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Autore: lagertha95    17/11/2017    3 recensioni
Avete presente quelle persone entrate nella vostra vita per caso e che poi, sempre per caso, ne sono uscite, lasciando però dietro di sé un'impronta indelebile?
Se le avete presenti, sapete di cosa sto parlando. Se non le avete, beh spero di riuscire a farvi capire.
Mi chiamo Dalia e questa è la storia di come ho trovato, perso e ritrovato il mio vero amore.
Questa storia è qualcosa che è uscito da un pomeriggio piovoso a base di tè, biscotti al burro e ricordi. La dedico alla me stessa che sarei stata se le scelte fatte fossero state diverse.
Sarà una storia in 3 atti, di lunghezza variabile, che narreranno tre diversi periodi.
Spero che vi piaccia. Fatemi sapere che ne pensate :)
Baci, Lagherta :*
Genere: Erotico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Salve a tutti/e!
Ecco qua il secondo atto di questa breve storia.
Il prossimo sarà quello conclusivo. Forse, dipende un po' da come mi gira, ci potrà essere un epilogo.
Spero che questa storia, seppur breve, vi sia piaciuta.
Vi ringrazio, voi che leggete, perchè mi fate felice.
A presto, 
Baci Lagherta :*

 
 

Atto secondo
Come tutto si è svolto

 

5 anni dopo quell'ultimo abbraccio, ognuno di noi aveva la sua vita. Non ci eravamo più sentiti né visti, se non di sfuggita, e lui veniva trascinato via ogni volta da Letizia.
Io mi ero diplomata e iscritta all'Università. Mi ero trasferita in un'altra città, avevo incontrato un ragazzo e avevo avuto una relazione stabile di due anni che però si era conclusa perché lui voleva di più e a me invece piaceva come stavano andando le cose.
Rafael, a quanto ne sapevo, continuava a stare con Letizia, si era diplomato e aveva iniziato l'Università nella città vicina, il che significava che non si era trasferito.

Ero tornata a casa per un paio di settimane in cui non avevo lezioni. Mi mancava casa mia. Non solo i miei genitori e mio fratello, ma anche il paese in cui ero cresciuta. Crescere in un posto di mare e trasferirsi all'interno era stato un tantino difficoltoso e ogni tanto mi faceva piacere tornare e respirare l'aria salmastra, fare una passeggiata sul lungomare e ascoltare il rumore delle onde che si infrangono sulla riva.

Ogni mattina, alle 9, entravo in biblioteca e mi sedevo sempre al solito tavolo, vicino alla finestra e rivolta verso l'ingresso. Passavo ore e ore seduta a quel tavolo, il capo chino sui libri e le cuffie nelle orecchie, escludendo tutto il resto del mondo dalla mia piccola e personalissima bolla.
I primi giorni erano passati, tra la biblioteca e casa, tutto sommato tranquilli. Lo studio, la pausa alle 10 e mezzo, il pranzo, la pausa alle 16: giornate identiche le une alle altre.

Un pomeriggio, tornando dalla pausa caffè delle 16, al tavolo trovai un ragazzo seduto nel posto libero davanti al mio. Non stava studiando, non si era neanche tolto il giacchetto. Era semplicemente seduto, come se fosse in attesa. Lo osservai, mentre mi avvicinavo.
I capelli corti e castano scuro, le spalle larghe. Indossava un chiodo in pelle nera e dei jeans.
C'era qualcosa, forse nella postura, che mi sembrava familiare.
Quando mi misi a sedere e lo vidi in faccia, sulla mia bocca si aprì un sorriso.

“Rafael” sussurrai, un po' perché eravamo in biblioteca, un po' perché la gola mi si era seccata appena avevo messo a fuoco chi fosse quel ragazzo.

“Ciao, Dalia.” rispose lui, un sorriso malandrino che arrivava fino agli occhi.

Io non riuscivo a parlare. Proprio non ero in grado di formulare un pensiero logico. La mia mente era in pappa, la lingua sembrava fatta di legno. Nello stomaco volavano miriadi di farfalle e sentivo un calore dannatamente familiare che mi stava incendiando le guance.

“Che fai qui?” chiesi, cercando di darmi un contegno.

“Se intendi qui in generale, la risposta è che ci vivo. Se intendi qui in biblioteca, seduto al tuo tavolo, la risposta è un tantino più complicata.”

Stavamo continuando a sussurrare e la cosa iniziava a starmi stretta.

“Usciamo, per favore. Non mi va di restare qui e ho voglia di fumare una sigaretta.” dissi, risultando più caustica di quanto volessi.

Mi alzai e Rafael mi seguì. Uscimmo fuori dalla biblioteca e ci sedemmo su una panchina. Io non riuscivo a guardarlo in faccia. Mentre guardavamo ognuno di fronte a sé, io mi accesi una sigaretta, Rafael iniziò a parlare.

“Ti ho vista qua a studiare martedì. Non ero sicuro fossi tu, dal momento che non ci vediamo da quanto? 5 anni?” fece una pausa e io annuii, espirando. “Sei cambiata Dalia, ma ti ho riconosciuta comunque. Vuoi sapere come ho fatto?” chiese, voltandosi verso di me. Io annuii di nuovo e lui continuò. “Il modo in cui leggi. Quello non è cambiato dalla prima volta in cui ti ho visto, e parliamo di più di 10 anni fa, ormai. Tu non leggi semplicemente. Tu, sul foglio stampato, non vedi lettere che si uniscono a formare parole che insieme costituiscono frasi. Tu, in quei caratteri, vedi un mondo intero che pian piano ti si svela. E ti ci immergi, prendendo un bel respiro e poi andando in apnea. Ti isoli dal resto del mondo, come se esistessi soltanto tu e il volume che hai davanti.” sorride lievemente, al pensiero della fatica che aveva fatto per essere ammesso in quel mondo segreto che mi apparteneva. “Lo hai sempre fatto ed è per questo che ti ho riconosciuto. Hai tagliato i capelli, il viso ti si è fatto più affilato, hai cambiato modo di vestire. Ma il modo in cui crei una bolla tutta tua…questo non cambierà mai.”

Fu il mio turno di sorridere. Mi ricordavo benissimo quante volte lo avevo colto a fissarmi mentre leggevo, cercando di carpire il mio segreto, tentando di entrare nel mio universo. Io stessa lo avevo osservato, segretamente, per ore, al punto che sapevo distinguere i suoi passi da quelli di chiunque altro, che riconoscevo il suo odore ancora prima che lui arrivasse vicino a me, che conoscevo l'esatta posizione di ogni suo neo e cicatrice, il modo in cui aggrottava le sopracciglia quando qualcosa non gli tornava, come dormiva raggomitolato sul lato sinistro del letto. 
Lui conosceva me come se fossi parte di lui e io conoscevo lui come facesse parte di me: nonostante fossero passati anni, questo non era cambiato.

“Ti ho riconosciuta, ma non sapevo come approcciarti. Così ho aspettato la situazione giusta ed eccoci qui.” terminò, con un sorriso soddisfatto.

Io intanto avevo terminato la prima sigaretta e me ne ero accesa un'altra, porgendogli il pacchetto. Lui ne prese una, la accese e rimase in silenzio, aspettando che dicessi qualcosa.

“Perchè adesso?”

“In che senso scusa?”

“Voglio dire. Sono passati 5 anni. Non una telefonata, non un messaggio. Neanche gli auguri!”

“Neanche tu mi hai cercato, se non sbaglio.”

“Tu avevi Letizia. Sai che mi odia. Immagina il putiferio che avrei scatenato con un messaggio.”

“E tu hai Sebastian. La cosa è reciproca.”

“Io ho Sebastian da due anni. Negli altri tre tu non mi hai mai cercata! Sapevi dove studiavo, sapevi dove abitavo. Non ci hai nemmeno provato, ammettilo!”

“Ma ti senti? Neanche tu hai tentato di raggiungermi e ti nascondi dietro la scusa che io stavo con Letizia. Non colpevolizzarmi quando neanche tu hai agito diversamente.”

Cadde un silenzio imbarazzante. Nessuno dei due ammetteva che ci eravamo mancati reciprocamente, ma che avevamo paura di cercare l'altro nel caso in cui qualcosa fosse cambiato.

“Mi dispiace, Dalia. Ma cosa si scrive a qualcuno che ha fatto parte della tua vita nel modo in cui tu hai fatto parte della mia e che non si vede né si sente da anni?” mi disse, sfiorando la mia mano con la sua, in un tentativo di contatto.

“Non lo so. Io davvero non lo so.” risposi, lasciando che le nostre mani si sfiorassero, riassaporando quella scintilla che per tanti anni era stata ricercata inutilmente in altri contatti con altre mani.

“Mi sei mancata. Mi sei mancata come ti manca l'aria. Non ho mai trovato nessuno che fosse come te.” continuò Rafael, giocherellando con le mie dita, approfondendo quel contatto tanto agognato.

“Mi sei mancato anche tu. E Letizia che dice? Come sta?” chiesi, cercando di non mettere astio nel tono di voce.

“Non chiedere se non ti interessa la risposta.” rispose lui, citando una frase che gli avevo ripetuto tante volte, quando mi chiedeva qualcosa a proposito di un libro, più per il piacere di sentirmi tanto entusiasta che per vero interesse.

“E tu non rubare le frasi.” ribattei sorridendo. Le nostre mani, intanto, si erano intrecciate.

“Non c'è più nessuna Letizia, comunque” disse Rafael, con noncuranza.

“Ah. E adesso come si chiama?” chiesi, fremendo e cercando di nasconderlo.

“Nessuno. Con Sebastian come va?” rispose, cercando poi di deviare il discorso.

“Non va. Volevamo cose diverse. È finita diversi mesi fa.” dissi, sospirando.

Ci stavamo guardando negli occhi. Le mani continuavano a cercarsi, instancabili. Un soffio di vento spostò i miei capelli, scoprendomi il collo. Ormai erano anni che li portavo tagliati in un caschetto più corto dietro e più lungo davanti.
La mano libera di Rafael salì a sistemare i miei capelli dietro l'orecchio. Quel contatto, che risultò così intimo, mi diede i brividi.

“Hai freddo?” chiese Rafael, preoccupato da quel mio improvviso rabbrividire. Io scossi la testa, abbassando lo sguardo per non guardarlo negli occhi.

“No…” risposi. Ed era vero. Non avevo per nulla freddo, anche se avrei voluto essere meno sincera e rispondere di sì, solo per essere stretta in un suo abbraccio.

“Dalia…” e in quel momento, quando Rafael pronunciò il mio nome, capii che nel mio sguardo era leggibile ogni emozione che stavo provando.

Mi si avvicinò, come un gatto si avvicina ad un topolino, silenzioso e incantatore. Io ero immobile, bloccata su quella panchina, il viso ora rivolto verso di lui, gli occhi sognanti e le labbra socchiuse, come in attesa di un bacio.
Bacio che non tardò ad arrivare.

Siete mai andati al mare? Penso di sì.
Avete presente quando siete bambini e fate a gara con i vostri amici a chi va più in profondità oppure a chi trattiene di più il fiato?
Se lo avete presente, capirete alla perfezione cosa provai nell'esatto istante in cui le labbra di Rafael si poggiarono sulle mie.

Fu come riemergere da una lunga apnea, durata 5 anni.

Mi ricordo che quando eravamo bambini, io ero quella che riusciva a stare più a lungo di tutti gli altri sott'acqua. Me ne ero sempre vantata, sbeffeggiando chi dopo pochi secondi riemergeva annaspando.
Io riuscivo a stare sotto un paio di minuti. Non era molto, ma era abbastanza per vincere.
Mi ricordo che quando riemergevo, dopo quei 2 minuti o poco più, il bisogno di ossigeno era totale, ma mio padre mi aveva insegnato a prendere aria con grazia ed eleganza, ad assomigliare ad un delfino, più che ad un pesciolino fuor d'acqua. Per questo, quando tornavo in superficie, i miei respiri erano sempre ampi ed aggraziati, diversamente da quelli dei miei compagni che invece ansimavano rozzamente.

Fu un bacio innocente, lieve e delicato, privo inizialmente della passione dirompente che mi attanagliava l'anima. Dentro di me ardeva implacabile un fuoco, che era rimasto assopito per anni, e che adesso era stato nuovamente attizzato.

Fu un bacio che racchiudeva anni di nostalgia e orgoglio, rabbia e amore, tristezza e felicità.
Fu un bacio che pian piano che si approfondiva, diventava più emotivo. La passione si faceva strada nei nostri corpi, lasciando che le labbra si schiudessero per far incontrare le lingue, mentre le mani si cercavano instancabili.

Fu un bacio che lasciò spazio sia alla dolcezza del ritrovarsi e del riconoscersi che alla rabbia per essere stati abbandonati e messi da parte. Baci e morsi si alterarono, lasciando segni che nessuno dei due avrebbe mai più dimenticato. Le anime cercavano, in quello scontro, un momento di contatto, in cui urlarsi addosso, chiedendosi il perché avessimo desistito se poi nessuno dei due aveva dimenticato.

Quasi fossimo stati i protagonisti di un film, quando ci staccammo e riaprimmo gli occhi, intorno a noi era calata la sera.

“Devo andare a casa…” sussurrai, il naso che sfiorava quello di Rafael, le labbra ancora premute sulle sue.

“Di già?” chiese di rimando lui, senza scostarsi di un millimetro.

“È tardi e a casa mi aspettano.”

“Ci possiamo rivedere?”

“Sono in biblioteca tutti i giorni, per i prossimi 10 giorni. Quando vuoi mi trovi qua”

 

   
 
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