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Autore: _wilia    16/11/2017    1 recensioni
Il cielo si era fatto nero e gli aerei, almeno per il momento, non volavano più. La notte era illuminata dalle sole stelle e dalla luce della luna, troppo opaca per ricordare una speranza. In mezzo a tutto quel male era forse possibile, per un uomo, trovare un appiglio a cui aggrapparsi con forza?
Era possibile per un uomo sognare ancora l’odore di casa, quando l’unico che lo circondava era quello del sangue e della sofferenza? Edmund questo non lo sapeva, e non sognava più. Era convinto che ad ogni uomo corrispondesse una certa dose di felicità su questa terra, e lui quella felicità l’aveva avuta.
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Con il viso che sprofondava nell'incavo del collo di sua sorella, Edmund cercava di sfuggire alle grinfie della realtà. Scappava da un dolore rintanandosi in un dolore più grande, che si era costruito la tana all’interno del suo petto.
Si stava condannando ad una vita nell’ombra. Stava condannando lei ad una vita nell’ombra, la stessa vita che fino a quel momento aveva voluto evitare.
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[EdxLucy]
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Edmund Pevensie, Lucy Pevensie
Note: AU | Avvertimenti: Incest
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Nota dell'autrice (che vi prego di leggere): questa storia è parzialmente AU. Dico parzialmente perché l'universo di C.S.Lewis, non presente in questa one-shot (e qui parlo dell’ambientazione a Narnia), traspare comunque nei ricordi e in alcune descrizioni presenti nel testo e riguarda la vita dei personaggi.
La storia non è ambientata a Narnia, ma in Inghilterra, durante la guerra. Nella mia storia i Pevensie sono stati a Narnia ma, una volta tornati indietro, hanno scoperto che il mondo è più crudele di quanto sembri.
Ho deciso volontariamente di non soffermarmi sulla collocazione storica di questa one shot, ambientata durante il secondo conflitto mondiale.
I personaggi da me descritti sono un po' più grandi di quanto non lo fossero i Pevensie in quel periodo. Tutto quello che è accaduto loro, compresa la scoperta di Narnia, è avvenuta qualche anno dopo rispetto agli eventi originali.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura.
Grazie a chiunque abbia voglia di leggere e di lasciare una recensione!

 
La via di casa

 
La granata che piovve giù dal cielo gli annebbiò i sensi. Il boato fu assordante, e a nulla servì coprirsi le orecchie o strizzare gli occhi, sperando che le atrocità a cui aveva assistito quel giorno svanissero dalla sua mente. 
Il terreno sotto i suoi piedi non era mai sembrato così instabile. L’asfalto era stato squarciato nel mezzo ed era completamente ricoperto di sangue e fango. La sua schiena era incollata a dei sacchi ammucchiati, che costituivano l’unica barriera tra lui e i nemici. Guardò oltre la punta delle sue scarpe, dove il corpo del suo compagno giaceva abbandonato. L’ultima sensazione da lui provata era stato terrore, puro terrore: glielo si poteva ancora leggere negli occhi, ormai opachi, volti ad osservare il cielo, quel cielo che quella notte era una macchina di morte.
Era rimasto solo; era solo sotto il cielo rosso sangue. Solo tra quelle montagne di uomini. La testa gli girava vorticosamente ed il dolore causato dal proiettile incastrato nel suo ginocchio lo fece quasi svenire. Si rannicchiò il più possibile contro i sacchi di juta, con le mani premute contro le orecchie per isolarsi da tutta quell’assurdità che lo circondava e lo sguardo rivolto alla chiazza di sangue che si espandeva, sempre di più, sull’asfalto.
Gli aerei volavano bassi sopra la sua testa ed il ronzio dei loro motori gli trapanò le tempie. Voleva urlare, voleva lasciarsi andare. Probabilmente tutto ciò che accadeva attorno a lui sarebbe stato raccontato, un giorno, in qualche libro di storia. Ma come poteva un libro di storia tener conto della vita di ogni singolo uomo? Come avrebbe mai potuto, quell’ipotetico libro di scuola, capire il terrore che si era fatto strada negli occhi dell’uomo accasciato davanti a lui una volta capito che per lui era giunta l’ora?
Non riusciva nemmeno più a piangere. La guerra aveva corroso anche lui, che combatteva una battaglia voluta da qualcun altro. A pochi metri di distanza si udì un urlo di donna, ed Edmund sperò che la mitraglia che la mise a tacere avesse agito troppo velocemente perché potesse accorgersene.
Poi tutto divenne buio.
***
Quando riaprì gli occhi si sentì molto debole e si chiese se davvero non fosse morto. L’olezzo di carne marcia lo colpì con violenza e questa volta non poté evitare che il suo stomaco si contraesse e che si riversasse ai suoi piedi.
La sua gola era secca e sentiva il sapore metallico del sangue sulle labbra. Sapeva che per lui sarebbe finita lì e che sarebbe accaduto da un momento all’altro. Sentiva la vita abbandonare il suo corpo e scorrere via insieme al sangue dal suo ginocchio. Annaspò nel buio, sperando di scorgere qualcuno o qualcosa, ma non riuscì a vedere niente. Cercò con lo sguardo il suo compagno che giaceva al suolo e, quando non lo trovò, si rese conto di essere stato soccorso.
Il cielo si era fatto nero e gli aerei, almeno per il momento, non volavano più. La notte era illuminata dalle sole stelle e dalla luce della luna, troppo opaca per ricordare una speranza. In mezzo a tutto quel male era forse possibile, per un uomo, trovare un appiglio a cui aggrapparsi con forza?
Era possibile per un uomo sognare ancora l’odore di casa, quando l’unico che lo circondava era quello del sangue e della sofferenza? Edmund questo non lo sapeva, e non sognava più. Era convinto che ad ogni uomo corrispondesse una certa dose di felicità su questa terra, e lui quella felicità l’aveva avuta.
Aveva avuto la possibilità di essere un bambino. Aveva avuto la possibilità di avere una famiglia.
Aveva avuto la possibilità di camminare in un altro mondo, di scoprire colori nuovi. Aveva avuto la possibilità di sognare e di meravigliarsi. La possibilità di amare.
Ora però le cose erano cambiate e il mondo era andato avanti. Il mondo andava sempre avanti e lui, invece, rimaneva indietro.
La barella sul quale era stato posizionato tremò al suono dell’ennesimo colpo di pistola e quella volta, per la prima volta dopo tanto tempo, Edmund sembrò non farci caso. In quel momento era vivo, e in quello dopo poteva non esserlo più.
Ciò che aveva imparato negli ultimi mesi era che non bisognava mai attaccarsi troppo alla vita, perché da un momento all'altro poteva essere stravolta da una qualsiasi cosa. Per distruggere o spezzare una vita bastava un attimo: per guarire un'anima probabilmente un’eternità non sarebbe bastata.
Forse avrebbe preferito essere morto. Chiuse gli occhi quando sentì delle mani posarsi sulla sua gamba e una voce che gli intimava di stare giù, di stare buono, perché stavano provando ad aiutarlo. Il dolore che venne subito dopo fu troppo forte e l’urlo di Edmund rimbombò nel vuoto di quell’accampamento.
Due mesi dopo
Il vagone del treno era pieno di persone. Edmund non ebbe bisogno di guardarsi intorno per capire che per la maggior parte si trattava di soldati. Erano tutti feriti, mutilati, e taciturni. Probabilmente tutto ciò a cui riuscivano a pensare era ciò che avevano visto negli ultimi mesi, da quando quel combattimento aveva avuto inizio.
Edmund guardava i terreni aridi attraversati dal treno e si chiese se sarebbe stato in grado di tornare a quella che una volta era stata casa sua. Si chiese se fosse ancora in piedi, visto che erano mesi che non riusciva a mettersi in contatto con i suoi fratelli. Non sapeva più niente di loro, e il terrore che qualcosa fosse successo loro gli attanagliò lo stomaco e provocò in lui un dolore quasi fisico.
Pensò a Susan, ai suoi lunghi capelli e all’aria severa che aveva deciso di assumere da subito con lui e Lucy. Pensò ai momenti che aveva perso per colpa sua; pensò a tutte quelle volte in cui Susan aveva cercato di parlare con lui perché voleva confidarsi, ma lui l’aveva sempre respinta. L’aveva respinta perché la considerava un’autorità in casa sua, assieme a Peter.
La sua mente poi si rivolse a lei, alla sua sorella minore. Pensò a Lucy che rideva felice, da bambina, nel suo nuovo vestito azzurro. Pensò a Lucy che si stringeva a lui quando di notte aveva troppa paura dei temporali per poter dormire da sola. Si chiese come avesse fatto in tutti quei mesi a sopportare i rumori assordanti dei bombardamenti. Si chiese chi l’avesse rassicurata e chi l'avesse stretta tra le braccia per dirle che andava tutto bene. Sorrise amaramente, passandosi una mano sulla fronte. Quanto era stato bravo a mentire, con lei? Così tante volte le aveva detto che andava tutto bene, quando non era vero neppure per metà.
Era così assorto nei suoi pensieri che quando il treno si fermò proprio dove doveva scendere quasi non se ne accorse. Raccolse le sue stampelle e si incamminò lentamente verso l’uscita del treno.
***
Tutto gli fu immediatamente chiaro.
Non fu necessario avvicinarsi a quella che un tempo era la loro casa per capire che fosse vuota. Arrancando lentamente verso le pareti notò che i vetri delle finestre erano così sporchi e che intravedere qualunque cosa fosse dall’altra parte sarebbe stato impossibile. Il patio era inondato di foglie secche. Uno stupido cartellino con la scritta “Benvenuti a casa Pevensie” giaceva abbandonato sul pavimento, e leggere ciò che vi era scritto era molto difficile.
Con non poca fatica si sedette sulle scale che precedevano l’entrata e sospirò. Si prese la testa fra le mani e sperò ancora una volta che tutto quello fosse solo un incubo.
Dopo qualche minuto passato in quella posizione si armò di tutte le forze a sua disposizione ed iniziò a colpire la porta, sperando che, prima o poi, cedesse.
***
“Come dice, signore?”
La signora seduta dietro la scrivania in quello spoglio ufficio comunale rivolse ad Edmund uno sguardo stranito.
“Le sto chiedendo il nuovo indirizzo dei miei fratelli”, rispose lui, fissandola negli occhi. Le sue mani stringevano convulsamente le stampelle e tremavano per il troppo sforzo.
Lei si passò i capelli dietro l’orecchio e si alzò per controllare gli archivi. “Può ripetermi il suo cognome?”
Edmund annuì, gli occhi puntati sul crocifisso appeso al centro della parete. Non poté fare a meno di pensare a quanto il mondo fosse ipocrita. Il mondo mandava i ragazzi a combattere le guerre e poi si rifugiava dietro una maschera di finto buonismo.
“Pevensie”.

Aveva ottenuto un indirizzo e si era incamminato. Conosceva bene la sua città, nonostante non vi mettesse piede da quella che sembrava un'eternità. Osservò il cielo che veniva gradualmente ricoperto di nuvole e riuscì a rispecchiarsi in esso. Cercare i suoi fratelli rappresentava un nuovo inizio. Un inizio che Edmund sapeva sarebbe stato doloroso.
Dopo un lungo percorso, rallentato dalle stampelle, arrivò davanti a quella che doveva essere casa loro.
Sospirò, indugiando ancora qualche istante.
E se per lui non ci fosse più posto?
La porta sul retro era aperta.
***
 Il piatto le scivolò dalle mani, infrangendosi sul pavimento. Il rumore della ceramica che andava in frantumi proprio davanti ai suoi piedi non sembrò disturbarla. Sembrò anzi che non lo avesse proprio sentito.
La sua bocca si spalancò e non seppe cosa dire. Sembrava che il tempo si fosse fermato e che il suo cuore avesse fatto lo stesso. Indietreggiò di alcuni passi fino a riuscire ad appoggiarsi alla credenza, senza mai smettere di guardare il ragazzo che si era materializzato davanti a lei.
Lui ricambiava lo sguardo e non diceva niente. Se ne stava semplicemente lì, sulla soglia della porta, aggrappato alle sue stampelle. I suoi occhi erano incatenati a quelli di sua sorella, che si portò una mano al petto e deglutì.
In quel momento si stavano specchiando uno negli occhi dell’altra, percorrendo i loro visi così diversi eppure così simili. Restarono ad osservarsi per quella che sembrò un’eternità, senza accennare a voler avvicinarsi l’uno all’altra.
Poi qualcosa accadde. Lucy notò l’assenza di qualsiasi espressione sul volto di suo fratello e mosse due passi verso di lui, in attesa di una qualsivoglia reazione.
“Lucy…” sussurrò lui, deglutendo mentre un calore che ormai non sentiva da tempo gli esplose nel petto. In quel preciso istante la ragazza si lanciò verso di lui, stringendolo in un abbraccio intriso di sentimenti. Il sentimento predominante era quello di una tranquillità mai provata prima di allora. Era vivo. Edmund era ancora vivo. La vista le si offuscò presto a causa delle lacrime che si accumularono nei suoi occhi.
Lo strinse forte, più forte che poté, ed entrambi scivolarono lentamente sul pavimento, godendo del calore familiare che finalmente, dopo mesi, potevano risentire.
Dopo un po’ lei si distanziò leggermente da lui per poterlo guardare negli occhi. Portò una mano al suo viso e con l’indice iniziò a percorrerlo, soffermandosi sugli zigomi pronunciati e violacei. Un singhiozzo sfuggì alle sue labbra nel vedere lo sguardo impassibile di suo fratello che sembrava intento a specchiarsi nei suoi occhi. Poi gli passò l’indice sulla punta del naso, sul mento, sulle labbra.
Il suo corpo era interamente scosso da singhiozzi e, quando lui tornò a stringerla a sé, lei si rintanò fra le sue braccia, cercando di calmarsi.
***
“Come stai?”
La voce di Lucy ruppe il silenzio surreale che si era venuto a creare nella cucina. Edmund si portò la forchetta alle labbra per consumare l’ultimo pezzo di carne contenuto nel piatto di fronte a lui.
“Come vedi sono sopravvissuto”, le rispose, senza scomporsi. Lucy lisciò le pieghe di un tovagliolo di stoffa mentre notava, con amarezza, che le cose tra di loro non sarebbero mai tornate a posto. Non sarebbero mai state come prima; Edmund non sarebbe mai più stato quello di prima.
“Dove sono gli altri?”, chiese il ragazzo a sua sorella, spezzando un pezzo di pane. Era così affamato.
Lucy gli sorrise tristemente, incrociando le braccia. “Susan è… tornata indietro”, iniziò, aspettandosi una reazione forte da parte dell’altro, che però rimase in silenzio ad ascoltarla. “Peter è dovuto andare a combattere e non ho ancora avuto notizie di lui”.
La mente di Edmund era troppo affollata perché lui potesse rispondere.
Quando la guerra era iniziata avevano cercato di nascondersi; si erano trasferiti lontano dalla loro vecchia casa, avevano pagato gente affinché falsificasse i loro documenti e li facesse sembrare troppo giovani per andare a combattere. Avevano cercato di fare letteralmente ogni cosa per poter sfuggire alla chiamata delle armi. Avevano anche provato a tornare di nuovo a Narnia, trovando la strada sbarrata: il coraggio e la lealtà erano tra i valori principali di quel vecchio mondo di cui una volta avevano fatto parte, e scappare dal dovere non era accettabile.
Alla fine, dopo mesi in cui si nascondevano come ladri, erano stati scoperti, ed Edmund e Peter dovettero arruolarsi e partire.
 Una volta messo piede in caserma, nessuno aveva più ricevuto notizie della sua famiglia.
Edmund aveva sperato segretamente che Lucy e Susan fossero riuscite a tornare a Narnia. Come avrebbero potuto vivere se non lo avessero fatto? Con quali soldi si sarebbero sfamate e con quali protezioni? Quale forza avevano le fondamenta della loro casa, o di qualunque altra casa, davanti alle granate e alla ferocia della guerra?
“Susan è tornata indietro senza di te?”, chiese, più a se stesso che a sua sorella. Non riusciva a credere che la sua sorella più piccola fosse rimasta completamente sola fino a quel momento.
“Da quanto tempo sei qui da sola?”
Il pensiero che non avesse avuto nessuno con lei gli faceva male.
Lei abbassò lo sguardo, puntandolo sulle sue mani incrociate sulle gambe.
Dopo i primi giorni in cui le due sorelle erano rimaste sole a casa Susan non aveva retto. Aveva cercato in tutti i modi di convincere sua sorella minore ad andare a Narnia con lei una volta scoperta la possibilità. Ma lei si era sempre rifiutata per aspettarlo.
Lei sarebbe rimasta ad aspettare per sempre, se ce ne fosse stato bisogno.
Così Susan si diresse verso quel mondo che a Lucy ricordava la sua infanzia.
Quel mondo così lontano dai boati.
“Da un po’”.
***
Lucy si rigirò nel letto, cercando un po’ di pace che la lasciasse dormire. La testa le scoppiava ed erano troppi i pensieri nella sua mente. Era felice, molto felice che suo fratello fosse tornato. Ma la sua mente era poi volata a Peter. Chissà dov’era, chissà con chi era.
Rivedere Edmund aveva risvegliato in lei dei ricordi che pensava fossero finiti per sempre nel dimenticatoio. Aveva ricordato ogni singolo litigio, ogni singola volta in cui avevano giocato a rincorrersi da bambini. Aveva ricordato ogni volta che suo fratello l’aveva protetta dalle cose di cui lei aveva paura.
Aveva ricordato la sua partenza, che era, fino ad allora, il momento più doloroso che avesse vissuto.
Ora che era tornato, suo fratello le aveva ricordato quel calore segreto che giaceva in fondo al suo cuore da sempre. Quel segreto che, da sempre, era più grande di lei.
Due lacrime avevano solcato le sue guance quando si sentì stringere da dietro.
Sobbalzò e oppose resistenza prima di poter pensare a qualsiasi cosa.
“Lucy”, la chiamò poi Edmund, ricordandole che era lui ad abbracciarla. Lei aspettò finché il suo respiro tornò regolare, e poi strinse la mano di suo fratello, stretta sul suo petto. Stretta per non lasciarla andare mai più.
Edmund non era riuscito a resistere. Aveva cercato di addormentarsi, ma ogni volta che chiudeva gli occhi gli orrori della guerra gli tornavano alla mente.
Aveva cercato di non aver bisogno di Lucy. Aveva cercato di non amarla, anche solo per una sera.
Le lacrime iniziarono a cadere copiosamente dagli occhi di Lucy quando sollevò la mano di Edmund dalla posizione in cui si trovava ed iniziò a baciarla piano, dolcemente, senza riuscire a trattenersi.
Gli baciò i polsi, le nocche, i polpastrelli. Se la strinse al petto come se fosse la cosa più bella del mondo.
Lo baciava per fargli dimenticare il dolore. Se solo avesse potuto togliere ad Edmund un po’ di quel dolore che aveva provato durante la guerra lo avrebbe fatto. A qualunque costo.
Dietro di lei anche lui piangeva, cercando di soffocare i singhiozzi sulla spalla di sua sorella, che continuava a baciargli i polpastrelli con dolcezza, facendogli sentire quel calore che da tempo aveva dimenticato.
Edmund era a conoscenza dei sentimenti di Lucy nei suoi confronti. L’aveva sempre osservata. L’aveva sempre protetta. E anche lui in segreto l’aveva amata. L’aveva amata in ogni momento della sua vita. Aveva amato ogni suo sorriso ed ogni sua lacrima.
Lo aveva fatto nell’ombra.
E ora piangeva per quell’amore sbagliato.
Quell’amore bruciava nel suo petto come il dolore più grande del mondo. Era un abominio, lo sapeva, ma sentiva che quello era l’unico posto in cui voleva stare. L’unico posto in cui il suo cuore poteva stare.
L’aveva evitata per moltissimi anni, senza mai darle la possibilità di sapere. Dopo le atrocità viste non aveva più voglia di scappare; non poteva permettersi di rischiare di non riuscire a dare tutto ciò che aveva, e tutto ciò che era, alla persona che amava.
Semplicemente non poteva, per quanto sbagliata quella situazione fosse.
Non si dava pace.
Lentamente la spinse a girarsi, ritrovandosi faccia a faccia con lei, specchiandosi nei suoi occhi. Si guardarono a lungo, nel buio della stanza illuminata solo da un avanzo di luna. Si studiarono.
Dio, era così giovane. Era così piccola e fragile in quel momento, esposta quasi senza pudore davanti ai suoi occhi.
Non era più come prima. A Narnia era stata una donna forte e coraggiosa; ora invece ciò che Edmund aveva davanti era una ragazzina che sospirava debolmente e i cui occhi cercavano la sua approvazione.
Dopo pochi istanti, Edmund le si avvicinò ulteriormente, fino a quando il suo naso sfiorò quello di sua sorella. Lei trattenne il respiro, sopraffatta dalle emozioni.
E poi successe. Edmund si avventò sulle labbra della più piccola in un bacio che sapeva di lacrime e di dolore. Si baciarono profondamente e poi con dolcezza, senza mai staccare le loro labbra. Edmund le accarezzò il viso e sentì sotto le dita la sua espressione, contratta in una tristezza quasi incontenibile.
Ciò che fino a quel momento era stato mero desiderio, mera fantasia, si trasformava ora in qualcosa di più grande di loro. Si trasformava in un vortice, e Lucy sapeva che avrebbe potuto inghiottirli vivi.
Lentamente lui le sfilò la maglia che indossava, osservando ogni centimetro di quella pelle che finalmente si mostrava a lui. In tutto questo non aveva mai smesso di baciarla e stringerla, sperando di farle capire di essere la cosa migliore del mondo. Perché lei lo era. Lei era il suo mondo. Era la sua tana.
Lei fece lo stesso con lui, timidamente, e quando la maglia di Edmund raggiunse il pavimento, gli baciò le cicatrici sul petto. Le percorse con le labbra, una ad una, ed ognuna era un nuovo squarcio nella sua anima.
“Amami”, sussurrò Edmund nel buio della notte, prendendo di nuovo il viso di sua sorella fra le mani. La baciò ancora, e ancora.
“Ti prego, Lucy. Amami”.
E Lucy lo fece. Gli baciò tutte le ferite, mentre Edmund piangeva tutte le sue lacrime e la stringeva convulsamente, implorandola di non andare mai via.
Con il viso che sprofondava nell'incavo del collo di sua sorella, Edmund cercava di sfuggire alle grinfie della realtà. Scappava da un dolore rintanandosi in un dolore più grande, che si era costruito la tana all’interno del suo petto.
Si stava condannando ad una vita nell’ombra. Stava condannando lei ad una vita nell’ombra, la stessa vita che fino a quel momento aveva voluto evitare.
Ma mai come in quel momento i loro sentimenti gli erano sembrati così giusti. Mai i due ragazzi si erano sentiti così completi. Erano esattamente dove dovevano essere.

In lontananza si udì un’esplosione, ma loro non vi prestarono attenzione. Erano tranquilli;, entrambi sapevano che, qualunque cosa fosse successa da quel momento in poi, avrebbero lasciato quel mondo senza rimpianti.

Il giorno dopo, seppure con titubanza e con molti pensieri per la testa, i due si incamminarono in silenzio verso la via di casa.
Insieme.

 
 
 
 
  
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