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Autore: FrancescaPotter    17/11/2017    1 recensioni
Long sugli ipotetici figli delle coppie principali di Shadowhunters (Clace, Jemma e Sizzy), ambientata circa vent'anni dopo gli avvenimenti di TDA e TWP. TWP non è ancora uscito al momento della pubblicazione, e nemmeno l'ultimo libro di TDA; questa storia contiene spoiler da tutti i libri della Clare fino a Lord of Shadows, Cronache dell'Accademia comprese.
Dal quarto capitolo:
"Will abbassò il braccio e distolse lo sguardo, ma lei gli prese delicatamente il polso. «Lo sai che puoi parlarmi di qualsiasi cosa, vero?» gli chiese, morsicandosi inconsapevolmente il labbro inferiore. Era una cosa che faceva spesso e che faceva uscire Will di testa. «So che è George il tuo parabatai» continuò abbassando la voce, nonostante non ce ne fosse bisogno perché George era concentrato sul suo cibo e Cath stava leggendo qualcosa sul cellulare. «Ma puoi sempre contare su di me. Mi puoi dire tutto. Lo sai, vero?»
Will sospirò. «Lo so, posso dirti tutto».
Tranne che sono innamorato di te."
Genere: Fantasy, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clarissa, Emma Carstairs, Izzy Lightwood, Jace Lightwood, Julian Blackthorn
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo quindici
 
George quel pomeriggio aveva passato un paio d’ore nella camera di Rose insieme a Will e a Holly; Julian e Emma avevano cercato di convincerla ad andare via con loro, ma lei era stata irremovibile. Si era messa nel letto di fianco a sua sorella con un album da disegno e delle matite colorate e aveva passato tutto il tempo a disegnare, parlando di tanto in tanto con George e Will che cercavano di tirarle su il morale.
George era spaventato a morte, perché se da un lato era convinto che Rose non li avrebbe mai lasciati e che in un modo o nell’altro sarebbe tornata, dall’altro non poteva esserne certo, ed era quell’incertezza che lo uccideva. Se non si fosse risvegliata, non credeva che sarebbe riuscito a superarlo, così come non era certo che sarebbe riuscito a rimettere insieme i pezzi del cuore di Will.
Will non aveva lasciato la mano di Rose neanche per un istante, e nonostante cercasse di sorridere e di fare qualche battuta per non far preoccupare troppo Holly, George sentiva nelle ossa il suo terrore, l’agonizzante consapevolezza che avrebbero potuto non risentire mai più la voce di Rose.
Verso sera, quando il sole stava per tramontare, George le aveva dato un bacio in fronte, sussurrandole di muoversi a svegliarsi e sperando di essere suonato abbastanza minaccioso, e poi era tornato nella stanza dove riposava Cath. L’aveva trovata esattamente dove l’aveva lasciata: anche lei continuava a dormire e, fino a quando non avesse riaperto gli occhi, George non sarebbe stato del tutto tranquillo.
Si era sdraiato di nuovo al suo fianco, addormentandosi nel giro di pochi minuti, cadendo in un sonno profondo e senza sogni.
Venne svegliato da qualcosa che si muoveva. Spalancò gli occhi e sbatté un paio di volte le palpebre per mettere a fuoco l’ambiente circostante. Era buio, ma riuscì a riconoscere il profilo di Cath, che si era tirata a sedere e aveva appoggiato la schiena alla testiera del letto. George rimase immobile per un attimo, timoroso che si trattasse di un sogno, che non fosse reale. Non poteva permettersi di tirare un sospiro di sollievo, non prima di essersi accertato che non fosse uno scherzo della sua immaginazione. Fece per toccarla, così da assicurarsi che fosse davvero lì, ma Cath accese la lampada a stregaluce che c’era sul comodino e lo accecò. George si portò una mano al viso per proteggersi gli occhi, che avevano iniziato a lacrimare troppo abituati al buio.
«George» lo chiamò Cath. La sua voce si era alzata leggermente alla fine della parola, sembrava terrorizzata. «Che cos’è successo?»  
George riuscì finalmente a guardarla e seppe che no, non era un sogno, quella era davvero Cath in carne e ossa, viva e cosciente. Si tirò a sedere di scatto e le passò un braccio attorno alle spalle, attirandola a sé e premendo il suo corpo contro quello di lei. Prese un respiro profondo, sentendo il familiare profumo alla vaniglia che la accompagnava sempre.
«Va tutto bene» le disse, accarezzandole i capelli. Cath aveva iniziato a tremare e George la strinse un po’ più forte per cercare di calmarla. «Ti ricordi qualcosa?»
Lei scosse il capo, parlando contro al suo collo e facendogli il solletico. «Solo che uno dei Riders mi ha colpito. Credo di aver perso subito i sensi per il dolore».
George sentì una fitta al cuore al pensiero che avesse sofferto tanto. Si allontanò quanto bastava per prenderle il viso tra le mani e darle un bacio a stampo. «Ti amo, Catherine» le disse, dandole poi un altro bacio, prima sulle labbra, e poi sulla guancia. «Mi hai fatto prendere un colpo».
Cath sussultò e cercò di nasconderlo sorridendogli leggermente. Ma George lo aveva notato e si maledisse per non essere stato più attento.
«Cosa ti fa male?» chiese con apprensione.
«Tutto» confessò Cath, chiudendo gli occhi e appoggiandosi ai cuscini. Era come se tenerli aperti le costasse fatica. «Letteralmente tutto».
A George tornò in mente la fiala che gli aveva lasciato Magnus e si diede dell’idiota per non essersene ricordato prima.
Si voltò verso il comodino e la prese, per poi tornare a rivolgersi a Cath. La luce creava un gioco di ombre sul suo viso, mettendole in evidenza gli zigomi alti, l’arco delle sopracciglia e la curva delicata del naso.
«Tieni» George stappò la fiala e gliela mise nella mano. «Magnus mi ha detto di darti questo».
Cath poggiò le labbra al vetro e bevve due sorsate con una smorfia.
«Wow» sussurrò, spalancando gli occhi. Questi, illuminati dalla stregaluce, sembravano più chiari del solito, cristallini come l’acqua. «Funziona, sto già iniziando a sentirmi meglio».
George le prese la mano e Cath gliela strinse. Rimasero così per un po’ di tempo mentre Cath riacquistava le forze e George iniziava a realizzare che non era morta. Il sollievo di averla davanti a sé che si muoveva e respirava gli causava quasi dolore.
«Avrei dovuto fare qualcosa» disse a un tratto. «Will ti ha salvato. Non so come abbia fatto, so solo che nel giro di mezzo secondo era lì e stava piantando la spada nel cuore di Delan. Ma non sarebbe dovuto essere necessario, perché avrei dovuto colpirlo io prima. Mi sarei dovuto accorgere che ti stava per fare del male».
«Will ha ucciso uno dei Riders?» chiese Cath incredula. «E mi ha salvato?»
George annuì, la mascella serrata. Cath gli poggiò la mano libera sul petto, proprio sopra al cuore. George riusciva a sentire il calore della sua pelle anche attraverso il tessuto della maglietta.
«Non devi preoccuparti» gli disse con un ghigno. «Non mi innamorerò improvvisamente di Will solo perché mi ha salvato la vita».
George si mise a ridere e poi tornò serio. «Non me lo perdonerò mai».
«George, non devi sentirti responsabile per me». Cath lo stava guardando con espressione grave. George adorava il modo in cui pronunciava il suo nome; solitamente si sforzava di non marcare troppo sulle erre, ma quando era particolarmente stanca il suo accento si faceva più forte. «Siamo Shadowhunters, queste cose succedono. Adesso sto bene».
George odiava quella vita fatta di sofferenza e di lutti, di sangue e ferite. Più di una volta si era ritrovato a pensare che gli Shadowhunters fossero stupidi: se eri affetto da una malattia mentale, al posto che aiutarti, ti rinchiudevano o ti strappavano i marchi, non adoperavano la medicina mondana per curare delle malattie mortali come il cancro, e si rifiutavano di abbracciare la tecnologia. Però credevano di essere la razza migliore al mondo, Nephilim, e pretendevano che tu morissi in loro nome, mettendo costantemente a rischio la tua vita e quella delle persone che amavi per poi risolvere tutto con un “Siamo Shadowhunters, questo è ciò che facciamo”.
«Quando ti ho vista lì…». A George mancavano le parole. «Quando ho visto Delan alzare la lancia su di te… ho pensato davvero che ti avrebbe uccisa».
«Anche io». Cath deglutì. «Ma non l’ha fatto».
Lo prese per la maglietta e lo attirò a sé, premendo le labbra contro le sue. Lo baciò lentamente e George aprì la bocca per permetterle di assaporarla con la lingua. Cath gli mise le mani sulla schiena, aggrappandosi alle sue spalle come se stesse per essere strappata via da lui da una forza invisibile. George ricambiò il bacio con calma, cercando di non perdere il controllo, consapevole che Cath era reduce da una ferita mortale e che doveva stare attento a non farle male. La prese delicatamente per i fianchi e la fece sedere nel suo grembo, in quella posizione in cui gli piaceva tanto tenerla.
Cath raggiunse l’orlo della sua maglietta, ma George le afferrò i polsi e deglutì. «Aspetta» disse, non sapendo neppure lui dove stesse trovando la forza di volontà per fermarla. «Visto che siamo in argomento, devo chiederti scusa per un’altra cosa».
«Sono sicura che anche questa volta non sarà necessario» sussurrò Cath, chinandosi sul suo collo e posandogli un bacio alla base dell’orecchio.
«No, lo è» riuscì a dire George, reprimendo un sospiro di piacere.
La serietà nel suo tono di voce convinse Cath a dargli ascolto. Si allontanò leggermente da lui e lo osservò in attesa. «Dimmi, allora».
«La sera del compleanno di Rose ci siamo ubriacati» continuò lui, guardandola negli occhi e sentendosi un vero schifo. «Mi dispiace così tanto, Catherine. Così tanto. Ti ho mancato di rispetto e mi dispiace, ti giuro che se potessi tornare indietro non lo rifarei. Pensavo che non mi amassi più e so che i problemi non si affrontano in quel modo, ma…» Si interruppe, consapevole che quelle erano solo scuse su scuse. «Non voglio che tu abbia paura che io possa diventare come tuo padre. Non accadrà mai. Mai, capito? Non mi sarei dovuto ubriacare, non avrei dovuto farlo e ti prometto che non accadrà più. Lo giuro sull’Angelo».
Cath parve sgonfiarsi. Incurvò le spalle e sospirò, distogliendo lo sguardo da quello di lui. Rimase in silenzio per qualche secondo e George si sentì morire, temendo di averla offesa irrimediabilmente.
«Non mi piace che tu beva» disse infine lei. «Ma le situazioni sono diverse: tu hai diciotto anni e non ti ubriachi da quanto tempo? Da quando ne avevi sedici? Mio padre è un ultra quarantenne che ha sempre in mano la bottiglia. Gli adolescenti si ubriacano delle volte. Vedi, è di questo che parlavo ieri. A mala pena tocchi il vino da quando ci siamo messi insieme, ma so che in realtà ti piace e che lo fai per me. Non voglio che tu ti privi di certe cose solo perché…»
«Catherine». George la fulminò con lo sguardo e lei tacque. «Smettila. Ne abbiamo già parlato. Ti ricordi com’ero prima di incontrarti? Passavo da una discoteca all’altra ogni sera, Will e Rose non mi sopportavano più e il mio fegato ti è solo grato. Mi ero ripromesso che non mi sarei mai più ubriacato e invece ieri l’ho fatto. Ho sbagliato e mi dispiace».
Cath si morsicò il labbro inferiore, cosa che faceva quando le veniva da piangere ma non voleva farlo. «Grazie per avermelo detto. Il fatto che ti sia sentito in dovere di chiedermi scusa mi fa capire che tipo di persona tu sia».
George aggrottò le sopracciglia, non capendo se fosse una cosa positiva o meno. «Sei arrabbiata con me?»
«No, mon cher George, certo che no». Gli tracciò il contorno delle labbra con le dita e poi si chinò per baciarlo, ma George la bloccò di nuovo.
«Ultima cosa» sussurrò, odiandosi profondamente, ma c’era ancora una questione in sospeso.
«Stai scherzando?» Cath si fermò a un soffio dal suo viso e sbuffò.
George si mise a ridere e lei lo guardò storto.
«Non mi hai risposto questa mattina» disse lui, il cuore che minacciava di uscirgli dal petto.
Cath sembrava sorpresa. «Non mi pare che tu mi abbia chiesto qualcosa».
George doveva ammettere che aveva ragione: non glielo aveva chiesto chiaramente, ma era ovvio comunque, no?
«Sai di cosa sto parlando».
Cath gli sorrise e scosse il capo. «No, non lo so».
Era evidente che avesse capito, ma che non gliel’avrebbe data vinta così facilmente: voleva che lo dicesse.
«Non volevo chiedertelo così, adesso» iniziò. «Avevo pensato di farci aprire un portale da Will. Volevo chiedertelo a Parigi, sai… la città dell’amore. Però poi mi sono ricordato che sei nata e cresciuta a Parigi e che sarebbe stato stupido portarti lì di nuovo. Allora ho optato per…»
«George» lo interruppe Cath. «Si può sapere che stai dicendo?»
«Scusa, sto divagando». George si schiarì la voce. «Era solo per farti capire che è da mesi che ci sto pensando, che mi sto impegnando per rendere il momento perfetto, speciale. Ieri mi sono lasciato sfuggire qualcosa, ma avrei potuto comunque aspettare il tuo compleanno come avevo programmato. Però poi sei quasi morta e mi sono reso conto che non aveva alcun senso continuare a rimandare. So che non ci possiamo ancora sposare perché non sei maggiorenne e tuo padre non ti darebbe mai il permesso -e forse siamo anche troppo giovani- ma te lo devo chiedere lo stesso. Non posso vivere un altro giorno senza che tu sappia che ti amo, che voglio passar il resto della mia vita con te e che mi rendi davvero felice. Magari non mi credi, ma è la verità». George si sfilò l’anello dei Lovelace dal pollice e lo sollevò tra di loro. «Catherine, vuoi sposarmi?»
«Davvero?» Cath si portò una mano alla bocca. «Lo intendi davvero?»
George le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Ti ho mai mentito?»
Cath emise un singhiozzo strozzato e lo abbracciò forte. «Sì, George. Certo che voglio sposarti».
George la strinse come se potesse fonderla dentro di sé e Cath gli passò le mani tra i capelli, sfregando la guancia contro la sua. George si rese conto che quella era bagnata e che Cath stava piangendo.
Cath si metteva a piangere quando provava delle emozioni troppo forti, che si trattasse di rabbia, gioia o dolore non era importante, lei piangeva. Più e più volte si era mortificata per questo, perché gli Shadowhunters non piangono e credevano che farlo fosse segno di debolezza. Anche George la pensava così prima di incontrare Cath, che piangeva spesso eppure era una delle persone più forti che conoscesse. Piangere era il suo modo per elaborare quello che provava.
Vedete? Gli Shadowhunters erano davvero stupidi.
«Vorrei dire un sacco di cose» gli lei sussurrò contro al viso. La sua voce era spezzata. «Ma non riesco a parlare».
«Non devi dire niente».
George le asciugò le guance con le mani, poi le prese quella sinistra e le infilò l’anello, che si adattò perfettamente al suo dito. Cath lo osservò incantata per qualche secondo, e George osservò incantato lei.
«Posso baciarti adesso?» gli chiese.
George non rispose, si limitò a passarle un braccio attorno alla schiena e a girare entrambi sul letto così che Cath fosse sdraiata sotto di lui. Si resse sui gomiti per sostenere il suo peso e si chinò per baciarla, questa volta senza trattenersi, cercando di trasmetterle con ogni bacio tutto l’amore che provava per lei.
Le mise le mani sotto alla maglietta, sui fianchi, ma al posto di sentire il calore della sua pelle trovò le bende che Magnus aveva usato per medicarla. Si bloccò e si diede dello stupido: a che cosa stava pensando? Cath era quasi morta, doveva riposare, riacquistare le forze…
«Catherine» disse, cercando di riprendere il controllo del proprio cervello, che sembrava aver smesso di funzionare.
Ma lei non parve sentirlo, perché stava cercando di sfilargli di nuovo la maglietta, le mani appiattite sul suo addome che gli rendevano molto difficile pensare lucidamente. «Puoi toglierti questa dannata maglietta, per favore?»
«Aspetta» le disse.
«E adesso che c’è?» George vide la delusione nel suo sguardo mentre gli posava una mano sul viso e lo guardava negli occhi. «Si può sapere chi sei e cos’hai fatto al mio George?»
«Sei stata pugnalata a morte».
«Sì, e sono sopravvissuta, ne abbiamo già parlato» liquidò la faccenda lei, attirandolo a sé e inarcandosi contro di lui. George emise un verso strozzato e le sue braccia cedettero, permettendogli finalmente di sentire il corpo di Cath contro al suo. Le mise le mani sulle scapole e la strinse a sé, baciandole la clavicola, il collo. Cath gli allacciò le gambe attorno alla vita e George temette di perdere i sensi proprio lì, in quel momento. Sapeva che stava sussurrando il suo nome e che le stava dicendo che la amava, cercando di fissare ogni istante, ogni sospiro, nella sua mente.
Fece per sfilarsi la maglietta, per la gioia di Cath, quando la sentì sussultare di nuovo.
George si immobilizzò e si mise a sedere. «Ti ho fatto male».
«No». Cath alzò gli occhi al cielo. «Non mi hai fatto male!»
George in tutta risposta si alzò dal letto e si allontanò da lei, passandosi le mani sul viso. Sapeva che se le fosse rimasto vicino non sarebbe più riuscito a fermarsi.
«George» lo chiamò Cath, aprendo le braccia verso di lui. «Torna qui».
George scosse il capo. «Dovremmo mangiare qualcosa».
«Ci siamo appena fidanzati» disse Cath. «E tu vuoi mangiare?»
George le sorrise allegro. «Appunto, abbiamo tutta la vita davanti, no?»
Cath non si mosse e George sospirò. «Devo sollevarti di peso?»
«Sei assurdo» sbottò lei, scostando le coperte di lato e scendendo dal letto. Emma aveva lasciato dei vestiti di Rose sulla sedia, e George vide Cath trattenere una smorfia di dolore mentre si infilava una felpa azzurro chiaro. 
«Hai bisogno di un iratze» le disse, prendendo lo stilo di Will dal comodino.
Cath allungò il braccio verso di lui infastidita, probabilmente più con se stessa che con lui. George le risvoltò la manica e le disegnò la runa poco sopra al polso. Poi aprì la porta e si fece da parte per farla passare.  
Cath alzò un sopracciglio. «Seriamente?»
«Muoviti, prima che cambi idea» le rispose lui con un ghigno.
Cath scrollò le spalle e uscì dalla stanza. George la seguì in corridoio.
Non si era dimenticato di Rose. Sapeva che avrebbe dovuto dirlo a Cath al più presto, ma quella sera era troppo debole e non voleva che svenisse per lo shock.
«Cosa vuoi mangiare?» le chiese mentre si incamminavano verso la cucina. «Ti prego, non cibo cinese».
«Cibo cinese» disse lei.
«D’accordo, ma io non divido i ravioli a vapore con te».
Cath gli sorrise angelicamente. «E chi ha parlato di dividere?»
 
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Julian appoggiò il gomito sul bracciolo della sedia e posò il capo sulla mano. Era stanco, ma sapeva che non sarebbe riuscito a chiudere occhio fino a quando Rose non si fosse svegliata.
Si sarebbe svegliata. Doveva svegliarsi, doveva stare bene, perché Julian non ce l’avrebbe fatta ad affrontare di nuovo la perdita di una delle persone che amava di più al mondo. Non lo avrebbe sopportato, non un’altra volta, non dopo Livvy: perdere Rose lo avrebbe ucciso.
Almeno lui ed Emma erano riusciti a convincere Holly ad andare a dormire nel suo letto, si disse sconsolato. Anche se, a dir la verità, era stata Emma a convincerla promettendole che avrebbe dormito con lei. Holly aveva sempre avuto un debole per la sua mamma, e a Julian andava bene così perché Rose aveva sempre avuto un debole per il suo papà.
Anche Will era andato a dormire, ma convincerlo a lasciare Rose era stato molto più difficile. Sarebbe rimasto sveglio tutta la notte, Julian lo sapeva, ma non riposava da quasi due giorni e aveva bisogno di recuperare le forze. Gli ricordava se stesso da giovane, divorato da un amore che temeva non sarebbe mai stato corrisposto. Ma Julian conosceva Rose ed era certo che le preoccupazioni di Will erano senza fondamento, perché se Rose era innamorata di qualcuno, quello era proprio Will. Era evidente in ogni suo movimento, in ogni sguardo che gli lanciava quando lui non la stava guardando, nel modo in cui pronunciava il suo nome e nel modo in cui si illuminava quando parlava di lui.
La porta della camera di Rose si aprì e Julian sussultò. Holly comparve sulla soglia, illuminata dalla lampada a forma di luna che Rose aveva sul comodino. Julian l’aveva lasciata accesa così da poter leggere qualcosa, anche se la sua mente era altrove e non riusciva a concentrarsi.
«Holly?» disse Julian. «Holly, cosa ci fai qui?»
«Ho avuto un incubo» borbottò Holly, stringendo sotto al braccio il suo orsacchiotto. Con i capelli biondo chiaro e la camicia da notte bianca sembrava quasi un fantasma.
«Dov’è la mamma?» chiese Julian, iniziando a preoccuparsi.
«Sta dormendo» rispose Holly. «Non l’ho svegliata».
Holly salì sul letto e si infilò sotto alle coperte di fianco a sua sorella, per poi appoggiarle la testa sulla spalla. Quando notò che Julian la stava guardando con sguardo confuso sbuffò.
«Devo raccontare il mio sogno a Rose» gli spiegò, come se fosse ovvio. «Rose dice sempre che se glielo racconto smette di fare paura».
Julian annuì, incapace di aggiungere alcunché perché sentiva un nodo in gola che gli impediva di parlare.
Holly iniziò a raccontare a Rose il suo sogno, fatto di mostri e di demoni che volevano rubarle tutti i cioccolatini che aveva nascosto nell’armadio. Julian si ripromise di controllare appena possibile che nel suo armadio non ci fossero davvero così tanti cioccolatini.
Terminato il racconto, Holly diede un bacio a Rose e poi chiuse gli occhi, addormentandosi subito.
Dopo qualche minuto, la porta si aprì di nuovo. Si trattava di Emma. Aveva un’espressione terrorizzata sul volto che fece spaventare Julian quando la vide. Si alzò in piedi e mosse un passo verso di lei, temendo che fosse successo qualcosa di grave.
Emma guardò Rose e Holly ed emise un sospiro di sollievo. «Oddio» disse, appoggiandosi al muro. «Oddio, è qua».
Julian fece il giro del letto e la raggiunse.
«Em». Le prese la mano e le posò un bacio sul palmo. «Cosa succede?»
«Mi sono svegliata e Holly non c’era» spiegò lei. Posò la testa sulla sua spalla e lui la attirò a sé. Emma profumava di rose e di cioccolato. «Mi sono spaventata. So che siamo nell’Istituto e che è al sicuro qui, ma ho così tanta paura che possa succedere qualcosa anche a lei».
«Holly sta bene e nessuno le farà del male. Te lo prometto. Dovessi rinchiuderla in una torre».
Julian sentì Emma rilassarsi tra le sue braccia mentre lo stringeva a sua volta.
«Come Raperonzolo» sussurrò lei.
«Esatto. E dovrà farsi crescere i capelli così che un principe possa salvarla» disse Julian. Poi si bloccò e cambiò idea. «No, scherzavo. Niente principi. Assolutamente niente principi per almeno altri vent’anni».
Emma si mise a ridere contro al suo collo. Julian sentiva il suo respiro sulla pelle. «Lo sai che prima o poi crescerà anche lei, vero?» gli chiese Emma, alzando il capo per poterlo guadare negli occhi.
Julian fece finta di non capire. «Cosa intendi con anche lei? Rose non è cresciuta, nessuna delle due è cresciuta».
«Rose è maggiorenne, Jules».
«Shhh». Julian le diede un leggero bacio sulle labbra. «Se non lo dici ad alta voce non è vero».
Emma scosse la testa e gli sorrise. Poi distolse lo sguardo e si rattristì. «Si sveglierà, vero?»
Rose era in coma da quasi due giorni ormai. Magnus aveva detto che era normale dopo una ferita di quella portata, ma ogni ora che passava era per Julian una tortura.
«Certo» disse. La sua voce era sicura, ferma, doveva esserlo: doveva essere forte per Holly, per Emma e per Rose. «Sì. Si sveglierà. Deve svegliarsi, Emma. Non sopporterei il contrario».
«Lo so» disse lei. «Come mai Holly è venuta qui, comunque?»
«Ha fatto un incubo» spiegò Julian. «È venuta qui per raccontarlo a Rose».
«Oh». Emma si portò una mano alla bocca e guardò entrambe con occhi grandi. «Le manca sua sorella».
Si allontanò da Julian e salì anche lei sul letto, sistemandosi di fianco a Holly. Holly la sentì e si mosse un po’ nel sonno, borbottando qualcosa tra sé e sé.
«Shh, piccola» le sussurrò Emma, dandole un bacio tra i capelli. «Continua a dormire». Poi si rivolse a Julian e gli fece cenno di raggiungerle.
Julian non se lo fece ripetere due volte. Il letto di Rose era molto grande e li avrebbe ospitati comodamente tutti e quattro. Si sdraiò di fianco a Rose, dalla parte opposta rispetto a quella di Holly e Emma, e allungò un braccio sul suo petto, appoggiando la mano sulla spalla di Holly. Emma gliela prese e gliela strinse.
Julian chiuse gli occhi e finalmente riuscì ad addormentarsi.
 
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Rose aprì gli occhi. Prese un respiro profondo, un nome sulle sue labbra.
«Will» sussurrò, sbattendo le palpebre in confusione.
Intorno a lei tutto girava e non riusciva a capire dove si trovasse. In un letto. Il suo, forse? Non lo sapeva. Però sentiva qualcosa premerle sul torace e qualcos’altro sulla spalla destra. Un braccio? Una testa? Rose non riusciva a capire e non si sforzò di farlo, si limitò a pregare che la stanza smettesse di girare al più presto.
«Rose». Qualcuno le aveva messo una mano sul viso e la stava chiamando. Rose riconobbe gli occhi di suo padre e i suoi capelli marroni, tanto simili ai propri. Cercò di dirgli che andava tutto bene ma non riusciva a parlare; aveva la bocca secca come se avesse ingerito della sabbia.
«Rosie!» urlò Holly, che le si buttò addosso e la abbracciò. Rose la strinse a sé, dandole tanti baci sulla guancia.
«Holly, attenta a non farle male» disse sua madre preoccupata. Anche lei era sul letto con loro, ma Rose non riusciva a vederla, bloccata da sua sorella che sembrava non volerla lasciare andare più.
Holly si allontanò controvoglia e Rose sentì le mani di suo padre aiutarla a mettersi seduta. Sua madre le passò un bicchiere d’acqua. Rose lo accettò volentieri e lo bevve tutto d’un fiato, ma non fece in tempo ad appoggiarlo sul comodino che si ritrovò tra le braccia di suo padre.
«Non puoi farmi questo» le disse, accarezzandole i capelli con una mano e stingendola a sé con l’altra, come a volersi assicurare che non andasse da nessuna parte.
«Non posso farti che cosa?» riuscì a dire Rose.
«Morire».
«Ma non sono morta» rispose Rose.
Suo padre allentò la presa su di lei e le prese il viso tra le mani per assicurarsi che stesse davvero bene. «Lo so». Le diede un bacio sulla fronte e sospirò. «Brava bambina».
«Holly, fammi un piacere» disse sua madre. «Vai a chiamare Magnus. Digli che Rose si è svegliata e chiedigli di venire qui. È nella stanza vicino alla nostra».
«Ma…!» Holly si imbronciò. «Devo fare vedere a Rose i disegni che le ho fatto!»
«Puoi farlo più tardi» le disse Emma con voce gentile. «Per favore?»
Holly non sembrava molto contenta, ma fece come lei le aveva chiesto: prese il suo orsetto e scese dal letto con un salto, per poi scomparire dietro alla porta.
«Rose». Emma le si avvicinò e la abbracciò a sua volta, così forte che per poco le mancò l’aria dai polmoni. «Mi dispiace tanto. È tutta colpa mia, mi dispiace».
«Mamma, non è colpa tua» le disse Rose. «Mi è caduta una roccia in testa. Non è colpa di nessuno».
«Non fare mai più una cosa del genere, Rose» continuò sua madre. «Uscire senza aspettarci, affrontare i Riders da soli…» La prese per le spalle e la guardò fisso negli occhi. «Mai più, capito?»
Rose annuì e tirò su con il naso. Non ricordava nulla di quanto accaduto dopo che la roccia l’aveva colpita, ma si rendeva conto di aver fatto spaventare tutti.
«Quando tempo sono stata in coma?»
«Due giorni» rispose suo padre.
«E Will?» chiese Rose, improvvisamente agitata. «Lo avete tirato fuori da lì, vero
«Certo». Sua madre le sorrise. «Will sta bene. Lo abbiamo spedito a letto però. Ora dorme».
«È rimasto accanto a te tutto il tempo» sospirò suo padre. «Sarà furioso quando scoprirà che ti sei svegliata e lui non era qui».
Rose si sentì arrossire al pensiero di quanto successo nella grotta. Doveva parlare con lui al più presto.
«Quando posso vederlo?» chiese impaziente.
«Lascialo riposare un po’» disse Emma. «È andato a dormire solo qualche ora fa».
Rose si imbronciò. Aveva aspettato per troppo tempo e anche solo cinque minuti in più le sembravano troppi, interminabili.  
«Ti preparo qualcosa da mangiare per colazione» disse Julian. «Sono quasi le 8. Richieste particolari?»
Rose sorrise. «Pancakes, che domande».
«Già, che stupido». Le diede un altro bacio sulla guancia e se ne andò, lasciandola sola con Emma.
Sua madre le prese la mano. Aveva gli occhi lucidi e sembrava sul punto di scoppiare a piangere.
«Se mi chiedi ancora scusa, me ne vado» le disse piano Rose. «Giuro. Parliamo di qualcos’altro».
Emma annuì e respirò profondamente. «D’accordo». Ci pensò un attimo e poi le sorrise con malizia. «Lo sai chi ti ha tenuto la mano per tutto il tempo?»
Ripensandoci, forse avrebbe preferito stare a sentire ancora le sue scuse.
«Mmm» iniziò Rose. «Papà?»
Emma scosse il capo. «William».
Rose trattenne un sorriso e arrossì ancora di più, facendo ridere sua madre.
«Ci siamo baciati nella caverna» confessò, senza sapere neppure lei perché lo stesse facendo. «Mi ha chiesto di baciarlo perché pensava di morire». Sua madre sembrava stupita non tanto per il bacio, quanto piuttosto per il fatto che gliene stesse parlando. Rose continuò: «Non è stato come baciare Logan. E Logan mi piaceva».
Emma le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio e Rose si sentì improvvisamente a disagio a parlare della sua vita sentimentale con sua madre.
«Ti piaceva, ma non eri innamorata di lui» disse lei. «Sei innamorata di Will».
E non era una domanda. Non capiva come mai ne fossero tutti così convinti -prima Cath, ora sua madre- e sentirlo dire ad alta voce le faceva sempre un certo effetto.
«Pensi che lui sia innamorato di me?» le chiese senza stare a rifletterci troppo. Era troppo confusa, aveva bisogno di parere esterno.
Emma sembrava nervosa e abbassò il capo sulle loro mani intrecciate. «Dovresti chiederlo a lui».
«Dici di no?» Rose si sentì morire davanti alla reazione di sua madre; aveva davvero creduto per un attimo che lui fosse innamorato di lei. «Perché no?»
«No no no!» si affretto a dire Emma. «Cioè, sì. Certo che è innamorato di te. Voglio dire, credo. È ciò che credo io. Secondo me è innamorato di te. Non che io lo sappia».
Rose sbatté le palpebre, sospettando che le stesse nascondendo qualcosa. Poi si diede della stupida, perché che cosa avrebbe mai potuto nasconderle? Di certo Will non avrebbe mai detto ai suoi genitori se era innamorato di lei o meno. Semmai lo avrebbe detto a… Rose sentì il proprio cuore fermarsi.
A George!
«Devo parlare con George» disse. Si alzò dal letto di scatto e per poco non finì per terra a causa di un capogiro. Si portò una mano alla testa e chiuse gli occhi.
«Rose!» esclamò sua madre, raggiungendola e mettendole una mano sulla spalla. «Per l’Angelo, stai attenta!»
Rose prese un bel respiro e aprì la porta, andandosi quasi a scontrare con Magnus Bane, che indossava una camicia blu scuro e un paio di pantaloni beige con i brillantini. I suoi capelli neri sparavano in tutte le direzioni, facendolo sembrare ancora più alto.
«Ben svegliata, Fiorellino» le disse con un sorriso. Da quando Rose aveva memoria, Magnus l’aveva sempre chiamata Fiorellino. «Vedo che stai bene».
«Devo andare da George» disse Rose, impaziente. Stava fremendo, ci mancava poco che si mettesse a saltellare sul posto. «Puoi visitarmi dopo? Per favore?»
Magnus alzò un sopracciglio e guardò Emma.
«Non se ne parla» disse lei, mettendosi le mani sui fianchi.
Rose fu costretta a cedere e a permettere a Magnus di assicurarsi che si fosse rimessa al cento per cento. Si sedette di nuovo sul letto mentre Magnus le posava le mani sulle tempie. Non sentì male, anzi, non sentì proprio niente. Non che le importasse: voleva solo vedere George. E poi Will. Voleva capire.
«Tutto bene, Fiorellino» disse Magnus. «Continuerai a essere un genio».
«Perfetto!» Rose si precipitò fuori dalla camera, sventolando una mano per aria. «Grazie, Magnus!»
Sua madre la chiamò, ma lei non le diede ascolto. Si mise a correre lungo il corridoio, per poi rendersi conto che non aveva idea di dove fosse George.
Quel giorno però sembrava essere il suo giorno fortunato, perché George e Cath stavano uscendo proprio in quel momento dalla camera di fianco a quella di Holly.
Rose tirò un sospiro di sollievo quando vide Cath che camminava e respirava. Le corse incontro e la abbracciò, sollevandola da terra. Cath emise un verso stupito e si aggrappò alle sue spalle per non cadere.
«Grazie all’Angelo stai bene». Rose le stampò un bacio appiccicoso sulla guancia e la lasciò andare.
«Grazie all’Angelo tu stai bene!» le rispose lei, accarezzandole piano i capelli.
«Mi dispiace» disse Rose. Poi abbassò la voce. «Dopo ti devo parlare. Ma non adesso». Rose alzò il capo e fulminò George con lo sguardo. «Adesso devo dirne quattro al tuo ragazzo».
«Fidanzato» precisò George, un po’ troppo compiaciuto.
Rose sventolò una mano nella sua direzione per zittirlo. «Come ti pare». Poi si bloccò e spalancò gli occhi. «Che cosa? Stai scherzando?»
«No». George ghignò e passò un braccio attorno alle spalle di Cath. «Mai stato più serio in vita mia».
Rose spostò lo sguardo dall’uno all’altra non sapendo bene come reagire. Alla fine gettò le braccia al collo di George –stranamente non per strozzarlo- e lo abbracciò forte. «Oh, Georgi» disse. «Sono tanto felice. Davvero. Quando vi sposate?»
George le diede qualche pacca sulla schiena e si mise a ridere. «Una volta che Cath avrà compiuto diciotto anni. Non sappiamo esattamente quando. Almeno tra un anno».
Cath annuì e Rose abbracciò di nuovo anche lei.
«Congratulazioni. Sul serio». Rose prese un respiro per calmarsi. Provava troppe emozioni tutte insieme e non riusciva a distinguerle: gioia, incondizionato amore per la sua famiglia, per George e Cath, per Will. Rabbia per essere stata tenuta all’oscuro e aver fatto la figura dell’idiota. «Adesso però stammi a sentire, George Lovelace» sibilò, puntando un dito contro al suo amico. «Tu lo sapevi. Dovevi saperlo! E non mi ha detto niente».
«Ti sei appena svegliata e già ti ho fatto arrabbiare? Credo sia un nuovo record». George alzò gli occhi al cielo. «Devi essere più precisa, comunque. Non so ancora leggere nella mente».
«Will è innamorato di me?».
George ammutolì. Fece per parlare, ma dalla sua bocca non uscì nulla. Era chiaramente in stato di shock e non sapeva come reagire.
«Ecco!» esclamò Rose, sentendo una fitta attraversarle il petto. «Lo so che è il tuo parabatai, ma io sono tua amica, e…»
Quando George e Will avevano deciso di diventare parabatai era stato un duro colpo per Rose. Nel proprio cuore sapeva che prima o poi lo avrebbero fatto, che prima o poi sarebbero diventati parabatai, ma quella consapevolezza non l’aveva fatta sentire meglio quando le avevano dato la notizia. Aveva indossato un sorriso forzato e aveva fatto loro le congratulazioni, temendo che l’avrebbero esclusa, che avrebbero costruito qualcosa di talmente intimo che lei non ne avrebbe mai potuto far parte. Per fortuna non era successo niente di quello che temeva: le cose tra di loro non erano cambiate e i due ragazzi non l’avevano mai fatta sentire tagliata fuori. Tuttavia, nonostante Rose fosse davvero felice che fossero diventati parabatai, c’erano ancora delle voci nella sua testa che le sussurravano maligne che prima o poi si sarebbero stancati di lei e l’avrebbero lasciata sola. Razionalmente sapeva che erano preoccupazioni senza fondamento, ma la paura non è razionale.
«Perché non me lo hai detto?» chiese con un filo di voce.
George fece un passo verso di lei, gli occhi scuri pieni di tristezza. Aveva capito che dietro quella domanda c’era molto di più, che c’erano delle paure che non aveva mai confidato a nessuno.
«Ci ho provato» le disse. «Ho provato a fartelo capire».
«Non poteva dirtelo perché non era il suo segreto da dire» si intromise Cath. «Non era una sua decisione da prendere, era di Will».
Rose era consapevole che avesse ragione ma non le diede ascolto; tenne lo sguardo fisso su George.
«Io non so cosa gli faccio» disse, riferendosi a Will. La sua voce stava iniziando a tremare, ma Rose si sforzò per mantenerla il più ferma possibile. «George, lo sai che adesso lo strozzo. Vero?»
George sospirò. «Lo so. Non sai quante volte gli ho detto di dirtelo. Perché lo ami anche tu, no?»
Rose lo guardò come se fosse stupido. «Certo che lo amo anche io!»
Lo aveva finalmente detto ad alta voce. Si sentiva più leggera.
«Non merito la tua ira, Blackthorn» disse George. «Ho fatto del mio meglio. E lo avevamo capito tutti, stavo solo chiedendo conferma».
Rose si coprì il viso con le mani. George le si avvicinò e la prese tra le sue braccia, posando il mento sulla sua testa. «Non essere troppo dura con lui. Ti ama tanto, Rose. Davvero. Mettetevi insieme e fatela finita».
«Prima lo strozzo» borbottò Rose contro al suo petto. «Poi possiamo stare insieme».
«Basta che non lo uccidi. Che ti piaccia o no, abbiamo bisogno di lui». George la strinse un po’ più forte a sé. «E abbiamo bisogno anche di te. Mi hai fatto preoccupare». Le diede un bacio tra i capelli. «Non farlo più».
«La prossima volta che mi starà per cadere una roccia in testa le chiederò gentilmente di cambiare traiettoria». Rose alzò il capo per guardarlo negli occhi e gli arruffò i capelli. «Non sono arrabbiata con te, non ne ho alcun diritto. Se ti avessi detto che sono innamorata di Will non avrei voluto che glielo riferissi. Sono arrabbiata con lui».
«Voleva dirtelo, per quel che vale. È da una settimana che ci prova, ma c’è sempre qualcosa che glielo impedisce».
Rose alzò un sopracciglio, stentando a crederci: se avesse davvero voluto dirglielo, avrebbe trovato un modo. 

NOTE DELL'AUTRICE
Lo so, questa volta vi sto facendo penare, ma abbiate pazienza! Nel prossimo Will e Rose parleranno e vedrete che cosa succederà tra quei due salami. 
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!
Grazie mille se state leggendo ancora. A presto,
Francesca 
  
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