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Autore: Floccinauci    18/11/2017    0 recensioni
L’ombra si dissolse nell’aria, permettendole di scorgere nelle tenebre la sagoma di colui che l’aveva salvata. Si sollevò a fatica da terra, facendo forza sulle sue deboli braccia ferite. La sua figura imponente, ricoperta dalla testa ai piedi da una pesante armatura di metallo, incombeva su di lei con aria minacciosa. Il bagliore dei suoi occhi cremisi invadeva l’oscurità circostante. La fissò per qualche attimo, senza proferire parola. Dopodiché ritirò le lame che portava al polso e si voltò, allontanandosi.
- Aspetta!
Si fermò a pochi passi da lei.
- Non mi hai detto chi sei…
Volse leggermente il capo nella sua direzione. La sua voce profonda e metallica pervase l’aria.
- E’ meglio che tu non lo sappia.
Genere: Azione, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Zed
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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15. Distance

Norin pianse. Quella notte, e quella dopo ancora, finché non cominciò lentamente a dimenticare. Erano lacrime silenziose, che solo lei nel buio della sua stanza spoglia e polverosa riusciva a sentire. Passarono giorni, settimane, mesi, e man mano che le giornate si susseguivano il ricordo di Zed iniziava inesorabilmente ad affievolirsi nella sua mente. Cercava invano di aggrapparsi a quelle immagini a lei così care, memorie che all’inizio riusciva quasi a rivivere, toccare con mano. Ricordava in particolare una mattina di giugno: la sua figura imponente in piedi stagliata contro l’enorme finestra, all’alba, con la luce aranciata del sole che accarezzava la sua pelle scoprendo lentamente ogni sua cicatrice, ogni sua forma, risaltando le sue grandi spalle e la sua muscolatura possente. Non era solito dormire molto. Ricordava la stanza illuminarsi a poco a poco, i caldi raggi mattutini correre sino ad invadere tutto il pavimento in legno chiaro, le ruvide mura bianche e i pochi, semplici mobili della sua stanza, sino a riflettersi sulla superficie metallica della sua armatura in un angolo. La solita, labile nebbia d’oscurità avvolgeva le sue spire attorno al suo corpo, proiettando ombre sinuose per terra e sulle pareti. Lei giaceva nel letto, e lo fissava amorevolmente, con le candide lenzuola che coprivano languidamente le sue nudità. Nell’esatto istante in cui i raggi del sole la raggiunsero, lui si voltò a guardarla. La luce aranciata, trapassando lateralmente le sue iridi, le aveva rese di un rosso scarlatto quasi sovrumano. La osservò con una tale intensità da lasciarla senza fiato, con il cuore in gola. I suoi occhi, quella mattina come mai prima, tradirono una valanga di emozioni talmente forti da travolgerla in pieno. Norin in risposta aveva ricambiato il suo sguardo con la stessa intensità, lasciando che anche i suoi sentimenti fluissero senza freni. Improvvisamente un enorme sorriso si era stampato sul volto martoriato dell’assassino, su cui i raggi del sole avevano dipinto disegni intricati seguendo i rilievi delle sue cicatrici. Un sorriso autentico, dolcemente ingenuo come quello di un bambino. Delle buffe fossette gli comparivano sulle guance quando rideva. Le labbra della ragazza ne erano state immediatamente contagiate, e si erano incurvate a loro volta, incondizionatamente. In quel momento, Zed si era mosso verso il letto, chinandosi per avvicinarsi a lei. Le aveva accarezzato delicatamente la spalla nuda, facendo scorrere le dita lungo il suo braccio sino a raggiungere la sua mano e ad intrecciarle con le sue. Il suo sguardo non aveva perso intensità. La guardava negli occhi come se non esistesse nient’altro intorno a lui. Prese un respiro profondo.
– N-Norin… – cominciò, esitando. La ragazza lo guardava interrogativa, aspettando impazientemente che continuasse. Lui le scostò amorevolmente i capelli dal viso.
– I-io… – riprese, balbettando. Tremava come una foglia. Lei strinse la mano del ninja nella sua, a rassicurarlo.
– Io c-credo di… – mormorò, con voce strozzata. Distolse lo sguardo timidamente, mentre suo risolino imbarazzato invadeva la stanza –  N-non so come d-dirlo… Non sono molto pratico di queste cose…
Norin lo osservava sorridendogli, intenerita dal suo essere così impacciato ogni volta che tentava di descrivere i suoi sentimenti per lei. Per quanto impaziente non lo incalzò, dandogli tutto il tempo per formulare ciò che voleva dirle. Gli sollevò dolcemente il mento, invitandolo a guardarla negli occhi, facendo poi scorrere con delicatezza la sua mano sulla pulsante porzione di pelle invasa dall’Ombra. Lui si perse nelle sue iridi nere, non riuscendo più a proferire parola per l’imbarazzo. Ma l’intensità del suo sguardo descrisse le sue emozioni in una maniera così pura, senza filtri, che nessuna forma, nessuna espressione del linguaggio umano avrebbe mai potuto equiparare. Dopo alcuni secondi riprese fiato, ritentando.
– I-io ti…
Norin rise, posandogli l’indice sulle labbra. Non riusciva più a vederlo patire in quel modo. Sapeva perfettamente cosa stesse provando invano di dirle, i suoi occhi avevano completato la frase per lui.
– Sssht. Ho capito. – gli rispose sussurrando, accarezzandogli i capelli. – Anche io, Zed.
Un sorriso amaro compariva sul suo volto ogni volta che ripensava a quella mattina. Il potentissimo Maestro delle Ombre, temuto dall’intero stato di Ionia, uno dei ninja più esperti in circolazione nonché uno degli assassini più spietati di Runeterra, che tremava impotente di fronte alle proprie emozioni, mentre balbettando tentava invano di dirle che l’amava. Era il ricordo che più le stava a cuore, il giorno in cui Zed aveva messo allo scoperto la sua dimensione umana nella sua interezza, con il suo tenero, ingenuo imbarazzo nell’affrontare per la prima volta emozioni come l’amore. Ma giorno dopo giorno, per quanto lei cercasse invano di aggrapparvisi, elementi di questa memoria come di altre cominciarono pian piano a scomparire. Presto si rese conto di non ricordare più i dettagli del suo volto, le cicatrici sul suo corpo. Dimenticò il suo odore, e col passare delle settimane anche la sua voce. Ricordi della quotidianità svanirono nell’oblio della sua mente, mentre cominciava a scordare anche i brividi e le sensazioni che lui le aveva fatto provare. Arrivata ad un certo punto smise di provare a ricordare, lasciando che il tempo portasse via inesorabilmente ogni memoria, riempiendo progressivamente il vuoto della sua assenza. Aveva voltato pagina.

Per Zed fu diverso. Lui non riuscì mai a dimenticarla del tutto. Quella ragazza era stato l’unico raggio di sole della sua esistenza. Dal momento in cui si erano separati, la sua vita era diventata più buia e grigia di quanto non fosse già prima di incontrarla. Lacrime di rabbia e di sconforto bruciavano il suo volto martoriato in ogni momento di solitudine. Cominciò presto a sfogare la sua frustrazione sui suoi allievi durante gli addestramenti, gridando, ferendo, talvolta persino uccidendo senza alcuna pietà i suoi studenti meno meritevoli. Ad un giovane svogliato, che si era permesso di rispondere a tono ad un suo richiamo, era addirittura toccato il Marchio della Morte. Tutta la schiera di assassini dell’Ordine aveva assistito alla scena, vedendo le tre ombre di Zed fiondarsi sul ragazzo a massacrarlo, per poi lasciarlo a terra in fin di vita, in un bagno di sangue, dove il Marchio dell’assassino era esploso prosciugandogli le ultime gocce di linfa vitale rimaste ancora in lui. Alcuni fuggirono, terrorizzati dalla sorte toccata al loro compagno. Per le settimane successive alla loro separazione, il ninja aveva cercato invano di coprire nella sua mente il ricordo di Norin con l’immagine di quelle morti orribili. L’agonia che toccò alle sue vittime di quel periodo non aveva mai avuto eguali. Pensava che vedere lo strazio negli occhi degli uomini che uccideva in maniera così atroce potesse alleviare la sua sofferenza. Li massacrava lentamente, lasciando che l’Ombra si facesse strada nei loro corpi e ne divorasse mano a mano le interiora, mentre le loro grida di dolore si sollevavano nel buio della notte. Zed era stato per anni famoso per i suoi omicidi rapidi, in cui la vittima si ritrovava a terra inerte senza avere nemmeno il tempo di reagire. E le giornate passate con Norin l’avevano reso ancora meno feroce. Capitava spesso che risparmiasse qualcuno, o che comunque desse al malcapitato una morte veloce, indolore e dignitosa. Non aveva quasi più motivo di uccidere. Ma da quando era rimasto nuovamente da solo, non aveva più avuto la minima pietà. Voleva che tutti soffrissero. Non ci volle molto tuttavia affinché capisse che straziare in quella maniera terribile chiunque lo intralciasse non l’avrebbe portato a niente, se non a peggiorare ulteriormente la sua situazione.
Erano passati mesi ormai dall’ultima volta che l’aveva vista. Da più di una settimana aveva cominciato a non uscire se non per lo stretto necessario. Seguiva i suoi allievi solo negli addestramenti più importanti, mentre per i restanti aveva delegato il suo miglior combattente come sostituto. Nessuno aveva osato fare domande, dopo il terrore che aveva seminato in quei mesi. A dirla tutta, nessuno più si rivolgeva a lui se non per questioni estremamente importanti. Seguivano i suoi ordini scrupolosamente, in silenzio, spaventati al ricordo di quanto successo a chi aveva provato a disobbedire.
Era l’alba di una gelida mattina di dicembre. Zed era davanti alla finestra, in piedi, ad osservare il sole sorgere da dietro le alte montagne verdeggianti di Ionia. I raggi rossicci si riflettevano sulla candida neve che ricopriva i picchi più alti, tingendola con i loro colori caldi. Vedere quella luce arancione invadere la stanza risvegliò in lui il labile ricordo di quella mattina in cui aveva tentato di dirle cosa provava, fallendo miseramente. Chiuse gli occhi, cercando di recuperare nella sua mente i pochi dettagli rimasti nella sua memoria per ricostruire la scena. Per un istante gli sembrò di riaverla lì, con le lenzuola che lasciavano mollemente intravedere le sue forme. Non ricordava quasi più nulla dei dettagli del suo viso. Solo i suoi occhi neri, e quel dolce sorriso, così autentico, che aspettava con gioia solo di sentire quelle parole che non era mai riuscito a dire. – Io ti… amo. – sussurrò, mentre quel ricordo ormai lontano scivolava via verso l’oblio. Aprì gli occhi, ritrovandosi a fissare il letto vuoto, illuminato dalla labile luce rosata di quel sole invernale. Tornò a guardare fuori, e vide sulla sua immagine riflessa una lacrima silenziosa attraversare il suo volto massacrato, sino a perdersi nel nero della pelle divorata dall’Ombra. Non riusciva più a vivere così. E non avrebbe mai sopportato anche solo l’idea di perdere completamente il suo ricordo. Doveva rivederla, ma senza metterla in pericolo. Le sarebbe stato vicino di nascosto, nelle ore notturne. Così quella sera partì alla volta di Jyom Pass, attraversando la foresta nel gelo di inizio inverno, fremente all’idea di poterla accarezzare di nuovo. Alle 2:30 in punto fu davanti alla finestra della sua camera. Evocò un’ombra all’interno della stanza, e lasciò che fosse quella figura di materia oscura ad avvicinarsi a Norin. Attraverso gli occhi dell’ombra la vide nell’oscurità, avvolta nelle pesanti coperte invernali, mentre dormiva serenamente. Si avvicinò di soppiatto, cercando di non fare il minimo rumore per non svegliarla da quel sonno profondo. Una volta accanto al letto, si inginocchiò e le scostò delicatamente i capelli dal viso, accarezzandola dolcemente e dandole un tenero bacio sulla fronte. Non si era reso conto di quanto gli fosse veramente mancata finché non l’aveva rivista. Un labile sorriso comparve sulle morbide labbra dormienti della ragazza, mentre la sua mano delicata si accostò a quella dell’ombra, stringendola piano. La ferita si era perfettamente rimarginata, ma la materia oscura continuava a pulsare nelle sue vene, tingendo il suo braccio di quelle venature nere che conosceva fin troppo bene. Quanto avrebbe voluto svegliarla… Ma sapeva bene che non l’avrebbe mai dovuto fare. Si limitò a guardare i suoi lineamenti regolari, cercando di catturarne ogni dettaglio per non dimenticarla, finché non scadde il tempo e la sua ombra si dissolse nell’aria con un sibilo impercettibile. Iniziò ad andare a trovarla ogni notte, alla stessa ora, e ogni notte cercò di portar via con sé qualche particolare da aggiungere al ricordo di lei, che fosse la forma disegnata delle sue labbra, il suo naso piccolo e dritto, le sue ciglia lunghe, il profumo dei suoi capelli, il calore della sua pelle liscia. Vegliava su di lei, la proteggeva, per quanto distante. Gliel’aveva promesso, in fondo. Norin dal canto suo non si accorse di niente, ma cominciò presto a svegliarsi con una sensazione a lei molto familiare, ma così lontana e impossibile da associare a qualcosa. Inizialmente la ignorò, pensando che fosse un qualche sogno che non riusciva a ricordare. Ma quando si rese conto che era diventata una cosa ricorrente, cominciò ad interrogarsi sulla sua provenienza. Era confusa, eppure non poteva quasi farne a meno. Ogni sera andava a dormire sperando di riuscire a svegliarsi per capire cosa causasse in lei quell’amorevole senso di protezione che non provava da così tanto tempo.
Quella gelida notte di fine gennaio successe. Lei si svegliò. Fuori imperversava una forte tempesta di neve, e un ramo aveva sbattuto violentemente contro la finestra. Zed fece scattare in piedi la sua ombra, che giaceva sul letto accanto a lei. Norin si voltò, e nel torpore del dormiveglia rimase atterrita di fronte a quella sagoma nera nell’oscurità della sua camera. Cominciò a gridare per lo spavento, e urlò ancora più forte non appena vide quella forma dalle sembianze umane svanire nel nulla con un sibilo. Il ninja era affranto, avrebbe voluto correre dentro per rassicurarla, dirle “Norin, sono io, va tutto bene.”, stringerla forte e lasciare che si riaddormentasse tra le sue braccia. Ingenuamente si affacciò alla finestra, preoccupato nel sentirla gridare in maniera così disumana. Ma ciò che vide la ragazza fu solo il bagliore scarlatto di due occhi rossi che la fissavano nel buio della notte. Nel panico più totale scattò in piedi, urlando e piangendo per il terrore, e si nascose in un angolo della stanza. Avrebbe dovuto immaginarlo: era troppo tardi, non l’avrebbe mai riconosciuto facilmente come un tempo nell’oscurità. Delle grosse lacrime si congelarono sul suo volto sotto l’elmo gelido mentre inciampava nella neve alta, allontanandosi più rapidamente possibile e scomparendo nel buio della foresta. Quella notte aveva perso l’unica labile luce nella sua esistenza oscura. Per sempre.
Norin, ancora nascosta nell’angolo della sua stanza, piangeva in silenzio. Era spaventata a morte, eppure provava quella strana sensazione di ogni mattina. Per quanto terrorizzata, non riusciva a sentirsi in pericolo. Fece un respiro profondo e si alzò in piedi. Accese la lampada ad olio sul piccolo comodino di legno vicino al suo letto, e si versò un bicchiere d’acqua, cercando di tranquillizzarsi. Già da dopo la morte di Callon, aveva imparato molto bene a gestire le sue emozioni. Ed era comunque la giovane indipendente che era sempre stata, quella che non aveva bisogno di nessuno. Quando il suo cuore riprese a battere ad un ritmo pressoché normale, si infilò nuovamente sotto le pesanti coperte. Si guardava intorno, irrequieta, scrutando ogni angolo della sua camera. Ogni cosa era al suo posto: il suo grande armadio di legno vicino alla porta sul muro opposto al letto, il piccolo tavolo sotto la finestra alla sua destra, con volumi, penne e pergamene, e lo scaffale sulla parete a sinistra del letto, con le decine di libri e di scatole piene di ogni cosa immaginabile, da lettere a gioielli a cianfrusaglie. Tutto era perfettamente in ordine come lei l’aveva lasciato la sera prima. Rassicurata, fece un altro profondo respiro e si accoccolò tra le coperte, cercando di riprendere sonno. Il sibilo della tempesta tagliava il silenzio della notte come una lama affilata.
In quel momento qualcuno bussò. Quattro colpi secchi. Norin, agitata, cercò di ignorarli, convincendosi che potesse essere qualcosa che sbatteva contro il legno della porta a causa del forte vento. Passarono alcuni secondi, e di nuovo, quattro colpi secchi ben distinti risuonarono nella casa vuota. La ragazza iniziò a spaventarsi, chiedendosi chi potesse farle visita a quella tarda ora della notte. Si sedette ai piedi del letto, sperando che chiunque stesse bussando rinunciasse. Ma non ci fu nulla da fare, di nuovo l’estraneo picchiò alla porta, quattro volte, diventando sempre più insistente. Batteva ogni volta più forte, quasi rabbiosamente. Sempre quattro colpi, poi silenzio per qualche secondo, e di nuovo altri quattro colpi. Norin si fece coraggio e si alzò, stringendo a sé la sua lampada ad olio.
– Chi è? – chiese, con voce tremante. Nessuno rispose. Lasciando attaccata la piccola catena della porta che faceva da sicura, aprì quanto bastò per sbirciare all’esterno. Un vento gelido la travolse, mentre dei fiocchi di neve entrarono sfacciatamente nella stanza. Fuori non c’era nessuno. Tolse la catenina e spalancò completamente la porta, scrutando al di là dell’entrata. Fece un passo avanti per affacciarsi, e in quel momento sentì uno schiocco, seguito da uno scricchiolio ai suoi piedi. Abbassò lo sguardo.
Sotto di lei, un luccicante fiore di loto sbocciò ruotando lentamente su se stesso, mostrando i suoi spietati petali d’acciaio. 

 
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