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Autore: Frulli_    17/11/2017    2 recensioni
Inghilterra, 1805. Cathleen ed Emma non potrebbero essere più diverse: la prima è razionale e posata, la seconda entusiasta e romantica. Ma quando le due sorelle avranno a che fare con l'amore e i sentimenti, le reazioni saranno totalmente diverse.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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14. (Not) Alone
 
25 Settembre 1806
Cara Cathleen,
ti ho scritto appena ho potuto. Sai bene che non sono assolutamente d'accordo sul gioco che stai giocando con Adam. Se è vero quel che dice nostro padre, e ciò che ha scoperto Emma, non è un gentiluomo. So che vuoi solo la verità e la giustizia, ma non la otterrai infilandoti in casa sua. E' troppo pericoloso, rompi il fidanzamento anche se ufficiale, faremo in modo di andare a Londra e ricominciare tutto da capo, Sir Egerton ci aiuterà, o Fanny. Ti prego, non fare cose avventate...almeno incontriamoci al matrimonio di zio Jack senza avere denunce sulle nostre teste.
Con affetto,
Edward.

Cathleen appallottolò la carta da lettera e la buttò tra le fiamme del camino acceso. Si alzò, avvicinandosi alla finestra. La pioggia fuori batteva incessante da giorni, tanto che era stato impossibile svolgere le normali visite tra vicinato: non si vedeva a più di un metro dal proprio naso. Si coprì le spalle con lo scialle, sospirando. L'ultima volta che aveva visto una pioggia simile era con Charles, e si erano quasi baciati. Come sentiva il rimorso di non averlo fatto prima, speranzosa che si sarebbero legati per sempre! Si pentì di essere stata troppo lenta, incerta, troppo in attesa: avrebbero dovuto fare come Jack ed Augustine, dichiararsi e sposarsi senza attesa. Loro avevano atteso troppo, per rispettare le regole, l'etichetta...e a cosa aveva portato? A labbra secche e vuote.
Sospirò ancora ed uscì lentamente dal salotto, la testa ricolma di dubbi, pensieri. Domande. La prima fra tutte era: perchè Mr. Barrington odiava così tanto Charles? Che cosa lo aveva reso la persona che era in quel momento, così odioso, invidioso? Forse, pensò, lo era sempre stato...d'altronde loro che sapevano di quel giovane? Era vicini, certo, ma per tanti anni Adam aveva vissuto lontano da casa e, a quel che diceva suo padre, visitando raramente il padre. Perché?
C'erano troppi perchè, troppe domande che necessitavano di una risposta, ma la priorità assoluta era smascherarlo. E per farlo, pensò mentre camminava, c'era solo un modo: doveva introdursi in camera sua e frugare tra i suoi documenti, doveva esserci qualcosa, magari un diario, una corrispondenza...qualcosa che facesse intuire le sue vere intuizioni. E poi...c'era qualcos'altro. Un pensiero, stupido e senza speranza, si era fatto largo nella sua testa: l'idea che Charles fosse ancora vivo.
Edward diceva che era normale, quando si vive un lutto: sperare che i tuoi cari siano ancora in vita. Eppure per lei era quasi una certezza, un presentimento così forte che non poteva non ascoltare. D'altronde il suo istinto non l'aveva mai presa in giro: aveva sempre avuto l'idea che Mr Barrington odiasse lei e Charles, ed il suo comportamento ne era la riprova. Ma come poteva essere così sicura che Charles fosse vivo, come poteva dimostrarlo? Forse Edward aveva ragione, forse era solo la sua fantasia. Ma almeno poteva salvare ancora la sua famiglia, quella dei Barrington e liberare tutti da quell'essere orribile. Per farlo, stava rischiando tutto: di essere scoperta, infangata, persino denunciata. Stava mettendo a rischio tutti e tutto, e per questo serviva tanta pazienza, calma e astuzia, oltre che una piccola mano.
Quella di Elizabeth, ad esempio. Da dentro la tenuta dei Barrington lei poteva, in assenza di Adam, rovistare e chiedere al personale. Le aveva dato qualche giorno di tempo per informarsi ma poi il maltempo aveva fatto il suo corso, rallentando tutto ma dando possibilità a Elizabeth di potersi informare meglio, seppur con Adam sotto lo stesso tetto.
Si fermò, troppo presa dai suoi pensieri per accorgersi di un raggio che la stava abbagliando, lì nel mezzo del corridoio. Si volse verso la finestra ampia, venendo inondata dalla luce abbagliante del sole che illuminava la campagna bagnata. La rugiada crollava docile dalle foglie e dall'erba brillante, gli uccellini si potevano già sentir festeggiare lontani la fine della pioggia.
«Rosy, prepara il mio soprabito e il calesse, vado a Barrington House!» gridò da in cima le scale verso una domestica, correndo poi in camera a prepararsi.

«Non aspettavo una tua visita oggi, Cathleen. Sentivi la mia mancanza?»
Cathleen si limitò a sorridere più che poteva mentre la domestica le toglieva il soprabito dalle spalle. Sentiva ancora addosso il freddo della giornata autunnale e, nonostante fosse dentro casa, non riusciva ancora a togliersi quella sensazione di risentimento e odio che le trasmetteva l'uomo che aveva davanti a sé.
«Dove vai?» si limitò a chiedergli, vedendolo vestito di tutto punto.
«Come ho detto, non aspettavo una tua visita. Mi sto recando a Londra, per affari, starò via qualche giorno...se vuoi possiamo vederci direttamente lì, per il matrimonio di tuo zio. Ovviamente non contare la mia presenza a quella sceneggiata, ma se vuoi andarci va pure...» precisò Adam, fissandola prima di avvicinarsi.
Cathleen istintivamente porse la guancia, dove si poggiò un umido bacio. Sorrise, l'uomo, divertito da quelle ritrosie.
«Fra qualche settimana non avrai tutte queste remore, Cathleen, credimi» salutò così Mr Barrington, uscendo di casa e salendo veloce in carrozza, diretto a Londra.
Cathleen si pulì la guancia con il dorso della mano, schifata. Se pensava davvero di sposarla, si sbagliava di grosso. Doveva solo trovare qualcosa prima della data, e compromettere così il fidanzamento oltre che la reputazione generale di quell'uomo spregevole.
Mentre la domestica la scortava nel salotto dove la stava aspettando Elizabeth, non fece che chiedersi, come aveva fatto poche ore prima, come un uomo come Sir Barrington poteva avere due figli così diversi, opposti, con un'indole così antitetica.
«Cathleen!» esclamò la voce familiare di Elizabeth, che la fece tornare con i piedi per terra. Le andò incontro, sorridente, e l'abbracciò a lungo. Di quei gesti che parlavano più di ogni parola, che era più di un semplice abbraccio: era un incoraggiamento, un affetto senza eguali. Si sorrisero, e solo in quel momento Cathleen si accorse di una terza figura presente lì nel salotto, insieme a loro. Una giovane ben vestita, di statura regale, appena sovrappeso, la cui poca bellezza veniva comparata con l'eleganza e il garbo che emanava anche solo standosene lì seduta sul divanetto.
«Oh, Cathleen, dimenticavo quasi...lascia che ti presenti la Contessa Stuart. Contessa, lei è Miss Cathleen Colborne, una mia cara amica»
«Incantata, Contessa»
«Miss Cathleen, è un piacere conoscervi. Miss Elizabeth mi ha parlato molto di voi, sono appena arrivata e mi sono...beh, nascosta qui, non volevo vedere quell'essere...ma per Miss Elizabeth questo ed altro»
Cathleen ed Elizabeth si sorrisero appena, senza dire nulla, e si sedettero mentre una domestica versava il thè.
«Ho visto Adam, sta andando a Londra»
Elizabeth annuì. «Va almeno una volta al mese per una settimana. Questo mese ha dovuto rimandare per il maltempo, ma non vedeva l'ora»
«Non vedeva l'ora? Ma ha detto che andava per urgenti affari» rispose innocente Cathleen. Si pentì della sua risposta non appena sentì la risatina divertita della Contessa.
«Senza offesa, Miss Cathleen, ma Mr Barrington i suoi affari li ha altrove, non negli studi di avvocati e notai. Il vostro fidanzato beve, ed anche molto. Gioca d'azzardo, va nei bordelli, nelle fumerie...il Capitano Barrington, pace all'anima sua, ha cercato più volte di riportarlo sulla buona strada ma quel giovane è nato storto e non può certo morire diversamente. Non temete» aggiunse poi, vedendo l'aria mesta di Cathleen «so del vostro piano, Miss Elizabeth me lo ha esposto, e spero vivamente che ci riuscirete. Anzi, se posso aiutarvi...»
«Forse potete, Contessa» precisò Cathleen, osservandola «dicendoci perchè avete annullato il matrimonio»
La mascella poco delicata della Contessa si contrasse. La giovane sospirò appena quindi strinse fra sé le labbra sottili. «Mr Barrington ha tentato di approfittare della mia disponibilità amichevole per una un po' più carnale, Miss»
Cathleen aprì appena la bocca, involontariamente sorpresa. «Ha cercato di...?»
«Sì» precisò secca la giovane «come potete immaginare è stata una cosa orribile. Mio padre ha evitato il disastro, per la lunga amicizia con Sir Barrington, e non ha esposto quell'uomo alla gogna...cosa che io avrei fatto volentieri, anche a costo di infangarmi la reputazione a vita. Loro hanno preferito mettere tutto a tacere, annullando il fidanzamento»
«Mi sento così in colpa, avremmo dovuto capire prima che razza di persona era...» ammise sincera Elizabeth, chinando il capo.
«Non potevate saperlo, Miss Elizabeth, sinceramente...sa abilmente mascherare la sua indole, quando vuole, e lo ha fatto per molti anni. In mancanza di qualcuno che lo freni è incapace di capire cosa sia meglio per lui o per la famiglia. Ora, con permesso...sarà meglio andare via prima che torni il temporale. Buona fortuna per la vostra...missione» annunciò la contessa, alzandosi.
«Vi accompagno, Contessa. Cathleen, arrivo subito» annunciò prontamente Elizabeth, uscendo insieme a lei.

Cathleen rimase da sola, in compagnia solo del ticchettio del pendolo. Lo fissò in quel suo certo e sicuro dondolare, rimase in ascolto del suono continuo. Chiuse appena gli occhi, sorridendo appena fra sé: il suono ricordava quello del pendolo che avevano nella music room di Lavender House. Casa sua, che rischiava di venirle tolta. Avrebbe fatto di tutto per la sua famiglia, per la casa dove lei e le sue sorelle erano nate, dove possedeva i più cari ricordi...dove possedeva i ricordi di Charles, di Elizabeth...
«Vincerò io» mormorò tra sé, alzandosi di scatto. Uscì dal salotto, incapace di starsene lì in attesa. Avrebbe cominciato a cercare senza Elizabeth, non c'era molto tempo: se non c'era nulla lì, dovevano cercare in qualche altro posto. Conosceva appena quella dimora, e dovette farsi indicare più volte la zona notte dalle domestiche.
Camminava lentamente lungo il corridoio, nell'ampia zona con più di quaranta stanze. Le controllò tutte, e la maggior parte erano vuote, in disuso, in attesa di essere occupate dai rari ospiti della tenuta.
«Maledizione...» brontolò tra sé, pentendosi di non aver aspettato pazientemente Elizabeth. Passò davanti l'ennesima stanza chiusa e si fermò, tornando indietro. C'era qualcosa in quella porta socchiusa che l'attirava. Un odore, familiare...
Deglutì a vuoto e lentamente aprì la porta della camera da letto dove si ritrovò catapultata in qualche mese addietro. Il letto era appena sfatto nelle sue lenzuola pregiate, come se qualcuno c'avesse dormito recentemente, su un cuscino c'era ancora il segno di una testa. Un appendi abiti sosteneva ancora un soprabito da uomo, a terra degli stivali infangati.
Le gambe non rispondevano, come sempre, alla sua richiesta di uscire immediatamente da lì. Ed anzi non solo non ubbidirono, ma si mossero di loro spontanea volontà verso la scrivania lì alla sua destra. Gli occhi si posarono su una boccetta di colonia da uomo. Le mani imitarono le gambe, e nonostante Cathleen ordinava loro di non prendere la boccetta, quelle non l'ascoltarono e l'afferrarono, aprendola sotto il suo naso che, costretto, respirò quel profumo.
La boccetta cadde a terra, frantumandosi e sprigionando in tutta la stanza l'odore dolce e pungente della colonia. Cathleen crollò in ginocchio, vicino la chiazza di profumo, portandosi le mani al viso e cercando di nascondere a Dio le lacrime che sgorgavano dagli occhi. Eppure sperava che erano terminate, quelle dannate lacrime. Invece la colonia aveva riaperto una ferita che a malapena di stava chiudendo, con uno sforzo enorme. Sforzo inutile davanti alla sfacciata realtà sbattutale in faccia. Singhiozzando poggiò la testa sul materasso del letto, sulle lenzuola mai più toccate. Non sentì nemmeno Elizabeth entrare di colpo nella stanza, abbracciandola e inginocchiandosi vicino a lei.
«Oh Cathleen, ti avrei evitato questa stanza. Perché non mi hai aspettato, testarda, perchè...» mormorò in lacrime l'amica, abbracciandola forte.
Cathleen ne respirò il profumo, cercando di non pensare più a quella dannata colonia che la perseguitava ancor prima di vederla dentro quella boccetta. Si alzarono lentamente, Elizabeth la spinse fuori dalla camera con dolcezza, richiudendo la porta.
«Lo zio ha voluto che non venisse toccato nulla...»
«Mi dispiace, non volevo entrarci...stavo cercando quella di Adam...» mormorò Cathleen cercando di asciugarsi le lacrime, aiutata dall'amica.
«Lo so, mia dolce Cathleen, lo so...ma vieni, la stanza di Adam è qui vicina. Vuoi ancora scoprire che cosa sta tramando vero? Concentriamoci su questo, per un po' lasciamo da parte il dolore, ti prego...»
Cathleen annuì, calmandosi. La vista della camera del suo adorato promesso l'aveva destabilizzata, anche perchè non si aspettava di entrare nella sua stanza, troppo tardi per poterla condividere con lui.
Avanzarono lungo il corridoio, aprendo una porta qualche metro più in là: era completamente diversa rispetto alla prima, più spartana e semplice. Questa aveva un divanetto romano in fondo alla stanza, un letto matrimoniale a baldacchino, un paio di scrivanie, almeno tre bauli e altrettanti specchi, posti in diverse angolazioni. I carboni nel camino erano ancora caldi, le lenzuola sfatte. Sulla toeletta c'era una quantità di lozioni e creme da far invidia alla più attenta dama di corte. Scosse la testa Cathleen, affranta: l'ennesima riconferma di quanto i due fratelli fossero diversi.
«Forza, mettiamoci a cercare» mormorò Elizabeth, chiudendo piano la porta. Presero a scandagliare mattone per mattone la stanza del giovane: sotto i cuscini e il materasso, nei vari cassetti, nei bauli, tra i vestiti e le tasche, dietro gli specchi, cercando persino degli spazi vuoti sotto le assi di legno. La ricerca fu lunga ed estenuante, e non diede nessun risultato.
«Maledizione, non è possibile!» brontolò Cathleen, allentando il colletto dell'abito, accaldata.
«Non diamoci per vinte, Cathleen. C'è ancora un'altra stanza da visitare» precisò Elizabeth, sistemandosi i capelli. Si avvicinò ad uno degli specchi, spingendolo delicatamente su un lato della cornice. Quello cedette alla spinta della giovane, girando appena su se stesso e mostrando un passaggio verso una seconda stanza. Cathleen spalancò appena la bocca, sorpresa, ed Elizabeth sorrise prima di varcare la zona segreta.
«Barrington House è una tenuta antica e chi la costruì era un appassionato di passaggi segreti. Adam si è sempre vantato di avere una stanza segreta in camera sua e, una volta, gliela vidi aprire con la porta della stanza aperta. Che stolto...»
Cathleen varcò la soglia della stanza segreta: al suo interno c'era solo una scrivania con una sedia, uno scaffale ricolmo di carte, un braciere freddo e tanto, tanto alcool.
«Dio santo, ma cosa diavolo fa qui...?» mormorò Cathleen, cominciando a rovistare senza smuovere troppo le carte.
«Non lo so, è la prima volta che ci entro. Dio, come siamo stati ciechi Cathleen...avremmo dovuto capire che razza di uomo era, se solo Charles...»
«Charles non c'è, Elizabeth, quindi sta a noi smascherarlo. Tiene in pugno tutti, e crede di tenere in pugno anche noi...è questo il nostro vantaggio. Trovato qualcosa?»
«No nulla. Tu?»
«No. Eppure tutte queste carte, e niente che ci porti a qualcosa di ambiguo? Maledizione» brontolò, mettendo al suo posto un tomo preso dallo scaffale. Sospirò, guardandosi intorno. Era impossibile, non aveva potuto nascondere tutto! Dove teneva gli atti, i documenti ufficiali?
«Forse li porta sempre con sé, magari ora sono in viaggio con lui verso Londra...» ipotizzò Elizabeth, affranta.
«Forse. Ma deve esserci qualcosa qui, un indizio che ci porti a capire cosa sta combinando davvero...»
«Non sembra esserci nulla. Deve aver bruciato tutto» ammise Elizabeth, facendo per uscire dalla stanza. Cathleen la seguì ma si bloccò di colpo sulla soglia.
«Cathleen, che c'è?»
«Cosa hai detto? Che deve aver bruciato tutto?»
«Si beh, insomma...cancellato le tracce»
«No no, tu hai detto “bruciato”, Elizabeth. Vieni!» mormorò Cathleen tornando indietro. Si avvicinò al braciere freddo della stanza segreta. Frugò appena tra la cenere, il viso delle fanciulle chino sui rimasugli di un fuoco acceso per riscaldare l'ambiente.
«Ferma!» gridò quasi Elizabeth, bloccando il polso dell'amica. Rovistò delicatamente nella cenere quindi estrasse qualcosa: un pezzetto di carta pergamena, bruciata e annerita ai bordi.
«Cos'è?»
«Deve essere un pezzo di qualche lettera. Ma guarda bene: non riconosci quel disegno?»
Cathleen aguzzò la vista, cercando di immaginare il disegno, lì su quel pezzetto, finito e completo. Deglutì a vuoto, fissando Elizabeth quando capì.
«Oh mio Dio...»
«E' lo stemma della Marina.»
Le due ragazze presero con sé il pezzo ed uscirono di corsa da lì, richiudendo tutto e rimettendo tutto in ordine.

«Cosa accidenti significa?» chiese Elizabeth a bassa voce, camminando svelta per i corridoi.
«Solo una cosa. Che la lettera di dimissioni di Charles non è mai arrivata a destinazione»
«Cosa? No aspetta Cathleen, non può essere...»
«Certo che può essere! Ascoltami...» mormorò Cathleen, richiudendo dietro di sé la porta del salotto, guidando poi l'amica vicino al camino, sedendosi sul divano «Charles mi disse che aveva dato ad Adam stesso la lettera da spedire alla Marina, e..»
«Ma non potrebbe essere la lettera che la Marina ha mandato a Charles per richiamarlo?»
«No, perchè quella lettera io l'ho vista con i miei stessi occhi, me la fece vedere Charles prima di partire, e la portava con sé il giorno della sua partenza. Non può essere nemmeno la lettera della Marina dove ci hanno comunicato del naufragio, perchè...»
«...perchè quella ce l'ha lo zio, sempre con sé, ed impedisce a chiunque di prenderla» terminò Elizabeth, fissando Cathleen. Si portò le mani sul viso, sospirando «Oh mio Dio, Adam, che cosa hai fatto...»
«Ha fatto ciò che voleva. Quando Charles è venuto qui in licenza ha ripetuto più di una volta che non sapeva quanto sarebbe rimasto, che prima o poi si sarebbe sistemato ma che la Marina poteva chiamarlo in ogni momento. Ha semplicemente evitato di consegnare la sua lettera di dimissioni alla Marina: a lui bastava attendere solo il momento in cui sarebbe stato richiamato, e così tutto sarebbe tornato come prima. Certo non poteva prevederne la morte, per lui è stato un colpo di fortuna...»
«...così ha potuto ereditare tutto ciò che era rimasto dei Barrington, dilapidandolo, proprio come mio fratello» una voce maschile le raggiunse, facendole sobbalzare di sorpresa. Cathleen si girò verso la porta d'ingresso, osservando sorpresa la figura del padre, in piedi sulla soglia.
«Padre...cosa ci fate qui?»
«Cerco di non fare ulteriori sbagli, Cathleen» mormorò Mr. Colborne, andandole incontro «ho fatto molti sbagli nella mia vita, cara, ed uno di questi è stato quello di non ascoltarti, per molte volte. Sono venuto qui per fare ammenda, ed aiutare un amico in difficoltà: Sir Barrington ha bisogno di me e lo aiuterò, per quel che posso. Ho anche scritto a tuo zio Jack: verrò al suo matrimonio»
Cathleen sorrise raggiante e corse ad abbracciarlo, felice.
Mr Colborne ricambiò il sorriso e l'abbraccio, poi tornò serio. «Ho capito perfettamente a che gioco sta giocando Adam, ma si sbaglia di grosso se pensa di poterci imbrogliare di nuovo. Charles sarà pure caduto nella sua trappola, ma certo non ci cadremo noi. Lui non poteva sapere che razza di fratello avesse, ma noi ora sì. E lo fermeremo, a costo di perdere tutto ciò che abbiamo. Miss Elizabeth, vostro zio è per me come un fratello, sento il dovere di aiutare la vostra famiglia come solo un parente farebbe. Mi date il permesso di visitarlo nelle sue stanze, cercando di dargli ristoro?»
«Tutto il permesso che volete, Mr Colborne, siete e sarete sempre il benvenuto a Barrington House» precisò Elizabeth, sincera.
«Bene, allora signorine...con permesso, ho un amico a cui far visita» precisò Mr Colborne, sorridente, uscendo dal salotto.
Elizabeth e Cathleen si guardarono, sorridendo dopo tanti pensieri e tante preoccupazioni.
«Non siamo sole, Cathy, non siamo sole...» le mormorò Elizabeth, abbracciandola.
Cathleen sorrise, sollevata. La sua amica aveva ragione: non erano sole a combattere contro quel mostro. Avrebbero vendicato la morte di Charles, avrebbero salvato i Barrington e i Colborne dalla rovina e forse, un giorno, Cathleen sarebbe tornata ad essere felice.
 
Londra, 29 Settembre 1806
Il ticchettio del pendolo nella stanza era l'unico suono che poteva sentire intorno a lei. L'aria era pregna del dolce odore di legno laccato, del velluto, delle pagine usurate degli spartiti. Si accomodò davanti lo strumento, aprendo la tastiera. Le ampie finestre filtravano la luce del sole che veniva da fuori, specchiandosi sul pavimento. Socchiuse gli occhi, posando le dita affusolate sui tasti. Prese a suonare lentamente, di terzina in terzina, assaporando ogni singolo suono che rimbombava dolcemente nella stanza. Senza fretta. Alle terzine si unirono altre note, altre dita, la melodia si fece incalzante, nello sottofondo la costante di un solo tasto, un solo suono a riprodurre quel ticchettio lento e inesorabile. Volente o meno, il tempo trascorreva intorno a lei. Le mani vivevano di vita e memoria propria, si muovevano lungo la tastiera senza attendere comandi dalla mente, né dal cuore. Sapevano esattamente cosa fare, seppur fosse una melodia del tutto nuova, scritta in nessuno spartito, solo nella sua testa. La melodia si fece più incalzante, veloce, liberatoria, triste e serena nello stesso tempo. Le alterazioni incalzavano senza pietà, donando alla melodia lineare una stonatura, come un sorriso con una piega della bocca verso il basso. Chiuse completamente gli occhi, inclinò indietro il capo, assaporando quella creazione che nasceva. Non si accorse dei passi che cozzavano contro il legno del pavimento, fermandosi sulla soglia della porta aperta.
«Cathleen» qualcuno la chiamò, così piano e pure così forte. Sembrava che la voce che la chiamava venisse direttamente dalla sua testa, rimbombando nelle orecchie. Sollevò le mani dalla tastiera eppure sembrava come se la musica continuasse a svilupparsi nell'aria. Si girò verso la figura alta e marziale che sostava sulla soglia. Non poteva vederne il volto -eppure era così chiaro nella stanza...- ma vedeva bene la sua divisa della Marina, le mostrine, le medaglie. Poteva quasi intuire la piega della sua bocca, volta in un sorriso gentile....
«Cathleen!» gridò Emma, scuotendola appena.
Aprì lentamente gli occhi, sentendo subito un dolore intenso al collo. Rabbrividì appena, sentendo immediatamente il freddo che filtrava dai finestrini chiusi della carrozza a quattro.
«Sparlavi...» commentò preoccupata Emma, osservandola.
Cathleen deglutì a vuoto, ancora incapace di parlare. Cercò di mettere a fuoco, velocemente, dov'era e chi era: si affacciò oltre la tenda del finestrino. Fuori la campagna si stava diradando, lasciando spazio a case e strade sterrate.
«Siamo a Londra, saremo a casa di zio Jack fra meno di mezz'ora. Hai freddo?» chiese Emma, dandole subito una coperta presa da sotto i divanetti. Cathleen si coprì le gambe, acclimatandosi. Sospirò ripensando al sogno stupendo che aveva fatto: era così reale che aveva potuto percepire il profumo di Charles. O forse era a causa della colonia rotta a Barrington House, aveva quel profumo che la perseguitava ovunque.
«Tutto bene?» chiese Elizabeth al suo fianco, rimasta in silenzio per tutto quel tempo.
«Sì...stavo sognando...» mormorò Cathleen con voce roca, sorridendo appena. Gli altri si scambiarono sguardi eloquenti mentre lei tornava a guardare fuori dal finestrino. Londra. Dove tutto era cominciato, e dove tutto sarebbe finito. Di lì a qualche giorno ci sarebbe stata la resa dei conti con Adam, aveva promesso a Edward di attendere il matrimonio di zio Jack, di attendere per decidere cosa dire al Barrington, e soprattutto come. Erano arrivati al capolinea, e non potevano tornare indietro.
«Adam ha ucciso Charles» annunciò dal nulla Cathleen, facendo quasi strozzare Arthur con l'acqua che stava bevendo.
«Cosa?» chiese perplessa Emma, fissando la sorella.
«Ho detto che Adam ha ucciso Charles. O quantomeno non ha impedito che non venisse ucciso. Ne abbiamo le prove»
Raccontò tutto alla coppia, tutte le parole dette, le storie nascoste, ed il pezzo di carta trovato nel braciere. Obiettò con piena razionalità alle perplessità della coppia, aiutata anche da Elizabeth.
«Non è esattamente...un omicidio» commentò alla fine Arthur «ma è sicuramente una cosa molto grave. Charles aveva chiesto personalmente ad Adam di spedire la lettera, perchè si fidava...e lui ha tradito la sua fiducia, non consegnando la lettera, omettendo di non averlo fatto e portando così Charles lontano da te. Certo non poteva prevedere che...»
«Che sarebbe morto?» precisò, realistica, Cathleen «no di certo. Ma le navi non sono fatte di un materiale divino, Arthur, si rompono. La vita può diventare morte in pochi secondi, in mare aperto. Questa volta è stato un naufragio, ma poteva ammalarsi, essere colpito da una cannonata o semplicemente scivolare in mare ed essere trascinato dalla corrente. Lo sapeva a cosa lo mandava incontro...»
«Credo tu abbia ragione. E poi tutto il suo comportamento è sospetto: sembra come se voglia sbarazzarsi di tutto e tutti» ammise Arthur, serio.
«Pensi davvero che sia capace di questo?» chiese dubbiosa la moglie.
«Emma» Cathleen richiamò seria la sorella, fissandola «quella sottospecie di uomo ha costretto nostro padre a dargli la mia mano, minacciandolo di cacciarlo dalla sua casa solo perchè io l'ho rifiutato. Credi davvero che si faccia problemi a non spedire una lettera di dimissioni di suo fratello?»
Emma fissò la sorella e sorrise appena, triste «Immagino di no»
«Appunto...»
«Che cosa hai intenzione di fare?»
«Quel che è giusto fare, Arthur. Dirgli che l'ho scoperto, che so esattamente cosa ha fatto e cosa vuole fare, che rompo il matrimonio e che non può cacciarci di casa. Nostro padre ha trascorso gli ultimi giorni con Sir Barrington, gli tiene compagnia per la maggior del tempo...hanno parlato molto, Sir Barrington sembra essere tornato in sé. O almeno in parte. Dice che gli dirà di Adam dopo il matrimonio, a cui parteciperà, per farlo stare tranquillo per qualche giorno»
«Pensi che Sir Barrington possa modificare il suo atto?»
«Penso che almeno dobbiamo provarci. Non dobbiamo cedere ai ricatti di quel mezzuomo» rispose seria Cathleen.
La carrozza si fermò con un lieve scossone. Non si accorsero di essere già arrivati, con il brusio della gente che li circondava. Arthur aiutò le tre giovani a scendere lentamente dalla vettura, mentre due paggi scaricavano i loro bauli.
«Ben arrivati finalmente!» esclamò entusiasta Edward, aprendo la porta del civico dove si era fermata la carrozza.
«Edward!» esclamarono in coro le due sorelle, andandolo ad abbracciare insieme, rimanendo così qualche secondo.
«Sir Egerton, ben rivisto...è andato bene il viaggio?»
«Molto bene, grazie, Mr Colborne» annunciò Arthur, stringendo la mano di Edward e sorridendo.
«Miss Elizabeth...spero non vi siate stancata...»
«Affatto, Mr Edward...è un piacere rivedervi» i toni dei due furono più sommessi, quasi imbarazzati. Cathleen sorrise di traverso a Emma, mentre entravano nell'appartamento di zio Jack. Una ventata d'amore era quello che le serviva, pensò, seppur non fosse il suo. L'avrebbe aiutata a non pensare, per qualche secondo, al suo amore perduto.


«E' stato un matrimonio splendido, non trovate?» commentò per l'ennesima volta Mrs Colborne, mentre sorseggiava il suo thè seduta al tavolino insieme alle tre figlie e a Miss Elizabeth. Erano in una stanza in disparte, dove in quel momento non era presente nessuno oltre a loro ovviamente. «certo, davvero poca gente...ma la cosa non mi stupisce. Augustine era incantevole nel suo abito rosa, e la cerimonia è stata deliziosa. Non trovate?»
«Si madre, troviamo...» brontolò Fanny, piccata e rigida come al solito.
Cathleen si limitò a sorridere, pensosa mentre fingeva di bere il suo thè. La verità era che aveva lo stomaco chiuso dalla sera prima, non appena era finito il matrimonio. Quella consapevolezza che il regolamento di conti era arrivato, come nei vecchi romanzi quando l'eroe e l'antagonista duellavano per la virtù della protagonista femminile. In quel caso, la situazione era leggermente diversa ma il senso uguale.
«Cathleen...» la richiamò appena Elizabeth, posandole la mano sulla sua.
Cathleen sorrise appena, ricambiata dall'amica: entrambe sapevano perfettamente cosa provava l'altra, dato che in quel tavolo erano le uniche due, oltre Emma, a sapere cosa sarebbe accaduto nei giorni successivi. Mr Colborne aveva espresso il desiderio di rivelare il piano alla moglie solo una volta che questo fosse stato svolto, “per evitarle un crollo di nervi”.
«Volevo...farvi una piccola comunicazione» annunciò di colpo Emma, attirando subito l'attenzione delle altre donne «volevo aspettare un altro po' per dirvelo, per sicurezza...il medico dice che è ancora presto per dirlo ma...»
«Emma...sei incinta?» chiese in un sussurro Mrs Colborne, osservandola.
«Sì madre...sono in dolce attesa» precisò la figlia, sorridendo dolcemente. Il gridolino felice di Mrs Colborne echeggiò appena nella stanza, e si limitò a stringere forte la mano della figlia, mostrando così la sua gioia a stento trattenuta dall'etichetta.
«Siamo felicissime per te, cara! Vero?» annunciò Fanny senza eccessiva enfasi, facendo annuire le altre giovani. Cathleen fissò qualche istante il ventre della sorella, aspettando quasi di vederlo colmo di una vita, e sorrise appena fra sé. Chissà quale gioia infinita doveva essere diventare madre...
«Oh Cathleen...» mormorò Emma, stringendole la mano «volevo aspettare per dirtelo, davvero...non volevo farti rattristare, ma non riuscivo a tenermi questo peso sul cuore»
«Rattristare, Emma, e perchè mai? Sono davvero felice, per te e per noi che presto saremo zie e nonne» rispose subito Cathleen, sorridendo sincera.
«Meno male...meno male davvero»
«State già pensando ai nomi, milady?» chiese curiosa Elizabeth.
«Non ancora, ma io e Arthur abbiamo raggiunto l'accordo che se maschio deciderà lui il nome, se femmina sarò io. Per quanto mi riguarda mi piace molto Margharet, o Rosaline»
«Nomi incantevoli, milady» precisò sincera la sua interlocutrice.
«Santo cielo...» mormorò Mrs Colborne, allarmata.
«Suvvia madre non siate esagerata, sono dei bei nomi» brontolò Cathleen, sospirando.
«No cara, non mi riferivo affatto ai nomi. C'è Edward...» annunciò la madre, facendo volgere tutto il tavolino verso l'ingresso della stanza. Cathleen intuì subito il tono preoccupato di Mrs Colborne: il fratello venne loro incontro pallido come un lenzuolo, con la giacca bagnata sulle spalle, come se avesse camminato per un breve tratto sotto la sottile pioggia, a piedi, e in mano recava una lettera chiusa leggermente stropicciata.
«Edward, santo cielo...sembra che tu abbia visto un fantasma» mormorò preoccupata Fanny, facendogli spazio tra lei e Cathleen.
«Perdonate se arrivo senza preavviso, ma...ci sono novità» annunciò tetro il giovane, osservando subito Emma, Elizabeth e Cathleen.
«Ebbene, parla Edward o ci farai morire di attesa» annunciò seria Mrs Colborne. Edward, a tale richiesta, sospirò e porse la lettera a Cathleen che la prese incerta.
«Che cos'è?»
«Una confessione, da parte di Mr Barrington»
Cathleen fissò sorpresa il fratello. Com'era possibile? Nemmeno nelle sue più rosee aspettative aveva sperato che Adam confessasse, eppure eccola lì tra le sue mani la prova lampante che quell'uomo era senza onore e coraggio.
«Di che confessione parli, caro? Spiegatemi»
«Per favore, solo un attimo madre...lasciate prima che Cathleen possa leggere» mormorò Emma, con gentilezza. Mrs Colborne fissò la figlia confusa, poi sospirò. Edward annuì a Cathleen, che aprì la lettera e cominciò a leggere.

Miss Cathleen,
vi scrivo questa breve confessione, consapevole che ormai avrete capito e compreso tutto. Come ho potuto pensare, d'altronde, di essere in presenza di una donna stupida? Voi non lo siete affatto. Avete sempre intuito l'astio che c'era tra me e mio fratello. Ero geloso di lui, lo sono sempre stato. Come Caino e Abele, noi eravamo i figli unici di mio padre. Io ero il maggiore, l'erede, eppure fin dalla nascita di Charles i miei genitori hanno preferito lui a me. Lui era più bello, più gentile, più intelligente, sorridente, garbato...come potevo, io, non essere geloso? Mi hanno messo in disparte, perchè non rientravo nei loro “canoni”, perchè ero diverso. Quando quello stolto di Charles decise, giovanissimo, di entrare in Marina...fu il giorno più bello della mia vita. Appena tredicenne, cercai di essere un ottimo sostituto per i miei genitori. Eppure i pianti di mia madre erano inconsolabili. Perchè voleva solo lui? Mi arresi, e qualche anno più tardi partii per Londra dove rimasi per anni...quale sarebbe stato lo scopo di tornare a casa, vivendo all'ombra di mio fratello? Almeno potevo sollevarmi con l'idea che ero l'unico erede dei Barrington, perchè il maggiore.
Quando Charles tornò in licenza e vi conobbe, sapevo già che vi avevo perso Cathleen: vedevo come lo guardavate, e non potevo che provare odio. Cercai di convincerlo che non lo ricambiavate, per questo quello stolto ha impiegato così tanto a chiedere la vostra mano, ma non è valso a nulla. Sapevo che mi aveva sconfitto: aveva conquistato l'ennesima mèta che io volevo conquistare. Nelle feste e nelle serate era lui la luce che brillava alta, io ero la sua ombra. E cosa potevo fare? Nulla.
Ma poi, quello stolto ha deciso di fidarsi di me: che ingenuo! Pensava davvero che avrei spedito le sue dimissioni alla Marina? Era l'unico modo per allontanarlo da voi: farlo tornare da dove era venuto. La Marina lo avrebbe tenuto lontano abbastanza per farvelo dimenticare, e così io vi avrei consolato e, poi, sposato. Saremo potuti essere così felici, Cathleen! Mi avreste salvato dai miei peccati, dai miei vizi...ma ho di nuovo sbagliato. Vi ho sottovalutato, ho sottovalutato il vostro amore per mio fratello. La notizia della sua morte è arrivata inaspettata, ero sinceramente sorpreso ma ho colto subito la palla al balzo, sistemando quel che da sempre era mio: mio padre, le nostre proprietà, e un giorno avrei conquistato anche voi. Ma, di nuovo, ho sottovalutato il potere che ha l'amore verso chi compiange qualcuno. Anche da morto continuava a perseguitarmi!
Ed allora eccomi qua...a chiedere scusa, a cercare di redimermi prima che sia troppo tardi. Chiedete scusa anche a mio padre, alla fine non si meritava questa sofferenza. Annullo il mio fidanzamento con voi, annullo ogni mia vendita o trattativa, lascio tutto a mio padre, di nuovo...senza figli, senza eredi, vivrà il resto dei suoi giorni circondato dalla polvere che avvolgerà Barrington House. E' così che deve essere.
Vi lascio, per sempre.
Adam.

Cathleen deglutì, sollevando lentamente il capo. Osservò eloquente il fratello, cercando una spiegazione a molte delle due parole. Passò la lettera alla madre, che lesse velocemente il contenuto. Irrigidì la mascella più e più volte, prima di riporre la lettera sul tavolino.
«Dunque è finita...» mormorò, osservando i figli.
«Voi sapevate dunque» commentò sorpreso Edward.
«Edward, caro, certo che sapevo...credi che tua madre sia forse sorda, o cieca? Posso non essere intelligente quanto voi, ma so esattamente cosa accade dentro casa mia»
«Bisogna mandare immediatamente una lettera a Barrington House» annunciò Cathleen, seria.
«L'ho già fatto, ho già avvisato nostro padre che avviserà a sua volta Sir Barrington»
«Molto bene. Ora andiamo a parlare con Mr Barrington, voglio che mi dica queste cose in faccia» annunciò la sorella, alzandosi.
«Cathleen...» la richiamò con calma Edward, asciugandosi la fronte «forse non hai letto bene la lettera»
«Certo che l'ho letta, ma Edward...»
«No, non hai letto bene Cathy» precisò il fratello fra i denti. Cathleen lo fissò interrogativa e riprese la lettera, rileggendo.
Aggrottò le sopracciglia, ed un presentimento lentamente si affacciò nel suo cuore. Senza figli, senza eredi...vi lascio, per sempre...
«Edward...prima che sia troppo tardi...»
«E' già troppo tardi, Cathy. Questa lettera è stata trovata in un'oppieria nei bassi fondi di Londra. Vicino c'era il corpo senza vita di Mr Barrington»
Cathleen tornò di scatto seduta, mentre sua madre si portava una mano alla bocca. Fissò la lettera, le ultime parole scritte da un essere umano. Aveva odiato profondamente Adam, aveva fatto cose terribili...eppure in quel momento non riusciva altro che provare pietà per un uomo che era nato e morto da solo, senza un amore sincero. Chi poteva biasimarlo per quella mancanza? Nessuno. Negli ultimi mesi aveva capito che l'amore era un sentimento complicato, a volte crudele.
Ripose la lettera nella tasca del mantello ed uscì dalle Upper Room, tornando a casa sotto la pioggia.




Per finire: bentornat*! La resa dei conti è arrivata in maniera inaspettata, Adam alla fine è un codardo, si era capito, anche se un po' di pena me la fa: chiunque crescerebbe così (o peggio) senza un minimo di affetto o di attenzione in famiglia. Tuttavia giustizia è stata fatta, almeno i Colborne non perderanno la casa. Cosa accadrà adesso? Lo scopriremo nel quindicesimo ed ultimo capitolo :) alla prossima!
  
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