava, l’indole lasciava il posto alla furia artistica; la ragione alla più completa e cieca ondata d’emozioni senza senso, senza causa e senza effetto. Park Jimin osservava quel ragazzo dimenarsi sul seggiolino consumato, al centro del palco del teatro che la scuola aveva affittato per la riunione di fine anno. I suoi compagni di classe avevano gli occhi piantati su un cellulare o un tablet o un iPad; quelli più grandi trovavano scuse per trascinare le ragazze nei bagni o al di fuori della struttura, nascondevano sigarette e spinelli nelle tasche delle giacche di pelle e se la prendevano con chiunque sembrasse troppo debole per rispondere. Jimin faceva decisamente parte di quest’ultima categoria, tanto timido e insicuro che era, ma in quel momento niente e nessuno sarebbe stato in grado di distrarlo dall’angelica visione. Con gli occhi lucidi dall’emozione, le ciglia imbevute di lacrime di gioia, le grandissime labbra frementi per la passione, le guance paffute ritratte e distese secondo il ritmo di quell’allegro, le mani congiunte sul cuore impazzito era precipitato in un mondo tutto suo. Talmente estraniato che nemmeno i bulli più coraggiosi avevano voglia di avvicinarsi. Park Jimin, dicevano nei corridoi di quel liceo, era da lasciar stare quando si comportava così. Meglio non immischiarsi negli affari degli strambi, concordavano. Eppure il giovanissimo ragazzo era accartocciato sul sedile rosso del teatro, chiaramente in prima fila, e continuava ad osservare quel ragazzo dai capelli verde acqua che suonava. Come se lo spaziotempo si fosse congelato solo nell’ipotetica linea che univa i due corpi, perfettamente perpendicolare rispetto alla fila nella quale il minore era accomodato, i due vivevano a rallentatore in una dimensione parallela. Yoongi con il suo pianoforte, Jimin con la sua sconfinata ammirazione per Yoongi e per il suo pianoforte. Il resto del mondo non esisteva, era solo una falsità, non era importante. I professori che rimproveravano gli alunni a suon di “ssssh!” contaminati con diversi livelli di rabbia, di fastidio e di strascichi acuti non desiderati; i bulli che infastidivano i più giovani; i vanitosi tutti presi dai loro selfie; le ragazze tutte prese da loro stesse e dal colore del rossetto che portavano non erano stati inglobati in quella sfera viscida.

Quando l’ultima nota venne scandita dal mignolo scoperto del maggiore dei due, un applauso di convenienza si innalzò nell’aria polverosa e stantia di quel vecchio teatro ormai inutilizzato. Un gruppo di tre ragazzi continuò a bisticciare e ridacchiare senza nemmeno accorgersi della fine dell’esibizione, ma Yoongi non sembrò colpito dal disinteresse altrui. Aveva vissuto abbastanza per poter capire che non era importante ricercare l’appoggio degli altri, perché non ne avrebbe mai ricevuto abbastanza da ritenersi soddisfatto. Perché non poteva esistere nessun’altra persona all’infuori del proprio ego, della propria indole e del proprio inconscio in grado di farlo sentire al sicuro. Il suo modo di fare così scostante e distaccato era pura auto-conservazione. Istinto di sopravvivenza animale che schiacciava ogni possibilità di aprirsi ad un rapporto sociale. L’affetto, la felicità, l’amore, la fiducia non facevano per lui. Lui aveva soltanto la sua arte e il suo pianoforte dalla sua.  Proprio per questo si costrinse a guardare in cagnesco un ragazzino, dall’apparenza fragile, che ciondolava fra il resto della platea per potersi avvicinare a lui. Indossava uno sguardo adulatorio, un paio di occhi grandi e sognanti di bambino che deve ancora scoprire l’inesistenza di Babbo Natale, un sorriso talmente largo da scavargli entrambe le guance, velate da un leggero rossore. Le mani ancora strette al petto, per sorreggere un cuore così gonfio d’emozione che poteva cedere da un momento all’altro.

“Sei stato fantastico!” esclamò Jimin, col timbro di voce dolce, ma dal tono squillante e femminile.

Park Jimin era orfano, viveva con sua sorella maggiore in un piccolo bilocale in affitto nella periferia di San Francisco. Nonostante sentisse la mancanza dei sui genitori giorno e notte, era uno di quei volti che non poteva proprio fare a meno di sorridere. Un cerbiatto curioso che scorrazza allegramente sul prato d’alta montagna, pronto a cibarsi della sterpaglia succulenta e ignaro del pericolo che potrebbe correre esponendosi così tanto alla vista di un predatore carnivoro. Di indole pacifica e tranquilla, di buon cuore e parlantina educata. I capelli neri, acconciati in un caschetto regolare e un po’ infantile, sobbalzavano accompagnando la veloce camminata verso il musicista. Faceva fatica a trascinare il corpo minuto e magrolino fra le imponenti e muscolose presenze dei suoi compagni, ma non si sarebbe di certo fermato. Doveva raggiungere quel ragazzo dall’abbigliamento buffo e l’acconciatura eccentrica e dirgli d’essere eccezionale. Che avrebbe volentieri accompagnato la sua musica in una qualche maniera per poterla rendere completa. Per potersi rendere completo. La voglia di intraprendere una strada definitiva c’era eccome, nel cuore tamburellante del piccolo Jimin, ma la direzione non ancora molto chiara. La foschia gli annebbiava i desideri, le nuvole coprivano il debole chiarore della luna piena, ma fortunatamente Jimin non aveva paura del buio.

“No, ehi, aspetta! Aspetta, per favore!”

Yoongi, abbastanza acuto d’aver capito le intenzioni della pulce, si era precipitato giù dal palco, con lo stomaco stretto da un’ansia che non poteva né controllare né comprendere, e si era diretto verso l’uscita d’emergenza laterale. Doveva sfuggire a quel piccolo verme a qualunque costo, perché non poteva permettersi di lasciarsi abbindolare dai complimenti. La musica era il suo punto debole – non riusciva nemmeno a ricordare il motivo per cui avesse accettato di esibirsi in un posto tanto squallido, ignorato da persone altrettanto squallide – e non poteva mostrare con così poca precauzione la parte più tenera e succulenta della propria anima. Ma Jimin non sembrava spaventato dall’inseguimento, né dal buio, quindi aveva permesso alle sue sinapsi innamorate di dedicarsi alla caccia al musicista.

“Che cosa vuoi?” tuonò Yoongi, soffiando una densa coltre di fumo nella direzione del minore che era, inaspettatamente e inspiegabilmente, riuscito a raggiungerlo.

Jimin tossì un paio di volte, portandosi la piccola mano paffuta alla bocca. Il maggiore roteò gli occhi e nascose la sigaretta fumante dietro alla schiena, per poter proteggere quel corpo fragile dal fumo passivo.

“Volevo solo dirti che sei stato fantastico!” replicò Jimin, col sorriso allegro non ancora scalfito dalla freddezza del suo interlocutore, “Sei stato davvero fantastico. Ti ho sentito suonare a scuola, sai. Dopo le lezioni, al quinto piano. La mia classe si trova proprio lì, perciò mi sono fermato ogni giorno da quando hai incominciato a provare. Ho anche tentato di avvicinarmi, ma mi sembravi così concentrato che ho preferito non disturbarti. Ma oggi era il momento! Il giorno migliore per farlo! Dovevo proprio dirtelo!”

“Aspetta, tu cos’è che ci facevi al quinto pia…”

“Devo proprio dirtelo, la tua musica mi ha cambiato la vita. Non esagero, dico sul serio. La mia vita era senza uno scopo, sai,” e Yoongi non capì il motivo di quel bisogno d’aprirsi così tanto perciò strizzò le labbra fini in una smorfia di disappunto, “Ma l’ho trovato. La tua musica me lo ha fatto trovare. Ci credi? Che ho capito di non poter fare l’avvocato? Devi credermi. Sono Park Jimin.”

“Min Yoongi.”

Un barlume di speranza invase le iridi languide del più piccolo.

“Ho trovato un senso, Min Yoongi!”

“Non mi interessa, lasciami in pace.”

“Per favore, dammi una possibilità, Yoongi, per favore! Siamo soli tutti e due. Lo vedo, a scuola, che non c’è speranza per noi di avere un gruppo di amici normali. Ma è ok, è perché siamo speciali. Mia madre me lo diceva sempre prima di morire che ero un bambino speciale, ma sono sicurissimo che l’avrebbe detto anche a te se avesse fatto in tempo a conoscerti. Se solo ti avesse sentito suonare, te lo avrebbe detto anche lei.” Jimin si ritrovò sulle ginocchia, con le mani tremanti che avevano tentato di inglobare quelle sudate e affusolate di Yoongi, un po’ scosse a causa di quel contatto inaspettato.

E il maggiore in età non si era mosso, contrariamente a ciò che si era ordinato di fare. Era rimasto lì, in piedi, a fissare dall’alto la testa tonda di un ragazzino che lo pregava di essere ascoltato. Con quelle mani da neonato strette a coppetta attorno alle proprie, pallide di morte, mucchietto di ossa che si scontrava contro dei tasti bianchi e neri per tutto il giorno, improvvisamente più sudate. Da quanto tempo non aveva avuto contatto fisico con qualcuno? Non permetteva nemmeno ai suoi genitori di sfiorarlo. Probabilmente nessun coetaneo gli si era mai avvicinato e i pochi temerari che avevano provato a intraprendere una conversazione civile si erano pentiti qualche secondo dopo. Eppure Park Jimin era in ginocchio. Era in ginocchio!

“Che cosa stai facendo…” mugugnò Yoongi, un po’ in imbarazzo a causa della stramba situazione, “Dai, alzati…” e fece sgusciare una mano sola da quella stretta sudaticcia per poter afferrare il braccio del ragazzo e tirarlo su scompostamente.

“È per caso una possibilità?” chiese il più piccolo, la voce rotta dall’emozione.

Yoongi aprì la bocca per dire qualcosa di estremamente inconveniente ma, non riuscendo a pensare a nulla, la richiuse. Avvicinò il mozzicone ormai finito alla bocca e aspirò a lungo, fino a sentirsi i polmoni bruciare e la gola scoppiare. Gli occhi piccoli ed aguzzi gli si riempirono di lacrime. Aspettò un paio di secondi prima di soffiare via tutto quanto, unendo al coro un indecoroso e rumoroso sospiro rassegnato.

“Che cosa vuoi da me?” chiese infine, allungando un sorrisetto.

“Voglio accompagnare la tua musica, Yoongi. Voglio fondermi con essa, sentirmi parte di essa, completarla in una maniera che solo io riesco a fare. Il mio senso è fare arte con te, l’ho capito dalla maniera in cui la tua musica mi ha scosso nel profondo. È da quasi un anno che ti sento suonare, anche se tu non lo sapevi. È da quasi un anno che mi suggerisci una via alternativa all’infelicità e agli avvocati.”

“Non ho capito la storia degli avvocati.”

“Non importa, non importa!” e le mani di Jimin planarono sulle strette spalle di Yoongi, in una morsa tenera e delicata, “Danzerò sulla tua musica. Diventerò un professionista per potermi lasciare trasportare completamente dalle note che scrivi. Sarò parte della tua arte. Mi è sempre piaciuto ballare, sai, ma non avevo mai pensato che potesse significare così tanto per me. Ma ora ho capito! È grazie a te che tutto ha un senso, che io ho visto la luce. Quella vera. È perché suoni così bene il pianoforte. Quindi che ne pensi? Collaboriamo? Troviamo un senso insieme, io e te?”
Gli zigomi pronunciati del maggiore vennero improvvisamente inondati da una lucente e salata cascata di lacrime. Il naso aguzzo si stirò un paio di volte, le labbra sottili si tesero fino a convergere in un infimo punto materiale. La testa colorata si abbassò, livida dalla vergogna di aver accolto una reazione emotiva così istintiva senza nemmeno essere riuscito a contenerla. Yoongi non aveva mai pianto in vita sua. Jimin non aveva mai creduto in nulla, in vita sua, soprattutto alla possibilità che anche un essere imbarazzante e goffo come lui potesse trovare la sua strada.

“Devo ricevere qualcosa in cambio, altrimenti non è un patto equo.” Grugnì Yoongi, tra un debole singhiozzo e l’altro.

Le lacrime erano comparse anche sul volto longilineo del più piccolo.

“Cosa?”

“Dobbiamo entrambi andare in una scuola per migliorare, altrimenti non se ne fa nulla, e dobbiamo incontrarci almeno una volta a settimana per provare. Così io posso dirti quanto fai schifo a ballare e tu puoi dirmi quanto sono bravo a suonare. Magari puoi, uhm”, ci fu una breve pausa scandita da un debole colpo di tosse, “Darmi un paio di consigli. Che sono più che tenuto a non ascoltare, si intende.” 









Note dell'autrice

CIao a tutti ragazzi. Mi chiamo Orion e vi presento un racconto breve, narrato in piccoli flash che vi mostreranno l'andamento della storia, che mi è venuto in mente durante un esercizio al corso di scrittura che frequento. E' nato tutto così, quasi senza motivo, da una scena di un flash futuro di cui ovviamente non vi parlerò. La notte insonne mi ha dato la possibilità di pensarci meglio e di decidere di scriverci un racconto breve di 30 pagine word divise in sezioni da 10. Queste sezioni verranno a loro volta divise durante la pubblicazione, per rendere i capitoli più scorrevoli e per cercare di creare più suspance e verranno segnati dal nome della sezione (per esempio "Before the Show)" con un trattino ed un numero. Il numero vi permetterà di comprendere l'andamento cronologico degli accaduti, narrati comunque in ordine - non preoccupatevi troppo! Non credevo di volerlo condividere fin quando non è diventato così importante per me. Era una storia da nulla che infine ha messo radici nel mio cuore e mi sono fatta coraggio per presentarla a tutti voi, nella speranza che l'apprezziate e provate ciò che io ho provato scrivendola. 
Grazie a chiunque decida di passare, in particolare a chi lascia un resoconto (mi piacerebbe capire se sto sbagliando oppure no, per favore, sono ben accetti qualsiasi tipi di commenti!) e a chi decide di inserire queste storie fra le seguite o le preferite. Per qualsiasi cosa, potete lasciarmi un messaggino. Ori risponde sempre. 
Bacini fotonici, 
Orion
 
   
 
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