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Autore: Mannu    16/11/2017    0 recensioni
Mai come stavolta Veruska è convinta di aver fatto il passo più lungo della gamba. Ma ormai è in ballo e deve ballare! Che le piaccia o no sarà coinvolta nuovamente in un pericoloso gioco a base di spionaggio internazionale dove nulla è ciò che sembra... oppure sì? Non ci si può tirare indietro di fronte al cupo Capitano Grimovski, agli agenti del Kaiser colmi di risentimento oppure sottrarsi agli altri giocatori per nulla intenzionati a lasciarsi beffare di nuovo.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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- Questa storia fa parte della serie 'Veruska'
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Flugzeug!
2.

Si occupò del soprabito e dei guanti, sistemando tutto nel migliore dei modi dentro l'armadio che il dottore aveva riservato agli ospiti. Una massiccia anta nera e lucida, intagliata finemente lungo i bordi tornò al suo posto bloccata da una fine serratura di ottone lucido. Poté tornare alla sua occupazione che era stata interrotta dal trillo del campanello. Si recò nella cucina che lei stessa aveva riorganizzato e si accinse a inventariare le conserve. Il dottore aveva una discreta collezione di crauti in barattolo ed era necessario che venissero consumati quelli con la scadenza più vicina, opportunamente alternati a quelli più freschi. Non doveva poi dimenticarsi delle marmellate: il suo padrone di casa era goloso e anche capriccioso e spesso apriva un barattolo nuovo alla ricerca di un diverso sapore. Finendo così per dimenticarsi del barattolo già aperto che rischiava di riempirsi di sgradevole muffa. Circondata da vasi e vasetti, immersa in queste considerazioni, qualcosa la distrasse. Dalla finestra che dava sulla strada, quella dove si affacciava per vedere chi avesse suonato il campanello, intuì un movimento. Le ci volle un momento per capire di che si trattasse.
Fermo e massiccio come una statua di bronzo scurita dal tempo, il capitano di artiglieria dell'esercito del Popolo Sovietico Ivan Grimovski. Ben vestito con mantello, bastone e cappello secondo la moda del momento, guardava dritto verso di lei attraverso le inferriate della recinzione. Come poteva vederla? Non c'erano luci accese in casa e lei sapeva bene che non era possibile vedere dalla strada attraverso i vetri delle finestre che si comportavano come specchi neri. Solo avvicinandosi alle imposte, lasciandosi illuminare dalla luce del giorno Grimovski avrebbe potuto vederla.
Seccata, Veruska si accostò ai vetri e con una mano spostò la tendina di pizzo. Che il capitano sapesse di essere stato notato.
Quello reagì subito: lo vide mettere lentamente mano al panciotto e da un taschino opposto a quello dell'orologio estrasse una luccicante sovrana d'oro danese, riconoscibile per la caratteristica forma eptagonale.
Sfacciato! Veruska trasalì per quel gesto così oltraggioso. Anche se quella piccola ma brillante, angolosa luna d'oro si era subito eclissata nel taschino da cui era uscita, era possibile che qualcuno l'avesse vista. Certo l'imponente capitano non aveva nulla da perdere: non abitava lì e nessuno lo conosceva, né temeva un'aggressione. Ma lei invece sì: qualcuno avrebbe potuto pensare cose estremamente sconvenienti se avesse testimoniato quella scena. Avvampata in viso, Veruska si andò a sedere in cucina per bere un po' d'acqua, furiosa, ferita e affranta, il cuore in gola. Il capitano se ne stava lì immobile, rivolto alla finestra come se potesse vederci attraverso. Le pareva che fosse lì con lei, seduto nella sedia accanto, con quel suo sguardo da predatore che le scorreva addosso valutando il punto migliore per azzannarla.
Quando ebbe ripreso almeno un po' il controllo di sé andò nello studio dove il dottor Haase e il dottor Sanna stavano conversando pacatamente.
«Dimmi pure, mia cara» l'apostrofò Haase quando la vide apparire sulla soglia della sala.
«Mi perdoni, dottore. Mi chiedevo se potessi uscire per una breve passeggiata, se mi fosse concessa una pausa.»
«Ma certo, Veruska. Vai e distraiti un po'. Cena alla solita ora. Il dottor Sanna non si tratterrà.»
Ringraziò e si congedò con un accenno di riverenza. Si tolse di dosso in fretta il grembiule bianco e infilò sopra la nera divisa da domestica una nera giacchetta inamidata, senza bottoni e senza colletto che le arrivava a stento all'altezza delle ultime costole. Molto di moda, ampi sbuffi di pizzo in fondo alle maniche rendevano tollerabile l'assenza di guanti. Afferrò l'ombrellino da passeggio, nero e ornato di pizzo economico e uscì ad affrontare il capitano.
«Добрый день [1], bella signorina» esordì quello esibendosi in un misurato e cortese inchino.
«Пожалуйста, капитан... [2] vuole coprirmi di vergogna! Venga, passeggiamo!» lo gelò lei irosa, senza nemmeno fermarsi.
«In cosa ho mancato, dunque?» chiese quello dopo alcune decine di metri percorsi in silenzio e a passo di marcia.
«Quanto durerà ancora questa storia?» ribatté Veruska indispettita.
«Non sono stato io ad aver chiesto sovrane danesi in ricompensa. Ci vuole tempo ad accumulare certe somme in oro. Invece di rallegrarsi per essere vicina al traguardo, lei si adira...»
«Giungere davanti alla porta sventolando monete d'oro non è ciò che io chiamo discrezione, né buon gusto! Sarò anche una sguattera ma ciò non significa che io sia degna di minor rispetto! Oppure nella Grande Madre Russia sono cambiate le cose?»
«Lo Zar è sempre al suo posto e no, nulla è cambiato» ribatté il capitano mesto. Aveva dunque compreso l'errore?
«Perdoni l'errore di un povero bifolco. Ammetto di essermi fatto strada nei ranghi dell'esercito non certo per aver frequentato con profitto l'Accademia Militare, ma invece per essere tornato vivo da molte battaglie.»
Veruska non sapeva che pensare. Il capitano non le aveva mai dato occasioni per sospettare della sua sincerità. Che non fosse un uomo avvezzo alla diplomazia era ben chiaro: non sembrava a suo agio nei panni borghesi del cittadino mitteleuropeo. Lo ricordò in divisa e qualcosa le si mosse nel centro del petto. Solo un poco.
«Torniamo al nostro... come definirlo...»
«Affare?» suggerì lui.
«Non lo definirei un affare. E nemmeno un contratto. Ho accettato del denaro in cambio di quei disegni. L'ho fatto nello scompartimento di un treno, sola con lei, fuggitiva e spaventata. Le spie di ben tre grandi nazioni sulle mie tracce e l'incubo di non dormire più una notte serena in tutta la mia vita. Lo definirei un ricatto.»
«Ben retribuito.»
«I soldi non fanno la felicità. Soprattutto, da morti non si può spendere un solo demark!» sbottò Veruska.
«La stiamo proteggendo. Non appena sarà possibile farlo, renderemo di pubblico dominio che i progetti di Schmeisser sono saldamente in pugno allo Zar. Allora non ci sarà più ragione di dare la caccia all'abile spia russa che è stata in grado di superare mille avversità per...»
«Oh, basta! – sbottò Veruska ma senza alzare la voce – Più di tutti lei dovrebbe ben sapere che non sono un agente. Né dello Zar, né di altri.»
Alla vista del sorriso sornione sul largo viso del soldato, l'ira di Veruska si raffreddò. La stava prendendo in giro e lei ci era cascata in pieno. Se avesse continuato a scaldarsi in quel modo non solo avrebbe fatto il gioco del capitano, ma lo avrebbe anche divertito.
I tacchi che battevano sul selciato una marcia tutta per lei, raggiunse l'incrocio con la Schustehrusstrasse, l'attraversò e si infilò nell'omonimo, piccolo ma verdissimo parco. Superò il piedistallo su cui era stato posto un fiero busto in bronzo di Zeppelin, eroe della patria germanica, e si incamminò un po' incerta sui sassolini bianchi del viale. Cercava con gli occhi una panchina che non fosse totalmente in ombra e dopo pochi passi la trovò. Il capitano senza fiatare le si sedette a fianco, composto e alla giusta distanza.
«Ebbene?» lo esortò lei aggiustandosi la veletta del cappello.
«Del denaro pattuito abbiamo provveduto a versare quattromila franchi svizzeri presso la Banca Elvetica, mille demark sono già sul suo conto presso la Deutsche Geschäftsbank...»
«Mi dica qualcosa che non so, capitano. Per esempio dov'è l'altra metà del denaro? È mesi che attendo.»
«Come le ho detto già cento volte, procurarsi ingenti somme in monete d'oro non è facile. Questa è la laboriosa Germania, non la ricca corte dello Zar.»
Si favoleggiava che ogni stanza nel Cremlino fosse decorata d'oro e che vi fossero collezioni di monete auree da ogni paese del mondo esposte come quadri. Perfino che allo Zar piacesse nascondere monete d'oro sotto i cuscini delle sedie degli ospiti, per stupirli. O per divertirsi a sorprenderli a rovistare con le mani sotto le natiche pensando di non essere visti.
Veruska stette in silenzio per un paio di minuti. Osservò i visitatori dello Schustehruspark passeggiare nell'erba: damigelle col parasole aperto che accompagnavano i loro anziani assistiti, mamme con i bambini per mano, perfino distinti signori che avevano scelto un bel prato rasato e ben curato per discutere d'affari anziché le comode poltrone di pelle dei loro uffici. Lontano poté scorgere l'imponente sagoma rossa, bianca e grigia di un grande dirigibile da carico in volo, diretto presumibilmente al grande campo di volo di Grunewald. Tra i grandi alberi del parco si era sempre sentita protetta, al sicuro. Ora al suo fianco era seduto un uomo che ancora non sapeva se considerare un salvatore o un aguzzino.
Quella sovrana danese che cosa significa, dunque? È forse l'unica che lo Zar è disposto a cedere per i disegni che ho... liberamente scelto di vendere?»
«Non sia così ingenerosa, fräulein. Dopotutto lo Zar le ha trovato un lavoro, una casa bella e pulita, un padrone colto e dalle buone maniere... per tacere dei cani da caccia che sta tenendo lontani dai suoi graziosi polpacci. Né sua maestà d'Inghilterra né il Principe di Savoia hanno preso bene la sua impresa. Per tacere del Kaiser... l'ha beffato facendogliela proprio sotto il naso. Questa sovrana – batté due dita sul taschino dove riposava la preziosa moneta – indica che parte della sua ricompensa in oro è pronta. Come lei di certo sa, esistono accordi internazionali che regolano il commercio di oro la cui purezza supera il settanta per cento. Si dà il caso che le sovrane danesi siano pure al novantotto per cento. Quindi, fräulein... complimenti per la scelta: ottima dal punto di vista della durata del valore nel tempo. Molto meno dal punto di vista della spendibilità. Ovunque vorrà impiegare queste monete le verrà chiesto il titolo di possesso. In assenza del quale, l'oro verrà considerato rubato e confiscato.»
«Un altro ricatto quindi? Non ho più nulla da scambiare» gelida, Veruska evitò perfino di guardare l'uomo in faccia.
«Non potrei mai permetterlo» rispose Grimovski quasi oltraggiato. Lei non riuscì a capire se dicesse sul serio.
«Mi sta chiedendo di rinunciare al pagamento in oro, non è vero?»
«Al contrario. Lo Zar sarebbe lieto di aggiungere alle cinquemila sovrane richieste altre... diciamo cinquemila. O se preferisse una valuta differente dall'oro coniato, arriverebbe a offrirne anche ottomila.»
Veruska rimase seduta impettita senza tradire alcuna emozione, ma dentro il suo petto e la sua testa vi erano esplosioni vulcaniche, colate di lava rossa e fontane di lapilli incandescenti.
«Non posso accettare» sussurrò infine. Le era chiaro che si trattasse di un ricatto. Ora le sarebbe toccata la parte peggiore: quella della minaccia.
«Sta bene – Grimovski accompagnò quelle parole con un sospiro rassegnato – le farò avere le prime mille sovrane entro tre giorni, altre mille entro la fine del mese. Il resto a seguire nel mese successivo. Mi raccomando, mia cara Veruska: trovi un valido nascondiglio e faccia in modo che nessuno le scopra. E stia in guardia...»
Il capitano si alzò e lei per un istante si trovò come all'ombra di una imponente statua di bronzo. Sentì freddo. Il freddo della paura.
«До свидания [3], bella signorina.»
   
 
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