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Autore: FridaMooney98    16/11/2017    1 recensioni
Aron e Damian sono Cacciatori. Le loro prede, le Bestie della Luna, sono tanto importanti quanto rare e a loro hanno dedicato una missione che si protrae da secoli. Safiria è malata, indifesa e ferita e, per un triste gioco del destino, si ritroverà sulla loro strada. Attraverso il tempo e viaggiando per l'Europa, i Cacciatori e la ragazza dovranno scoprire cosa si cela dietro la maledizione delle Bestie della Luna. Dal testo: "Damian seguì con lo sguardo la luce del sole, che passando dai fori della tapparella si proiettava sul muro opposto in fasci lucenti. Bisognava coprirli meglio quella notte, subito dopo essere tornati dal giro di perlustrazione. Le “sensazioni” di Damian avevano condotto i Cacciatori in quel paesino, alla ricerca di un nuovo esemplare. Sperando nella buona riuscita dell’indagine, Damian e suo fratello sorrisero, i loro denti brillanti che luccicavano nell'ombra. Al tramonto, l’unico suono nella stanza era l’eco dei loro cuori che acceleravano accogliendo il buio."
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Triangolo
Capitoli:
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Safiria si stiracchiò con un gesto felino sul divano, scostandosi i boccoli dal viso. Impiegò diversi minuti prima di svegliarsi completamente, non senza una vasta gamma di mugolii infastiditi. Mirtillo le si accucciò sul ventre, fissandola con gli occhi gialli. -Ehi gatto, quanto ho dormito?- Gli chiese, accarezzandolo. Il micio miagolò piano, facendole intendere che era l’ora di mangiare. Saf sentì il suo stomaco brontolare. Aveva una fame terribile e si diresse in cucina scrocchiando il collo. Mirtillo la seguì, impaziente di avere la sua razione del pomeriggio. -Si, hai ragione. Non sono affatto regolare ultimamente. Devo mettere delle sveglie per segnare i pasti.- Gli fece, scocciata, constatando di aver completamente saltato il pranzo. Versò le crocchette nella ciotola verde del gatto e pensò a cosa prendere per sé: -Non ho alcuna voglia di farmi un panino. Non mi metterò nemmeno a cucinare qualcos’altro. Ripiegherò sui biscotti.- Non resistette alla golosità e si portò via l’intero pacco di biscotti con le gocce di cioccolato. Attraversò il salone fino ad una porta di legno intagliato, entrando a passo spedito nella sala da musica buia e sedendosi al pianoforte. Appoggiò seccamente il pacchetto di biscotti sul piano, accese la lampada e alzò il copri-tastiera. Agitò teatralmente le mani e poi eseguì una serie complicata di scale e arpeggi. Cloude poteva dire quello che voleva, pensò, ma lei era davvero un portento in questo. Sorrise e prese a suonare il vecchio pezzo che il professore le aveva assegnato. Era complicato, ma profondamente noioso. Improvvisamente spostò le mani sulla tastiera e nella sala iniziarono ad aleggiare le note malinconiche del Chiaro di Luna di Beethoven. La melodia si estese in tutta la stanza, giungendo fino agli angoli bui non illuminati dalla lampada vicino al pianoforte. Saf suonò ad occhi chiusi, rievocando inconsapevolmente la notte prima. Il suo viso assunse un’espressione sofferente mentre ripensava alle parole del misterioso individuo e alle illusioni che le avevano donato. Mirtillo, nella stanza, iniziò a miagolare infastidito e Safiria si interruppe: -Scusa, scusa. So che non ti piace quando suono così…- E scacciò i pensieri, accettando di buon grado di suonare il brano preferito del suo gatto, il Preludio numero 1 in do di Bach. Il micio si acciambellò ai suoi piedi, facendo le fusa. Passò poco tempo, poi il campanello suonò improvvisamente. Saf rimase con le mani a mezz’aria, il respiro sospeso. Attese, credendo di averlo immaginato. Invece, il suono chiaro del campanello perforò nuovamente il silenzio della villa, togliendole ogni dubbio. Si alzò lentamente e raggiunse la porta d’ingresso. Guardò dallo spioncino mordendosi le labbra per l’agitazione: Cloude. Alla giovane mancò un battito. Che cos’era venuto a fare? Il professore scrutava la porta con apprensione, guardando l’orologio; lei allacciò la vestaglia e aprì, sperando che lui non notasse il rossore delle sue guance. -Professore?- Cloude si aprì in un sorriso sincero, guardandola divertito: -Ti ho svegliata?- Lei cercò di coprire il più possibile le gambe e maledisse i riccioli scompigliati che tradivano la sua lunga dormita. Vi passò una mano e si scostò per farlo entrare: -Veramente mi stavo esercitando al piano, come mi ha ordinato.- Lui scosse la testa, ridacchiando: -Ordinato… che esagerata.- La seguì in cucina. -Vuole da bere?- Lui scosse la testa: -Non disturbarti, ero passato per vedere come stavi.- -Sembra preoccupato.- Constatò lei invece, notando lo sguardo insistente del professore. -Non rispondevi ai messaggi.- Fece lui, semplicemente. Saf guardò il telefono, ancora abbandonato sul divano. -Ho lasciato il cellulare in silenzioso, ho perso la cognizione del tempo e ho dormito tutto il pomeriggio.- -Non importa, ma chiama tua sorella. Dev’essere preoccupata, è stata lei a chiamarmi.- Lei sospirò, sedendosi di fronte al professore: dunque era solo per quello che era passato a trovarla… -Sto meglio, ma mi ronzano in testa strani pensieri.- Disse, più a se stessa che a lui. Cloude aggrottò le sopracciglia: -Che genere di pensieri?- -Non esistono proprio da nessuna parte altre persone con il mio… problema?- Chiese, con fare innocente. Cloude sembrò soppesare la domanda, mentre la guardava: -No. In nessun luogo e in nessun tempo si è mai verificato un episodio come il tuo.- Rispose, infine. -E se ci fossero invece?- Insistette lei. Cloude si fece serio e il suo volto si indurì: -Perché mi stai dicendo queste cose?- Safiria non seppe cosa rispondere. Per quanto si fidasse di lui, non poteva rivelargli cosa stava accadendo in quelle notti, nel giardino di casa sua. -Sono solo pensieri, credo…- Si strinse nelle spalle, facendosi più piccola. Cloude si sporse per prenderle una mano con dolce fermezza: -Chiunque voglia convincerti di poterti aiutare, sta mentendo. La tua famiglia, i medici ed io, abbiamo cercato in ogni modo possibile di aiutarti. Se esistesse un modo, l’avremmo già scoperto.- Strinse la presa: -Qualcuno ti ha contattata? Ti importuna con queste sciocchezze?- Lei scosse velocemente la testa, deglutendo. Lui le sorrise, accarezzandole il dorso della mano con il pollice: -Meglio così. Tredici anni sono lunghi, Safiria. Ma ne hai molti di più davanti a te, non perdere comunque la speranza e fidati di noi.- Lei annuì, ritirando velocemente la mano e sciogliendo il contatto fisico. Perché Cloude aveva subito pensato che qualcuno l’avesse contattata? Era una cosa che temeva succedesse da tempo? –Prima di tutto sono quasi quattordici anni, visto che la settimana prossima festeggerò i miei vent’anni. Poi, ho finito il tema di francese, se le interessa.- Esclamò, cambiando discorso. –Bene! Allora voglio leggerlo subito!- La assecondò il professore, alzandosi in piedi. Lei gli fece strada fino in camera. Frugò lentamente tra i fogli della sua scrivania, regolando il respiro: nonostante tutto, l’uomo di cui era innamorata era solo con lei da più di dieci minuti, senza che fosse una lezione. Cloude entrò silenziosamente, appoggiandosi allo stipite della porta e osservando con tenerezza i dettagli della camera: -Si vede che è la tua stanza.- Sorrise. Safiria lo guardò da sopra la spalla, sollevando le sopracciglia, eloquente: -Ah davvero?- -Non fare quella faccia, guarda che ti conosco.- -È la prima volta che qualcuno, oltre mio padre e mia sorella, entra nella mia stanza. Si senta pure onorato.- Lo punzecchiò. Cloude si avvicinò al baldacchino e lasciò scivolare una mano sulla seta liscia della tenda, portandosene un lembo vicino al viso, ridendo: -Si sente anche, che è la tua stanza. Profuma di lavanda, proprio come te.- Saf si sentì avvampare e cercò di mascherare il turbamento tornando a frugare tra i libri. Finalmente trovò il tema e lo porse al professore, velocemente: allungò il braccio, cercando di non avvicinarsi. Cloude prese i fogli e si sedette sul materasso: -Otto pagine. Avevi tanto da dire sul tema del Caos.- Commentò, soddisfatto. -Ho letto molti libri.- Strinse le spalle lei. –Come sempre. Potresti mostrarmeli?- Le chiese. Safiria gli diede le spalle, sfilando diversi libri dalla libreria vicino alla portafinestra. Cercò di ricordare quali le avessero dato spunto e li impilò velocemente. Quando si voltò, Cloude era in piedi, vicino alla porta finestra. Safiria indietreggiò di un passo, spiazzata dal trovarsi quasi a sfiorarlo. –Mi scusi…?- Il professore rimise le mani in tasca, con fare stranamente sospetto. –Stavo guardando il bel panorama alla tua finestra. Meraviglioso.- Saf annuì, aggrottando le sopracciglia. –Oh i libri, ti ringrazio. Segnerò i nomi e lo correggerò.- Le disse lui frettolosamente, allungando le mani per prendere i pesanti volumi. Le sfiorò accidentalmente le braccia e lei si trattenne a stento dal lasciar cadere tutto e scappare. Lui sembrò accorgersi del disagio della giovane e prese velocemente i volumi, allontanandosi giusto un poco da lei. Una volta terminato di segnare la bibliografia lui si diresse alla porta per poi fermarsi, voltandosi verso di lei e sorridendo: -Sono felice che tu stia bene e che ti sia aperta con me, ci tengo molto. Spero di poter fare lezione, domani!- Poi lanciò uno sguardo alla porta finestra e uscì. Saf si voltò per seguire quello strano sguardo ma vide solo le tende scure. Alzò le spalle guardando Mirtillo, placidamente acciambellato sul letto. -Non so perché ma è dannatamente strano oggi.- Davanti alla porta di ingresso, Safiria si morse le labbra e prima che Cloude potesse uscire lo fermò: -Comunque grazie di essere passato, professore. Significa tanto per me.- Lui la guardò negli occhi, passandosi una mano tra i capelli rossi. -Ci sarò sempre, Safiria. Non dimenticarlo.- Perché di punto in bianco somigliava ad una minaccia? E il professore sparì nella sera.

Puntualmente, Isobel e Morgan irruppero in cucina conversando di fatti per nulla interessanti. Safiria sollevò gli occhi dal suo libro di scienze, annoiata. -Ben tornati.- Mugolò appena. Isobel le sorrise, lieta che quel pomeriggio l’avesse richiamata, e il padre si avvicinò per baciarla sulla testa: -Come ti senti?- Lei lasciò il libro sul tavolino e alzò le spalle: -Non ho più mal di testa. Però andrò a letto presto.- Isobel stacco un pezzo di polpettone dalla teglia per morderlo con gusto: -Adoro quando fai il polpettone!- Morgan si tolse l’elegante giacca per sedersi a tavola, servendosi: -Cucini il polpettone proprio come tua madre.- Nonostante il suo fare allegro, nella stanza calò un silenzio denso di nostalgia. Fu Saf a spezzarlo: -Ho già mangiato, ci vediamo domani.- E senza aggiungere altro, si diresse in camera. Sbarrò la stanza silenziosamente e si sedette alla scrivania, accendendo il pc. Con le dita tremanti digitò sul motore di ricerca: “Damian Lancaster”. Doveva farlo, adesso sarebbe stata molto più lucida e preparata davanti a quell’uomo. Sulla pagina principale apparvero vari link di diverse aziende, agenzie o contatti. Scorrendo ancora, sullo schermo spiccarono pomposi indirizzi e fotografie di grandi tenute delle campagne nella bella Italia, intestate alla famiglia Lancaster dal 1300. –Posso scommetterci, questa è la sua famiglia. E così quel Damian avrebbe sangue nobile, eh?... Chissà perché me l’aspettavo.- Alzò un sopracciglio, ironica. –Non puoi darmi torto, Mirtillo. Hai sentito come parla: presuntuoso, con quell’accento troppo aristocratico…- Mirtillo si limitò a strofinarsi sulle sue caviglie. Pare che il titolo nobiliare del Duca di Lancaster nell’epoca dei Plantageneti inglesi avesse radici proprio all’origine di quel cognome. Scorse le pagine, risalendo all’albero genealogico della famiglia. Era una lista interminabile di nomi che andavano a intrecciarsi e diramarsi in un complicato disegno. Safiria si concentrò, partendo dal lontano 1284. Molti nomi si ripetevano nelle generazioni: Lucas, Rodolf, James, Aron, Edward, Damian. Dopo qualche minuto arrivò alla fine dell’albero: i fratelli Tristan e Rodolf Lancaster, nati rispettivamente nel 1950 e nel 1956. Il maggiore era deceduto nel 2010. Saf aggrottò le sopracciglia e ricontrollò: l’ultimo discendente Lancaster con il nome di Damian era nato nel 1834, morto all’età di 4 anni nel tiepido Giugno italiano. Scosse la testa, scacciando i pensieri. Mirtillo le si strusciò nuovamente sulle caviglie nude, miagolando: -Lo so, sono solo troppo paranoica, gatto. Questo albero genealogico semplicemente non è aggiornato. Probabilmente hanno voluto nasconderlo, data la sua insolita situazione… O semplicemente non si tratta della sua famiglia.- Il batticuore inconfondibile le mozzò il fiato, annunciandole il tramonto. Si affrettò ad indossare la vestaglia, ansiosa. Quando fu sicura che ogni tenue raggio di sole si fosse nascosto dietro l’orizzonte, uscì sulla terrazza, accompagnata dal leggero ondeggiare delle tende mosse dalla brezza. L’autunno della gelida Alsazia si mostrava in tutti i suoi colori, rendendo infuocati gli alberi e bruna la terra. Safiria respirò a fondo, sedendosi sulla balaustra di ferro battuto e pietra, stringendo le ginocchia al petto. Mirtillo le si sedette affianco, guardando il giardino con fare altezzoso. Lei gli grattò sotto il mento, sorridendo appena: -Non sono in ansia. Arriverà, me l’ha promesso.- Quelle parole la rilassarono inaspettatamente. Chiuse gli occhi, ascoltando il rumore delle foglie sotto le carezze del vento. Passarono interminabili minuti prima che il suo naso sensibile percepisse il vellutato profumo di gelsomino che accompagnava Damian. Il suo cuore batteva freneticamente mentre si calava a terra. Si posò leggera sull’erba fredda, pochi metri distante dal suo ospite in arrivo. Damian avanzò di qualche passò ancora, sorridendole. -Buona sera, Safiria.- Aveva la voce più profonda che Safiria avesse mai sentito. Evitò il suo sguardo: -Non sapevo se saresti tornato.- Il giovane sollevò un sopracciglio scuro: -Avevo promesso che sarei tornato.- Sottolineò. Proprio un nobile. Safiria deglutì, rassicurata e spaventata da quella presenza nel suo giardino che pareva riuscisse a leggerle nella mente. Mirtillo gli trotterellò attorno, soffiando appena. Lei fece cenno verso destra: -Da quella parte c’è uno spiazzo abbastanza nascosto. Seguimi.- E si incamminò senza aggiungere altro. Il gatto nero, notò Damian, le gravitava attorno come un satellite, senza mai allontanarsi troppo. -Come si chiama il tuo gatto?- Lei non rispose ma Damian non si offese. -Anche io avevo un gatto. Era tutto rosso e anche molto pestifero. Pensa che- Safiria si voltò improvvisamente, lo sguardo di ghiaccio: -Non ho mai detto di voler fare conversazione, discutendo di cose inutili. Ti ho concesso di aiutarmi e di spiegarmi cosa sai, non di raccontarmi gli aneddoti della tua vita che reputi divertenti.- Lui spalancò gli occhi. Non che fosse arrabbiato, anzi, Safiria era in grado di suscitargli tenerezza anche in quelle situazioni; semplicemente era sbalordito dall’incredibile freddezza che la ragazza riusciva a esprimere senza mostrare altro. Doveva averci lavorato sodo per molto tempo… -Scusami, Safiria. Hai ragione.- Ammise lui, guardandola con l’espressione calma e distesa. Lei, dal suo canto, si sentì terribilmente stupida, si irrigidì ancora di più e aumentò il passo. -Mirtillo.- Damian inclinò la testa: -Scusami?- -Il mio gatto si chiama Mirtillo.- Damian sorrise osservando le spalle dritte della giovane davanti a lui. Safiria si fermò solo quando furono nel piccolo spiazzo d’erba tra grossi alberi. Su un lato, una struttura di legno sorreggeva un rampicante rigoglioso che quasi aveva nascosto la panchina scura. Safiria si strinse nella vestaglia e si sedette, accavallando le gambe: -Avanti, parla e vediamo se sei davvero chi dici di essere.- Lo guardò. Damian posò la sua borsa di tela al suolo e tirò fuori quella che sembrava una piccola torcia quadrata. -Questo si chiama spettro di luce.- Safiria non capì ma lasciò che il giovane continuasse. -Lo spettro di luce è in grado di riprodurre la luce solare, seppur con una minore intensità.- La ragazza si irrigidì, incrociando le braccia. -Perché hai quel coso?- Deglutì a fatica. Damian sollevò lo sguardo su di lei e sorrise: puntò l’oggetto contro il proprio avambraccio nudo e accese la luce. Safiria scattò in piedi. –Dannazione…- Sussultò Damian, cadendo in ginocchio. Il suo braccio prese a fumare lentamente, fino a che delle piccole striature rosse non apparvero sulla pelle. Safiria si avvicinò senza pensare: -Basta, smettila, smettila subito!- Damian spense l’oggetto e lo getto a terra, tornando a respirare. Safiria si inginocchiò davanti a lui: -Maledizione, ma sei impazzito?!- Era visibilmente scossa e i suoi occhi correvano sulle lievi bruciature del braccio di Damian. –Va tutto bene. Non preoccuparti.- Le sorrise lui, ancora ansimante. -Perché l’hai fatto?- Damian soffiò sulle bruciature ed estrasse una bottiglia dalla borsa di tela. Versò l’acqua fredda sulle ferite e fece segno alla ragazza: -Prendi quella crema bianca e le bende dalla borsa e aiutami.- Safiria non se lo fece ripetere e si apprestò a fasciargli l’avambraccio con delicatezza. Così vicini, Safiria notò dettagli di Damian che prima, con fugaci occhiate, non aveva scorto. Non riusciva ad indovinare la sua età, sembrava giovane e adulto allo stesso tempo; la sua pelle era scura, quasi ambata e della barba folta della notte precedente rimaneva solo l’ombra appena accennata; i capelli corti gli ricadevano disordinatamente sulla fronte come una fitta coltre bruna e i vestiti erano puliti, seppur lisi e scoloriti. Damian alzò lo sguardo su di lei, che si riscosse imbarazzata: -Hai fatto questa pazzia per convincermi, vero?- Non riusciva a crederci. –Si. E ci sono riuscito.- Rise lui. Safiria si allontanò e sospirò. -Ti credo, Damian Lancaster.- Lui si tirò su per poi sedersi sulla panchina, appoggiandosi allo schienale. -Credo sia il momento di raccontarti quello che mi accadde, allora.- Safiria si mise in ascolto, seduta a debita distanza. Damian chiuse gli occhi e cominciò a parlare.
-Avevo tre anni e stavo giocando con i miei fratelli, nella tenuta di casa mia. Eravamo fuori da ore e stavamo giocando a nascondino, un pomeriggio come tanti. Ricordo bene di aver visto quella figura bianca con il cappello seguirci per interi minuti. Sembrava volesse giocare con noi. Il primo a rivolgergli la parola è stato mio fratello maggiore, Aron.- Irrigidì la mascella. -Io e mia sorella vedemmo quella creatura muoversi velocemente nell’erba, avvolgere mio fratello come un serpente.- Safiria si avvicinò a Damian, le lacrime agli occhi. Ma lui continuò, una smorfia di dolore sul volto. -Sentii le urla di mio fratello mentre il fuoco cominciava a bruciare la sua pelle. La figura bianca lo spinse contro di noi, non so perché ma capii che saremmo vissuti al Chiaro di Luna per sempre. Mia sorella cercò di trascinarmi lontano ma non riuscivo a muovermi e piangevo, sentivo un dolore terribile. Non poté fare altro che lasciarmi e correre a chiamare aiuto. Quando tornò con i nostri uomini io e mio fratello stavamo bruciando.- Respirò a fondo, aprendo gli occhi e tornando a guardare Safiria. La giovane si asciugò velocemente le lacrime. –È davvero come ricordo… Non avrei mai pensato di sentire la mia stessa storia accaduta ad un altro.- Damian le sorrise. –È sempre terribile ricordare. Ma come vedi siamo vivi. E anche mio fratello è riuscito a sopravvivere.- Saf si abbracciò le gambe: -cosa successe dopo?- -Ci portarono dentro casa avvolgendoci dentro delle tende bagnate e il fuoco si spense velocemente una volta all’ombra. Rimanemmo immobili per mesi e mesi prima di riuscire a muoverci. La nostra pelle era piagata e i nostri visi irriconoscibili.- Safiria volse lo sguardo al cielo: -Poi la guarigione miracolosa.- Damian annuì e si guardò le mani. -Come è successo a te le piaghe divennero cicatrici sempre più sottili, poi lievi macchie, fino a sparire quasi del tutto. Ad ogni modo, mio fratello fu il primo ad alzarsi da quel letto. Ma non riuscì nemmeno a guarire che non appena uscì nel giardino riprese a fumare. Scappò dentro casa prima di prendere fuoco di nuovo. Ci dichiararono morti quello stesso anno per non rivelare nulla alla gente del paese.- Safiria si morse le labbra: -Terribile…- Damian sorrise: -In seguito non ce la cavammo così male. Vennero a cercarci e fummo affidati a persone competenti.- -Vennero a prendervi? Persone competenti?- Alzò le sopracciglia, Safiria. Damian si fece serio: -Io ora sono per te quella persona competente che tanti anni fa venne da me.- -E sei venuto a prendermi?- Sussurrò Safiria, gli occhi spalancati. -Non ho scelta se non quella di cercare chi ha la nostra stessa maledizione, Safiria. Uniti viviamo nel migliore dei modi, da soli deperiamo in fretta.- La giovane non credeva alle sue orecchie e si alzò per allontanarsi da lui: -Stai dicendo che mi porterai via? Che devo fidarmi di te e crederti quando dici che ci sono molte persone come noi laddove mi vuoi portare?!- Damian aveva lo sguardo serio e severo: -Credi ancora che io ti stia mentendo?- -Beh scusami se non credo ciecamente alle parole di uno straniero che non conosco.- Sibilò lei, incrociando le braccia al petto. -Mi sono ustionato un braccio per convincerti a fidarti di me!- Ribatté lui, alzandosi e raggiungendola. Lei alzò il viso per guardarlo negli occhi con la sua solita, fredda caparbietà: -No, ti sei ustionato un braccio per convincermi che abbiamo lo stesso problema, non per convincermi che sei affidabile.- Si guardarono negli occhi per qualche secondo, muti e stizziti, poi Damian sospirò e tirò su le sue cose, riponendole nel sacchetto di tela: -Direi che per oggi abbiamo finito.- Safiria lo seguì mentre raggiungeva a grandi passi il cancello. -Non abbiamo finito! Fermati e raccontami tutto.- Esclamò lei, affrettando il passo per raggiungerlo. -No, per stanotte è abbastanza.- -Ho detto fermati.- Ordinò lei, mettendosi fra lui e il cancello. Damian si fermò con la borsa sulla spalla, sospirando. -Io non sono sicura di volermi fidare di te, Damian. Ma in qualche modo non voglio che tu sparisca. Se esci da questo giardino come posso avere la certezza che tornerai?- Chiese lei, gli occhi lucidi. Damian meditò un attimo su quella domanda, poi allungò una mano e prese quella della ragazza. -Sei davvero testarda. Ti prometto che tornerò domani notte.- E le accarezzò la testa con dolcezza, salutandola. Safiria, dopo una attimo di smarrimento totale, si scostò, incrociando le braccia e facendosi da parte. Voleva scappare, o aggredirlo. Tremava come una foglia. -Allora vai.- Balbettò, contrariata. Lui sorrise e si allontanò dalla villa con il profumo di lavanda dei suoi capelli ad accompagnarlo. Mirtillo, dai cespugli, fissò lo straniero con gli occhi gialli densi di curiosità. 
  
Safiria lo guardò sparire nella vegetazione. Sentiva le guance bruciarle per l’imbarazzo e si morse le labbra nervosamente, trattenendo le lacrime. Come aveva potuto anche solo sfiorarla in quel modo? Si sentiva profondamente a disagio e scosse la testa per scacciare le sensazioni opprimenti che le avvolgevano la mente. Sentiva il calore della mano di Damian e il suo profumo addosso, tra i capelli. Doveva farsi una doccia e tornare come prima. Si voltò in fretta e corse in camera, salendo agilmente sull’albero. Chiuse a chiave tutte le porte e le finestre, in un rituale nuovo ma necessario. Si spogliò e si sedette nella vasca vuota, aprendo l’acqua il più bollente possibile. Strofinò a lungo la pelle nivea prima di riuscire a cancellare l’odore penetrante di Damian. Gettò nella cesta i suoi vestiti e prese una maglia bianca. Rimase ferma a guardarla: la maglia di sua madre. Se la rigirò nelle mani e sorrise. Era la sua preferita, lunga e morbida. Safiria la indossò con riverenza lisciandola sui fianchi: -Mamma, sono così spaventata…- Trattenne le lacrime e si abbracciò le spalle, in silenzio. Si sdraiò sul letto ripensando a quanto la sua vita fosse impazzita, a come le sue certezze stessero pian piano sgretolandosi nel passato. Il grattare insistente di Mirtillo sul balcone la riscosse solo qualche ora dopo e lei si affrettò ad aprirgli: -Mi dispiace gatto, mi ero completamente dimenticata di te. Sei sparito prima, dove sei stato?- Il micio saltò sul letto e si acciambellò sul cuscino, facendo le fusa. Saf si rigirò una ciocca tra le dita, agitata, mentre con un ultimo sguardo si soffermava sul giardino buio.

Quando Damian raggiunse la vecchia canonica trovò Aron sulla porta, lo sguardo fiammeggiante. Lo trascinò dentro, tempestandolo di domande. -Parla Damian, cosa hai fatto?- Ringhiò per l’ennesima volta Aron. Damian non accennò a rispondere mentre si teneva stretto il braccio per non mostrarlo al fratello maggiore. -Rodolf, ti leggo in faccia che l’hai aiutato, qualsiasi cosa questo stupido abbia fatto. Parla!- Lo zio sussultò, incrociando le braccia: -Non tirarmi in mezzo, Aron. Non mi impiccio degli affari di tuo fratello, per chi mi hai preso?- -Dannazione, state ordendo un complotto contro di me? Parlate, o sarò costretto a trarre risposte in un’altra maniera!- Damian tremò nel profondo a quelle parole e si sedette sulla branda: -Parlerò. Ma voglio la tua parola che ascolterai senza giudicare.- Aron si quietò, osservando il fratello dall’alto, e annuì. Damian srotolò seccamente le bende e mostrò al fratello le bruciature. -L’ho convinta a fidarsi di me.- Sapeva che era una mezza bugia ma non poteva permettersi di dire il vero: Aron era impaziente di natura. E aggressivo. -Ho usato uno spettro di luce per mostrarle gli effetti. Ora mi crede, verrà con noi.- Aron strinse gli occhi a due fessure: -Perché sei arrivato a tanto? Una giovane Bestia della Luna non deve essere un ostacolo per la nostra causa, se fa la difficile bisogna agire di conseguenza.- Guardò di nuovo il braccio segnato di Damian e il suo sguardo si fece meno duro: -Hai percepito qualcosa vero?- Damian si irrigidì. Non aveva sentito assolutamente nulla di diverso rispetto agli altri esemplari che avevano conosciuto. –Il suo nome è Safiria. Credo sia quello che stiamo cercando da tempo.- Mentì. Aron sorrise: -Lo sapevo! Fratello, sono fiero di quello che hai fatto. Ero sicuro che non avresti mai escogitato una cosa così stupida senza un motivo valido come questo.- Damian sorrise di rimando. Già, perché fare una cosa così stupida solo per convincerla? Non era mai arrivato a tanto per convincere un esemplare a seguirlo ma con Safira era diverso. Voleva che partisse con loro ed era un desiderio totalmente egoistico. Rodolf gli diede una pacca affettuosa sulla spalla: -Anche io sono orgoglioso di te. E sono sicuro che anche tuo padre lo sarebbe.- Damian lo guardò dispiaciuto. Si alzò e scrutò tra gli spiragli della finestra la notte scura: -Tristan mi avrebbe capito molto meglio di quanto mi stia capendo da solo, in questo momento.- Sussurrò. Rodolf non seppe cosa rispondere. Poco lontano dalla canonica, Damian vide la figura nera di Mirtillo osservarlo, gli occhi gialli luccicanti. Il giovane sollevò un sopracciglio, sorpreso, ma sorrise: -Ti conviene tornartene a casa, prima che ti faccia fuori, gatto impiccione.- Mirtillo sbadigliò e trotterellò da dove era venuto.
       
​Ed eccoci qui! Grazie a tutti quelli che sono arrivati fino a qui, è grazie a voi che continuo a pubblicare! Ammetto che per un momento ho pensato di interrompere la pubblicazione, molti impegni mi riempono le giornate di lavoro e la testa di pensieri... Ma finché lettori impavidi leggeranno questa storia non ho intenzione di mollare! Grazie davvero di cuore e mille baci, Frida.
   
 
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