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Autore: ghost_queen99    17/11/2017    0 recensioni
Mi mancava.
Mi mancava dannatamente lui, la nostra amicizia, le nostre avventure, i cadaveri, le ricerche interminabili, l'adrenalina che ci prendeva quando lavoravamo ad un caso.
Mi mancava.
E non potevo riaverlo indietro.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jim Moriarty, John Watson, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi svegliai, mi misi a sedere nel letto, appoggiai i piedi nudi sulla superficie fredda del pavimento e mi alzai. Mi affacciai alla finestra per osservare il paesaggio tipico inglese: cielo grigio arricchito con nuvole e una pioggerellina che bagnava le strade. Esse pullulavano di automobili e persone a piedi o in bicicletta, gli adulti andavano a lavorare mentre i figli si affrettavano a raggiungere la scuola. Un gruppetto di ragazzi sostò proprio al di sotto della mia finestra. Ridevano, scherzavano. Tutta la città andava avanti, mentre io, John Watson, ero chiuso in casa a rimuginare sul passato, ubriaco e depresso. Stavo uno schifo, a maggior ragione dopo il sogno che feci quella notte. Sherlock ed io eravamo in cima ad un edificio e all'improvviso mi ritrovai catapultato indietro nel tempo a due anni fa. Il mio amico era sul bordo del tetto, le spalle rivolte alla strada e gli occhi fissi su di me. Subito si lasciò cadere e fu come se anche io cadessi insieme a lui. Mi svegliai di soprassalto, ed eccomi lì a contemplare la vita che andava avanti, mentre io rimanevo prigioniero del dolore e dei ricordi.

Un suono insistente mi martellava il cervello, riportandomi alla realtà. Il telefono stava squillando. Raggiunsi il comodino sopra il quale stava il cellulare e risposi. Era la signora Hudson:-John caro, come stai? So che non è una bella domanda, dato tutto ciò...non sto bene completamente nemmeno io. Ma...-
-Non si preoccupi, va meglio- risposi, abbozzando un timido sorriso.
-John, desidero che tu venga qui. C'è...- spiegò, ma io la interruppi immediatamente.
-No- Mi accorsi di aver usato un tono troppo duro nei suoi confronti, perché la voce dall'altro capo del telefono tremò. -John caro...so che è estremamente difficile ma vorrei che tu venga qui. Capisco che sia decisamente troppo quello che ti sto chiedendo, ma un signore vuole parlarti. Ha detto che è urgente. Ascolta, non ti chiederò altro che parlare con lui nella mia cucina.-
-Se vuole parlarmi, può farlo adesso tramite telefono.- risposi seccato. La signora Hudson sembrava però implorare in ginocchio, così acconsentii. -Arrivo subito, mi dia il tempo per vestirmi e sarò da lei.-

Dopo essermi vestito, aprii il cassetto del comodino ed estrassi la pistola. La osservai: era scura, fredda, bramosa della voglia di essere riutilizzata dopo tanto tempo. Magari quel signore mi proponeva un caso pericoloso, la pistola mi avrebbe fatto comodo. Mi morsi il labbro inferiore, esitando per un momento. Feci un respiro profondo ed uscii sotto la pioggia. Presi un taxi, ricordando con amarezza la prima volta che salii con Sherlock Holmes su uno di quelli. Quella volta riuscì a capire che mia sorella era un'alcolizzata solamente guardando il mio cellulare. Rimasi stupito dalla sua incredibile capacità deduttiva. Era uno stronzo arrogante e sociopatico, certo, ma era l'uomo più brillante che io avessi mai conosciuto. Anche se non lo riusciva a dimostrare a dovere, era una persona dal cuore d'oro e voleva bene alle persone a lui più vicine. Ricordai quando disse che non aveva amici, ma solamente uno: me. Non riuscii a trattenere le lacrime. -Signore- venni scosso dal colpo di tosse del tassista. -è giunto a destinazione.-
Guardai fuori dal finestrino rigato di gocce come il mio viso lo era di lacrime.
-Baker Street, è corretto?- mi interpellò il conducente. -Giusto, grazie.- confermai.
Dopo averlo pagato, scesi e mi fermai davanti alla porta, dove mi fermai per qualche minuto. Era ancora intatta, il 221b scintillante come sempre. Feci un respiro profondo e mi decisi ad entrare. Vidi un'ombra in cima alle scale, aveva un cappotto e sembrava indossare un berretto. -Sherlock...Sherlock, sei tu?- lo chiamai. Poi vidi meglio e scoprii che si trattava solo di un appendiabiti.
-John!- la signora Hudson mi accolse a braccia aperte. -Che meraviglia vederti di nuovo dopo tanto tempo.-
-Signora Hudson...anch'io ne sono lieto- replicai con un sorriso.

-Il signore che vuole parlarti sarà qui a momenti. Se gradisci una tazza di tè o qualcosa da mangiare mentre aspettiamo sai dove trovarmi!- mi offrì gentilmente.
-No, grazie. E' molto gentile da parte sua ma voglio andare di sopra. Voglio vederlo, l'appartamento.- dissi alzando per un attimo lo sguardo.
-Oh...certo. Ti aspettiamo, fa con comodo.- mi rispose lei.
La signora Hudson scomparve dietro la porta del suo appartamento ; nel frattempo appoggiai il piede sul primo scalino. I ricordi iniziarono a sopraffarmi. Con incredibile lentezza, salii gli scalini fino ad aprire la porta di quello che prima era il nostro appartamento. Era rimasto tale e quale al giorno in cui è morto Sherlock Holmes; o meglio, in cui si è suicidato. Ancora stentavo a credere che il mio migliore amico abbia compiuto quel gesto orribile. Non l'avrebbe mai fatto. “Forse” pensai “non aveva sopportato il disonore? Aveva ceduto ai giochetti di Moriarty?” Mi sedetti sulla mia poltrona ed esaminai l'arredamento: di fronte a me la poltrona vuota sopra la quale il detective migliore al mondo pensava, alla mia sinistra il camino ormai spento da anni, il teschio sotto il quale gli nascondevo le sigarette per cercare di tenere a freno quel suo malsano vizio, il cranio con le cuffie sembrava vigilare furtivo. Il pavimento era coperto da uno strato di polvere il quale si vedeva danzare attraverso lo stretto fascio di luce che penetrava dalla finestra. I miei occhi si spostarono sulla parete a motivi bianchi e neri con la faccina gialla e sorridente rovinata dai colpi di pistola di Sherlock. Risi al ricordo di quella vicenda, si stava annoiando...
Ben presto le lacrime si trasformarono in singhiozzi ininterrotti.
Mi mancava.
Mi mancava dannatamente lui, la nostra amicizia, le nostre avventure, i cadaveri, le ricerche interminabili, l'adrenalina che ci prendeva quando lavoravamo ad un caso.
Mi mancava.
E non potevo riaverlo indietro.
Non osai nemmeno guardare in cucina, dove ero sicuro che fossero rimaste tutte le cianfrusaglie che usava: tutte le provette, le ampolle, il microscopio...tutte rimaste tali e quali a come le aveva lasciate Sherlock.
Mi mancava, e non potevo riaverlo indietro. -Ascoltami, idiota. Torna indietro, ti prego Sherlock!- gridai, le lacrime agli occhi e il volto affondato nel cuscino. Non potevo tornare indietro, non potevo vivere felice senza di lui. Lui, Sherlock Holmes, mi aveva cambiato la vita. Quando tornai a Londra, dopo aver terminato il servizio militare in Afghanistan, dovevo cercare un appartamento e vivere il mio rientro in società in modo monotono. E invece ecco che incontro lui ed improvvisamente trovai uno scopo e un amico. Mycroft aveva ragione, accettai di aiutare suo fratello perché avevo nostalgia della guerra. E ora che scopo mi era rimasto? Nulla, solamente tirare avanti giorno dopo giorno nella solitudine più completa. Il mio migliore amico era morto, e non poteva tornare indietro.
Estrassi con mano tremante la pistola e l'adagiai alla tempia. Era fredda. In bocca avevo il sapore salato delle lacrime e quello ferroso del mio sangue che nel giro di qualche istante avrebbe cosparso il pavimento.
*
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Il taxi viaggiava per le vie della Londra trafficata ed un uomo dai capelli lunghi e la barba un po' cresciuta, i vestiti sciatti e larghi, era assopito sul sedile posteriore. Una brusca frenata lo fece svegliare. Socchiuse gli occhi e ne rivelò un'iride di un colore azzurro intenso. Parevano occhi di ghiaccio.
-Baker Street. E' corretto?- chiese il conducente. “Oh sì, grazie!” rispose l'uomo misterioso, accompagnando un sorrisetto stampato sul viso. Scese dal taxi e bussò alla porta. La signora Hudson accorse all'entrata ed accolse l'uomo barbuto:-Prego, si accomodi. Il dottor Watson è andato un attimo di sopra. Intanto che aspetta si accomodi pure in cucina. Gradisce per caso una tazza di tè?-
-Oh sì, grazie mille. Gentilissima, come sempre...- rispose l'ospite, sogghignando.
-Come...sempre? Ci conosciamo per caso?- domandò perplessa la signora Hudson, mentre prendeva in mano la teiera e la posizionava sul fornello. Accese il fuoco e prese una tazza in porcellana per il signore. Si girò e cacciò un urlo, facendo cadere la tazza. L'ospite, dotato di riflessi eccezionali, riuscì a prenderla prima che si frantumasse. -Direi di sì, signora Hudson!- confermò l'uomo, che nel frattempo si era tolto la barba finta e la parrucca, rivelando un viso affilato e serio.
-S...Sherlock- la signora Hudson era diventata bianca come un lenzuolo, come se avesse visto un fantasma. Il suo volto era un centrifugato di emozioni: sorpresa, felicità, rabbia. -Oh cielo...- proseguì, con le lacrime agli occhi. Ora il suo tono aveva assunto una nota più severa, come una madre che rimproverava il proprio figlio per non aver avvisato che era arrivato a casa:-Come hai osato startene zitto e non avvisarci per tutto questo tempo? Sai quanto ci hai fatto soffrire? Lo sai, vero? Oh, vieni qui e fatti abbracciare...sei impossibile Sherlock caro.- Dopo l'abbraccio, la signora Hudson piangeva più di prima.
-Non sa quanto mi è mancata. Oh, andiamo, la smetta di piangere. Non è felice di rivedermi?- replicò Sherlock. -Ma certo che sono felice, caro. E senza dubbio lo sarà anche John. E' andato un attimo nel vostro appartamento, dovrebbe scendere tra...- Non fece in tempo a terminare la frase che un colpo rimbombò per tutta la stanza, smorzando l'atmosfera gioiosa che si era creata. Il gelo che solo uno sparo poteva creare penetrò nella cucina. Il signor Holmes e la signora Hudson sollevarono lo sguardo, il colpo era venuto da sopra. -John ha portato una pistola?- domandò Sherlock, rompendo il silenzio. Corrugò la fronte mentre la signora Hudson cominciò ad agitarsi e portò la mano sulla bocca. -Ma no..non avrebbe avuto alcun motivo per portarla.-
-Forse sì, forse credeva che...l'ospite fosse venuto qui per presentargli un caso pericoloso e che quindi si sarebbe sentito più al sicuro portando con sé un'arma. Qualcuno avrà fatto irruzione e John si sarà difeso. Lo conosco fin troppo bene, lui sa come difendersi.- teorizzò il detective.
La signora Hudson nel frattempo si era affrettata a salire le scale, poi spalancò la porta dell'appartamento.
-Signora Hudson! Mi aspetti, non dire a John che sono qui, voglio fargli una sorp..- Sherlock arrivò appena in tempo per prendere tra le braccia la signora Hudson. Era svenuta. -Signora Hudson, che le prende?- Il consulente investigativo guardò l'appartamento: una sagoma giaceva per terra, la faccia rivolta verso il pavimento e una pozza scura attorno al corpo morto. I brividi percorsero la sua schiena. -John..?- chiamò con voce tremante. Nessuna risposta. Se quello era l'uomo che aveva fatto irruzione, dov'era John?
La signora Hudson riprese i sensi, ma il suo volto era la reincarnazione del dolore. Stava tremando, scossa da singhiozzi ininterrotti. -Non guardare Sherlock- disse, afferrando il braccio di lui. -Vai via, non guardare, ti prego...- la sua voce era flebile. Ora Sherlock era diventato alquanto preoccupato e un terribile sentimento cominciò a far tremare il suo palazzo mentale. Si alzò lentamente e si diresse vero l'interruttore. -Sherlock, no!- la signora Hudson tentò disperatamente di fermarlo, invano. Sherlock accese la luce e si ritrovò davanti uno spettacolo raccapricciante. Le finestre del suo palazzo mentale si frantumarono, il pavimento cominciò a sciogliersi. Sherlock fece un passo, ma le ginocchia cedettero e sprofondò a terra. Il suo sguardo era fisso sul corpo morto: era John Watson.. Il sangue sgorgava dalla ferita inferta dal proiettile e circondava il corpo del suo amico. Sherlock era sotto shock, aveva la lingua immobilizzata, gli occhi sbarrati fissi su John, privo di vita. Nelle camere della sua mente risuonava la voce di Moriarty:”Avanti, esamina il corpo, Sherlock Holmes. Esamina il corpo del tuo amico morto.” Sherlock aveva perso la facoltà di reagire. Non riusciva a liberarsi dalla voce di Moriarty. “E' colpa tua, Sherlock Holmes.” Se si girava per distogliere lo sguardo dal corpo di John, ecco che compariva nuovamente a tormentarlo.
“L'hai ucciso tu, Sherlock Holmes”
“No, ti sbagli, si è suicidato. Non l'ho ucciso io, non potevo prevederlo” rispondeva nel suo palazzo.
“Oh no no no, sei stato tu Sherlock Holmes. Un suicida ha sempre un motivo per commettere un tale gesto.” La voce di Jim Moriarty continuava a percuotere le porte nel suo palazzo mentale.
“E' colpa tua, solo tua, è colpa solo tua....assassino!” Ora la voce di Sherlock si sovrapponeva a quella del professore Moriarty. Chiuse gli occhi e, quando li riaprì, lacrime di dolore e rabbia gli sgorgarono come cascate. Si trascinò carponi per raggiungere il suo amico senza vita, poi lo abbracciò, sporcandosi con il suo sangue. Il suo pianto si mescolò con il suo grido. Urlò invocando il nome di John per qualche minuto, scusandosi con lui.

La signora Hudson, che stava assistendo alla scena, mai aveva visto Sherlock in quelle condizioni; sembrava un'altra persona, mai aveva pianto così.
Si voltò verso la signora Hudson tenendo il corpo freddo di John stretto a sé, e la guardò con gli occhi lucidi, il volto distrutto dal dolore.
“Fa male” disse “Fa...dannatamente male.”
“Driin, la campanella suona. Sherlock Holmes impara cosa sono i sentimenti.” Moriarty non gli dava pace nella sua mente.
“Basta!” gridò Holmes, tenendosi la testa tra le mani.
“E così il caro e vecchio Sherlock Holmes prova qualcosa e piange...ma che fantastica novità! Allora sei umano!” Moriarty si era materializzato nel salotto e si era fermato vicino a John. “Guardalo, Sherlock! Guarda!” lo minacciò, strabuzzando gli occhi. Sherlock insisteva a tenere gli occhi chiusi e gridava, mentre Moriarty continuava ad incitarlo a guardare:”Guardalo! Ora! Guarda che cosa hai fatto al tuo unico amico. L'hai fatto soffrire e poi l'hai portato alla morte!”
​“Questo non è vero” proseguiva l'altro.

“Se lo credi davvero, guarda. Guarda!” la voce era ora la sua. Moriarty si avvicinò a Sherlock in modo minaccioso e gli aprì gli occhi, costringendolo a guardare ancora una volta il cadavere di John. “Cosa ne deduci?” il volto di Moriarty si era sciolto e sostituito con quello di Sherlock stesso. Gli occhi, però, non erano azzurri ma iniettati di sangue. Era un mostro. E ciò lo faceva stare dannatamente da schifo. Se solo lo avesse avvisato...avrebbe evitato tutto questo. Lo doveva proteggere, tuttavia aveva fallito. Ritornò alla realtà e si ritrovò ancora con le braccia che cingevano il corpo privo di vita di John Watson.

Faceva male, provare delle emozioni.
Lui voleva bene a John, era il suo unico amico, e lo aveva perso per sempre.

   
 
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