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Autore: Red Owl    16/11/2017    2 recensioni
Vecchia versione non più aggiornata.
Genere: Avventura, Science-fiction, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Storico
Capitoli:
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Quando giunsero davanti alla casa, Lidia sentì il vuoto che avvertiva all’altezza dello stomaco trasformarsi in una voragine. Rieccomi al punto di partenza, pensò, abbattuta. Non pensavo proprio di rivederlo così presto, ‘sto posto.

«Tu aspetta qui» le disse Ulf, indicando il melo da cui si era calata per scappare. Il grosso segugio grigio – che, dopotutto, non era affatto un lupo, ma il cane più brutto che Lidia avesse mai visto – si sedette compostamente al fianco della ragazza e le colpì amichevolmente la mano con il naso. Ah, adesso ti sono simpatica, eh? Pensò lei, guardandolo di sbieco. «Su, forza» mormorò il germanico, afferrando l’animale per il collare di cuoio e trascinandolo con sé. Vedendoli allontanarsi, nella mente della fanciulla balenò un pensiero. Forse potrei…

«Non. Ci. Pensare. Nemmeno.» sibilò l’uomo, intuendo le sue intenzioni.  Lidia si affrettò ad alzare le mani in segno di resa, prima di appoggiarsi all’albero. Fuggire non era più un’opzione, purtroppo. Dopo i fatti di quella notte, sapeva di doversi muovere con cautela, senza suscitare ulteriormente i sospetti di suo marito. Doveva trovare comunque una buona scusa per contattare il Prefetto, questo sì, ma doveva farlo con molta più discrezione di quanta ne avesse messa in conto. Ulf non doveva subodorare assolutamente nulla; e lo stesso valeva, naturalmente, anche per la sacerdotessa.

Tra l’altro, Ulf sembra non sopportarla affatto, rifletté Lidia, ricordando la freddezza con cui l’uomo era solito parlare di Donna Erin. Chissà perché, poi? Scommetto che è perché l’ha costretto a sposarmi. Alzando lo sguardo verso le foglie immerse nell’oscurità, la giovane fu sfiorata da un pensiero: e se Ulf si fosse veramente trovato nella sua stessa situazione? Lidia aggrottò la fronte, pensierosa: era stata talmente presa dai suoi sentimenti che non si era mai interrogata su quelli dell’uomo. Prima che quella maledetta decisione imperiale scombussolasse i suoi piani, lei aveva sognato di sposare Tito e di costruire una vita insieme a lui. E se anche nella vita di suo marito ci fosse stata un’altra donna? Ulf aveva sognato di sposare una fanciulla germanica? Magari una ragazza del villaggio? È per questo che è così prevenuto nei miei confronti? Perché sono io e non… qualcun altro? Quel pensiero le fece inaspettatamente provare una vaga irritazione. Ma per favore, pensò, alzando gli occhi al cielo. Di certo non sono gelosa!

No, non era gelosa: di Ulf non le interessava nulla, anzi, sarebbe stata ben felice di cederlo a qualcun’altra… ma solo in cambio della propria libertà o, ancor meglio, di una vita con Tito. Se lei era condannata a una vita di infelicità e rimpianto, allora lo stesso doveva valere anche per suo marito: non avrebbe accettato alcun compromesso, da quel punto di vista. Sull’onda di quei pensieri, la sua mente le presentò un quadretto assolutamente detestabile: lei, chiusa in cucina a spignattare, triste e senza futuro, e lui, in giro a spassarsela con qualche stangona bionda. Lidia piantò rabbiosamente le unghie nella corteccia del melo, sfogando il suo malumore sull’albero. Erano quelli, i progetti del germanico? Era per quello che aveva insistito tanto per riportarla a casa? Gli serviva qualcuno che lo coprisse?

Quando Ulf ricomparve da dietro l’angolo della casa, Lidia si era talmente convinta che nella sua vita ci fosse un’altra donna che lo accolse con un’occhiata assolutamente furiosa. «Cosa c’è?» la interrogò l’uomo, perplesso. «Hai ancora intenzione di scappare?»

«No!» sputò lei, voltandogli decisa la schiena. Ulf rimase immobile per qualche istante, visibilmente spiazzato dalla rabbia che la giovane era riuscita a esprimere con quella semplice sillaba, ma poi scrollò le spalle, tornando ad avvicinarsi al melo. «Meglio così» disse. «Avanti, torniamo dentro.» Per una frazione di secondo, Lidia fu tentata di affrontarlo e di chiedergli conferma dei suoi sospetti, ma poi la sua naturale timidezza e il timore che l’uomo ancora le incuteva le impedirono di interrogarlo. Riderebbe di me, questo è poco, ma sicuro, pensò, con una smorfia. O, peggio, penserebbe che io sia gelosa. Meglio lasciar perdere. Non è poi così importante, dopotutto.

Ignaro dei suoi pensieri, Ulf si guardò attorno, vagamente spaesato. «Ma come accidenti hai fatto a scappare?» le chiese, in un sussurro. Lidia inspirò a fondo, cercando di scacciare l’irritazione e di non fare nulla che potesse farlo arrabbiare. «Sono uscita dalla finestra» rispose, stringendosi nelle spalle e indicando il ramo sul quale era balzata.

Ulf alzò lo sguardo e misurò con gli occhi la distanza tra il davanzale e il ramo. «Ma…» l’uomo esitò, aggrottando la fronte. «Ho saltato» venne in suo soccorso Lidia, sentendosi stranamente fiera di sé. Lui scosse il capo, incredulo. «Hai preferito rischiare di romperti l’osso del collo, piuttosto che fidarti di me. Ma non ti è venuto in mente che mia sorella volesse semplicemente spaventarti?»

Lidia fissò dritta davanti a sé, stringendo testardamente i denti. Se si aspettava che gli chiedesse scusa, si sbagliava di grosso. «E perché avrei dovuto?» gli chiese di rimando, con tutta la freddezza di cui era capace.

«Va bene» sospirò lui, lasciando cadere l’argomento. «Vediamo di risalire.» Lidia annuì, controvoglia, e si avviò verso la porta d’ingresso. Prima che potesse fare più di tre passi, però, Ulf la bloccò, afferrandola per un braccio. «Saliamo da » sussurrò, indicando l’albero con un cenno del capo.

Questa volta fu Lidia a restare senza parole. «Cosa?» mormorò, confusa. «Ma non possiamo entrare dalla porta?» Lui scosse il capo. «No. La tua amica sacerdotessa è rimasta a dormire al piano terra, probabilmente proprio per evitare che qualcosa andasse storto. Se rientrassimo da lì, se ne accorgerebbe subito.»

Lidia deglutì. Tutto sommato, iniziava a sospettare che l’antipatia provata da Ulf per la sacerdotessa non fosse poi così incomprensibile. Che motivo aveva quella donna di controllarli tanto da vicino? «E tu come hai fatto a uscire senza farti scoprire?» chiese, esaminando rapidamente la facciata dell’edificio, alla ricerca di uscite secondarie.

«I miei fratelli l’hanno distratta quel tanto che bastava per permettermi di uscire di nascosto. Il che è abbastanza imbarazzante, data la mia età.»

La fanciulla chiuse gli occhi per qualche istante. Perfetto, pensò, sarcastica. «Quindi lo sanno tutti, che ho cercato di scappare?» chiese, con una nota di panico della voce. La sua fuga improvvisata iniziava a non sembrarle più una grande idea e il pensiero che l’intero villaggio venisse a sapere della sua disavventura la faceva morire di vergogna.

Ulf quasi sorrise. «No, non tutti, solo i miei fratelli» ripeté. Poi si voltò a guardarla, inclinando il capo di lato. «Anche se ti meriteresti che la cosa diventasse di dominio pubblico.» Lidia storse il naso. «Ma tu non lo dirai a nessuno, vero?» si informò, cauta. Il germanico la fissò con un sopracciglio ironicamente alzato. «Oh, adesso hai deciso di fidarti di me?» le chiese, beffardo.

Lidia arrossì e abbassò lo sguardo sui propri piedi. No, non si fidava di lui: sperava solo di aver interpretato correttamente la situazione. Davanti al suo silenzio, l’uomo sospirò. «Non lo dirò a nessuno, ovviamente. E nemmeno tu lo farai: questa storia ce la dimentichiamo stasera, d’accordo?»

«D’accordo» bofonchiò la ragazza, sentendosi quasi come una bambina rimproverata da un genitore – una sensazione della quale aveva sperato di essersi liberata, una volta emancipatasi dall’autorità di suo padre. «Bene» annuì Ulf, sospingendola fino al melo e avvicinandola al tronco con un’ultima spintarella. «Sali prima tu.»

La ragazza posò le mani sul tronco e guardò in alto, provando a posare un sandalo sulla corteccia ruvida. Immediatamente, il suo piede scivolò di nuovo a terra, atterrando con un piccolo tonfo sull’erba umida di rugiada. «Non ci riesco» dichiarò, voltandosi verso l’uomo. Lui sbuffò, poi fece un cenno verso i suoi piedi. «Togliti i sandali» le ordinò. «Avrai una presa migliore.»

Pur nutrendo alcuni dubbi sull’efficacia della tecnica che le era stata consigliata, la ragazza si liberò delle sue calzature e appoggiò nuovamente un piede sul legno. Non appena vi caricò sopra il proprio peso, però, l’alluce si piegò dolorosamente verso l’alto e Lidia ripiombò a terra. «Ahi!» si lamentò, abbandonando subito l’impresa e prendendosi tra le mani il piede dolorante. «Non funziona!»

Sono bloccata qui! Pensò, mentre il panico iniziava ad assalirla. Dovrò passare la notte all’aperto e domani mattina si accorgeranno che sono qui fuori. La ragazza si voltò verso Ulf, cercando inconsciamente il suo aiuto, ma lui sbuffò, passandosi rapidamente una mano sul volto. «Devi saltare» sibilò, chinandosi su di lei. «Devi aggrapparti a quel ramo!»

Il ramo in questione era più di un metro sopra la sua testa e subito Lidia scosse il capo. «Non ci arriverò mai!» sussurrò, con il cuore in gola. Ulf chiuse gli occhi per qualche secondo, evidentemente frustrato dalle sue doti di arrampicatrice. «Non sai fare veramente niente, non è così?» le chiese, con voce stanca. «Dai, vieni qui, che ti sollevo io.» Senza lasciarle il tempo di protestare, l’uomo l’afferrò per la vita e la sollevò fin sopra alla propria testa. Stupita dal movimento improvviso e dal contatto inaspettato, Lidia restò un attimo con le mani in mano. «Muoviti, che pesi!» la voce di Ulf la riscosse e subito la ragazza cercò di afferrare il ramo che l’uomo le aveva indicato. Mancavano ancora dieci centimetri. «Non ci arrivo» sussurrò, con la voce distorta dallo sforzo di allungarsi il più possibile. «Alzami ancora un po’!»

L’uomo si affannò per qualche secondo alla ricerca di un appiglio che gli permettesse di spingerla più in alto, poi si risolse a posarle una mano sul sedere, riuscendo così a guadagnare pochi, preziosi centimetri. Lidia avvampò. «Ehi!» esclamò, oltraggiata. «Sta’ zitta!» le sibilò lui, di rimando. «E datti una mossa, altrimenti ti lascio cadere!»

Con le guance paonazze a causa dell’imbarazzo, la ragazza guardò verso l’alto e si rese conto di essere ormai all’altezza giusta. Velocemente, si aggrappò con entrambe le mani al ramo, cercando di tirarsi su e scoprendo subito di non avere abbastanza forza nelle braccia. Mi serve qualcosa su cui appoggiare i piedi… Ulf stava poco alla volta smettendo di sostenere il suo peso e istintivamente lei gettò all’indietro le gambe, posando i piedi sulle spalle dell’uomo e… Ops. In faccia.

«Sono su!» esclamò in un sussurro trionfante, alzandosi in piedi e reggendosi ai rami più in alto. Ulf non commentò, ma le lanciò un’occhiata omicida. Subito si chinò a raccogliere i sandali che la giovane aveva lasciato a terra e li lanciò nella sua direzione. Lidia riuscì ad afferrarli al volo, prima di voltarsi dall’altra parte, incapace di nascondere un sorriso. Speravi di prendermi in testa, eh?

Con un balzo, l’uomo raggiunse il ramo e si issò di fianco alla giovane moglie. «Avanti» sbuffò, indicando l’ombra nera della finestra e togliendole i sandali di mano. Con cautela, la ragazza raggiunse il ramo sul quale era saltata durante la sua fuga; e subito si rese conto di una cosa: se passare dal davanzale al ramo era stato un azzardo, compiere il percorso inverso era un vero e proprio suicidio. «Non ce la farò mai» mormorò, rivolta a se stessa prima ancora che al germanico.

Ulf, che era alle sue spalle, la sospinse piano verso l’estremità del ramo. «Non ricominciamo» sospirò. Lidia scosse il capo. «No, Ulf, dico davvero» ribatté lei, seria. «È troppo lontano.»

Forse colpito dal sentirla pronunciare il suo nome, forse per via della sua voce ferma, l’uomo la osservò per qualche secondo, prima di annuire. «Aspetta», mormorò, «vado prima io.» Così dicendo, si portò verso la biforcazione sulla quale Lidia si era lanciata qualche ora prima e, calcolata la distanza, saltò sul davanzale. Atterrò sulle ginocchia, abbassandosi appena in tempo per evitare di sbattere la testa contro il telaio della finestra. Lidia deglutì: non sarebbe mai riuscita a fare una cosa del genere. Una volta entrato in camera, Ulf si sporse verso di lei. «Va bene» le disse. «Vieni più vicina e salta.»

Lidia sbiancò, scuotendo il capo. «No. Te l’ho detto: non ci riesco. Cado di sicuro» sussurrò, arretrando.

«Lidia!» la richiamò lui. «Non fare la bambina, vieni avanti! Devi solo arrivare alla finestra, poi ti prendo io.»

Mi prende lui? Come accidenti fa, a prendermi lui? Lidia si avvicinò di qualche passo, incerta. «Peso troppo» disse, preoccupata. «Se anche riuscissi ad arrivare alla finestra, non riusciresti comunque a tirarmi su.»

«Non pesi troppo» sospirò lui. «Devi saltare: l’alternativa è farti beccare da Donna Erin e, credimi, non è un’alternativa piacevole. Il perché te l’ho già spiegato prima.» La fanciulla strinse convulsamente le mani attorno a un giovane ramo dalla corteccia liscia, cercando disperatamente una soluzione diversa. «Non puoi… non puoi chiedere a Hermann di distrarre ancora la sacerdotessa?»

«Hermann è tornato a casa con mio padre» ribatté l’uomo. «Ti ho detto che ti prendo io: fidati.»

Fidati.

La fanciulla deglutì. Già una volta non si era fidata di lui e, a quanto pareva, si era sbagliata. Lidia chiuse gli occhi, inspirando profondamente. Non sapeva se ci si potesse veramente fidare di quell’uomo, ma una cosa era certa: se si fosse rifiutata di farlo per la seconda volta in una serata, ogni possibilità di avere con lui un rapporto civile sarebbe sfumata.

E, in ogni caso, non credo che sia nel suo interesse farmi spiaccicare a terra.

Sporgendosi lievemente in avanti, la giovane guardò in basso e fu colta da un capogiro. È così importante avere un rapporto civile? Si chiese. A luglio arriverà Tito e allora tutto questo non avrà più nessuna importanza.

Ma a luglio mancano ancora due mesi, le fece notare un’altra parte della sua mente. Due mesi sono lunghi.

Che fare? Alzando lo sguardo verso la finestra, Lidia vide che Ulf le stava porgendo una mano. Anche nell’ombra della notte la ragazza riusciva a vedere la sua espressione impaziente; eppure, l’uomo stava aspettando che si decidesse a saltare, senza metterle fretta.

E va bene, pensò Lidia, con un sospiro rassegnato. «Mi prendi?» gli chiese ancora, bilanciandosi sul ramo. «Ti ho detto di sì» replicò seccamente lui.

Con un ultimo respiro, la giovane spostò il proprio peso all’indietro, prendendo la rincorsa; poi, con due rapidi passi, si lanciò nel vuoto. Anche se la direzione era grossomodo giusta, Lidia non riuscì a far presa sul granito del davanzale, ma Ulf, fedele alla sua promessa, le afferrò con una mano un braccio e con l’altra il tessuto dell’abito, sulla schiena. Questo non impedì alla ragazza di sbattere violentemente lo stomaco contro il davanzale di pietra, né di urtare il muro con i piedi nudi. «Oof» proclamò, mentre l’impatto violento le mozzava il fiato. «Forza» la incitò l’uomo. «Cerca di tirarti su!»

Annaspando a vuoto per qualche istante, Lidia tentò di piantare un ginocchio sul ripiano di granito, mentre l’uomo riusciva in un qualche modo a trascinarla all’interno della stanza. Con un gemito strozzato, la giovane ricadde di faccia sul pavimento, riuscendo a malapena a proteggersi il volto con le braccia. Viva! Pensò, sollevata, rotolando sulla schiena e riprendendo fiato a occhi chiusi. Quando li riaprì, vide che Ulf aveva acceso una lampada ed era fermo sopra di lei, osservandola dall’alto in basso con aria critica. Imbarazzata, Lidia si mise a sedere, ma molteplici fitte in diverse parti del corpo le strapparono un gemito. Che male…

Ulf sogghignò, notando la sua smorfia di dolore. «Almeno la prossima volta ci penserai due volte prima di scappare, disgraziata!» sbottò, voltandole le spalle.

Dolorante, la ragazza rinunciò a ribattere. Rialzatasi in piedi, si guardò attorno, mentre un senso di angoscia l’assaliva. E così sono davvero punto e a capo… Anche se ormai era abbastanza sicura che Ulf non fosse interessato a lei in quel modo – anzi, che non fosse interessato a lei in alcun modo, a dire il vero – Lidia non riusciva a fare a meno di sentirsi in trappola in quella stanza, prigioniera di una situazione dalla quale diventava sempre più difficile fuggire. Fuori all’aperto, nel bosco e ai piedi del vecchio melo, quando c’erano cose più urgenti a cui pensare, stare accanto a Ulf le era sembrato quasi naturale; ma adesso, nel privato di quella camera, Lidia sentì un po’ del vecchio imbarazzo fare di nuovo capolino. Era un sentimento che la schiacciava a terra, simile a un peso troppo pesante da portare, e la ragazza si rese conto di volersene liberare a tutti i costi. Forse potrei… la fanciulla cercò di dare forma ai pensieri confusi che si stavano affollando nella sua mente. Magari… se…

Ulf si voltò a guardarla con una strana espressione sul suo volto, quasi fosse a disagio anche lui, e Lidia si obbligò a riscuotersi. «E adesso che facciamo?» chiese, lasciandosi cadere sul letto e torcendosi nervosamente le mani. L’uomo si strinse nelle spalle, quasi divertito. «Adesso dormiamo» rispose, sedendosi sul lato opposto e ruotando la manovella per spegnere la luce. «Non manca molto all’alba e francamente vorrei anche riposarmi un po’.» Così dicendo, Ulf si distese sulle coperte, stiracchiandosi e sospirando. «Domani sarà un incubo» mormorò poi, dando forse inconsciamente voce a un pensiero che avrebbe voluto tenere per se stesso.

La fanciulla si adagiò su un fianco, arrossendo nell’avvertire la vicinanza con l’uomo. «Perché?» chiese. Parlare nel buio immobile della casa le sembrava strano e la metteva un po’ a disagio, ma il silenzio sarebbe stato ancora più difficile da affrontare.

«I miei amici vorranno un resoconto dettagliato, temo» ringhiò lui, portandosi un braccio sopra la testa. Lidia aggrottò la fronte. «Un resoconto?» ripeté, confusa. «Ma avevi detto che non avresti detto a nessuno che sono scappata…»

Ulf le lanciò un’occhiata piatta, fissandola senza commentare. Poi sollevò un sopracciglio. «Parlavo di un altro tipo di resoconto.» Lidia sbatté un paio di volte gli occhi, senza capire. Oh. Pensò, poi, avvampando nell’istante in cui comprese il significato delle parole dell’uomo. Oh. «Già» commentò serafico Ulf, chiudendo gli occhi.

D’un tratto, a Lidia venne in mente un dettaglio a cui non aveva pensato, ma che forse avrebbe attirato l’attenzione di un osservatore più attento. «A proposito» mormorò, con il volto in fiamme. «Potrebbe esserci un piccolo problema.»

Il giovane riaprì gli occhi, controvoglia. «Cosa c’è, ancora?» chiese, sospirando. «Il vestito» rispose lei, con un filo di voce. Lui la guardò, senza capire. «Be’, toglilo, se stai scomoda» disse, stringendosi nelle spalle. «Chiudo gli occhi, se spogliarti davanti a me ti imbarazza: l’articolo non mi interessa, te l’ho detto.»

Certo che mi imbarazza! Pensò la fanciulla, avvampando. Ma non era quello il problema. «No, intendo… è tutto rovinato» disse, sollevando un lembo della veste. «Si è tutto strappato nei rovi ed è pieno di fango. E se qualcuno si accorgesse che l’ho usato per… fare altro?»

Ulf osservò l’indumento, improvvisamente più interessato alla questione. «Ah» mormorò. Rimase un attimo immobile, riflettendo, poi scosse il capo. «Toglietelo» le ordinò, secco.

Lidia esitò. Alzando gli occhi al cielo, l’uomo ruotò su se stesso e le diede le spalle. Rapida, non vedendo alternative, la ragazza si liberò della veste e si infilò sotto le coperte, tirandosi il lenzuolo fin sotto al mento. Avvertendo il movimento, Ulf si girò verso di lei, scuotendo il capo quando vide la posizione in cui si era rintanata. «Da’ qua» le disse, allungando una mano in direzione del vestito che giaceva abbandonato a terra.

Con cautela, facendo ben attenzione a non scoprirsi, la fanciulla lo raccolse con due dita e lo passò all’uomo, che lo esaminò con aria critica. «Cosa mi tocca fare» sibilò, con una smorfia. Afferrando con due mani la scollatura, il giovane tirò con forza, strappando il sottile tessuto azzurro e rendendo inutilizzabile l’abito. Lidia lo fissò a bocca aperta, allibita. «Ma cosa fai?»

Lui si strinse nelle spalle, prima di lanciare la veste rovinata verso i piedi del letto. «Be’, possiamo sempre far finta che nella fretta le cose ci siano un po’… scappate di mano» commentò, storcendo il naso. «Un’idea schifosa, ma, se tu ne hai una migliore, sono tutt’orecchie.» Con un gridolino imbarazzato, Lidia si affrettò a nascondere il viso nel cuscino, sentendo le guance andare a fuoco. Questa conversazione finisce qui, decise, mentre un risolino incredulo le scappava dalle labbra. Ecco, si disse, questa è una buona posizione per dormire. Adesso me ne resto qui, al buio, e vedo di riposare per un paio d’ore. Magari posso anche far finta di essere sola, tanto non vedo e non sento niente…

Appena ebbe concluso quel pensiero, la mano di Ulf calò sulla sua spalla e la scosse brevemente. Con un pessimo presentimento, la ragazza voltò appena la testa, spiando l’uomo da dietro una cortina di capelli. «Mh?» chiese, la bocca ancora premuta contro il guanciale.

«In realtà», disse Ulf, accendendo nuovamente la lampada, «ci sarebbe anche un altro problema.»

Lidia scostò i capelli scuri dal volto, guardandolo con aria interrogativa. «Cioè?» L’uomo deglutì, a disagio. «Tu…» disse, prima di interrompersi e riprovare. «Ehm… hai mai…» Lidia chinò il capo di lato, cercando di capire dove volesse andare a parare. Ulf chiuse gli occhi e sospirò. «Insomma, sei vergine?» chiese, tutto d’un fiato.

La fanciulla lo guardò per un lunghissimo istante, a bocca aperta, poi il cuore le balzò in gola e il volto assunse una sfumatura violacea. «Io…», boccheggiò, «tu… non vedo perché…» Immediatamente il giovane la bloccò, alzando una mano nella sua direzione. «Aspetta», sbottò, «ho cambiato idea. Non mi interessa. Anzi, non voglio proprio saperlo.» Lidia chiuse la bocca e deglutì. «Il fatto è», continuò Ulf, senza guardarla, «che loro si aspettano che tu lo sia.»

«Lo so» ammise la fanciulla, quando fu di nuovo in grado di parlare quasi normalmente.

«E di conseguenza si aspettano anche di trovare qualcosa che indichi… insomma, hai capito.»

Oh, merda, fu il primo pensiero della ragazza, che aveva capito benissimo quello che il germanico intendeva. Finiranno mai tutti questi problemi? Prima Unna, poi l’albero, poi le spine, poi il cane, poi questo tizio che decide di inseguirmi, poi di nuovo l’albero, poi…

Ulf, che aveva mal interpretato il suo silenzio, interruppe la sua filippica mentale. «Dèi, non dirmi che non sai nemmeno che una donna sanguina, quando…»

«Lo so!» lo aggredì Lidia, con i nervi a fior di pelle. «Non sono così stupida!» L’uomo si ritrasse, sorpreso dalla sua reazione violenta. «Va bene, va bene, meglio» si affrettò a rassicurarla, alzando le mani per placarla. «Comunque il concetto non cambia. Qui di sangue non ce n’è nemmeno l’ombra.»

Be’, questo è poi da dimostrare, pensò la giovane, alzando il polso per esaminare una ferita che si era procurata in una delle sue numerose cadute. Il taglio iniziava appena a richiudersi, ma la linea scarlatta era ancora ben visibile sulla sua pelle chiara. Ulf seguì con lo sguardo il suo movimento e subito si illuminò. «Giusto!» esclamò, afferrandole senza troppi complimenti il braccio. «Fatti in là!»

Così dicendo, buttò indietro le coperte e Lidia dovette aggrapparsi al lenzuolo per evitare che quel gesto la scoprisse completamente. Senza perdere tempo – e senza darle il tempo di capire cosa stesse succedendo – l’uomo le strofinò con forza la ferita sul materasso, lacerando la pelle che si era appena richiusa e facendone sgorgare di nuovo il sangue. Un dolore acuto e sottile le trapassò il braccio e Lidia non riuscì a trattenere un gemito strozzato. Quando Ulf la lasciò libera, la fanciulla si portò il polso al petto in un movimento protettivo e lo fissò con astio. «Quindi, se avessi fatto come dicevi tu e fossi rimasta qui, mi avresti ferita di proposito?» lo accusò, retrocedendo verso il bordo del letto.

Per nulla toccato dal suo tono d’accusa, l’uomo tornò a posare il capo sul suo cuscino, facendo ripiombare la stanza nel buio. «No, probabilmente avrei usato un po’ del mio sangue. Anche perché, se mi fossi avvicinato a te con un coltello, saresti svenuta o qualcosa del genere.»

Lidia sbuffò dal naso, oltraggiata. «E non potevi farlo anche adesso?» sibilò. Il giovane fece schioccare la lingua. «Questa notte ho già fatto fin troppo, per te. E adesso smettila di seccarmi, che voglio dormire.» Così dicendo, Ulf si avvoltolò nelle coperte e nel farlo ne rubò un po’ a Lidia, che provò a riprendersele tirando, ma senza successo. «Sei odioso» borbottò, ma il cuscino soffocò quelle parole e, se l’uomo le udì, finse di non sentirle.

Premendo di nuovo il volto nel guanciale, la giovane romana cercò di rilassarsi, ma le botte e i graffi che si era procurata quella notte, nonché lo stress emotivo che aveva contraddistinto quel giorno, le impedirono di prendere sonno. Mi fa male dappertutto, pensò cupamente, e con questa storia non ho fatto altro che far insospettire questo… questo… lui. Domani dovrò affrontare tutti gli altri. Mamma e papà se ne andranno via. E a luglio mancano ancora due mesi.

Con un sospiro depresso, Lidia premette ancor di più il volto nel cuscino, aspettando le lacrime, certa che sarebbero arrivate da un momento all’altro. Tuttavia, un movimento avventato le fece pulsare il ginocchio che per primo aveva urtato contro l’albero e quel dolore le ricordò il salto nel buio e tutto ciò che ne era seguito. La nottata era stata decisamente diversa da come se l’era immaginata qualche ora prima, quando Unna e le sue compagne l’avevano abbandonata, sola e spaventata, in quella stessa camera.

Quando, dieci minuti più tardi, la fanciulla scivolò tra le braccia del sonno, i suoi occhi erano ancora perfettamente asciutti.

 

   
 
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