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Autore: Blablia87    17/11/2017    5 recensioni
John Watson, ex medico militare, non ha mai utilizzato - benché gliene sia stato fornito uno come sostegno durante il periodo di riabilitazione a seguito di un ferimento in missione - un R'ent. 
Preferisce continuare a percepire la realtà attraverso i sensi, invece di riceverla sotto forma di impulsi elettrici.
John Watson non comprende come possano esistere persone, i Ritirati, che decidono di isolarsi in modo permanente dal mondo lasciando ai propri Sostituti il compito di unico filtro tra loro e l’esterno.
John Watson è convinto che, per lui, la guerra sia finita.
Fino a quando il R'ent di un Ritirato, Sherlock Holmes, non compare sulla porta del suo studio in cerca di aiuto.
[Sci-Fi!AU][Johnlock][“Android”!Sherlock]
Genere: Angst, Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ti sto mentendo se dico a te la stessa bugia che dico a me stesso?
(Robert Brault)


6.
(ovvero di libri e diffidenti confidenze)



Si irrigidì, contraendo le fasce muscolari sintetiche che avvolgevano la sua ossatura metallica. Quelle vicino alla ferita si tirarono con più fatica, riuscendoci solo in parte. Il nastro adesivo stretto intorno al tubo alimentazione principale, parzialmente sciolto per il calore generato nel ripetersi costante del ciclo vitale che lo sosteneva, si era fuso ai tessuti.
«Pensa, pensa, pensa!» si impose, continuando a mantenere lo sguardo sull’uomo seduto a pochi metri da lui.
Da quella distanza non sembrava mostrare ferite evidenti, ma la scarsa illuminazione poteva nascondere quelle più piccole. Punture, ad esempio, o lacerazioni dell’epidermide in prossimità di capelli e vestiti.
Allontanò con fatica lo sguardo dal profilo immobile del medico, compiendo una rapida analisi della stanza. Con un battito di ciglia allargò il campo visivo, dividendolo in griglie per aiutarsi ad analizzare ogni singola zona senza tralasciare nulla. I quadrati si spensero uno ad uno, scurendo le varie zone.
Quando ogni quadro dello schema si smorzò, Sherlock rilasciò i liquidi nel proprio sistema linfatico, permettendo al corpo di rilassarsi.
«Bene» sussurrò, iniziando a muoversi in direzione del tavolo.
Qualcosa, nella parte più lontana della sua BDM - quella legata indissolubilmente al Fingunt – registrò un leggero disagio, che tentò di ignorare.
Non era la prima volta che si trovava alla presenza di un cadavere, anzi, aveva scelto coscientemente anni prima – quando ancora non gli era stato assegnato un R’ent e la loro realizzazione era poco più che un progetto di spionaggio militare avanzato – di fare delle indagini per omicidio e, quindi, dei corpi che ne costituivano il fulcro iniziale, la propria vita.
Qualcosa però, nelle spoglie indurite di quel medico conosciuto appena, rendeva la sua matrice venata da un sentimento che non riusciva ad analizzare. Lo poteva sentire premere all’altezza del collo, trasformato dai circuiti superficiali in un lieve sollevamento della peluria sulla nuca.
Sbatté nuovamente gli occhi, azionando il rilevamento di calore. Alla sua sinistra la presa dalla quale si era liberato pochi minuti prima si accese di un rosso intenso, annegato in un mare di grigio striato di azzurro.
Nessun segno di energia, anche residua, provenne dal corpo del medico. Il R’ent aggrottò le sopracciglia, confuso. Non era certo di quanto tempo fosse trascorso dalla perdita di coscienza sino al risveglio, ma un simile livello di raffreddamento avrebbe dovuto coincidere con le prime fasi della decomposizione e, anche se in modo lieve, i suoi sensori avrebbero dovuto percepirla nell’aria. Invece, oltre al leggero profumo di pino silvestre e di cibo che gli solleticavano la gola, nessun altro odore lo aveva raggiunto.
Spense il misuratore e compì un altro passo in avanti, concentrandosi sulla porzione di volto del medico che riusciva a sfuggire all’ombra del suo stesso corpo proiettata su di lui.
L’occhio destro era spalancato, le ciglia lunghe e bionde che andavano sfumando nella semioscurità circostante. La bocca, di uno strano rosa carico, quasi rossastro, era leggermente socchiusa, così poco da non mostrare i denti sottostanti.
Sherlock assottigliò le palpebre, concentrandosi sulla pelle. Tesa, rosata e compatta, decisamente diversa da quella del medico che lo aveva soccorso. Riavvolse la memoria a breve termine e visionò l’ultimo file disponibile. Davanti ai suoi occhi opachi apparve l’immagine di John Watson, chino su di lui. Attorno alle labbra e sulla fronte si rincorrevano piccole rughe di espressione. Non erano marcate ma, quando l’uomo aveva sorriso, si erano raggruppate in un piccolo insieme armonico, ben lontano dalla cute che vedeva ora ricoprire gli zigomi della figura seduta di fronte a sé.
Con un ronzio violentò spalancò gli occhi, improvvisamente padrone dell’unica spiegazione plausibile alla luce degli elementi riscontrati.
Allungò una mano e l’appoggiò sulla testa del medico, dandole una leggera spinta in avanti. Lui si piegò verso il tavolo, raccogliendosi su se stesso fino a fermarsi con la fronte contro il ripiano di legno.
Il R’ent si curvò su di lui, sollevando con le dita il ciuffo di capelli chiari che ricadevano sulla collottola. Un piccolo sportellino di plastica rigida comparve tra le ciocche sparute, semiaperto e coperto da un leggero strato di polvere.
Sherlock guardò l’alloggiamento del cavo di ricarica e poi quest’ultimo, ancora inserito nell’apposita presa a muro.
Istintivamente, ripetendo una gestualità compiuta a chilometri di distanza, alzò l’angolo della bocca in un sorriso compiaciuto, rilassandosi.
«È sveglio, vedo.» Una voce maschile, proveniente dal corridoio, lo fece voltare di scatto. Tornò velocemente in posizione eretta, sollevando il mento con fare distaccato.
«Lei ha un R’ent» si limitò a rispondere in direzione del medico, comparso nello specchio della porta con tra le mani una tazza fumante di tè.
«Osservazione banale, per una persona in grado di farne di ben più strabilianti» rise lui, inclinando il capo da un lato. «Ad ogni modo, sì. Mi dichiaro colpevole.»
Sherlock aggrottò la fronte, imitando con la testa la postura dell’altro. «Non mi capita spesso di dirlo, ma… non credo di riuscire a capire» esternò, sollevando un sopracciglio. «È un ottimo modello, curato in ogni particolare. Ma l’alloggiamento per la ricarica e polverosa, ed i vestiti iniziano ad essere attaccati dalla muffa.»
«Uso raramente la cucina.» John alzò le spalle, con fare noncurante. «E ancor meno uso il mio R’ent.»
«Posso chiederne il motivo?» Sherlock si portò le braccia dietro la schiena, avvicinandosi all’altro. «Credo che il suo sia un caso raro.»
«Forse non amo che qualcuno faccia scelte al posto mio» commentò il medico, portandosi la tazza alle labbra.
«I R’ent non svolgono scelte autonome» ribatté Sherlock.
«Non stavo parlando di lui, infatti» sorrise John, facendo cenno all’altro di seguirlo fuori dalla stanza.
«Quando mi hanno congedato, e ho visto il livello del R’ent che mi era stato attribuito per la fase di riabilitazione, ho capito che avevano già deciso che non sarei più uscito di casa.» Aspettò che Sherlock lo affiancasse. Poi, con passo lento, iniziò a dirigersi verso la camera in fondo al corridoio. «Un modello all’avanguardia, praticamente perfetto. Il sogno di ogni londinese della middle class.» Rise e, per un attimo, Sherlock rimase affascinato dalla comparsa delle rughe attorno agli occhi del medico. Era raro incontrare per strada qualcuno, al di sopra dei trentacinque anni, sprovvisto di un Sostituto. «Io non riuscivo a vedere nessuna delle meraviglie che andavano decantandomi. Mi sembrava solo che portasse stretto al collo un enorme cartello con su scritto “Ritirato”.»
«Solo una piccola percentuale di Fingunt decide di compiere Il Ritiro» contestò Sherlock, con voce atona. «Altamente improbabile, quindi.»
«E quanti, di quella percentuale, sono ex militari?» gli domandò John, attendendo pazientemente che l’altro compisse una ricerca on line sull’informazione richiesta.
«Oh» esalò il R’ent, quando i dati comparvero davanti alla sua retina sintetica.
«Già» annuì John, svoltando a sinistra ed entrando con il surrogato in un ampio salotto dai colori chiari. «Amputati, claudicanti, infermi… Chi baratterebbe la propria realtà con la possibilità di correre ancora una volta libero?»
«Lei lo ha fatto» disse Sherlock, allontanando lo sguardo dall’altro per farlo correre lungo la parete alla propria destra, occupata per intero da un’imponente libreria ingombra di volumi.
«Vero» confermò John, lasciandosi cadere sulla poltrona in tessuto bianco posta di fronte alla biblioteca. «Ma la mia zoppia, in parte psicosomatica, è una condizione meno grave di tante altre. È stata una scelta facile.»
«Non riesco comunque a capire» ammise nuovamente il R’ent.
«Da quanto tempo non esce con il suo corpo? Che non sente davvero un odore, o un dolore?» domandò John con voce morbida, terminando di bere il tè e appoggiando la tazza sull’ampio bracciolo della seduta.
Sherlock si bloccò, compiendo una veloce analisi.
«Tre anni, sette mesi e venti giorni» rispose dopo qualche secondo, avvicinandosi alla libreria.
John socchiuse le labbra, sorpreso.
«Dopo il secondo anno…» iniziò, venendo interrotto da un gesto della mano dell’altro.
«Dopo il ventiquattresimo mese si viene registrati come Ritirati. Lo so. Ad ogni modo, nel mio caso, allontanarmi dall’insulsa massa caotica che abita questa città non è stato un gran sacrificio, mi creda.»
«Potrei chiedere cosa l’ha spinta ad una decisione simile?» domandò John, osservando le dita dell’altro muoversi veloci lungo gli scaffali.
«Ed io posso chiederle cosa l’ha spinta ad ospitare un perfetto estraneo in casa sua?» ribatté Sherlock.
«Per prima cosa ho ospitato il R’ent di un estraneo in casa. Quindi un soggetto programmato per non nuocermi in nessun modo.»
«Alla luce di quanto ho visto ultimamente, questa affermazione risulta altamente opinabile, mi creda» ribatté l’altro, a fior di labbra.
«Secondo poi – continuò John, non dando segno di averlo sentito – sono un medico, ed ho il dovere di soccorrere i miei pazienti. La clinica non è attrezzata per accogliere i R’ent, ed anche quelli che ci lavorano devono compiere il proprio ciclo di ricarica presso il loro Punto di Ripristino, quindi… Il mio turno era quasi terminato, ed ho pensato che al mio Sostituto non sarebbe dispiaciuto che qualcuno utilizzasse il suo cavo di alimentazione per un paio d’ore.»
Sherlock rimase in silenzio per qualche secondo, continuando a dare le spalle all’altro.
«D’accordo» gli accordò poco dopo, impettendosi e socchiudendo gli occhi. «La risposta alla sua domanda è semplice e, forse, deludente: noia» esternò, i polpastrelli a danzare da una costola all’altra dei volumi esposti. «Mi ha spinto la noia. E una piccola fetta di necessità.»
«Necessità?» ripeté il medico, con tono interessato.
«Certo, necessità» ribadì il R’ent, voltandosi verso l’altro con un sorriso enigmatico. «Ai fini di catturare il numero maggiore di malviventi possibile è più vantaggioso - a livello di dispendio di energie e, chiaramente, di incolumità personale – utilizzare un R’ent.»
«Catturare i malviventi?» John sgranò gli occhi, sollevando le sopracciglia. «Cos’è, un poliziotto in pensione?»
«Affatto. Sono quanto di più lontano dall’incompetenza della polizia possa esistere» affermò Sherlock, con voce decisa.
«Ovvero…?» lo incalzò l’altro.
 
«Ovvero un consulente investigativo. L’unico al mondo, per essere precisi. Ho inventato io il lavoro» spiegò lui, ammiccando con un movimento lento accompagnato da un leggero fruscio metallico.





Angolo dell’autrice:

Ancora una volta dovrò essere rapidissima in questo spazio, vi chiedo scusa.
Sono reduce da due giorni estenuanti e, all’orizzonte, se ne prospettano altrettanti.

Con il rischio concreto di non riuscire ad entrare sul sito per tutto il week end, ho intimato a me stessa di aggiornare questa sera.
Sono contenta di esserci riuscita. ^_^

Come sempre e di cuore, ringrazio chiunque abbia letto fin qui. 

A presto,
B.
   
 
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