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Autore: ejirella    16/11/2017    0 recensioni
Chiedo scusa ma non potrò più scrivere su questo sito poiché sono stata vittima di plagio. Se ci tenete a sapere come prosegue la storia seguitemi su https://www.wattpad.com/story/139876793-la-triade!! :)
Lui, il tipico figlio di papà. Nato e cresciuto negli agi, con hobbies costosi e con poco interesse nelle attività familiari.
Lei, di modeste origini. Una vita di sacrifici, sempre pronta a farsi in quattro per gli altri ed uno spiccato senso nel capire le persone.
Non possono essere più diversi, ma qualcosa li lega in modo indissolubile. Che cosa? Leggete e lo scoprirete.
Una storia appassionante e ricca di colpi di scena.
Piano piano i protagonisti si sveleranno ed imparerete a conoscerli.
Non vi rimane altro da fare, STAY TUNED!!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Quello stesso pomeriggio Lauren lasciò la bici poco distante dal locale e si incamminò mostrando il suo tesserino all'ingresso della struttura.

A Lauren non piaceva molto quel posto, ma non si poteva permettere di scegliere: il lavoro era lavoro.

Andò nello spogliatoio e si mise la divisa. Passò le mani sulla maglietta stropicciata per distenderla alla meglio. Guardndosi allo specchio incrociò lo sguardo contrariato di Tania.

La provenienza da ambienti diversi giustificava la sua reticenza nello stringere amicizia con i colleghi. Loro infatti non lavoravano perché ne avevano serio bisogno, perché lo stipendio che guadagnavano serviva ad arrivare alla fine del mese. Lo facevano come passatempo, per riempire le loro giornate altrimenti vuote e prive di senso. Forse erano stati i genitori ad obbligarli a cercarsi un lavoro perché altrimenti avrebbero passato le loro giornate a bighellonare senza concludere niente di produttivo.

Si vergognò subito di ciò che aveva pensato. Riguardando la sua immagine riflessa fece una smorfia, quasi disgustata dal suo stesso pensiero.

Chi era lei per decretare che cosa fosse giusto o meno nella vita altrui? Chi le dava il diritto di sputare sentenze sugli altri? Chi si credeva di essere Lauren Candence per credere di poter fare tutto ciò senza un minimo di pudore?

Le risposte erano insite in lei: sin da piccola aveva avuto la predisposizione nel capire le persone.

Alcuni l'avrebbero potuta definire una sensazione a pelle, ma lei sapeva che era qualcosa di più, difficile da spiegare con semplici parole.

Avrebbe voluto sbagliarsi un'enormità di volte, ma purtroppo non aveva mai incontrato la persona che le facesse dubitare delle sue capacità di intuire i comportamenti della specie umana.

L'ultima era stata la madre e la prima la sorella.

Non le piaceva parlarne, nemmeno rifletterci su.

Sua sorella l'aveva tradita, aveva preferito abbandonarla quando il padre morì perché era troppo doloroso. Era andata via senza voltarsi. Lasciandola lì, sola.

“Ehi servi quel tavolo laggiù, ti sta facendo cenno da mezz'ora!” le riferì il direttore da dietro il bancone.

Lauren ritornò sul pianeta Terra e si diresse verso il tavolo. Mentre si avvicinava provò di nuovo quella strana sensazione appena sopra lo sterno.

Tirò fuori il palmare dalla tasca del grembiule.

“Scelto ragazzi?” con un sorriso che si sforzò di rendere smagliante.

“E' mezz'ora che abbiamo scelto!” rispose una ragazza spazientita “Ma probabilmente non ci hai visto perché eri nel mondo dei sogni” continuò ridendo e sventolandole una mano davanti.

Anche gli altri ragazzi cominciarono a ridere. Tutti tranne uno.

L'iniziale percezione si intensificò e coinvolse la schiena fino ad arrivare all'altezza dell'ultima vertebra.

“Sono impaziente di sapere cosa ha partorito la tua geniale mente allora”. Ribatté Lauren sul limite di spezzare il pennino che agitava nervosa sullo schermo: ne aveva abbastanza dei figli di papà che frequentavano il club.

Era una soddisfazione personale averle risposto così, ma non era della stessa idea il suo capo che passò proprio in quel momento.

Lauren si sentì mortificata, non tanto per ciò che aveva detto, ma per essere stata beccata in flagranza. Si affrettò a prendere le ordinazioni.

“Grazie mille” le disse qualcuno porgendole il menù. Lauren non guardò chi l'aveva ringraziata, non vedeva l'ora di allontanarsi da lì.

Era stata maleducata a quel tavolo, ma i ragazzi come loro le avevano sempre dato sui nervi.

Portando le ordinazioni, fece del suo meglio per non incrociare lo sguardo di nessuno. Non appena arrivò, la ragazza di prima smise di parlare, o più precisamente, di sparlare di lei e Lauren si sforzò di non crollare lì davanti per non darle soddisfazioni.

Quello non era il suo mondo, lo doveva aver capito ormai. Ma non c'era molto che potesse fare. O vinceva alla lotteria o andava a svaligiare una banca. Visto che la prima opzione era altamente improbabile e la seconda avrebbe macchiato la sua fedina penale, per il momento avrebbe continuato a lavorare nel club di tennis di Brownsville in attesa che qualcosa le cambiasse la vita.

Aveva appena cominciato il turno e già non vedeva l'ora che finisse. Cercò di continuare a lavorare senza lasciarsi sopraffare dalle emozioni che più di una volta l'avevano tradita.

“Metti tutto sul conto del signor Futol” sentì dire alla cassiera.

Lauren si girò di scatto per vedere i ragazzi che si stavano alzando da quel tavolo.

Oltre alla ragazza piena di sé e alla sua combriccola, c'era anche Colin Futol.

“Arrivo subito voi andate pure avanti. Vado un attimo in bagno” gli sentì dire.

Lo osservò mentre si allontanava e prendeva la direzione opposta rispetto a dove si trovava la toilette.

Presa dal panico, Lauren provò a nascondersi dietro alla panadora per non farsi scovare. Non sapeva neanche perché lo stesse facendo. Era come impazzita tutto d'un tratto.

Mentre la stessa ragazza che poche ore prima aveva tenuto testa a Colin Futol cercava di mimetizzarsi con la tappezzeria per non farsi vedere, un paio di gambe che non accennavano a muoversi si materializzarono difronte a lei.

“Ciao” disse Colin trattenendo una risata.

“Vuoi lamentarti col mio capo?” Chiese diretta ed aggressiva.

“Lamentarmi? E per cosa?” Domandò lui tranquillo.

“Per il mio comportamento irriguardoso e maleducato nei confronti della clientela del club” citò Lauren ricordando il regolamento interno.

“Hai ragione” concordò lui.

Lauren ebbe il profondo desiderio di scavarsi una buca in quel punto esatto e di buttarcisi dentro.

“Andrò a raccogliere la mia roba. Carino da parte tua avvisarmi. Costituisci il mio preavviso di licenziamento!”. Lauren appoggiò sul tavolo i menù e si incamminò sconsolata verso gli spogliatoi.

Tanto quel posto non le piaceva, i colleghi non le piacevano e i clienti ancor meno: tutti con la puzza sotto il naso. Il suo capo le era stato col fiato sul collo fin da primo giorno. Colin le stava facendo praticamente un favore.

Cercava di convincersi con scarsi risultati perché in realtà il lavoro le serviva. Come avrebbe altrimenti fatto ad evadere dal suo carcere personale?

Ormai tanto era fatta. In qualche modo sarebbe riuscita ad andare avanti.

“Ehi dove stai andando, non ho mica finito!” Colin la rincorse. “Volevo dire che hai ragione. Dovrei farlo, ma non sono d'accordo su una cosa”.

“E su cosa non concordi?” gli chiese Lauren.

“Non penso che la mente di Denise sia geniale e tanto meno che possa partorire qualcosa”. Replicò serio. Lauren non capiva se la stesse prendendo in giro quindi si limitò a guardarlo con un'espressione neutra inarcando leggermente il sopracciglio sinistro.

“Ti sto prendendo in giro, ho capito che te lo stavi domandando”.

“Hai visto i criceti che giravano nella ruota?”

“Ne ho visto solo uno piuttosto affaticato, gli altri devono essere morti”.

E quindi Colin Futol sapeva anche essere ironico.

“Non farò rapporto” aggiunse avvicinandosi malizioso.

Ah ecco ora riconosceva il donnaiolo di cui aveva sentito parlare. Si aspettava qualche tipo di favore in cambio del suo silenzio. Ma se lui pensava che Lauren fosse come Denise o come chiunque altra lui fosse solito frequentare si sbagliava di grosso.

“Non so a cosa tu sia abituato, ma con me è inutile proprio che ci provi. Perdi solo tempo”. Gli disse piano in modo che potesse sentire solo lui. Non le importava se questo poteva farle perdere il posto. Era molto orgogliosa, forse l'orgoglio era l'unica cosa dalla quale non si era mai separata. Aveva lasciato molte cose indietro, dimenticate nel tempo e nello spazio ma il suo orgoglio no, quello se lo era sempre portato dietro, spesso a discapito di altro.

“Non è mia intenzione stai tranquilla. Volevo solo raccogliere il menù che ti era caduto”. E salutandola con un sorriso se ne andò.


 

Almeno questa volta era riuscito a parlare e a rispondere a tono.

Colin pensò ai sui incontri con Lauren. La prima volta era come se avesse staccato il cervello, ma non riusciva a trovare il cavo di alimentazione per riavviare il sistema. La seconda non era stato in grado di rispondere a tono. Ora si sentiva come sempre, aveva gettato l'amo e non doveva far altro che attendere che la preda abboccasse.

Si domandò come mai seguisse le sedute al centro. Lui andava lì perché era stato costretto. Non aveva bisogno d'aiuto per affrontare i suoi problemi. Quali problemi poi? Quelli che i suoi genitori sostenevano che avesse.

L'allenamento a tennis che seguì fu estenuante, Colin non era nel pieno della sua forma. La sera prima aveva fatto nuovamente tardi. Ma questa volta le ragazze non c'entravano nulla e nemmeno gli amici.

Era rimasto sveglio fino a tardi perché era impegnato in una ricerca. Una delle sue grandi passioni, l'archeologia, non lo aveva fatto dormire.

Tirò su una mano per interrompere l'allenamento ed esibirsi in un enorme sbadiglio. Solo che il suo allenatore Matt non lo vide e il risultato fu un backspin che lo colpì diretto sul petto.

Colin rimase per alcuni istanti senza fiato. L'amico lo raggiunse.

“Avevo chiamato un break, non mi hai sentito?!” lo accusò Colin con il fiato corto.

“No desolato” rispose con un ghigno. “Ero concentrato sulla vittoria”.

“Se oggi ti è andata bene è perché te l'ho concesso. E ricorda che questa è solo una partita di allenamento, coach” disse rimarcando l'ultima parola per rimetterlo al suo posto.

Colin si sedette a terra e bevve un sorso d'acqua.

“Non ti preoccupare non dimentico la mia posizione”. Replicò un Matt contrariato.

“Ecco bravo, faresti bene a non farlo”.

Il carattere di Colin risultava controverso. Il giorno prima era il miglior amico di tutti, quello seguente ci teneva a far sapere chi era lui e che in base a ciò tutti dovevano stare attenti a come gli parlavano.

Si sdraiò sul campo e fissò il cielo azzurro attraverso la rete della racchetta. Inspirò a pieni polmoni l'aria satura di erba appena tagliata. Gli era sempre piaciuto quell'odore. Gli ricordava quando da piccolo giocava a tennis per il gusto di farlo, non perché qualcuno glielo imponeva.

Era forse quell'imposizione indiretta dei suoi genitori che avevano forgiato il suo carattere negli anni o era tutta farina del suo sacco?

In quel momento passò un aereo e immaginò che la sua scia tracciasse una parola... Stronzo.

“Colin sei proprio uno stronzo” si ritrovò a pensare.

Era consapevole del suo atteggiamento da figlio di papà, non era simpatico a nessuno, tanto meno a lui. Ma non riusciva a fare altrimenti.

“Non riesco o non voglio?” era la prima volta che se lo domandava.

In più chiederselo a voce alta rendeva il quesito più reale. Finché i pensieri rimangono nella testa possono svanire nella moltitudine vorticante del cervello. Possono svanire eclissati da altri più importanti, per poi magari ritornare in un altro momento con una carica diversa rispetto a quella che li ha generati. Passeggeri come la scia di un aereo in volo.

Esporli ad alta voce li rendeva invece più concreti.

Si comportava così perché lo voleva o si trattava di una maschera per proteggersi? E da cosa poi?

La risposta in cuor suo la conosceva e bruciava dentro. Lo logorava, ma non poteva sfogarsi con nessuno.

Si alzò di scatto. Non aveva voglia di farsi esami di coscienza, la sua vita andava bene così. Tutto era al posto giusto. Nulla doveva essere cambiato.

Questa frase non la esternò, perché forse in cuor suo voleva che si perdesse nella caos che governava la sua mente.

 

Il resto della giornata trascorse in fretta. Non ebbe modo di scusarsi con Matt perché era impegnato ad allenare i bambini. Avrebbe risolto un altro giorno il diverbio con l'amico.

Tornando a casa passò dal bar e per un attimo si fermò a guardare Lauren dal cortile esterno.

Nel momento stesso in cui realizzò ciò che stava facendo, si diede dello stupido.

“Io Colin Futol che spio una ragazza!” Si ritrovò a pensare “Ci deve essere uno strano virus nell'aria, è l'unica spiegazione plausibile” Concluse appagato.

A casa si fiondò in camera sua e vi trascorse un'ulteriore nottata insonne.

Si stava occupando di una ricerca sulle delle particolari pietre aventi delle proprietà uniche. Il progetto lo stavo assorbendo totalmente.

Dopo qualche ora, la porta di camera sua cigolò.

“Colin sono le sei del mattino, vuoi andare a dormire?”. La madre entrò nella stanza con aria ancora assonnata.

“Si può sapere a che cosa lavori di così importante?” disse tentando di sbirciare lo schermo.

“Niente che ti possa riguardare” rispose lui chiudendo il portatile bruscamente.

“Ora meglio che vada a dormire, lo hai detto anche tu. E' tardi o forse troppo presto, dipende dal punto di vista”. Accompagnò la madre alla porta.

“Quanta segretezza!” sbuffò lei sospinta dal figlio.

“Non ti è mai importato nulla delle mie ricerche, vuoi iniziare proprio ora?”

La madre lo guardò interrogativa e lanciò un ultimo sguardo alla stanza, ma preferì non approfondire e si diresse in cucina.

Si chiuse la porta alle spalle e si sedette sopra il letto. Da sotto il cuscino prese la foto che aveva nascosto qualche istante prima. Vi passò una mano sopra e la guardò per l'ennesima volta dubbioso e preoccupato.

Il bambino raffigurato aveva uno stato d'animo opposto a quello provato da lui in quel momento: gli sorrideva felice e spensierato. Si concentrò su quel volto come se la risposta alla domanda che si poneva ormai da settimane potesse cambiare all'improvviso.

Non era assolutamente possibile, non poteva essere. In cuor suo la risposta bussava forte la sua verità, una verità che a Colin era stata negata, ma con cui presto avrebbe avuto un incontro diretto.

Corrugò la fronte e rimise la foto nel suo nascondiglio. Anche per lui era arrivata l'ora di dormire.


 


 

  
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