Quando
giunsero davanti alla casa, Lidia sentì il vuoto che
avvertiva all’altezza
dello stomaco trasformarsi in una voragine. Rieccomi
al punto di partenza, pensò, abbattuta. Non
pensavo proprio di rivederlo così presto, ‘sto
posto.
«Tu
aspetta qui» le disse Ulf, indicando il melo da cui si era
calata per scappare.
Il grosso segugio grigio – che, dopotutto, non era affatto un
lupo, ma il cane
più brutto che Lidia avesse mai visto – si sedette
compostamente al fianco
della ragazza e le colpì amichevolmente la mano con il naso.
Ah, adesso ti sono simpatica, eh?
Pensò
lei, guardandolo di sbieco. «Su, forza»
mormorò il germanico, afferrando
l’animale per il collare di cuoio e trascinandolo con
sé. Vedendoli
allontanarsi, nella mente della fanciulla balenò un
pensiero. Forse potrei…
«Non. Ci.
Pensare. Nemmeno.» sibilò l’uomo,
intuendo le sue intenzioni. Lidia
si affrettò ad alzare le mani in segno
di resa, prima di appoggiarsi all’albero. Fuggire non era
più un’opzione,
purtroppo. Dopo i fatti di quella notte, sapeva di doversi muovere con
cautela,
senza suscitare ulteriormente i sospetti di suo marito.
Doveva trovare comunque una buona scusa per contattare il
Prefetto, questo sì, ma doveva farlo con molta
più discrezione di quanta ne
avesse messa in conto. Ulf non doveva subodorare assolutamente nulla; e
lo
stesso valeva, naturalmente, anche per la sacerdotessa.
Tra l’altro,
Ulf sembra non sopportarla
affatto,
rifletté Lidia, ricordando la freddezza con cui
l’uomo era
solito parlare di Donna Erin. Chissà
perché,
poi? Scommetto che è perché l’ha
costretto a sposarmi. Alzando lo sguardo
verso le foglie immerse nell’oscurità, la giovane
fu sfiorata da un pensiero: e
se Ulf si fosse veramente trovato
nella
sua stessa situazione? Lidia aggrottò la fronte, pensierosa:
era stata talmente
presa dai suoi sentimenti che non si era mai interrogata su quelli
dell’uomo.
Prima che quella maledetta decisione imperiale scombussolasse i suoi
piani, lei
aveva sognato di sposare Tito e di costruire una vita insieme a lui. E
se anche
nella vita di suo marito ci fosse stata un’altra donna? Ulf
aveva sognato di
sposare una fanciulla germanica? Magari una ragazza del villaggio? È per questo che è
così prevenuto nei miei
confronti? Perché sono io e
non…
qualcun altro? Quel pensiero le fece inaspettatamente
provare una vaga
irritazione. Ma per favore,
pensò,
alzando gli occhi al cielo. Di certo non
sono gelosa!
No, non
era gelosa: di Ulf non le interessava nulla, anzi, sarebbe stata ben
felice di
cederlo a qualcun’altra… ma solo in cambio della
propria libertà o, ancor
meglio, di una vita con Tito. Se lei era condannata a una vita di
infelicità e
rimpianto, allora lo stesso doveva valere anche per suo marito: non
avrebbe
accettato alcun compromesso, da quel punto di vista.
Sull’onda di quei
pensieri, la sua mente le presentò un quadretto
assolutamente detestabile: lei, chiusa in cucina a spignattare,
triste e senza futuro, e lui, in
giro a spassarsela con qualche
stangona bionda. Lidia piantò rabbiosamente le unghie nella
corteccia del melo,
sfogando il suo malumore sull’albero. Erano quelli,
i progetti del germanico? Era per quello
che aveva insistito tanto per riportarla a casa? Gli serviva qualcuno
che lo
coprisse?
Quando Ulf
ricomparve da dietro l’angolo della casa, Lidia si era
talmente convinta che
nella sua vita ci fosse un’altra donna che lo accolse con
un’occhiata
assolutamente furiosa. «Cosa
c’è?» la interrogò
l’uomo, perplesso. «Hai ancora
intenzione di scappare?»
«No!» sputò
lei, voltandogli decisa la schiena. Ulf rimase immobile per qualche
istante,
visibilmente spiazzato dalla rabbia che la giovane era riuscita a
esprimere con
quella semplice sillaba, ma poi scrollò le spalle, tornando
ad avvicinarsi al
melo. «Meglio così» disse.
«Avanti, torniamo dentro.» Per una frazione di
secondo, Lidia fu tentata di affrontarlo e di chiedergli conferma dei
suoi
sospetti, ma poi la sua naturale timidezza e il timore che
l’uomo ancora le
incuteva le impedirono di interrogarlo. Riderebbe
di me, questo è poco, ma sicuro, pensò,
con una smorfia. O, peggio, penserebbe che io
sia gelosa.
Meglio lasciar perdere. Non è poi così
importante, dopotutto.
Ignaro dei
suoi pensieri, Ulf si guardò attorno, vagamente spaesato.
«Ma come accidenti
hai fatto a scappare?» le chiese, in un sussurro. Lidia
inspirò a fondo,
cercando di scacciare l’irritazione e di non fare nulla che
potesse farlo
arrabbiare. «Sono uscita dalla finestra» rispose,
stringendosi nelle spalle e
indicando il ramo sul quale era balzata.
Ulf alzò
lo sguardo e misurò con gli occhi la distanza tra il
davanzale e il ramo. «Ma…»
l’uomo esitò, aggrottando la fronte. «Ho
saltato» venne in suo soccorso Lidia,
sentendosi stranamente fiera di sé. Lui scosse il capo,
incredulo. «Hai preferito
rischiare di romperti l’osso del collo, piuttosto che fidarti
di me. Ma non ti
è venuto in mente che mia sorella volesse semplicemente
spaventarti?»
Lidia
fissò dritta davanti a sé, stringendo
testardamente i denti. Se si aspettava
che gli chiedesse scusa, si sbagliava di grosso. «E
perché avrei dovuto?» gli
chiese di rimando, con tutta la freddezza di cui era capace.
«Va bene»
sospirò lui, lasciando cadere l’argomento.
«Vediamo di risalire.» Lidia annuì,
controvoglia, e si avviò verso la porta
d’ingresso. Prima che potesse fare più
di tre passi, però, Ulf la bloccò, afferrandola
per un braccio. «Saliamo da lì»
sussurrò, indicando l’albero con un
cenno del capo.
Questa
volta fu Lidia a restare senza parole. «Cosa?»
mormorò, confusa. «Ma non
possiamo entrare dalla porta?» Lui scosse il capo.
«No. La tua amica
sacerdotessa è rimasta a dormire al piano terra,
probabilmente proprio per
evitare che qualcosa andasse storto. Se rientrassimo da lì,
se ne accorgerebbe
subito.»
Lidia
deglutì. Tutto sommato, iniziava a sospettare che
l’antipatia provata da Ulf
per la sacerdotessa non fosse poi così incomprensibile. Che
motivo aveva quella
donna di controllarli tanto da vicino? «E tu come hai fatto a
uscire senza
farti scoprire?» chiese, esaminando rapidamente la facciata
dell’edificio, alla
ricerca di uscite secondarie.
«I miei
fratelli l’hanno distratta quel tanto che bastava per
permettermi di uscire di
nascosto. Il che è abbastanza imbarazzante, data la mia
età.»
La
fanciulla chiuse gli occhi per qualche istante. Perfetto,
pensò, sarcastica. «Quindi lo sanno tutti, che ho
cercato
di scappare?» chiese, con una nota di panico della voce. La
sua fuga
improvvisata iniziava a non sembrarle più una grande idea e
il pensiero che
l’intero villaggio venisse a sapere della sua disavventura la
faceva morire di
vergogna.
Ulf quasi sorrise.
«No, non tutti, solo i miei fratelli»
ripeté. Poi si voltò a guardarla,
inclinando il capo di lato. «Anche se ti meriteresti che la
cosa diventasse di
dominio pubblico.» Lidia storse il naso. «Ma tu non
lo dirai a nessuno, vero?»
si informò, cauta. Il germanico la fissò con un
sopracciglio ironicamente
alzato. «Oh, adesso hai deciso di fidarti di me?»
le chiese, beffardo.
Lidia
arrossì e abbassò lo sguardo sui propri piedi.
No, non si fidava di lui:
sperava solo di aver interpretato correttamente la situazione. Davanti
al suo
silenzio, l’uomo sospirò. «Non lo
dirò a nessuno, ovviamente.
E nemmeno tu lo farai: questa storia ce la
dimentichiamo stasera, d’accordo?»
«D’accordo»
bofonchiò la ragazza, sentendosi quasi come una bambina
rimproverata da un
genitore – una sensazione della quale aveva sperato di
essersi liberata, una
volta emancipatasi dall’autorità di suo padre.
«Bene» annuì Ulf, sospingendola
fino al melo e avvicinandola al tronco con un’ultima
spintarella. «Sali prima
tu.»
La ragazza
posò le mani sul tronco e guardò in alto,
provando a posare un sandalo sulla
corteccia ruvida. Immediatamente, il suo piede scivolò di
nuovo a terra,
atterrando con un piccolo tonfo sull’erba umida di rugiada.
«Non ci riesco»
dichiarò, voltandosi verso l’uomo. Lui
sbuffò, poi fece un cenno verso i suoi
piedi. «Togliti i sandali» le ordinò.
«Avrai una presa migliore.»
Pur
nutrendo alcuni dubbi sull’efficacia della tecnica che le era
stata
consigliata, la ragazza si liberò delle sue calzature e
appoggiò nuovamente un
piede sul legno. Non appena vi caricò sopra il proprio peso,
però, l’alluce si
piegò dolorosamente verso l’alto e Lidia
ripiombò a terra. «Ahi!» si
lamentò,
abbandonando subito l’impresa e prendendosi tra le mani il
piede dolorante. «Non
funziona!»
Sono bloccata qui! Pensò,
mentre il panico iniziava ad assalirla. Dovrò
passare la notte all’aperto e domani mattina si accorgeranno
che sono qui
fuori. La ragazza si voltò verso Ulf, cercando
inconsciamente il suo aiuto,
ma lui sbuffò, passandosi rapidamente una mano sul volto.
«Devi saltare» sibilò,
chinandosi su di lei. «Devi aggrapparti a quel
ramo!»
Il ramo in
questione era più di un metro sopra la sua testa e subito
Lidia scosse il capo.
«Non ci arriverò mai!»
sussurrò, con il cuore in gola. Ulf chiuse gli occhi per
qualche secondo, evidentemente frustrato dalle sue doti di
arrampicatrice. «Non
sai fare veramente niente, non è così?»
le chiese, con voce stanca. «Dai, vieni
qui, che ti sollevo io.» Senza lasciarle il tempo di
protestare, l’uomo
l’afferrò per la vita e la sollevò fin
sopra alla propria testa. Stupita dal
movimento improvviso e dal contatto inaspettato, Lidia restò
un attimo con le
mani in mano. «Muoviti, che pesi!» la voce di Ulf
la riscosse e subito la
ragazza cercò di afferrare il ramo che l’uomo le
aveva indicato. Mancavano
ancora dieci centimetri. «Non ci arrivo»
sussurrò, con la voce distorta dallo
sforzo di allungarsi il più possibile. «Alzami
ancora un po’!»
L’uomo si
affannò per qualche secondo alla ricerca di un appiglio che
gli permettesse di
spingerla più in alto, poi si risolse a posarle una mano sul
sedere, riuscendo
così a guadagnare pochi, preziosi centimetri. Lidia
avvampò. «Ehi!» esclamò,
oltraggiata. «Sta’ zitta!» le
sibilò lui, di rimando. «E datti una mossa,
altrimenti ti lascio cadere!»
Con le
guance paonazze a causa dell’imbarazzo, la ragazza
guardò verso l’alto e si
rese conto di essere ormai all’altezza giusta. Velocemente,
si aggrappò con
entrambe le mani al ramo, cercando di tirarsi su e scoprendo subito di
non
avere abbastanza forza nelle braccia. Mi
serve qualcosa su cui appoggiare i piedi… Ulf
stava poco alla volta
smettendo di sostenere il suo peso e istintivamente lei
gettò all’indietro le
gambe, posando i piedi sulle spalle dell’uomo e… Ops. In faccia.
«Sono su!»
esclamò in un sussurro trionfante, alzandosi in piedi e
reggendosi ai rami più
in alto. Ulf non commentò, ma le lanciò
un’occhiata omicida. Subito si chinò a
raccogliere i sandali che la giovane aveva lasciato a terra e li
lanciò nella
sua direzione. Lidia riuscì ad afferrarli al volo, prima di
voltarsi dall’altra
parte, incapace di nascondere un sorriso. Speravi
di prendermi in testa, eh?
Con un
balzo, l’uomo raggiunse il ramo e si issò di
fianco alla giovane moglie.
«Avanti» sbuffò, indicando
l’ombra nera della finestra e togliendole i sandali
di mano. Con cautela, la ragazza raggiunse il ramo sul quale era
saltata
durante la sua fuga; e subito si rese conto di una cosa: se passare dal
davanzale al ramo era stato un azzardo, compiere il percorso inverso
era un
vero e proprio suicidio. «Non ce la farò
mai» mormorò, rivolta a se stessa
prima ancora che al germanico.
Ulf, che
era alle sue spalle, la sospinse piano verso
l’estremità del ramo. «Non
ricominciamo» sospirò. Lidia scosse il capo.
«No, Ulf, dico davvero» ribatté
lei, seria. «È troppo lontano.»
Forse
colpito dal sentirla pronunciare il suo nome, forse per via della sua
voce
ferma, l’uomo la osservò per qualche secondo,
prima di annuire. «Aspetta»,
mormorò, «vado prima io.»
Così dicendo, si portò verso la biforcazione
sulla
quale Lidia si era lanciata qualche ora prima e, calcolata la distanza,
saltò
sul davanzale. Atterrò sulle ginocchia, abbassandosi appena
in tempo per evitare
di sbattere la testa contro il telaio della finestra. Lidia
deglutì: non
sarebbe mai riuscita a fare una cosa del genere. Una volta entrato in
camera,
Ulf si sporse verso di lei. «Va bene» le disse.
«Vieni più vicina e salta.»
Lidia
sbiancò, scuotendo il capo. «No. Te l’ho
detto: non ci riesco. Cado di sicuro» sussurrò,
arretrando.
«Lidia!»
la richiamò lui. «Non fare la bambina, vieni
avanti! Devi solo arrivare alla
finestra, poi ti prendo io.»
Mi prende lui? Come
accidenti fa, a prendermi
lui? Lidia si
avvicinò di qualche passo, incerta. «Peso
troppo» disse,
preoccupata. «Se anche riuscissi ad arrivare alla finestra,
non riusciresti
comunque a tirarmi su.»
«Non pesi
troppo» sospirò lui. «Devi saltare:
l’alternativa è farti beccare da Donna Erin
e, credimi, non è un’alternativa piacevole. Il
perché te l’ho già spiegato
prima.» La fanciulla strinse convulsamente le mani attorno a
un giovane ramo
dalla corteccia liscia, cercando disperatamente una soluzione diversa.
«Non
puoi… non puoi chiedere a Hermann di distrarre ancora la
sacerdotessa?»
«Hermann è
tornato a casa con mio padre» ribatté
l’uomo. «Ti ho detto che ti prendo io:
fidati.»
Fidati.
La
fanciulla deglutì. Già una volta non si era
fidata di lui e, a quanto pareva, si
era sbagliata. Lidia chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Non
sapeva se
ci si potesse veramente fidare di quell’uomo, ma una cosa era
certa: se si
fosse rifiutata di farlo per la seconda volta in una serata, ogni
possibilità
di avere con lui un rapporto civile sarebbe sfumata.
E, in ogni caso, non
credo che sia nel suo
interesse farmi spiaccicare a terra.
Sporgendosi
lievemente in avanti, la giovane guardò in basso e fu colta
da un capogiro. È così
importante avere un rapporto civile? Si
chiese. A luglio arriverà Tito e
allora
tutto questo non avrà più nessuna importanza.
Ma a luglio mancano
ancora due mesi, le
fece
notare un’altra parte della sua mente.
Due mesi sono lunghi.
Che fare? Alzando lo sguardo verso la finestra,
Lidia vide che Ulf le stava porgendo una mano. Anche
nell’ombra della notte la
ragazza riusciva a vedere la sua espressione impaziente; eppure,
l’uomo stava
aspettando che si decidesse a saltare, senza metterle fretta.
E va bene, pensò Lidia, con un sospiro
rassegnato. «Mi prendi?» gli chiese ancora,
bilanciandosi sul ramo. «Ti ho
detto di sì» replicò seccamente lui.
Con un
ultimo respiro, la giovane spostò il proprio peso
all’indietro, prendendo la
rincorsa; poi, con due rapidi passi, si lanciò nel vuoto.
Anche se la direzione
era grossomodo giusta, Lidia non riuscì a far presa sul
granito del davanzale,
ma Ulf, fedele alla sua promessa, le afferrò con una mano un
braccio e con
l’altra il tessuto dell’abito, sulla schiena.
Questo non impedì alla ragazza di
sbattere violentemente lo stomaco contro il davanzale di pietra,
né di urtare
il muro con i piedi nudi. «Oof»
proclamò, mentre l’impatto violento le mozzava
il fiato. «Forza» la incitò
l’uomo. «Cerca di tirarti su!»
Annaspando
a vuoto per qualche istante, Lidia tentò di piantare un
ginocchio sul ripiano
di granito, mentre l’uomo riusciva in un qualche modo a
trascinarla all’interno
della stanza. Con un gemito strozzato, la giovane ricadde di faccia sul
pavimento, riuscendo a malapena a proteggersi il volto con le braccia. Viva! Pensò, sollevata,
rotolando sulla
schiena e riprendendo fiato a occhi chiusi. Quando li
riaprì, vide che Ulf aveva
acceso una lampada ed era fermo sopra di lei, osservandola
dall’alto in basso
con aria critica. Imbarazzata, Lidia si mise a sedere, ma molteplici
fitte in
diverse parti del corpo le strapparono un gemito. Che
male…
Ulf
sogghignò, notando la sua smorfia di dolore.
«Almeno la prossima volta ci
penserai due volte prima di scappare, disgraziata!»
sbottò, voltandole le
spalle.
Dolorante,
la ragazza rinunciò a ribattere. Rialzatasi in piedi, si
guardò attorno, mentre
un senso di angoscia l’assaliva. E
così
sono davvero punto e a capo… Anche se ormai era
abbastanza sicura che Ulf
non fosse interessato a lei in quel modo
– anzi, che non fosse interessato a lei in alcun modo, a dire
il vero – Lidia
non riusciva a fare a meno di sentirsi in trappola in quella stanza,
prigioniera di una situazione dalla quale diventava sempre
più difficile
fuggire. Fuori all’aperto, nel bosco e ai piedi del vecchio
melo, quando
c’erano cose più urgenti a cui pensare, stare
accanto a Ulf le era sembrato
quasi naturale; ma adesso, nel privato di quella camera, Lidia
sentì un po’ del
vecchio imbarazzo fare di nuovo capolino. Era un sentimento che la
schiacciava
a terra, simile a un peso troppo pesante da portare, e la ragazza si
rese conto
di volersene liberare a tutti i costi. Forse
potrei… la fanciulla cercò di dare
forma ai pensieri confusi che si stavano
affollando nella sua mente. Magari…
se…
Ulf si voltò
a guardarla con una strana espressione sul suo volto, quasi fosse a
disagio
anche lui, e Lidia si obbligò a riscuotersi. «E
adesso che facciamo?» chiese,
lasciandosi cadere sul letto e torcendosi nervosamente le mani.
L’uomo si
strinse nelle spalle, quasi divertito. «Adesso
dormiamo» rispose, sedendosi sul
lato opposto e ruotando la manovella per spegnere la luce.
«Non manca molto
all’alba e francamente vorrei anche riposarmi un
po’.» Così dicendo, Ulf si
distese sulle coperte, stiracchiandosi e sospirando. «Domani
sarà un incubo»
mormorò poi, dando forse inconsciamente voce a un pensiero
che avrebbe voluto
tenere per se stesso.
La
fanciulla si adagiò su un fianco, arrossendo
nell’avvertire la vicinanza con
l’uomo. «Perché?» chiese.
Parlare nel buio immobile della casa le sembrava
strano e la metteva un po’ a disagio, ma il silenzio sarebbe
stato ancora più
difficile da affrontare.
«I miei
amici vorranno un resoconto dettagliato, temo»
ringhiò lui, portandosi un
braccio sopra la testa. Lidia aggrottò la fronte.
«Un resoconto?» ripeté,
confusa. «Ma avevi detto che non avresti detto a nessuno che
sono scappata…»
Ulf le
lanciò un’occhiata piatta, fissandola senza
commentare. Poi sollevò un
sopracciglio. «Parlavo di un altro tipo di
resoconto.» Lidia sbatté un paio di
volte gli occhi, senza capire. Oh. Pensò,
poi, avvampando nell’istante in cui comprese il significato
delle parole
dell’uomo. Oh.
«Già» commentò
serafico Ulf, chiudendo gli occhi.
D’un
tratto, a Lidia venne in mente un dettaglio a cui non aveva pensato, ma
che
forse avrebbe attirato l’attenzione di un osservatore
più attento. «A proposito»
mormorò, con il volto in fiamme. «Potrebbe esserci
un piccolo problema.»
Il giovane
riaprì gli occhi, controvoglia. «Cosa
c’è, ancora?» chiese, sospirando.
«Il
vestito» rispose lei, con un filo di voce. Lui la
guardò, senza capire. «Be’,
toglilo, se stai scomoda» disse, stringendosi nelle spalle.
«Chiudo gli occhi,
se spogliarti davanti a me ti imbarazza: l’articolo non mi
interessa, te l’ho
detto.»
Certo che mi imbarazza! Pensò la fanciulla,
avvampando. Ma non era quello il problema. «No,
intendo… è tutto rovinato»
disse, sollevando un lembo della veste. «Si è
tutto strappato nei rovi ed è
pieno di fango. E se qualcuno si accorgesse che l’ho usato
per… fare altro?»
Ulf
osservò l’indumento, improvvisamente
più interessato alla questione. «Ah»
mormorò. Rimase un attimo immobile, riflettendo, poi scosse
il capo.
«Toglietelo» le ordinò, secco.
Lidia
esitò. Alzando gli occhi al cielo, l’uomo
ruotò su se stesso e le diede le
spalle. Rapida, non vedendo alternative, la ragazza si
liberò della veste e si
infilò sotto le coperte, tirandosi il lenzuolo fin sotto al
mento. Avvertendo
il movimento, Ulf si girò verso di lei, scuotendo il capo
quando vide la
posizione in cui si era rintanata. «Da’
qua» le disse, allungando una mano in
direzione del vestito che giaceva abbandonato a terra.
Con
cautela, facendo ben attenzione a non scoprirsi, la fanciulla lo
raccolse con
due dita e lo passò all’uomo, che lo
esaminò con aria critica. «Cosa mi tocca
fare» sibilò, con una smorfia. Afferrando con due
mani la scollatura, il
giovane tirò con forza, strappando il sottile tessuto
azzurro e rendendo
inutilizzabile l’abito. Lidia lo fissò a bocca
aperta, allibita. «Ma cosa fai?»
Lui si
strinse nelle spalle, prima di lanciare la veste rovinata verso i piedi
del
letto. «Be’, possiamo sempre far finta che nella
fretta le cose ci siano un
po’… scappate di mano»
commentò, storcendo il naso. «Un’idea
schifosa, ma, se
tu ne hai una migliore, sono tutt’orecchie.» Con un
gridolino imbarazzato,
Lidia si affrettò a nascondere il viso nel cuscino, sentendo
le guance andare a
fuoco. Questa conversazione finisce qui,
decise, mentre un risolino incredulo le scappava dalle labbra. Ecco, si disse, questa
è una buona posizione per dormire. Adesso me ne resto qui,
al
buio, e vedo di riposare per un paio d’ore. Magari posso
anche far finta di
essere sola, tanto non vedo e non sento niente…
Appena
ebbe concluso quel pensiero, la mano di Ulf calò sulla sua
spalla e la scosse
brevemente. Con un pessimo presentimento, la ragazza voltò
appena la testa,
spiando l’uomo da dietro una cortina di capelli.
«Mh?» chiese, la bocca ancora
premuta contro il guanciale.
«In realtà»,
disse Ulf, accendendo nuovamente la lampada, «ci sarebbe
anche un altro
problema.»
Lidia
scostò i capelli scuri dal volto, guardandolo con aria
interrogativa. «Cioè?» L’uomo
deglutì, a disagio. «Tu…»
disse, prima di interrompersi e riprovare. «Ehm…
hai
mai…» Lidia chinò il capo di lato,
cercando di capire dove volesse andare a
parare. Ulf chiuse gli occhi e sospirò. «Insomma,
sei vergine?» chiese, tutto
d’un fiato.
La
fanciulla lo guardò per un lunghissimo istante, a bocca
aperta, poi il cuore le
balzò in gola e il volto assunse una sfumatura violacea.
«Io…», boccheggiò,
«tu…
non vedo perché…» Immediatamente il
giovane la bloccò, alzando una mano nella
sua direzione. «Aspetta», sbottò,
«ho cambiato idea. Non mi interessa. Anzi,
non voglio proprio saperlo.» Lidia chiuse la bocca e
deglutì. «Il fatto è»,
continuò
Ulf, senza guardarla, «che loro
si
aspettano che tu lo sia.»
«Lo so»
ammise la fanciulla, quando fu di nuovo in grado di parlare quasi
normalmente.
«E di
conseguenza si aspettano anche di trovare qualcosa che
indichi… insomma, hai
capito.»
Oh, merda, fu il primo pensiero della ragazza,
che aveva capito benissimo quello che il germanico intendeva. Finiranno mai tutti questi problemi? Prima
Unna, poi l’albero, poi le spine, poi il cane, poi questo
tizio che decide di inseguirmi,
poi di nuovo l’albero, poi…
Ulf, che
aveva mal interpretato il suo silenzio, interruppe la sua filippica
mentale.
«Dèi, non dirmi che non sai nemmeno che una donna
sanguina, quando…»
«Lo so!»
lo aggredì Lidia, con i nervi a fior di pelle.
«Non sono così
stupida!» L’uomo si ritrasse, sorpreso dalla sua
reazione
violenta. «Va bene, va bene, meglio» si
affrettò a rassicurarla, alzando le
mani per placarla. «Comunque il concetto non cambia. Qui di
sangue non ce n’è
nemmeno l’ombra.»
Be’, questo
è poi da dimostrare, pensò la
giovane, alzando il polso per esaminare una ferita che si era procurata
in una
delle sue numerose cadute. Il taglio iniziava appena a richiudersi, ma
la linea
scarlatta era ancora ben visibile sulla sua pelle chiara. Ulf
seguì con lo
sguardo il suo movimento e subito si illuminò.
«Giusto!» esclamò, afferrandole
senza troppi complimenti il braccio. «Fatti in
là!»
Così
dicendo, buttò indietro le coperte e Lidia dovette
aggrapparsi al lenzuolo per
evitare che quel gesto la scoprisse completamente. Senza perdere tempo
– e
senza darle il tempo di capire cosa stesse succedendo –
l’uomo le strofinò con
forza la ferita sul materasso, lacerando la pelle che si era appena
richiusa e
facendone sgorgare di nuovo il sangue. Un dolore acuto e sottile le
trapassò il
braccio e Lidia non riuscì a trattenere un gemito strozzato.
Quando Ulf la
lasciò libera, la fanciulla si portò il polso al
petto in un movimento
protettivo e lo fissò con astio. «Quindi, se
avessi fatto come dicevi tu e
fossi rimasta qui, mi avresti ferita di proposito?» lo
accusò, retrocedendo
verso il bordo del letto.
Per nulla
toccato dal suo tono d’accusa, l’uomo
tornò a posare il capo sul suo cuscino,
facendo ripiombare la stanza nel buio. «No, probabilmente
avrei usato un po’
del mio sangue. Anche perché, se mi fossi avvicinato a te
con un coltello,
saresti svenuta o qualcosa del genere.»
Lidia
sbuffò dal naso, oltraggiata. «E non potevi farlo
anche adesso?» sibilò. Il
giovane fece schioccare la lingua. «Questa notte ho
già fatto fin troppo, per
te. E adesso smettila di seccarmi, che voglio dormire.»
Così dicendo, Ulf si
avvoltolò nelle coperte e nel farlo ne rubò un
po’ a Lidia, che provò a
riprendersele tirando, ma senza successo. «Sei
odioso» borbottò, ma il cuscino
soffocò quelle parole e, se l’uomo le
udì, finse di non sentirle.
Premendo
di nuovo il volto nel guanciale, la giovane romana cercò di
rilassarsi, ma le
botte e i graffi che si era procurata quella notte, nonché
lo stress emotivo
che aveva contraddistinto quel giorno, le impedirono di prendere sonno.
Mi fa male dappertutto, pensò
cupamente,
e con questa storia non ho fatto altro
che far insospettire questo… questo… lui. Domani
dovrò affrontare tutti gli
altri. Mamma e papà se ne andranno via. E a luglio mancano
ancora due mesi.
Con un
sospiro depresso, Lidia premette ancor di più il volto nel
cuscino, aspettando
le lacrime, certa che sarebbero arrivate da un momento
all’altro. Tuttavia, un
movimento avventato le fece pulsare il ginocchio che per primo aveva
urtato
contro l’albero e quel dolore le ricordò il salto
nel buio e tutto ciò che ne
era seguito. La nottata era stata decisamente diversa da come se
l’era immaginata
qualche ora prima, quando Unna e le sue compagne l’avevano
abbandonata, sola e
spaventata, in quella stessa camera.
Quando,
dieci minuti più tardi, la fanciulla scivolò tra
le braccia del sonno, i suoi
occhi erano ancora perfettamente asciutti.