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Autore: NicolaAlberti    18/11/2017    0 recensioni
Prima parte cap. 1-10 "PURGATORIO" - Seconda parte cap. 12 - 21 "INFERNO"
Una storia d’amore impossibile immersa in un’ambientazione surreale dai tratti cyberpunk e dai richiami danteschi. Una minaccia robotica che spinge il protagonista alla paranoia e alla fuga tra i meandri di una labirintica e utopica costruzione babelica che ha sostituito l’antica città di Parigi. La ricerca della verità tra le intricate illusioni di una nuova era tecnologica che ha stravolto il mondo, mentre qualcosa di oscuro e insondabile, un dubbio perenne nella mente del protagonista, continuerà a modificare la sua percezione del reale, costringendolo ad esplorare il dedalo della propria coscienza.
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il passaggio fu notevolmente diverso questa volta. Fu semplice, istantaneo. Ero ancora lo stesso di prima ed ero ancora nell'Ade. Non sentivo alcuna differenza rispetto alla normale sensazione che si prova nell'attraversare una comune porta che dà su un'altra stanza. Forse era una prova psicologica, una sorta di prova di coraggio? Qualcuno o qualcosa voleva vedere se ero in grado di abbandonarmi ciecamente al mio destino, per l'ennesima volta? Pensai che ogni maledetto passo che compievo non fosse nient'altro che questo: un salto nel buio e nell'ignoto. Sì, una prova di coraggio: un coraggio che tuttavia sapevo di non avere. Quindi cos'era a spingermi? Era forse l'amore per Amal? Era l'ineluttabilità  di ogni tappa? Anche i bivi e le scelte che mi erano state presentate di fronte finora, in realtà , si sono sempre rivelate essere una pista a senso unico. Non muovevo il mio destino seguendo delle scelte. Semplicemente mi trovavo di fronte a delle uniche possibilità. No... non era sicuramente coraggio. Facevo quello che facevo perché non avevo mai avuto altra scelta. Tutto il mio viaggio finora era stato come l'intreccio di una storia o di un film. Ero completamente immerso, con tutti i miei sensi, in questa trama, e mi muovevo seguendo delle direzioni che era già state decise dall'esterno. Tutte le volte che avevo avuto l'impressione di una scelta, in realtà, ero stato posto di fronte all'illusione di una scelta, l'impressione di una fuga: una finta libertà. Eppure ero ancora qui. Con lo stesso scopo dell'inizio del mio viaggio: rivedere Amal, e anche se ora il suo amore era divenuto odio e disprezzo, non mi importava. Mi sarebbe bastato vederla un'ultima volta e avrei compreso... e poi? Poi basta. Ciò che sarebbe successo dopo non avevo ne la volontà  ne la forza di pensarlo.

 

Di fronte a me, alla distanza di una centinaia di metri, c'era un apertura quadrangolare che si affacciava sul buio. Tra me e la porta c'era una stanza molto alta, ma piuttosto stretta, illuminata da un'intensa luce bianca. Ebbi l'impressione di essere osservato. Pensai che ci dovessero essere per forza delle telecamere nascoste in diversi punti della stanza, posizionate al solo scopo di spiarmi. Dai muri laterali partivano innumerevoli fasci di luce rossa, dei laser, che saettavano in ogni direzione, ma che si muovevano sempre all'interno del limite di spazio che mi separava dalla buia apertura che vedevo in fondo alla stanza. Osservai la scena per un po', chiedendomi cosa fossero e quale effetto avrebbero avuto se mi avessero intercettato. Era impossibile passare dall'altro lato senza toccarli. Appena di fronte a me vidi un alto archivolto, sopra il quale c'era una specie di terrazza. La struttura sembrava delimitare uno spazio iniziale che i laser non potevano attraversare.

 

Esaminai la sala spostandomi dal lato sinistro a quello destro. Mi abbassai per controllare se si riuscivano ad intravedere dei punti vuoti che mi avrebbero permesso di passare: non c'erano. Mi posizionai appena al di sotto dell'arco, facendo molta attenzione a non oltrepassare il limite che mi avrebbe inevitabilmente esposto ai raggi. Non c'erano scale e non c'era modo di salire sulla terrazza. La stanza era immersa in un silenzio surreale, come se l'intera zona fosse totalmente e innaturalmente insonorizzata. Fui sorpreso quando mi accorsi che non riuscivo a sentire nemmeno il rumore del mio respiro. Poi riflettei sul fatto che il respiro è un'abitudine di chi è materiale e vivo, e che in realtà, in questo mondo simulato, non avevo mai veramente respirato perché non era necessario. Qualcosa si stava smuovendo dentro di me: una nuova risposta stava per saltare fuori dalle mie memorie pregresse. Era come se i ricordi sopraggiungessero grazie a improvvisi input, solamente in certe occasioni, e di fronte ad alcuni avvenimenti. Non ero ancora in grado di svincolarmi dal presente: se in un momento mi era perfettamente chiaro di trovarmi all'interno di un'illusione nel momento successivo potevo rischiare di perdermi nei ragionamenti, sprofondando nuovamente nell'oblio di un'amara realtà. Purtroppo, ogni filo del pensiero, ogni ragionamento nella mia mente suonava estremamente convincente. Eppure, consciamente o meno, fino a d'ora, ero riuscito a comprendere qualcosa, non ero sicuramente fermo al punto di partenza, riuscivo quantomeno a sguazzare e tenermi a galla nel mare di questa immensa assurdità  in cui ero immerso.

 

Feci fisicamente un passo indietro e analizzai la conformazione dell'arco che mi stava davanti. C'erano numerose sporgenze che mi avrebbero permesso di scalarla se fossi stato abbastanza abile come rocciatore. Il punto più sicuro mi sembrò essere il piatto dell'abaco delle colonne laterali che sostenevano le basi dell'arco. Purtroppo era a circa tre metri e mezzo d'altezza. Normalmente non sarei mai riuscito a raggiungere quella sporgenza con un salto e non avrei avuto la forza sufficiente per sollevarmi da quella posizione.

 

Feci un goffo tentativo lanciandomi verso l'alto che confermò le mie aspettative. Ma mi accorsi, con estrema sorpresa, di come la mia discesa fosse innaturalmente lenta. Ebbi l'impressione che il luogo fosse soggetto ad un abbassamento della forza gravitazionale. Mi resi conto che, all'interno di una realtà in cui tutto era potenzialmente possibile, la fonte del problema era solamente l'aspettativa: non dovevo aspettarmi di fallire, questo era ciò che aveva cercato di spiegarmi Amal!

 

Riprovai slanciandomi e cercando di rimanere in aria il più possibile. Mi trovai a spingermi verso l'alto con facilità  e quasi volai, eseguendo dei semplici tocchi con i piedi e con le mani, come se quei brevi contatti con la colonna fossero sufficienti a darmi una contro-spinta abbastanza forte da permettermi di mantenermi in aria. Il mio obiettivo era quello di raggiungere l'abaco, ma, quasi senza accorgermene, avevo raggiunto la terrazza che stava sopra l'arco, con tre semplici spinte. Fu così facile che mi sorpresi di non averci pensato prima. Mi parve un movimento naturale.

 

"Ma sììì, che stupido, daii... è così che si vola!", pensai tra me e me. Ero completamente sicuro che avrei potuto fare la stessa cosa scalciando l'aria.

 

Saltai da una parte all'altra della terrazza per testare l'acquisizione di questa mia nuova abilità e mi accorsi che funzionava. Muovevo le gambe in aria come se stessi camminando o nuotando, in maniera abbastanza simile a quella utilizzata dagli atleti che effettuano il salto in lungo, ma con un movimento molto più lento. Mi resi conto però che non riuscivo a rimanere in aria troppo a lungo: avevo bisogno di pratica e, soprattutto, di un lungo slancio. Mi domandai, poi, se sarei riuscito a passare quella lunga fascia di laser semplicemente scavalcandoli in questa maniera. Dentro di me lo avevo quasi dato per scontato: sì, era possibile!

 

Osservai attentamente il pattern seguito dalle luci in mezzo alla stanza e mi resi conto che, per lo più, i fasci laser coprivano la base del terreno, fino a circa tre metri da terra. Solo raramente, qualcuno di questi fasci piegava lentamente verso l'alto, colpendo il soffitto, ma la cosa accadeva sporadicamente e mi sembrarono facilmente evitabili. Pensai che il problema non sarebbe stato tanto quello di evitare i laser che finivano per coprire la zona più alta, quanto il fatto stesso di volare fino all'apertura! Come potevo raccogliere abbastanza spinta?

 

Mi venne un'idea. Mi lasciai cadere giù dalla terrazza dallo stesso lato da dove l'avevo scalata. Planai piuttosto dolcemente e atterrai quasi senza rumore. Avrei usato lo stesso slancio che in precedenza avevo sfruttato per saltare sulla terrazza e, questa volta, avrei provato a salire il più possibile verso il soffitto. Da lì avrei proseguito con un percorso parabolico rallentando la caduta con la tecnica che avevo appena imparato. Sembrava plausibile, soprattutto in una realtà nella quale le regole sembravano più facilmente plasmabili. Non ci pensai più di tanto e non ebbi paura, finché non mi trovai in volo.

 

Presi tutto lo spazio di rincorsa possibile, ancora una volta tre tocchi: mano, piede mano. Questa volta però continuai, deviando leggermente in avanti, verso il parapetto della terrazza, e cercando un'ultima e sicura spinta con la punta del piede destro su di esso. Venni proiettato verso l'alto raggiungendo quasi il soffitto. Pensai di aiutarmi con le mani, ma ebbi il timore che facendo così avrei deviato la traiettoria a causa di una contro-spinta involontaria. Appena cominciai a scendere lentamente in direzione del portale mossi le gambe camminando nell'aria: stava funzionando!

 

Vidi un fascio rosso passarmi a circa un metro sulla destra. Dal momento che non costituiva un pericolo lo ignorai e continuai a concentrare la mia attenzione nell'atto di mantenermi in volo.

 

Il percorso era ancora molto lungo, ma scendevo con un ritmo molto lento. Stimai che sarei arrivato davanti al passaggio con un altezza abbondante. Vidi altri due fasci laser che mi costrinsero a delle micro-variazioni di traiettoria; lo feci semplicemente spostando il baricentro leggermente di lato, giusto per essere sicuro di tenermene lontano. Ero a poco più di metà  stanza e galleggiavo abbondantemente al di sopra di quella serie di trappole, delle quali ignoravo l'effetto, quando vidi comparire un improvviso fascio laser proprio davanti al mio percorso. Balenò diretto verso di me con una velocità  più alta di quanto mi aspettassi e non potei fare altro che deviare la mia direzione scartando lateralmente. In quel momento, per un istante, fermai la corsa a mezz'aria e fui costretto a riprenderla aggirando il fascio di luce. L'operazione mi costò una perdita di velocità che non avevo previsto. Riuscii a proseguire, ma stavo perdendo quota molto velocemente e non percorrevo più la stessa quantità di strada in paragone ai passi: sarei caduto in mezzo ai laser a qualche metro prima dell'arrivo!

 

Cercai disperatamente di scalciare recuperando aria, il movimento non sembrò avere l'effetto sperato: non faceva nient'altro che consumare le mie energie e aumentare il mio stato di panico. Un altro fascio passò diagonalmente da sinistra costringendomi ad abbassarmi e perdere altra quota. Presto avrei scoperto l'effetto di quei raggi; ormai si trattava solo di guadagnare qualche manciata di inutili secondi! I laser saettavano furiosamente a pochi centimetri dalla pianta dei miei piedi.

 

Chiusi gli occhi e caddi.

 

Ero a circa dieci metri di distanza dall'apertura e nel cadere mi coprii istintivamente il viso con le braccia.

 

Quando li riaprii un secondo dopo, non era ancora successo niente. Non erano assolutamente gli strumenti di morte che mi ero immaginato e non suonò nessun allarme, come ci si sarebbe potuto aspettare in alternativa. Vedevo l'apertura di fronte a me, mentre i raggi scorrevano incrociandosi tutt'intorno alla mia figura.

 

Avevo aperto gli occhi, ma avevo mantenuto le braccia di fronte al mio viso, per quanto potessi ricordare. Con mia sorpresa fui costretto a chiedermi dove fossero finite le mia braccia! Cercai il resto del mio corpo e mi accorsi che non c'era: ero completamente immateriale!

 

Era forse stato l'inconscio desiderio di sparire che già  in precedenza mi aveva salvato dalla carneficina dell'hangar? Non mi ero assolutamente reso conto di aver, per così dire, cambiato stato. D'altronde, dal momento in cui mi ero teletrasportato in questa stanza, era stato solo in questo preciso istante che mi ero effettivamente posto il problema della mia materialità. E se mi fossi già  trovato in quella condizione sin dall'inizio? Potevo essermi forse immaginato di afferrare l'orlo dell'abaco con una mano o di spingermi con l'ausilio di piedi che non c'erano?

 

Mi resi conto di come, in momenti diversi, mutasse la focalizzazione delle mie percezioni, restituendomi un feedback spesso parziale. Questo limitato processo di ricezione delle informazioni percettive, sembrava essere così naturale, che nella mia mente non mi ero posto alcuna domanda al riguardo. Almeno fino a questo preciso momento in cui vi avevo posto diretta attenzione.

 

Camminai cautamente in avanti dirigendomi verso il buco e notai che c'era una sorta di sfasamento nell'aria, più o meno come quando ci sono delle onde di calore distanti che danno un effetto di sfocatura. Feci ancora qualche passo e sollevai le mani. Vidi distintamente muoversi qualcosa di fronte a me, qualcosa di fluido, ma traslucido: mi resi conto di non essere immateriale, bensì trasparente!

 

"E se stessi gradualmente riacquistando forma?", mi domandai con un certo timore.

 

Mossi rapidamente, ma con cautela, gli ultimi passi verso l'apertura paventando di apparire improvvisamente nel bel mezzo dei fasci di luce.

 

Mi lasciai alle spalle i laser e la stanza inoltrandomi nelle tenebre del passaggio che mi stava di fronte.

 

Come attraversai l'apertura, una luce simile alle antiquate lampade al neon lampeggiò dai lati, a intervalli irregolari, illuminando fiocamente quello che sembrava essere uno stretto e umido corridoio. Questo terminava bruscamente contro un altro condotto perpendicolare al primo. Le due direzioni del bivio che mi stava di fronte erano avvolte dalle tenebre.

 

Presi senza pensare la sinistra, un'altra luce lampeggiante illuminò il mio cammino a poca distanza, rivelando una serie di tre svolte a destra e uno sbocco a sinistra piuttosto lontano e immerso nelle tenebre buio. Sentii lo sfrigolare delle lampade alle mie spalle che improvvisamente si spensero. Mi voltai di scatto con un brivido.

 

Mi mossi timoroso ancora un po' in avanti, per ispezionare i nuovi corridoi. Si distinse nettamente l'eco dei miei lenti passi sul fondo del lungo corridoio. A questo seguì in risposta un rumore rapido, sfasato e innaturale. Ebbi l'inquietante impressione che ci fosse qualcun altro alle mie spalle. Qualcuno che tentava di adattare la sua andatura alla mia, come se non volesse farsi scoprire mentre mi stava inseguendo.

 

Accelerai leggermente e passai la prima svolta: buio; passai la seconda: buio. Le luci alle mie spalle cominciarono a spegnersi sfrigolando a partire dal fondo… il rumore dei passi alle mie spalle continuava.

 

Accelerai ancora. Imboccai la terza svolta: luci. Sentii una risata di ragazza di fronte a me. Mi venne la pelle d'oca.

 

Cercai di calmarmi. Dopotutto era tutto una semplice simulazione...   

 

Il corridoio proseguiva per un lungo tratto e c'era un altro incrocio a T sul fondo. Mi era ormai chiaro che mi trovavo in un labirinto o qualcosa del genere. C'era una logica per uscirne? O era una semplice prova con lo scopo di snervarmi? Prova di cosa, poi?

 

La risata che avevo sentito era quella di Amal, ne ero sicuro. Mi aveva colto di sorpresa e mi aveva messo paura a causa dell'assurda situazione in cui mi trovavo, ma era impossibile per me non riconoscerla.

 

Cominciai a correre seguendo la strada e sentii ancora una volta la risata, questa volta da destra. Imboccai quella direzione senza indugio.

 

Sinistra; terza a sinistra; Incrocio a T sulla destra; poi di nuovo a destra. Intanto le luci alle mie spalle sparivano e il rumore di passi non si sentiva più. Mi fermai un momento ad ascoltare... un ronzio distante... osservatori!!

 

Mi gettai nel corridoio che avevo di fronte preso dal panico, non sentivo più alcuna risata, non avevo più una guida, sempre che fosse stata effettivamente una guida e non un maledetto inganno! Il ronzio sembrava provenire da ogni lato. Corsi con l'unico obiettivo di allontanarmi il più possibile da quel rumore infestante, ma dovetti tornare indietro diverse volte perché la strada era sbarrata da vicoli ciechi. Il ronzio mi attanagliava le caviglie, mi erano sicuramente addosso! Lo squillo di una inconfondibile ed improvvisa esclamazione mi colse da sinistra: «Eccooo!!».

 

Mi voltai.

 

Una stanza cubica, spoglia, umida. Le luci sfrigolanti si riflettevano sul guscio lucido di una palla orbitante nera, ferma nel centro.

 

Una riproduzione audio partì dagli altoparlanti della sfera: «ha ha ha... Eccooo!!».

 

Mi fermai di colpo e si fermò anche il battito del mio finto cuore.

 

Mi avvicinai con la rassegnazione negli occhi.

 

«Ha ha ha... Eccooo!!», ripeté la registrazione meccanicamente.

 

L'osservatore non fece nulla. Mi avvicinai. Distesi le braccia e contornai l'osservatore stringendomi al freddo vetro.

 

«Amal», sussurrai.

 

 

   
 
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