Anime & Manga > Dragon Ball
Segui la storia  |       
Autore: Sinkarii Luna Nera    18/11/2017    4 recensioni
Prequel di ''Reflecting Mirrors"
Una Lusan, un Hakaishin e tutto ciò che è avvenuto prima che centinaia di milioni di anni, assieme a centinaia di milioni di situazioni complesse, portassero al presente per come lo conosciamo -nel bene e nel male.
(Ignoro il motivo per cui l'amministrazione si sia divertita a cancellare un'intro che è stata qui per anni, ma non abbia ancora cambiato il mio nick. Misteri della fede.)
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Champa, Lord Bills, Nuovo personaggio, Vados, Whis
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Reflecting Mirrors'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
RMI 3
3
 
 
 




 
 
 
 
“Devo chiedere al maestro Whis di focalizzare gli allenamenti sulla percezione dell’aura altrui, perché non posso continuare così!”
 
Erano ormai venti minuti che Lord Beerus stava girovagando invano nella foresta, in cerca di una Lusan che non riusciva proprio a trovare. Doveva essere vicina, per forza, perché l’aveva localizzata lì quando era ancora nella mesosfera del pianeta; peccato che poi si fosse messo a pensare ai frutti della volta precedente, avesse perso la concentrazione, e ora fosse talmente irritato per quel fatto da non riuscire a ritrovarne abbastanza per tornare a percepire l’aura di Anise.
 
«Che nervi» borbottò «Non potevi essere in città con gli altri Lusan, o in quel paese fantasma che mi piace poco? Dovevi proprio trovarti nel bel mezzo della foresta?!»
 
Le sue orecchie captarono il rumore dello scorrere di un fiume, che quando Beerus si avvicinò capì essere il fiume, quello dell’altra volta: aveva riconosciuto il tronco cavo coperto di muschio.
Aver trovato un punto di riferimento era già qualcosa, perché se c'era il tronco allora anche l’altalena non era lontana.
 
“Sì, ma chi mi dice che se ne stia lì a oscillare tutto il giorno? O ancora, che decida di andarci anche oggi? Potrei finire ad aspettarla inutilmente per ore, e non è proprio il caso. Le cose sono due: cercare di nuovo di percepire la sua aura, o cercare casa sua. Se io dovessi tirare su una casa nella foresta, avrei mille ragioni per costruirla abbastanza vicina a un fiume” rifletté “Forse dovrei provare a vedere se ce n’è una vicina a questo E all’altalena”.
 
Gli parve una decisione sensata, per cui decise di continuare a seguire il corso d’acqua. Per fortuna gli allenamenti, nonché la forza e l’agilità posseduti di natura, rendevano semplice camminare lungo quelle vie impervie… anche con le spalle gravate dal peso di due grossi sacchi, uno colmo di praline, l’altro di frutti puff-puff. Prima di arrivare a destinazione aveva fatto tappa a Swetts, proprio come aveva deciso.
 
«Sarebbe il colmo se dopo essere riuscito a farla al maestro sprecassi una giornata o più senza trovarla» disse tra sé e sé.
 
Fino a quando non aveva perso le tracce dell’aura di Anise si era sentito fiero della propria abilità e la propria astuzia, ma ormai tutta quella soddisfazione si era dissolta, e il suo buonumore si disgregava sempre più a ogni passo. La pazienza non era tra le virtù di Beerus, e quando c’era di mezzo una voglia di qualcosa -che fosse di cibo o, in quel caso, di vedere qualcuno- lo era ancor meno del solito.
 
«Ma se io adesso distruggessi tutti gli alberi?» cominciò a borbottare «Almeno vedere la casa sarebbe più semplice! Un momento: cos’è questo odore?»
 
Gli alberi della foresta trasformavano le raffiche di vento in una leggera brezza, ma quest’ultima era stata sufficiente per far arrivare alle sensibilissime narici del dio due profumi distinti: uno sembrava quello del bucato pulito, mentre l’altro...
 
“Sembra odore di dolci, anzi, lo è senz’altro! Per la precisione dolci con qualcosa” aggiunse, annusando l’aria “Direi che sia…”
 
 
“La vostra vita da regina dev’essere dura, maestà! Con tutte queste persone di cui occuparsi…”
“Lo è, soprattutto quando hanno voglia di biscotti alla cannella e in casa non ce n’è neppure un grammo”.
 
 
«Cannella!... CANNELLA!» esultò l’Hakaishin, lanciandosi di corsa in direzione di quel profumo « CANNELLAAAAAA!»
 
Non aveva dubbi: grazie ai biscotti alla cannella, l’aveva trovata.
   


 
 

 
 

«… CANNELLAAAAAA!»

 
Anise osservò il bosco, alquanto confusa.
Era intenta a stendere il bucato su un filo appeso tra un albero e un altro, quando le era sembrato di sentire qualcuno urlare qualcosa a una distanza relativamente breve rispetto al punto in cui si trovava lei. La prima volta non aveva capito di cosa si trattasse, forse troppo sorpresa per la presenza nella foresta di un essere in grado di parlare che non fosse lei stessa, ma dalla seconda in poi non aveva avuto più dubbi.
 
“Quale cretino si aggirerebbe mai nella foresta urlando ‘cannella’? E perché, poi?” si chiese la ragazza sollevando le sopracciglia in un’espressione di immensa perplessità “Il peggio è che pare proprio avvicinarsi a casa mia. Forse faccio meglio a rientrare e chiudermi in cantina”.
 
Posò a terra il cesto di vimini coi rimanenti dei panni da stendere, ma non fece in tempo a fare altro perché, con sua somma sorpresa, Lord Beerus saltò fuori da un cespuglio a meno di venti metri di distanza da lei.
 
“Lui, qui?” pensò la lince, alquanto sorpresa. Non si sarebbe aspettata di incontrare ancora il Dio della Distruzione, soprattutto di vederlo vicino a casa propria, e tantomeno intento a trasportare due sacchi contenenti chissà cosa.
 
Lo vide guardarsi attorno con fare concitato, fino a quando il suo sguardo si posò si di lei; a quel punto sul volto del dio comparve un gran sorriso, e lasciò cadere a terra entrambi i sacchi.
 
«Cannella!» esclamò, indicandola.
 
«Veramente mi chiamo Anise» fu la prima risposta che le venne in mente, un po’anche per la sorpresa che ancora perdurava.
 
Beerus le si avvicinò di qualche passo. «Giravo nella foresta da venti minuti poi ho sentito l’odore di dolci alla cannella e mi sono ricordato che avevi parlato di biscotti alla cannella e che quindi ti piace la cannella e-» si fermò, riprese fiato e schiarì la voce, ritrovando un minimo di contegno; non che fosse molto utile ormai, pensò con una certa desolazione, visto che la figura da idiota era già stata fatta. «Ciao. Di solito non sembro tanto scemo».
 
Ecco chi era il cretino urlante: un cretino divino, che però al momento le sembrava più che altro “carino”, dal momento che si era ricordato quella sua frase buttata lì riguardo i biscotti alla cannella. «Ciao! Mi sorprende che tu sia qui, ma meglio tu di un pazzo scatenato che ce l’ha con la cannella. Di nuovo in cerca di frutti?»
 
La risposta sincera sarebbe stata “No, cercavo proprio te, perché da ben dieci giorni avevo una voglia immensa di rivederti”, ma Beerus si disse che non sarebbe stata molto dignitosa. «No. Sì. Più o meno» fece facepalm «Non so perché mi sto comportando in questa maniera, di solito non faccio così».
 
«Non c’è motivo di essere agitato. Mi fa piacere rivederti» disse lei, senza mentire.
 
Quelle ultime quattro parole furono sufficienti a calmare l’Hakaishin, che sorrise. «Io… bene. Ne sono lieto. Rispondendo alla tua domanda di prima, trovare i frutti dell’altra volta non mi dispiacerebbe, ma non è quello il motivo che mi ha portato qui» le confessò «O almeno, non è il motivo principale».
 
Anise avrebbe voluto chiedergli quale fosse quest’ultimo, ma poi concluse che avrebbe solo finito col metterlo in imbarazzo, cosa che voleva evitare. Riteneva di aver intuito cosa l’avesse portato lì, perché anche in quel frangente l’atteggiamento di Beerus le stava inviando segnali piuttosto chiari, ma stentava ancora a credere di poter aver suscitato l’interesse di un dio. Un interesse di certo superficiale, passeggero, qualcosa di cui lui si sarebbe stufato in fretta -era una divinità immortale che girava per l’Universo, in fondo- ma che sempre interesse era. «Capisco. Devo dedurre che quindi anche il tuo maestro sia qui in giro? Non ti avrà abbandonato ancora, spero!»
 
«Eh… a dire il vero potrei essere più o meno scappato via dal mio pianeta. Da casa mia, insomma» aggiunse Beerus «Ed essere venuto qui in volo. Quindi no, il maestro Whis non c’è».
 
Il Dio della Distruzione era fuggito di casa per venire sul suo pianeta! Quella era sicuramente la cosa più assurda di tutte. Anise si augurava soltanto di non finire in qualche guaio causato dall’Hakaishin o dal suo maestro, che in quanto tale doveva per forza essere più forte di Beerus. «Facciamo così: ora prendi quei sacchi, vieni in casa, e mentre facciamo merenda mi spieghi cosa significa quel “più o meno scappato”. Ti va l’idea?»
 
«Sì! Certo!» esclamò Beerus, recuperando i sacchi. Forse le cose non erano iniziate come aveva sperato, ma sembravano procedere nella giusta direzione.
 
«Ottimo. Mangeremo i biscotti alla cannella, come già sai».
 
Solo in quel momento, guardandosi attorno, Beerus fece caso a particolari che prima non aveva notato affatto: i rami degli alberi più bassi e più vicini alla casa erano stati decorati con fili di perline di vetro, e su ceppi di alberi tagliati chissà quanti anni prima erano stati posati cristalli colorati cui lui non sapeva dare un nome.
Incuriosito, il dio si avvicinò a un ceppo su cui erano stati messi sette grossi cristalli prismatici dalle sfumature verdi e viola, disposti in un cerchio, attorno al quale era stata incisa una serie di strani simboli. «Di’, tu sei per caso una strega o cose del genere?»

 
«Ovvio che sono una strega» rispose Anise, con la massima tranquillità.
 
«Ah… davvero?» si stupì Beerus, che non si aspettava proprio di avere a che fare con una di esse.
 
«Certo! Ecco perché vivo da sola nella foresta e frequento spaventosi villaggi fantasma. I miei incantesimi sono potentissimi, e sai qual è che mi riesce meglio?»
 
«Quale?»
 
«Trasformare le divinità in grosse bacche rotonde di colore rosato. Ti ricorda qualcosa?» gli chiese, per poi ridere di cuore vedendo l’espressione del dio. «Beerus, sto scherzando! Non sono in grado di fare incantesimi. Se mai la magia ha abitato questo pianeta, è morta molto tempo fa. Quei cristalli sono lì perché allontanano la negatività, e perché mi piacciono. Dai, andiamo in casa».
 
Beerus fu tentato di ricambiare lo scherzetto che lei gli aveva fatto, dandosi dello sciocco per aver dimenticato che in ogni caso la magia dei mortali non aveva mai effetto su un Hakaishin, ma la tentazione svanì in fretta: desiderava che Anise si sentisse a proprio agio con lui, e se lo era abbastanza da scherzare tranquillamente, meglio così. «Anche in casa hai tanti cristalli e perline di vetro?»
 
«Giudicherai tu».
 
Beerus la seguì all’interno della casa. Era carina, il rivestimento in legno delle pareti la rendeva calda e accogliente… e soprattutto, ovunque guardasse c’erano cristalli, piccoli fasci di erbe e fiori profumati, bottiglie e bottigliette più o meno piene di chissà cosa, e perline di vetro. Tante perline. Troppe!
 
«Allora, Beerus?»
 
«Mi avevano affidato un caso molto bizzarro su cui investigare: il rapimento di tutte le perline di vetro dell’Universo. Oserei dire di averlo risolto! L’investiGattore Beerus colpisce ancora!»
 
No, si disse Anise, lei aveva sicuramente capito male: non poteva averlo detto davvero.
Non poteva.
… E invece sì, lo aveva detto davvero.
 
«“InvestiGattore”» ripeté lei.
 
«Sì!»
 
Per la seconda volta nell’arco di poco tempo, la ragazza rise. Per Beerus fu bello, al punto da far sorridere anche lui.
 
«Puoi accomodarti dove vuoi, investiGattore» lo invitò «Sedie, divanetti, poltroncine, qui i posti non mancano. Fa abbastanza ridere, considerando il numero di persone che viene a trovarmi» commentò, spostando i biscotti dal davanzale della finestra al tavolo «Io faccio degli infusi. Hai preferenze particolari per il gusto?»
 
«No, se si tratta di assaggiare cose nuove sono un tipo curioso, quindi mi fido» rispose lui accomodandosi su una poltroncina beige, munita anche di
una coperta e due cuscini rivestiti di lana.
 
«Ottimo. Nel frattempo spiegami com’è che sei “più o meno” scappato di casa, perché non mi è molto chiaro» disse lei, mentre metteva a bollire l’acqua «O scappi, o non scappi».
 
«Sono scappato, però il mio maestro non lo sa» le spiegò «Lui pensa che io stia dormendo, e che lo farò per una settimana. Nei giorni precedenti mi sono allenato molto duramente, quindi mi ha detto di sì quando ho chiesto il permesso. Non si accorgerà che non ci sono, non dovendo cambiare le mie lenzuola non ha motivo di entrare nella mia stanza, e nemmeno di localizzare la mia aura, perché sa che io sono lì, per l’appunto!... e nel frattempo, io resterò su questo pianeta».
 
“Tralasciando il dormire per una settimana intera e la questione dell’aura, mi sta dicendo che a diciotto anni si fa ancora cambiare le lenzuola dal suo maestro?” pensò la lince, un po’perplessa. «In tutto questo discorso ci sono un paio di punti da chiarire, ma ne parleremo dopo. Dove intendi dormire?»
 
«Non so. Nella cittadina dove sei cresciuta tu, magari, o da qualche altra parte. Anche il villaggio fantasma mi andrebbe bene, se sua maestà me lo consente. Posso trovare tranquillamente un posto dove stare» rispose Beerus.
 
«D’accordo, se le cose stanno così allora non mi preoccupo. Intendi venire a trovarmi altre volte, in questi giorni?» gli chiese, e sorrise.
 
«Se alla strega non dispiace, direi di sì» rispose lui.
 
«Puoi stare tranquillo sul fatto che non ti trasformerò in un frutto».
 
Qualche minuto dopo bevvero i loro infusi e, una volta aggiunto lo zucchero, Beerus apprezzò molto il proprio. Quando Anise chiese delucidazioni sulla questione di aure e dormite lunghe, non si fece alcun problema a risponderle: la percezione delle aure consentiva di localizzare una persona anche a grande distanza, nonché conoscerne livello di potenza e stato di salute, mentre fare pisolini di almeno tre giorni era prerogativa della sua specie, che si era accentuata quando aveva ottenuto lo status di divinità.
 
«Quindi tu non sei nato dio, eri un mortale come me» si sorprese la ragazza.
 
«A nascere divini sono i Kaioshin, che appartengono tutti alla stessa razza» le rivelò Beerus «Anche negli altri Universi. Gli Hakaishin invece vengono sempre scelti tra i mortali, e infatti non ce n’è uno che sia simile all’altro, di solito. Io e il mio gemello Champa, Hakaishin del sesto Universo, costituiamo un’eccezione. A dirla tutta io costituisco un’eccezione anche per l’età in cui il maestro Whis mi ha preso con sé: avevo poco più di quattro anni, e lui non aveva mai addestrato qualcuno così giovane. La maestra di Champa invece lo aveva già fatto,  è più vecchia di Whis, e ha addestrato più Hakaishin».
 
«Quel che mi hai detto è molto interessante, e tu e Champa dovevate essere incredibili già da piccoli, se siete stati scelti entrambi come Hakaishin. A proposito: siete gemelli omozigoti?»
 
«In teoria sì, in pratica io mi sono preso tutta la bellezza disponibile!» rispose “gentilmente” Beerus «E anche buona parte dell’intelligenza».
 
«Nonché della modestia» commentò la Lusan «Non andate troppo d’accordo, vero?»
 
«È rompiscatole per quanto è grasso. Io non lo invito mai sul mio pianeta, ma lui viene sempre a casa mia a propormi questa o quella sfida, che finisce immancabilmente col perdere» disse il dio, alzando gli occhi al soffitto «È testardo e non impara mai la lezione… ma almeno posso ridere dei suoi tentativi falliti».
 
«Magari vorrebbe un po’di attenzione da te» ipotizzò Anise «Tu non gliene dai, quindi lui cerca di ottenerla rompendoti le scatole; se poi lo prendi in giro, forse continua a sfidarti sperando di vincere e ottenere così un minimo di stima da parte tua. Secondo me tra fratelli si dovrebbe cercare di andare d’accordo,  a meno di casi estremi che lo rendano proprio impossibile. Parlo così con cognizione di causa, perché a Ulthmeer ho una sorella, e neppure lei ha il carattere più facile del mondo».
 
«Capisco quel che vuoi dire, ma se parli con cognizione di causa allora sai anche quanto
possa essere complicato andare d’accordo » replicò Beerus, evitando di pensare al fatto che sì, era complicato, ma lui non ci provava neppure. «Una sorella a Ulthmeer… ho visto Lusan bianche, ma non mi sembra di ricordarne una che ti somigli».
 
«Calida. Pelo beige, capelli corti e neri, occhi verdi, stazza di un armadio a due ante. Di muscoli, non di ciccia» specificò.
 
«Cooome?! QUELLA?!» allibì Beerus «Me la ricordo, ma non avrei mai detto… aspetta, ma allora tua sorella è a capo della cittadina!»
 
Anise annuì. «Calida Ulthmeer-a ghekavary, già. Beerus, tu però non mi hai detto una cosa…»
 
«“Una cosa”».
 
La ragazza fece facepalm, sebbene divertita anche da quell’uscita infelice. «Non mi hai detto se ti sono piaciuti i miei biscotti».
 
«Certo che mi sono piaciuti, moltissimo» affermò il dio «Per curiosità, che tipo di farina hai usato? La consistenza mi sembrava diversa da quella dei biscotti che ho mangiato a Ulthmeer».
 
«La mia. Nel senso, quella che produco io con il mulino di Vynumeer. Mi procuro da sola tutto quello che posso: gli ingredienti per il cibo, le erbe per le tisane, materiali da costruzione e per le riparazioni» indicò le pareti con un gesto vago «O fibre tessili. La lana per quei cuscini su cui sei seduto viene da animali che girano nei dintorni di Vynumeer. Mi conoscono, quindi si lasciano tosare, nonché mungere, ma quella è un’altra storia» concluse «O beh, immagino che a un dio tutto questo sembri ridicolo, noioso o simili. Posso capire se-»
 
«No. Davvero, no» la interruppe Beerus «C’è il maestro Whis che fa tutte le cose al posto mio perché è un suo compito, questo è vero, ma quel che mi hai detto non è né ridicolo né noioso, te l’assicuro. Che diamine, se io sapessi almeno cucinare Whis non potrebbe più minacciare di farmi saltare i pasti se non gli do retta!... cosa che potrebbe accadere, se scoprisse che sono qui. Potrebbe accadere anche di peggio» aggiunse, con aria vagamente allarmata.
 
«Questo pianeta deve proprio sembrargli orribile» osservò lei.
 
«Non è per questo. Il fatto è che io, in quanto Hakaishin, non potrei viaggiare per il cosmo senza di lui» le spiegò «Quel che ho fatto va contro le regole, ma non potevo agire altrimenti. Il tuo pianeta non gli sembra orribile, ma non mi ci avrebbe portato, non per  i motivi che mi hanno spinto a venire qui. Non li avrebbe approvati, e forse non li capirebbe neppure. Anche in futuro dovrò scappare ancora, e lo farò, appena potrò».
 
I mesi che sarebbero seguiti non si prospettavano rosei, ma al momento Lord Beerus era decisissimo a tornare su quel pianeta a qualunque costo. Non gli importava delle tre ore e mezza di viaggio, non gli importava delle dormite perse, né la prospettiva di poter essere scoperto dal suo maestro era un deterrente abbastanza forte. E poi, lì vicino c’era anche il pianeta Swetts!
Si trattava di resistere solo per qualche mese, poi il suo maestro avrebbe dovuto obbedirgli, portarlo lì che gli piacesse o no, e a quel punto sarebbe stato tutto più facile.
 
«Beerus, questo è... imprudente» disse Anise «Non voglio che ti metta nei guai col tuo maestro solo per venire qui, non sarebbe giusto. Questo pianeta di linci che litigano non vale i potenziali problemi che potresti avere».
 
Il volto dell’Hakaishin divenne estremamente serio. «Anise, la mia domanda è una sola: vorresti rivedermi sì o no?»
 
La risposta sincera era “sì”. Era strano, quasi assurdo se Anise pensava a quanto avesse sempre preferito la solitudine, ma la compagnia di quella divinità scombinata alla ricerca di frutta e arrabbiata con la cannella le piaceva davvero. Aveva riso più in quel poco tempo che aveva passato con lui, di quanto avesse fatto da tre anni a quella parte. Si conoscevano ancora poco, ma l’ “alchimia” tra due persone era qualcosa che si avvertiva subito, quando presente, e nel loro caso era presente.
Peccato che non contasse, non se c’erano di mezzo regole più grandi di entrambi. «Quel che voglio è che tu non ti metta nei guai, te l’ho già detto».
 
«Ai miei eventuali guai penserò io. La mia domanda era un’altra: sì, o no?»
 
Se avesse risposto onestamente lo avrebbe messo a rischio, se invece avesse mentito c’era una possibilità di far arrabbiare quello che era sempre un Dio della Distruzione; c’erano pro e contro da entrambe le parti, e alla fine la ragazza optò per la sincerità. «Mi piacerebbe, sì».
 
«Allora è deciso» concluse Beerus.
 
«Magari la prossima volta parti più leggero. Quei sacchi dovevano essere un bell’impiccio!»
 
«Giusto, i sacchi del pianeta Swetts!» esclamò il dio, correndo ad aprirli «Ti avevo portato delle cose da farti assaggiare. Ecco» prese una grossa manciata di praline, una equivalente di frutti puff-puff, e le mise entrambe sopra il tavolo «Questi sono per te».
 
«Grazie! Hai avuto un bel pensiero» sorrise lei «Ma una divinità non dovrebbe farsi portare i dolci, piuttosto che portarli ad altri?»
 
«Una divinità, in quanto tale, fa quel che le pare» dichiarò Beerus, sorridendo anch’egli.
 
Anise assaggiò una pralina, e il fu sapore tanto squisito da farle spalancare gli occhi azzurro scuro. «Sono deliziose! Se si tratta di cibo, hai ottimi gusti» si complimentò, per poi passare ad assaggiare un frutto «E questo non è da meno. Hai detto che vengono da un pianeta di nome Swetts?»
 
«Esatto» confermò lui, felice di vedere apprezzato il suo dono «È pieno di delizie simili, e alla velocità cui vado io è a soli dieci minuti di distanza da qui».
 
«Tornando altre volte allora hai la possibilità di andare anche su Swetts. A tal proposito, quanto tempo hai viaggiato per arrivare qui?» gli domandò la lince «Il tuo pianeta dista molto dal mio?»
 
«Un pochino. Siamo al confine con l’Universo Sei, per cui diciamo che da qui a casa mia potrebbe esserci più o meno metà Universo Sette in mezzo, ma non importa» fece spallucce «Non rischio di stancarmi durante il viaggio».
 
«Hai viaggiato da solo per mezzo Universo soltanto per venire su questo pianeta?»
 
«Sì, ma non mi pento di nulla. Sai cosa? Un giorno ti farò viaggiare insieme a me!» esclamò Beerus, profondamente convinto di quel che stava dicendo «Come prima tappa ti porterò su Swetts, e poi… non so, ovunque mi verrà in mente. C’è così tanto da scoprire, là fuori» indicò il cielo fuori dalla finestra «Questo discorso non vale solo per te, ma anche per me: siamo giovani, e l’Universo è immenso. Vedremo cose che probabilmente non immaginiamo neanche».
 
“Seeeh, come no. Si stancherà molto prima, soprattutto con tutti questi problemi di lontananza e maestri contrari” pensò Anise “Devo riconoscere che è talmente entusiasta che fa venire voglia di credergli, però è logico che le sue parole lascino il tempo che trovano”. «Già. L’Universo è immenso davvero, in fin dei conti… a cosa stai pensando?»
 
«Voi Lusan non volate, vero?» le chiese l’Hakaishin «Neppure con qualche veicolo».
 
«Purtroppo è così» confermò la ragazza «Se pensassimo più a svilupparci e meno a litigare probabilmente sarebbe diverso. Come mai questa domanda?»
 
«Io posso farti volare. Vuoi vedere com’è la tua foresta dall’alto?»
 
Per una volta, una delle poche in tutta la sua breve vita di diciottenne, Anise rispose senza riflettere, guidata solo dal desiderio di fare un’esperienza che mai avrebbe pensato di poter vivere. «».
 
«Bene!» sorrise Beerus «Allora andiamo».
 
«Però prima metto un poncho, se mai lassù dovesse fare freddo» disse la ragazza, e ne recuperò uno color beige buttato su una sedia vicina «Ecco».
 
Usciti di casa, Beerus la invitò a salire sulla sua schiena. «Metti le braccia attorno al mio collo, io ti tengo qui, sotto le ginocchia…ecco, esatto. Siamo pronti! Tranquilla, giuro che non ti farò cadere».
 
«Non l’ho mai pensato».
 
Il decollo non fu brusco, dal momento che Beerus non voleva spaventarla in alcun modo, e iniziò a salire di quota più velocemente solo una volta toccati i cinque metri di altezza dal suolo. Non poteva vedere il viso della ragazza, ma per quanto la stretta delle sue braccia fosse salda non la sentì mai irrigidirsi per la paura o la tensione, ed era senz’altro positivo.
Arrivato a svariate centinaia di metri d’altezza da terra, decise di fermarsi. «Ecco. Che effetto ti fa?» le chiese, sentendo i battiti del suo cuore accelerare «Ti spaventa?»
 
Spaventarla? Come avrebbe potuto?
Volava sopra gruppi di nuvole candide che quel giorno erano piuttosto basse, e stava guardando una distesa di verde sterminata, circondata e inframezzata da montagne e fiumi; riusciva a vedere più in lontananza i campi coltivati di varie sementi, somiglianti a un insieme di piastrelle dai colori caldi; stava vedendo la cittadina di Ulthmeer, che da lassù sembrava piccolissima, neppure fosse stata composta di casette giocattolo, e per la vicina Moriameer valeva lo stesso discorso.
Piccole case, abitate da piccole persone, con le loro piccole abitudini e le loro piccole opinioni: nulla che potesse raggiungerla, nulla che potesse avere anche solo un minuscolo grammo di importanza, non lassù.
Non ricordava di aver mai provato un tale senso di libertà in tutta la sua vita, di essersi mai sentita così serena o di essere stata così bene. Per lei era meraviglioso, al punto da non infastidirsi neppure sentendo una lacrima di commozione scivolare lungo la sua guancia.
 
«Provo tante cose, Beerus, ma non paura. È bellissimo».
 
«Mi fa piacere sentirlo» disse, molto soddisfatto: voleva impressionarla, e ci era riuscito. «Dove vuoi che ti porti? Basta che tu me lo dica e in un battito di ciglia saremo all’altro capo del pianeta. Posso farlo davvero, sai, sono un dio!»
 
«Io… in effetti ho sempre avuto un desiderio. Ricordo che quando ero piccola c’erano dei Lusan molto vecchi che raccontavano di una distesa d’acqua salata di cui non si vede la fine, lontana da qui, in quella direzione» indicò un punto a est «Né io né gli altri sappiamo se sia vero, perché per una ragione o l’altra non ci siamo mai mossi da Ulthmeer, la foresta e dintorni. Mi piacerebbe sapere se c’è oppure no».
 
«Non so se sia salata, ma l’acqua c’è eccome. L’ho vista mentre mi avvicinavo al pianeta» le rivelò «A questo punto direi che la nostra destinazione sia decisa. Reggiti forte!»
 
Anise non se lo fece ripetere, e per fortuna! La velocità con cui Beerus era partito stavolta era tale da costringerla a chiudere gli occhi a causa del vento.

Un attimo dopo, lo sentì fermarsi.

 
«Eccoci».
 
«Siamo davvero arrivati? Non mi starai…» aprì gli occhi «No, direi che non mi stessi prendendo in giro».
 
Lo sguardo dell’incredula Lusan abbracciava la vista di una cittadina dalla struttura simile a quella di Ulthmeer, ma affacciata su una distesa d’acqua salata che il tramonto -già visibile da quella parte del pianeta- rendeva di un luminoso color rosso dorato.
In vita sua Anise non aveva mai visto nulla di simile, non sarebbe neppure riuscita a immaginare tanta bellezza, ed ora aveva tutto lì, davanti ai propri occhi, sempre più vicino dal momento che Beerus stava volando in cima a un promontorio erboso che dava sull’oceano.
 
«Non lanciarti giù anche da qui, mi raccomando» la avvertì Beerus, scendendo a terra «Di certo ti prenderei al volo, ma preferirei evitarlo».
 
Anise non rispose e scese dalla sua schiena, avvicinandosi al ciglio, ma non abbastanza da lasciar pensare male. Rimase in contemplazione per qualche momento, per poi voltarsi verso di lui. «Grazie» disse, e sorrise, piena di felicità e di gratitudine.
 
«Per così poco!» si schermì Beerus.
 
«Non è poco, non per me. Per me è tantissimo, io… sono felice. Non hai idea di quanto» aggiunse «Ed è merito tuo».
 
La gioia sul viso della ragazza era evidente agli occhi di Beerus, esattamente quanto lo era stata la sua mancanza la prima sera che l’aveva vista sull’altalena. Tuttavia, la cosa che più lo colpì fu  quell’ “è merito tuo”: lui era un Hakaishin, non era abituato a vedere tanta gratitudine e tanta gioia negli occhi di chi lo guardava, tutt’altro! A dirla tutta era la prima volta in assoluto che succedeva una cosa simile, ed era bello. Che fosse successa con lei, poi, lo era persino di più.
Se in quel momento avesse potuto guardarsi allo specchio, si sarebbe reso conto che lui e Anise avevano un’espressione assolutamente identica.
 
«Sono felice che tu sia felice» le rispose. Non era la frase più articolata, poetica o corretta che potesse dire, ma era senz’altro la più onesta, e comunque Beerus non era mai stato tipo da poesie -eccetto per il tentativo di un’ode al pollo fritto, che non valeva la pena ricordare. «Hai voglia di scendere in città? Sicuramente ci saranno piatti che non abbiamo mai provato».
 
Anise ebbe un’esitazione, poi ricordò due cose fondamentali: che era insieme al Dio della Distruzione, e che lì nessuno la conosceva. «Sì, direi che sia una buona idea. Sono un po’curiosa anche io».
 
Scesero in città, e tennero fede all’idea di Beerus di assaggiare cibi sconosciuti. Per Anise fu incredibile vederlo mangiare, perché non aveva mai visto nessuno ingurgitare una simile quantità di cibo senza fare neppure una piccola pausa, ma quel che trovò ancora più incredibile fu il trattamento ricevuto. Dalle sue parti i forestieri non erano ben accetti in alcuna città, lì invece nessuno le aveva rivolto neppure un’occhiataccia, e quando Beerus era riuscito a farsi riconoscere quale Hakaishin le avevano riservato la stessa deferenza che era stata riservata a lui.
Era iniziata come una giornata normale, e si era trasformata in una sorta di sogno a occhi aperti in cui tutto era possibile, ogni suo desiderio era realizzabile e tutto sembrava essere permesso.
Anise si chiese più volte se quel che stava accadendo fosse reale, ma dovette concludere di sì: non sarebbe mai riuscita a immaginare nulla del genere.
 
“Farò meglio a godermelo finché dura, e serbarne il ricordo in futuro” si disse.
 
Quando il banchetto finì si era fatto buio da un bel pezzo, e in quella cittadina portuale non c’era particolare vita notturna, ma per Anise era meglio così. Trovò piacevole passeggiare sul bagnasciuga, e affascinante il riflesso del cielo notturno su quello che Beerus aveva chiamato “oceano”.
 
«L’oceano è molto bello… però è un peccato pensare che tutta quest’acqua non sia potabile» commentò la ragazza «Sarebbe meglio se non fosse salata».
 
«Capisco il tuo punto di vista, però stando a quel che mi ha detto il mio maestro il livello di sale nell’acqua di oceani come questi influisce sul clima e sull’ambiente di tutto il pianeta, quindi non è così senza una ragione. Vorrei poterti dire di più, ma lo studio mi annoia» ammise Beerus «Quindi sto poco attento, e ricordo meno di quanto dovrei. Non hai idea della quantità di botte in testa che ho preso dal maestro Whis per questo motivo!»
 
«È molto manesco?»
 
«Non è che mi picchi a sangue, ma non mi risparmia alcuno scappellotto, e credimi, sono terribili quasi come il modo in cui canta. Quasi. Terribile come quello non c’è nulla».
 
«Se lo dice l’Hakaishin, devo credergli per forza» disse la Lusan, piuttosto divertita «Ad ogni modo, so che te l’ho già detto, ma ti ringrazio ancora per questa bella giornata».
 
«Non c’è bisogno che mi ringrazi, è bella per te quanto lo è per me. Domani magari lo sarà altrettanto» buttò lì, piuttosto sicuro che lei fosse felice all’idea di rivederlo anche il giorno dopo.
 
«Non vedo perché non dovrebbe esserlo» rispose Anise «Beerus, una cosa: se intendi restare qui per qualche giorno, puoi dormire in casa mia. C’è una camera da letto per eventuali ospiti. Dopo quel che hai fatto per me oggi, credo che offrirti un posto in casa sia il minimo».
 
Era molto più di quanto lui avesse osato sperare: nonostante tutto non aveva minimamente considerato l’idea di chiederle di ospitarlo in casa sua, né tantomeno che fosse lei a proporlo. Se mai avesse avuto dubbi sul fatto che Anise stesse veramente bene in sua compagnia, a quel punto non ne avrebbe più avuti. «Davvero?»
 
«Sì, se a te sta bene».
 
«Sì! Sì, certo che mi sta bene! Cer-ehm, accetto con piacere, ti ringrazio».
 
La ragazza soffocò una risatina. Era troppo carino nei momenti in cui cercava di darsi un contegno… quando era già troppo tardi. «Molto bene».
 
Quello, forse, era l’inizio di qualcosa di bello.
 
 
 
 
 
 
Capitolo tre: c’è.
Bei tempi, quelli in cui Anise si emozionava per l'oceano :"D
A voi eventuali commenti!
   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Dragon Ball / Vai alla pagina dell'autore: Sinkarii Luna Nera