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Autore: heliodor    18/11/2017    2 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Il magazzino

La sala era enorme, simile a una bolla scavata nella roccia. Si innalzava per centinaia di metri e il soffitto di pietra spariva nel buio. Non c'erano colonne a supportare quella meraviglia, ma solo l'enorme pressione della pietra la teneva in piedi.
Joyce aveva sentito parlare di grandi costruzioni che erano crollate scalzando un'unica pietra che reggeva il tutto e si chiese se anche lì valesse lo stesso principio.
Se avesse colpito una delle pareti che cosa sarebbe successo?
La struttura avrebbe assorbito il colpo o sarebbe crollato tutto rovinosamente?
Non aveva il tempo di indugiare in quelle domande. Doveva trovare Dume e impedirgli di evocare il titano di Zanihf.
L'albino sembrava sparito. L'ampia sala era disseminata di statue e modelli di mostri meccanici.
Alcuni giacevano sulla schiena o sul fianco, altri si reggevano in piedi e svettavano fieri.
Riconobbe un ragno gigantesco, simile a quelli che avevano attaccato lei e che in quel momento stavano marciando verso la città.
C'era una versione del gigante che aveva abbattuto nel santuario ma con quattro gambe e quattro braccia.
Un altro gigante giaceva sul pavimento in pezzi, il torace separato dal resto del corpo.
Nessuno di quei rottami aveva una pietra d'attivazione.
C'erano anche modelli più piccoli custoditi nelle solite nicchie, ma erano immobili. Avvicinandosi Joyce notò che le loro pietre d'attivazione erano nere e prive della brillantezza di quelle attive.
Forse dopo millenni di inutile attesa avevano esaurito il loro potere.
Rumore di passi.
Joyce dimenticò di essere ancora invisibile e si gettò dietro uno dei rottami, accucciandosi.
Dume passò quasi di corsa. Si guardava attorno con occhi sgranati, come un bambino in un negozio di giocattoli.
"Dove sei?" chiese l'albino ad alta voce. "Vieni fuori. Fatti vedere."
Joyce trasalì. Stava cercando lei? Come aveva fatto a trovarla? I suoi occhi non brillavano. Forse anche lui come Tanisha aveva il senso dell'udito aumentato?
No, non sta cercando me, si disse Joyce osservando l'albino che vagava tra i rottami. Sta cercando il titano.
Dume si fermò all'improvviso, la testa sollevata verso l'alto. "Sì" sussurrò prima di dirigersi quasi di corsa verso un punto della sala.
Joyce balzò fuori e lo seguì.
L'albino avanzò con passo di marcia fino a una grossa roccia che spuntava dal terreno. "Eccoti" disse girandoci attorno.
Joyce a tutta prima pensò che fosse impazzito.
Dume esaminò la roccia passandovi sopra le mani, controllandone ogni anfratto. Poi, con un gesto improvviso, si infilò dentro la pietra, scomparendovi.
Quel gesto improvviso fece sussultare Joyce.
Dov'è finito?, si chiese.
Passarono i minuti senza che accadesse altro. Dume non riemerse dall'interno della pietra e lei meditò di avvicinarsi e dare un'occhiata da vicino.
Stava per muoversi, quando sentì il pavimento vibrare e sussultare.
Joyce lottò per non cadere, mentre la caverna veniva scossa da una forza tremenda. Sembrava che qualcosa premesse dal baso per emergere.
Si gettò a terra, sicura che ci sarebbe stato un crollo rovinoso e che sarebbe rimasta sepolta sotto tonnellate di roccia.
Il pavimento venne squassato da colpi potenti e una fenditura si aprì e si allargò.
Joyce si allontanò di corsa, mentre pietre gigantesche si staccavano dal soffitto e precipitavano al suolo esplodendo in mille pezzi.
Trovò riparo dietro uno dei mostri meccanici.
La crepa si allargò e grandi pezzi di pavimento precipitarono al suo interno. Altre rocce caddero dal soffitto, ma la pioggia si stava esaurendo.
Seguirono un paio di minuti di pace, durante i quali l'unico rumore che udì fu il battito accelerato del suo cuore.
Era certa che di lì a poco sarebbe morta se non usciva da quel posto, ma il terrore l'aveva inchiodata lì, dietro quell'effimero riparo, in attesa di quello che sarebbe accaduto dopo.
Udì un tonfo tremendo, come se mille rocce fossero cadute tutte insieme e si fossero infrante sul pavimento.
Fu così forte da farle battere i denti.
Poi dopo il tonfo giunse un sibilo prolungato, seguito da sbuffi di vapore bianco che emersero dalla crepa.
Joyce trovò il coraggio di sporgersi di qualche centimetro e vide qualcosa emergere dalla spaccatura nel terreno.
Qualcosa si metallico stava sbucando fuori dalla crepa. Era così enorme e bizzarro che all'inizio Joyce stentò a riconoscere quella forma.
Poi capì che erano delle dita meccaniche. Queste erano attaccate a quella che sembrava una mano.
L'arto di metallo sembrò saggiare il terreno, poi l'intero braccio emerse dalla spaccatura.
In rapida successione anche l'altro arto emerse dal gigantesco foro, quindi la testa e le spalle di metallo.
La gabbia toracica era enorme, grande quanto una nave mercantile. Le braccia erano spesse come fasci di alberi maestri tenuti insieme in qualche modo e un singolo dito era altro il triplo di lei.
La struttura era aperta e poteva scorgervi all'interno i meccanismi che facevano muovere il mostro di metallo. Leve, ingranaggi, pompe che eruttavano fumo e vapore bianco. E tubi e fasci di fili color del bronzo che si attorcigliavano attorno a muscoli e tendini d'acciaio brunito.
Joyce era stupita e terrorizzata al tempo stesso.
Era quello il titano di Zanihf?
Era più grande di quanto si fosse aspettata.
La testa emerse per un attimo e lei vide qualcosa agitarsi al suo interno.
Dume sedeva all'interno dell'abitacolo, circondato da fili e leve. Sembrava intento a manovrare il colosso girando manopole e tirando leve.
Il titano emerse dalla spaccatura e si erse per tutta la sua altezza. Era così alto che la testa si perdeva nell'oscurità che avvolgeva il soffitto.
Joyce impallidì a quella vista e si ritrasse ancor di più nel suo nascondiglio, sperando di non attirare l'attenzione del gigante.
Il mostro barcollò su gambe inferme, mosse un paio di passi che fecero vibrare il pavimento. Alzò un braccio e ruotò la mano, come se fosse un vero essere umano.
L'arto si aprì e chiuse un paio di volte. Poi, con un movimento improvviso e violento, si abbassò di scatto e colpì con un pugno una pietra che era precipitata al suolo.
La pietra esplose in mille pezzi, disseminando schegge ovunque.
L'impatto fu così forte da strappare a Joyce un'esclamazione di stupore.
Il titano si raddrizzò, la mano sollevata all'altezza della testa come a contemplarla soddisfatto.
Joyce, rannicchiata nel suo nascondiglio, l'osservò avanzare verso il fondo della caverna.
Il titano arrivò alla parete e iniziò a tempestarla di pugni.
Ogni colpo era così forte da far vibrare la caverna e il pavimento.
Joyce tornò nel suo nascondiglio e si gettò a terra, nascondendosi la testa con le braccia per proteggersi.
Il titano continuò la sua opera distruttrice strappando alla parete della caverna tonnellate di pietre che ricaddero ai suoi piedi.
Nel giro di pochi minuti si aprì la strada attraverso la roccia e scomparve nella parete, lasciandosi dietro un grosso foro.
Parte del soffitto precipitò al suolo chiudendo la via appena aperta con centinaia di tonnellate di roccia.
Joyce non osò uscire fuori dal nascondiglio per alcuni minuti. Quando trovò il coraggio di sporgersi, vide la montagna di pietre che aveva invaso un terzo della caverna ed ebbe un tuffo al cuore.
Si gettò di corsa verso l'uscita, ma trovò l'arco sepolto sotto tonnellate di pietre gigantesche.
Davanti a quello spettacolo riuscì solo a pensare che era in trappola.
 
È finita, pensò. Non uscirò mai da qui.
Le pietre ostruivano l'unica via d'uscita. Non c'era speranza di oltrepassarle. Erano troppe e troppo pesanti per lei. Anche usando tutti i suoi dardi magici e il raggio d'energia non sarebbe mai riuscita a scavare un passaggio nella roccia viva.
Levitò fino al condotto che il titano aveva scavato. Affondava nella roccia per decine di metri, ma arrivato a un certo punto era collassato, chiudendosi.
Quella via era impraticabile.
Usando il globo luminoso esplorò il soffitto alla ricerca di un condotto, ma trovò solo roccia compatta.
Doveva riflettere.
Chi sapeva che era lì sotto?
Darran e Rafi sapevano che era entrata nel santuario, ma non conoscevano il magazzino. Se erano sopravvissuti sarebbero andati al santuario e l'avrebbero cercata lì.
Chare sapeva del magazzino, ma era prigioniera e forse a quest'ora sepolta sotto tonnellate di roccia come lei.
Non poteva aspettarsi alcun aiuto dall'esterno, pensò.
Se voleva uscire doveva farlo da sola.
Ma come?
Non poteva scavare nella roccia né smuoverla. Forse, se avesse avuto la forza di un titano...
Ma l'unico disponibile era stato già preso da Dume. Però Chare aveva parlato di due titani. Se uno era ancora lì nel magazzino, poteva trovarlo e usarlo per scavare una galleria.
Il difficile era scoprire dove era nascosto. Il primo era stato seppellito sotto uno strato di roccia e terra, ma del secondo non sembrava esservi traccia.
Joyce levitò fino al soffitto della caverna e guardò in basso, esaminando pietra per pietra il pavimento.
Non trovò alcuna traccia. Sembravano solo pietre disseminate a caso sul pavimento. Se c'era uno schema lei non lo vedeva.
Ridiscese posizionandosi sulla roccia che aveva segnato la posizione del primo titano. La pietra era simile a tutte le altre, tranne che per due rombi scolpiti in bassorilievo.
Era il simbolo di Zanihf?
Non ne aveva idea, ma ora aveva una traccia da seguire. Cercò tra le altre pietre e scoprì altri due simboli uguali al primo.
Una delle rocce aveva una scanalatura su di un lato. Era appena sufficiente a infilarci una mano.
Joyce vi infilò la sua. La roccia tremò come se stesse per spezzarsi e poi scivolò di lato, rivelando una botola che scendeva nel buio.
Joyce si infilò nel foro, aiutata dalla corporatura minuta scivolò in basso seguendo la superficie ruvida del pavimento.
A ogni metro che faceva il condotto diveniva più buio e stretto. Nell'ultimo tratto le pareti le grattarono i fianchi e si sbucciò un gomito, ma proseguì.
Lo spazio aumentò, diventando un'ampia cavità. Attorno a lei non c'era più la roccia, ma il metallo. Travi e pannelli saldati con pesanti bulloni grandi quando il palmo della sua mano.
Evocò un globo di luce per guardarsi attorno. Si trovava al centro di un cubo di metallo. C'erano delle cinghie assicurate a una pedana che sembrava fatta per appoggiarvi i piedi. All'altezza delle braccia vi erano leve e accanto ai piedi dei pedali. Anche lì vi erano delle cinghie per assicurarli. Un sedile imbottito era imbullonato a una delle pareti di metallo.
Joyce vi si sedette, infilò i piedi nelle cinghie dei pedali e afferrò le leve a destra e sinistra.
"E adesso?" si chiese.
Non aveva idea di come azionare il titano. Dume c'era riuscito in qualche modo, quindi anche lei poteva farlo.
"Vai" disse. "In piedi" aggiunse con più decisione. Poi ricordò che al tempo di Zanihf in quelle terre parlavano l'antico valondiano.
"Zena Je Govorio."
Niente.
"Rekao Je Dumas."
Ancora niente.
Cercò di ricordare qualche altra parola in antico valondiano.
"Nakon Svega."
Nessun risultato.
Stava per arrendersi, quando ricordò che non bastava parlare l'antico valondiano. Doveva cantarlo.
"Rekao Je Dumas" disse mettendo l'accento sulla "o" e la "u".
Il metallo vibrò, come animato da una forza misteriosa. Joyce si sentì sollevare verso l'alto e poi a destra e sinistra.
Nel buio appena rischiarato dal globo luminoso vide le pareti delal caverna avvicinarsi e poi allontanarsi, mentre il titano si raddrizzava su gambe incerte.
Salì e salì fiché non dominò la caverna da almeno cinquanta metri d'altezza.
Era in quella che doveva essere la testa del titano, un cubo di metallo incassato sull'ampio torace corazzato. Costole di metallo si espandevano e contraevano emettendo vapore.
Tirò la leva destra facendo sollevare il braccio del titano. Tirò l'altra leva per sollevare il secondo arto.
Le leve poteva ruotare su di un perno, grazie al quale chiudeva e apriva la mano dotata di cinque dita spesse come tronchi d'albero.
Manovrare il titano era inebriante. Non si era mai sentita così forte e potente. Aveva la sensazione che avrebbe potuto schiacciare il mondo con una sola mano.
Con quell'arma poteva mettere fine alla guerra con Malag in un solo giorno. Tanto le sarebbe bastato per battere l'arcistregone, se lo avesse incontrato. Ne era certa.
Invece era bloccata ancora in quella caverna.
"Non per molto" disse sollevando una gamba. Il titano ubbidì facendo un passo in avanti, poi un altro e un altro ancora.
Si avvicinò alla parete che Dume aveva demolito e iniziò a scavare. Le bastarono pochi colpi per aprirsi la strada attraverso la roccia già smossa.
Usò le mani del titano per scavare un varco, ignorando le enormi pietre che si staccavano dalla volta e precipitavano giù spaccandosi in mille pezzi al contatto con l'armatura del titano.
Scavò con entusiasmo fino a raggiungere una caverna ampia abbastanza da contenere il titano eretto.
Si stava muovendo nella direzione giusta? Non vedeva alcun segno che potesse farle da guida, quindi poteva solo proseguire nella sua opera di demolizione.
Andò avanti per diversi minuti prima di sfondare una parete di roccia e ritrovarsi in un'ampia grotta dalla volta frastagliata.
Guardò in basso, dove minuscole figure si muovevano in tutte le direzioni cercando di evitare la pioggia di detriti e allora capì.
Era arrivata alle miniere e quelli erano gli operai che lavoravano allo scavo.
Molti sembravano impauriti e fuggivano alla vista del titano. Joyce non sapeva se allontanarsi e proseguire o avvicinarsi e cercare di metterli in salvo.
Non sembravano esserci uscite in quella grotta.
Guardandosi attorno vide un gruppetto di uomini radunarsi in un angolo.
Erano armati di lancia e scudo e sembrava stessero incitando gli altri a rifugiarsi dietro di loro.
Puntavano le armi verso di lei. Forse pensavano che volesse attaccarli?
D'istinto Joyce andò verso di loro. Venne raggiunta da due lance che colpirono la corazza del titano e rimbalzarono via senza causare nemmeno un graffio.
"Mosi" chiamò Joyce sperando che l'ascoltassero. "Mosi, sei lì? Sono io, Sibyl."
I guerrieri si fermarono, le lance ancora sollevate e pronte a colpire.
Dal gruppo si staccò un uomo che avanzò con passo incerto.
Era Mosi.
Joyce face chinare il titano in avanti.
"Sei tu" disse il guerriero sorpreso.
"Che ci fate qui sotto? Ti avevo detto di far scappare via tutti."
"Stavamo evacuando le miniere, quando il primo titano è arrivato e ha sigillato l'unica uscita. E poi sei arrivata tu."
"Hai per caso visto Darran?"
Il guerriero scosse la testa.
"Vi faccio uscire io. State lontani" disse raddrizzando il titano.
Si diresse alla parete di roccia e iniziò a scavare. Tonnellate di pietra caddero al suolo. Ogni tanto Joyce le spazzava via usando le braccia del titano.
In pochi minuti aprì un varco nella roccia usando le dita d'acciaio del titano.
Più scavava, più sei sentiva inebriata da quella potenza. Stava demolendo una montagna dall'interno.
Lei, la piccola e patetica Joyce, aveva ora quell'enore potere.
L'ultimo assalto alla parete di roccia quasi le costò la vita. Un grosso pezzo si staccò dalla volta e cadde sfiorandole la spalla. Da quell'altezza le avrebbe portato via l'arto.
Invece di fermarsi, Joyce aumentò gli sforzi e polverizzò gli ultimi metri di roccia, sbucando nel fianco della montagna.
Il titano emerse come un gigante dal suo antro, pronto a portare devastazione nel mondo.
Sì sentiva forte e potente e invincibile.
In quell'istante di trionfo, Joyce non vide l'improvviso bagliore che si accese ai suoi piedi e nemmeno notò la scia che si lasciava dietro.
Sentì solo l'impatto contro la corazza come un meglio poderoso scagliato contro il titano.

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