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Autore: annalisa93    18/11/2017    0 recensioni
Questa storia non è mia, ma di una mia amica, il suo profilo ufficiale lo trovate su wattpad : https://www.wattpad.com/user/ChiBa93
GENERE: sentimentale, thriller, mistero, psicologico, urbanfantasy.
Diciassette ragazzi.
Diciassette anime diverse, ognuna con il proprio passato, con le proprie fragilità e con le proprie aspettative per il futuro.
Diciassette cuori destinati ad incontrarsi e a scontrarsi.
Diciassette persone che si ritroveranno ad indagare su una serie di misteriose scomparse e sull'inquietante morte di una giovane liceale, avvenuta quarant'anni prima.
N.B: Questa storia è una light novel, ovvero un romanzo con illustrazioni in stile manga
Genere: Sentimentale, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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When the lights go out and we open our eyes,

Out there in the silence, I'll be gone, I'll be gone

Let the sun fade out and another one rise

Climbing through tomorrow, I'll be gone, I'll be gone

(Da I'll Be Gone, Linkin Park)

 

 

Davanti a loro, il giardino sul retro dell'Hotel Imperiale, racchiuso in una sorta di radura da un fitto boschetto che ne segnava i limiti, era stato allestito a dovere, con tanto di gazebo in ferro battuto, verniciato di bianco, situato vicino all'entrata dell'albergo e sotto cui si era posizionata la banda incaricata della musica. Gli invitati, tutti vestiti di tutto punto, con abiti dai colori vivaci e dai ricami svolazzanti, completati da graziosi cappelli, erano in piedi, impegnati a scambiare quattro chiacchiere fra di loro, mentre i più piccoli correvano allegri, sfrecciando fra i larghi teli colorati adagiati sul manto erboso. Il clima era reso più suggestivo dai raggi del sole che, filtrando attraverso le chiome degli alberi, creavano strani giochi di luce, proiettando guizzanti macchie luminose sul terreno.

«Che meraviglia!» Esclamò affascinata Heidi.

Subito vennero raggiunti da Paolo. «Eccovi! Mancavate solo voi!» Poi aumentando il volume della voce annunciò: «Signore e signori, che la festa abbia inizio! Ogni famiglia, ospite della nostra struttura, ha il proprio telo, sui cui possono accomodarsi per la consumazione del pasto. Buon appetito!»

Dopodiché, rivolto a Fredrik bisbigliò: «Il vostro telo è quello blu, laggiù in fondo.» Indicò dritto davanti a lui. «Aspettateci lì, che vi portiamo quella cosa...» Ordinò, con fare misterioso. «Jared, tu vieni con me, ho bisogno del tuo aiuto.»

«Ai tuoi comandi, capitano!» Esclamò, facendo il saluto militare. «Torno subito, ragazzi.» Assicurò, seguendo il padre.

Fredrik poggiò una mano sul capo di Luke. «Vai anche tu con loro.»

Il bambino guardò il padre e l'espressione che scorse sul suo volto sembrava dirgli: sai cosa devi fare. A quel punto assentì deciso. «Jerry, vengo anch'io, aspettami.»

L'amico si voltò e gli fece cenno di sbrigarsi. «Muoviti, fiorellino!»

Luke sbuffò irritato e, a pugni serrati, raggiunse Jared a passo di carica, per poi mollargli uno scappellotto sulla nuca.

«Ahi!»

«Così impari!» Commentò, indispettito.

«Ragazzi, smettetela di litigare!» Intimò Paolo, con tono severo.

I due si scambiarono uno sguardo in cagnesco, prima di raggiungere il proprietario dell'hotel.

Fredrik, Heidi, Margareth ed Elias, invece, iniziarono a servirsi, riempiendo i piatti al tavolo riccamente imbandito del buffet.

«Che delizia, la cucina italiana!» Di fronte a tutto quel ben di Dio, Fredrik sentiva già l'acquolina in bocca. Senza pensarci troppo mise nel piatto un po' di tutto, sia dolci che piatti salati.

«E voi, bambini, cosa volete mangiare?»

Elias e Margareth si misero in punta di piedi, per osservare meglio le varie cibarie.

«Mmm... Io voglio il riso freddo, sembra buono.» Rispose Elias, meditabondo, continuando a torturare la macchinina che aveva fra le mani.

«Io, invece...» Margareth scrutò attentamente ogni pietanza sul tavolo, per poi soffermarsi su una teglia contenente lasagne. «Mammina, cos'è quella cosa?»

«Quelle sono lasagne, un piatto tipico italiano. Vedrai, ti piaceranno molto, tesoro.»

«Allora le voglio assaggiare!» Esclamò entusiasta.

Heidi e Fredrik riempirono i propri piatti e quelli dei figli, si diressero all'angolino riservato a loro e si sistemarono sul telo blu. Cominciarono a consumare il loro pasto, mentre aspettavano il ritorno di Paolo, Jared e Luke. Attesero una buona mezz'oretta, finché i tre non riapparvero. Trasportando una torta. In cima ad essa svettava una Porsche 911 in tre dimensioni, rossa. Elias era sbalordito, gli occhi luccicavano per la contentezza. «Quella è per me?!» Domandò, scattando in piedi.

«Per chi altro potrebbe essere un dolce del genere?» Commentò, quasi sarcastico, il padre.

«Ma non è il mio compleanno!» Osservò, insospettito.

«È vero, tesoro.» Concordò la madre, con gli occhi lucidi, ancora seduta sul telo. «Ma è un giorno altrettanto importante: oggi, esattamente sei anni fa, io e il tuo papà abbiamo potuto portarti a casa dopo tre lunghi mesi all'ospedale.» Quel giorno sarebbe rimasto impresso nella sua mente per sempre. Il suo bambino era nato prematuro, a ventisei settimane, e il personale ospedaliero aveva fatto di tutto per tenerlo in vita, trasportandolo d'urgenza dal piccolo ospedale di provincia al centro universitario di Oslo per poterlo mettere in incubatrice, ma durante il viaggio il neonato era andato incontro ad un danno ipossico-ischemico cerebrale, che fortunatamente non aveva avuto gravi conseguenze. Lo avevano tenuto in unità di terapia intensiva neonatale, all'interno di una incubatrice, per tre mesi, cioè per il lasso di tempo che mancava per il completamento della gestazione. Era stata dura vederlo intrappolato in quell'intricato groviglio di fili e tubi, quasi più grandi di lui. E soprattutto, era stata dura non poterlo abbracciare. Dover reprimere quell'istinto materno che le gridava di stringerlo e proteggere quello scricciolo così piccolo e indifeso, fornendogli tutta la forza di cui aveva bisogno, così come aveva fatto per i sei mesi in cui l'aveva l'aveva cresciuto nel suo grembo, fornendogli tutti i nutrienti di cui necessitava.

Per tre lunghi mesi non aveva potuto far altro che osservarlo speranzosa al di là di un freddo vetro. Per tre mesi aveva covato quell'ansia viscerale, quella paura folle di non aver poter provare la gioia di abbracciare il suo cucciolo. Fino al 12 luglio 1990. Il giorno in cui il dottor Stevenson, il primario di neonatologia, aveva comunicato loro che il bambino stava bene e che avrebbero potuto portarlo a casa e, cosa più importante, che sarebbe cresciuto come un bambino normale, salvo per un lieve deficit motorio, che col tempo sarebbe sicuramente diventato impercettibile. Quello fu il giorno in cui la speranza era tornata ad ardere nell'animo di Heidi, Fredrik e del piccolo Luke, che a quel tempo aveva appena sei anni. Per questo doveva essere ricordato.

Rivolse al figlio uno sguardo pieno di amore. «Quel giorno è stato uno dei più belli della mia vita, amore mio.» Ammise, con voce tremante per la commozione, allungando il braccio per stringere la mano di Elias nella sua.

Attesero che Paolo, che portava il dolce, un pan di spagna al coccolato ripieno di crema pasticciera e gocce di cioccolato, l'appoggiasse sul telo.

Elias spalancò la bocca per lo stupore. «La macchina sembra vera!» Esclamò, affascinato.

«È merito di Jared se è venuta così bene! Si è impegnato molto affinché venisse perfetta, aggiustando tutto ciò che secondo lui non andava.» Spiegò, Paolo, cingendo le spalle del figlio con un braccio e avvicinandolo a sé.

«Davvero?» Chiese Elias sbalordito. «Grazie Jerry!» Esclamò, poi, abbracciandolo.

«Figurati! È questo che si fa per gli amici, no?» Domandò imbarazzato.

Elias annuì, con un sorriso a trentadue denti stampato in faccia.

«Ehi, e noi non ci ringrazi?» Insinuò Luke, fingendo di essere contrariato. «La mamma e il papà hanno avuto l'idea di farti fare una torta, ma sono stato io a proporre di metterci sopra la Porsche, visto che è la tua macchina preferita, mentre Margareth ha deciso i gusti.

«Mamma... papà... Luke... Maggie...» Balbettò emozionato e incredulo. Tutto quell'amore gli era arrivato al cuore, riscaldandolo. «Vi voglio bene!» Aggiunse.

A quel punto Margareth si fiondò addosso al fratello. «Ti voglio bene anch'io, fratellone piccolo!»

Quelle parole, la piccola le aveva dette con il cuore. Voleva veramente bene a suo fratello perché era l'unico che giocava con lei alla casa con le bambole e beveva con lei il té delle cinque in compagnia dei suoi pupazzi. Luke, il suo fratellone grande, si rifiutava sempre di accontentarla. Ma, per fortuna, poteva contare sempre sul suo fratellone piccolo.

Anche Heidi e Fredrik si alzarono, aggiungendosi all'abbraccio fra i due figli minori. «Oh, anche noi te ne vogliamo, e non sai quanto!» Sorrisero.

Jared lanciò un'occhiata incuriosita all'amico, che ancora non si era avvicinato ad Elias. «Fiorellino, che hai?»

Lui scosse il capo. «Niente.» Rispose, ma il suo sguardo diceva ben altro. Nei suoi occhi si poteva scorgere una luce fiera, l'orgoglio e l'ammirazione che provava per il fratellino. Sua mamma gli aveva raccontato che, mentre Elias era ancora all'ospedale, fu proprio lui a tenere viva la fiamma della speranza nel cuore dei genitori: un giorno, quando era andato a trovare la mamma all'ospedale, il suo papà lo aveva portato a vedere il suo fratellino e, osservando tutti quei bambini rinchiusi in quelle scatole di vetro, non poté far a meno di notare che rispetto agli altri Elias era più vivace, faceva piccoli movimenti, come stringere il pugni, muovere le braccia e le gambe, movimenti piccoli e limitati da tutti i fili a cui era legato il corpo. «Secondo me il fratellino non ci vuole stare in quella scatola, non vede l'ora di venire a casa con noi.»

Fredrik lo guardò con un'espressione interrogativa sul volto. «Come fai a dirlo?

«Gli altri stanno tutti fermi, mentre lui si muove, come se dicesse: voglio uscire di qui.»

E alla fine ci era riuscito davvero ad uscire da lì. Perché lui era un guerriero, di questo non poteva che esserne certo.

«Fiorellino, perché non vai da Elias anche tu?» Gli domandò Jared, che gli si era avvicinato.

«Vieni anche tu.» Affermò Luke, cogliendolo di sorpresa.

« E io che c'entro?» Domandò, allibito.

«Tu sei uno di famiglia ormai...» Aggiunse lui, biascicando le parole, come se si vergognasse ad ammetterlo.

L'affermazione dell'amico spiazzò Jared, ma lo rese immensamente felice. Perciò, senza farsi pregare ulteriormente, si precipitò ad abbracciare Elias, imitato da Luke. Il piccolo Elias venne avvolto dall'affetto dei familiari e all'interno di quel grande abbraccio si sentiva al sicuro, protetto da qualsiasi male.

Dopo una manciata di minuti, Paolo si schiarì la voce richiamando l'attenzione dei presenti. «Mi dispiace mettere fine a questo toccante momento, ma dovremmo tagliare la torta. Chi vuole farlo?»

«Io!» Esclamarono all'unisono Luke e Jared, che tornarono a fissarsi in maniera ostile.

«Io sono il più grande, perciò tocca a me!» Argomentò Luke.

«Ma se abbiamo la stessa età!» Ribatté Jared, seccato.

«Sì, ma io sono nato l' 11 febbraio, mentre tu sei nato il 13 novembre, quindi sono ben nove mesi più grande di te.»

Jared incrociò le braccia al petto, infastidito. «Vorrai dire che sei più vecchio di me...» Di fronte all'evidenza, non gli restava che prenderlo in giro. «Fiorellino rinsecchito!»

Luke stava per tirargli un cazzotto, ma venne fermato dalle voci autoritarie di Paolo e Fredrik. «Ragazzi, basta! Potete non litigare per almeno dieci minuti di fila?»

I due annuirono, desolati. «Scusate.»

«Adesso, per punizione, sarò io a tagliare il dolce.» Affermò Paolo, brandendo il coltello. Dopodiché, con gesti veloci, decisi e precisi, divise la torta in otto parti e, aiutato da Jared, le adagiò all'interno di piattini di carta dorati, per poi servirli ad ognuno degli Skarsgård.

«Ecco qui.» Affermò soddisfatto, dopo aver passato l'ultimo piattino a Jared. «Spero che il dolce sia di vostro gradimento. Lucia ci ha messo il cuore nel prepararlo.»

«Grazie mille, Paolo. E ringrazia anche Lucia.» Disse Fredrik, infilzando il dolce con la forchettina di plastica. «Siete stati molto gentili a fare tutto questo per noi.»

«Per noi è stato un piacere omaggiare un angioletto come il piccolo Elias.» Rispose Paolo, strizzando l'occhio al bambino.

A quel punto una signora richiamò l'attenzione dell'uomo. «Adesso, se volete scusarmi, devo tornare al mio lavoro. Gli ospiti hanno bisogno di me.» Dopodiché si allontanò sorridendo. «Se avete bisogno di qualcosa, non esitate a chiamarmi!» Si raccomandò.

La famiglia Skargård lo osservò immergersi nella folla festante, mentre erano tutti pronti a gustarsi la torta. Appena ne assaggiarono un pezzo, rimasero piacevolmente sorpresi dalla sua bontà.

«È squisito!» Esclamarono in coro.

«Il pan di spagna si scioglie in bocca, non è per niente secco.» Osservò Heidi estasiata.

«Questo perché la mamma ha usato una bagna all'aroma di rum.» Puntualizzò Jared. Per una volta aveva deciso di partecipare attivamente all'organizzazione di un evento all'albergo e aveva aiutato la madre a preparare la torta, seguendo ogni passaggio nei minimi dettagli.

La torta venne spazzolata in pochissimo tempo, rimasero solo le due fette riservate a Paolo e Lucia. Soddisfatti della vorace abbuffata, i sei si lasciarono cadere indietro sull'enorme telo blu, sazi.

«Sto scoppiando!» Luke si sbottonò i pantaloni, sospirando rumorosamente.

«A questo punto proporrei di scendere a valle rotolando. Che dite?» Scherzò Fredrik. «Io non riesco proprio ad alzarmi in queste condizioni.» Confessò, suscitando le risate dei presenti.

Passarono il quarto d'ora seguente con il naso rivolto all'insù, contemplando in silenzio il placido movimento delle bianche nuvole nel cielo azzurro. Poi, arrivò il momento dei balli. La banda cominciò a suonare una musica più allegra, invitando implicitamente gli ospiti a dare inizio alle danze.

Heidi si raddrizzò all'istante e subito si mise in piedi. «Su, alzatevi, andiamo a ballare. Quale modo migliore per smaltire tutte le calorie che abbiamo assunto con la torta?» Dopodiché passò all'azione, strattonando il marito, i figli e anche Jared, riluttanti al pensiero di doversi muovere, per costringerli a seguirla. Dopo poco erano già tutti in postazione: chi voleva danzare si era messo in cerchio, in modo che ci fosse un'alternanza fra maschio e femmina. Si presero per mano e cominciarono a muovere quattro passi verso destra, poi le femmine presero il maschio alla loro destra a braccetto e si scambiarono la posizione e così via fino alla fine della melodia.

Al momento del cambio della musica e, quindi, dello schema di movimento, si creò un certo caos. In quel momento Elias si tastò le tasche dei pantaloni e si rese conto di non avere più con sé la sua adorata macchinina. Lanciò un'occhiata allarmata al telo su cui si era seduto e, fortunatamente, era lì. Si fece strada fra la folla e raggiunse il punto in cui era caduta la sua Porsche, per poi chinarsi a raccoglierla.

E fu allora che accadde. All'improvviso uno spiffero di aria gelida colpì gli Skarsgård e Jared. Lunghi brividi scivolarono lungo le loro schiene, lasciando dietro di sé una scia di inquietante terrore. Si bloccarono, in preda a un panico soffocante. «Dov'è Elias?» Domandarono allarmati. Si guardarono attorno, freneticamente. Di colpo tutti quegli abiti elaborati, quelle facce sorridenti, quegli strani giochi di luce, si trasformarono in un'immagine distorta, terrificante. Ogni cosa si era trasformata in un incubo, che li separava dal loro adorato Elias.

«Elias! Dov'è il mio bambino?» Domandò Heidi, sconvolta, mentre spintonava gli altri invitati, cercando di crearsi in varco.

«Elias!!» Gridarono Fredrik, Luke, Margareth e Jared.

A fatica riuscirono a raggiungere punto in cui avevano mangiato, di fronte al quale si fermarono, attoniti. Sul telo c'era ancora la Porsche 911 rossa, ribaltata. Accanto c'era un fazzoletto di stoffa, bianco, pulito. Che non apparteneva a nessuno di loro. E su cui erano state ricamate due iniziali: R.S.

   
 
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