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Autore: Mary_Julia_Solo    18/11/2017    0 recensioni
Un ragazzo trascinato in qualcosa più grande di lui.
Un destino segnato.
Un principe dannato.
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« Lui non era un guerriero, lui non era nemmeno Asgardiano. Lui era soltanto un ragazzo che era stato investito da una vita completamente nuova, che era stato affogato da se stesso, come da un fiume. Lui si era veramente stancato di tutto quello che stava sopportando. Si era stancato di vedere suo padre comportarsi in modi sempre diversi, si era stancato di cercare di capire le persone. Non era lui a dover salvare l’universo, l’universo poteva benissimo salvarsi da solo. Era stato trascinato in qualcosa più grande di lui, troppo in fretta. Non gli avevano lasciato scampo, lo avevano investito con troppe bugie e troppe verità allo stesso tempo. Lui era solo un ragazzo che fino a meno di un anno prima voleva fare lo scrittore, lui non era un eroe, non era uno di quei fottutissimi eroi e non lo sarebbe mai stato. Era stanco di essere visto per quello che non era. Lui era Kjell, era solo Kjell, e voleva soltanto vivere la sua vita! »
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jane Foster, Loki, Nuovo personaggio, Sif, Thor
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 2. - Asgard
 
- Pulvis et umbra sumus. -
 
Kjell si sentiva ancora la testa pesante, dopo quello che era successo. In più, non era tanto sicuro di cosa fosse successo in Norvegia. Tutto quel fuoco, lo svenimento, la voce, la luce, la figura. Probabilmente si sarebbe risvegliato a casa sua e avrebbe scoperto che era stato tutto un sogno. Era l’unica spiegazione possibile, nel mondo reale non succedevano cose di quel tipo. Effettivamente era abbastanza sicuro di essere nel suo letto, poiché sentiva la stoffa delle coperte sulle braccia nude. Però, quel sogno sembrava più reale degli altri… Aprì lentamente gli occhi, scontrandosi con una forte luce. Quando riuscì ad abituarsi, vide che non era affatto nella sua stanza, che non era a casa. Che tutto era stato reale e non soltanto un sogno. Quel luogo era strano. Sembrava uscito da un film… Sui romani, forse? Non avrebbe saputo dirlo con certezza. Però era strano, davvero. Le pareti sembravano fatte d’oro. Che quel luogo fosse legato alla luce? Alla figura? Allora, non se l’era immaginata, l’aveva vista davvero! Era stata lei a portarlo lì? E chi era? E quel luogo dov’era? Altre domande che si aggiungevano alla sua lunga lista. Forse stava ancora sognando. Decise di non usare la classica prova “del pizzicotto”, perché sembrava troppo stupido. Non era un sogno, perciò lui restava confuso. Forse… Forse era il luogo di cui parlava Jane! Non ci aveva mai creduto troppo. Certo, aveva visto quanto era successo a New York poco meno di un anno prima, però… Poteva anche credere agli alieni, ma non a quel luogo. Almeno non fino in fondo. Lanciando un’occhiata oltre la finestra riuscì a vedere degli alti palazzi e un cielo azzurrissimo, quasi irreale. Dopodiché, osservò meglio la stanza. Solo allora, notò una sedia, accanto al suo letto, occupata da un uomo massiccio, che si svegliò di soprassalto. Kjell rimase zitto, non sapendo cosa dire, ma l’uomo parlò per lui.
-Oh, ti sei svegliato, pivello. -sul suo viso si aprì un largo sorriso. -Purtroppo mi sono addormentato io. -completò la frase in un mezzo sbadiglio. -A proposito, io sono Volstagg. -Kjell annuì.
-Ehm… Ok, io sono Kjell… -l’altro non lo lasciò finire, scoppiando in una risata fragorosa.
-Lo so chi sei, pivello. -il ragazzo non ci capì molto, ma aveva smesso di capirci qualcosa da… dieci giorni prima, almeno. Se era stato dieci giorni prima che aveva parlato con sua madre. “Allora temo di essere io a non sapere più chi sono.”, pensò, ma non disse nulla. Invece, domandò:
-Potrei sapere dove sono? -Volstagg rise di nuovo.
-Ma ad Asgard ovviamente. -allora era vero. Jane aveva ragione. La città d’oro, patria degli Dei, era vera. Aveva sempre avuto le prove davanti agli occhi, ma come poteva davvero credere che davvero esistesse una città sospesa in cielo
-Non capisco… -mormorò, confuso. -Che cosa ci faccio qui? -guardò l’altro con i suoi occhi
bicolore, notando che lo metteva in soggezione.
-Non credo di poterti spiegare, ma tutto ti sarà più chiaro quando avrai parlato con il Padre degli Dei, credo. -ovvio. E che cosa aveva da dire a lui, un semplice ragazzo che nemmeno sapeva chi era, Odino? -Ti porto subito da lui, se te la senti. -Kjell annuì, alzandosi e trovando le sue scarpe -quelle da neve, sicuramente molto comode per lì-. Le mise svelto e seguì Volstagg oltre la pesante porta, infilandosi sopra la t-shirt il suo maglione, che aveva ritrovato abbandonato su una sedia. In quel corridoio non c’erano molte persone, ma più camminavano, più lo spazio circostante si animava. Kjell notò che tutti stavano guardando lui e sperò che fosse soltanto per il modo “strano” in cui era vestito e non perché avesse fatto qualche torto agli Dei. In quel caso, la sua fine non sarebbe stata piacevole. Abbassò lo sguardo sulla punta delle sue scarpe, cercando comunque di non andare a sbattere contro qualcosa. Tutti quegli occhi puntati su di lui lo mettevano in soggezione. Presto sentì dei mormorii:
-Allora è lui il midgardiano… -
-È ovvio, non vedi com’è vestito? -
-Deve essere il primo midgardiano a mettere piede ad Asgard. -
-Sì, forse non… -tutti i suoni si espandevano in quel corridoio. A quanto pareva gli abitanti della terra venivano chiamati midgardiani in quel luogo. Si sentì un poco sollevato capendo che forse non sapevano tutti il motivo della sua presenza lì. Erano soltanto curiosi. Si sarebbe sentito un idiota se lo avessero saputo tutti tranne lui. Fece vagare lo sguardo intorno a sé, senza più timore, e qualcosa gli saltò subito all’occhio. O meglio, qualcuno. Una donna vestita da guerriera, in modo quindi diverso da tutte le altre, lo stava fissando. Ma non come gli altri. Nei suoi occhi non c’era curiosità. C’era… dolore. Forse lei sapeva. Accelerò un poco per raggiungere il suo accompagnatore. Si schiarì la voce e domandò:
-Potrei chiederti chi è quella donna, Volstagg? -l’uomo non si guardò nemmeno in giro, rispondendo con sicurezza:
-Quella è Lady Sif, pivello. Io non me la farei come nemica, unica cosa da dire. -Kjell tornò a cercarla con lo sguardo e si accorse che era scomparsa. Si domandò cosa sapesse su di lui. Perché lo guardasse in quel modo. Una voce giunse dietro di loro:
-Volstagg! -chiamato in causa lui si fermò e si voltò sorridendo, aspettando con pazienza chi lo aveva chiamato. Kjell si voltò a sua volta e vide Thor, Dio del Tuono, nonché Vendicatore, raggiungerli, il martello in pugno.
-Sono contento di vedere che stai bene, Kjell. -disse il Dio.
-Sei stato tu a salvarmi, non è vero? -domandò Kjell, chiedendosi perché l’avesse fatto. Se era stato addirittura Thor a salvarlo, doveva essere importante. Ma cosa poteva avere lui di tanto speciale?
-Sì, sono stato io. So perché ti trovavi in quel campo in Norvegia, sapevamo che ci saresti andato, prima o poi. Heimdall mi ha avvertito. Posso anche supporre perché avevi con te quell’oggetto chiaramente donatoti da Jane –Oh, mio Dio, Jane! Solo in quel momento il ragazzo si ricordò di lei. Doveva essere preoccupatissima! Chissà quanto tempo era rimasto svenuto e non le scriveva o chiamava! E, in più, l’ultima telefonata si era fermata all’improvviso. Dubitava che si potesse mettere in contatto con lei, ora.
-Per quanto tempo sono rimasto svenuto? -
-Circa una settimana credo. -rispose Volstagg, dopo averci pensato per qualche secondo. Poi si rivolse al Dio del Tuono:
-Thor, sto portando il ragazzo a parlare con tuo padre. -l’altro annuì, mentre Kjell di nuovo si domandava cosa dovesse dirgli Odino.
-Sei libero di andare amico mio. Me ne occupo io. -rispose Thor, appoggiando una mano sulla spalla di Volstagg. Il guerriero non disse nulla, ma tornò a guardare Kjell, con una nota estremamente seria negli occhi. Il suo largo sorriso era scomparso.
-Buona fortuna, pivello. -dopodiché fece un cenno a Thor e sparì nel corridoio. Kjell e Thor ripresero a camminare, senza dire una parola. Non riuscendo più a sopportare tutto quel silenzio, il ragazzo chiese:
-Per cosa mi avete portato qui, esattamente? -il Dio lo osservò a lungo, indeciso se rispondere o meno. Primo o poi però Kjell lo avrebbe scoperto, e preferiva che fosse lui ha dirglielo, piuttosto che Odino.
-Può sembrare strano, ma tua madre ha vissuto qui ad Asgard per buona parte della sua esistenza. -Kjell era abbastanza certo che Thor non stesse parlando di sua madre. Era semplicemente impossibile.
Poi, ricordò le parole di Grace: “Quello che sto cercando di dirti è che sembra che tua madre non venga nemmeno… Da questo pianeta. Almeno è quello che pensai, ma ci deve essere una spiegazione logica. Non possiamo certo pensare alla magia.”
-Nemmeno da questo pianeta… -mormorò. Allora poteva essere vero. Ma era così confuso… Non riusciva a capire nulla di quello che stava succedendo, non riusciva a capire quello che dicevano le persone intorno a lui. Semplicemente non capiva.
-Poi, all’improvviso, scomparve. Tornò anni dopo, soltanto per… morire. -la voce di Thor si era fatta incredibilmente triste, così come i suoi occhi azzurri, fissi sul percorso. -A quel punto Heimdall confessò tutto. Disse che molti anni prima aveva visto una bambina, lasciata davanti ad una chiesa, che sarebbe morta assiderata. Allora aveva deciso di salvarla. L’aveva portata da una famiglia di contadini, che l’allevarono come se fosse loro. Nessuno avrebbe mai dovuto scoprire che in realtà era una Midgardiana. Ingannò anche me, fino all’ultimo. -sorrise mestamente e Kjell, che aveva capito solo la metà di quello che Thor aveva detto e che non aveva idea di chi Heimdall fosse, si azzardò a domandare:
-È per questo che sono qui, vero? -Thor non lo guardò, mentre rispondeva:
-Certo… -non era per niente convinto. Ma Kjell voleva delle risposte, doveva avere delle risposte.
-Quanti anni fa mia madre scomparve la prima volta? -chiese titubante.
-Più di diciotto anni fa, ormai. -tutto era più chiaro, allora. Sua madre aveva lasciato Asgard per lui. Ma non sarebbe potuta restare? Perché se n’era andata?
-Non riesco a capire. Assolutamente non riesco a capire. Perché se n’è andata? -Thor lo guardò di sfuggita.
-Non credo di potertelo dire. -non poteva… o non voleva? Tutto quello che stava succedendo non aveva alcun senso. Non solo veniva a sapere di essere stato adottato, ma anche che sua madre non esisteva sul pianeta terra, perché aveva abitato ad Asgard per tutti i suoi anni e che se n’era andata per lui. Non aveva alcun senso. Fino a pochi giorni prima credeva di essere un ragazzo completamente normale. Be’, forse con qualche problema psicologico. Nulla di grave, ovviamente. Solo dei sogni con molto sangue. -Mia madre era tua amica, vero? -domandò, incerto. L’altro annuì.
-Sì. -sorrise debolmente. -Per un po’ ne sono stato innamorato. Per questo Sif non la sopportava. -Kjell abbassò lo sguardo e decise di smettere di fare domande. Forse avrebbe dovuto informare Thor si quanto gli era successo in metropolitana e domandare se per caso lui sapesse cosa diavolo avesse visto. Notò che la folla intorno a loro si era diradata, erano praticamente tutti scomparsi. Per sua fortuna. Non gli piaceva come lo osservavano. Finalmente i due arrivarono davanti alla pesante porta che dava accesso alla sala del trono.
A Kjell venne un tremendo dubbio. Si voltò preoccupato verso Thor.
-Non devo parlare con lui da solo, vero? -il Dio scosse la testa.
-No, ti accompagno. È molto meglio… -Thor aprì la porta ed entrò. Kjell indugiò un attimo sulla soglia, poi si fece coraggio e seguì il suo accompagnatore. La sala del trono era immensa. Il ragazzo si domandò a cosa servisse tutto quello spazio. Dopo aver camminato anche per troppo tempo, arrivarono al cospetto di Odino. Kjell si sentì spaventato davanti al Padre di Tutti, un Dio forse più vecchio della Terra, che lo scrutava con il suo unico occhio dall’alto del suo trono. Quando parlò si sentì ribollire il sangue, senza un motivo preciso.
-E così è lui. -lui. Cosa significava “lui”? Kjell non sapeva bene cosa fare o dove guardare. Non era mai stato in colloquio con una persona così importante. -Ora puoi lasciarci, Thor. -il Dio fece invece un passo indietro e mise una mano sulla spalla di Kjell.
-Se non ti dispiace, Padre, preferirei restare. Sai che sarà difficile per lui. -Odino scosse la testa.
-Cose difficili capitano tutti i giorni, soprattutto a noi, perciò… -
-Thor ha pieno diritto di restare qui. -proruppe una voce dalla stessa direzione da cui Thor e Kjell erano arrivati. Odino sembrò molto contrariato.
-Frigga, lo sai che questo è un colloquio privato. -Kjell guardò la donna avvicinarsi e fermarsi accanto a Thor.
-Non puoi cacciarci. Sai bene che questo riguarda tutti noi. -il Padre di Tutti scosse leggermente la testa ma non disse più niente al riguardo. Invece si rivolse a Kjell:
-Qual è il tuo nome, ragazzo? -il chiamato in causa si guardò intorno, imbarazzato a causa di tutta quell’attenzione.
-Kjell Barker, signore. O almeno, Barker è il cognome dei miei genitori adottivi. Non so molto della mia vera madre. So… -cercò lo sguardo di Thor, per cercare approvazione, e il Dio gli fece cenno di continuare. -che ha abitato ad Asgard per qualche tempo. -Odino lo osservò a lungo, prima di ribattere:
-Esatto. Dopo la sua morte, il Guardiano ci ha rivelato le sue origini, dicendoci che si era fatto impietosire da quella bambina troppo debole e piccola lasciata a morire nel gelo dell’inverno.
Così la salvò e la porto ad Asgard. -Kjell annuì. Sapeva già tutto. Era soltanto impaziente di scoprire il motivo per cui l’avevano portato lì ad Asgard.
-Tua madre era amata da tutti, ma si era più affezionata a due persone in particolare. -si fermò un secondo, ma non sembrava insicuro di quello che stava per dire. E non sembrava che gli importasse qualcosa di come avrebbe reagito Kjell. -Thor -il ragazzo annuì. Lo sapeva già. -e Loki. -proprio quel Loki? Quello che aveva cercato di conquistare la terra con il suo esercito meno di un anno prima? Non riusciva proprio a capirne i motivi.
-Padre, non lo fare, non… -disse Thor, risvegliando Kjell dai suoi pensieri. Ma Odino aveva la sua idea, e l’opinione di suo figlio non contava.
-Loki, tuo padre. -Kjell si ritrovò pietrificato. Non era possibile, assolutamente non lo era. Come poteva lui essere figlio di Loki? Come poteva sua madre essersi innamorata di lui? Di un pazzo assassino con l’ossessione di potere? Tutti quei sogni che faceva, tutte quelle visioni… Era un mostro, esattamente come suo padre. Come poteva essere diverso? Era quello il motivo per cui tutti lo osservavano in quel malo modo, il motivo per cui aveva suscitato tanto scalpore. Perché era un mostro e loro lo sapevano. Forse quei sogni che faceva, forse tutto quel sangue era stato lui a provocarlo… Forse aveva ucciso lui la donna che vedeva. Forse aveva rimosso il ricordo perché era solo un bambino. Un bambino e già un mostro. Era per quello che non aveva mai avuto degli amici. Forse perché tutti sapevano che era un mostro. Non si era nemmeno accorto di essersi messo a correre. Non sapeva nemmeno dove stesse andando, ma sapeva che voleva andare lontano, il più lontano possibile da lì. Tutto il mondo attorno a lui vorticava, riusciva a vedere dei visi che lo guardavano severi, delle dita puntate che lo accusavano. Mostro, sei un mostro. Continuava a ripetere una voce che sembrava provenire da nessuna parte, ma allo stesso tempo da ovunque. Certo, era vero. Un mostro non può che generare un altro mostro. Certo, forse sua madre non era del tutto un mostro, ma lo era abbastanza da innamorarsi di un pazzo assassino. Continuò a correre fino a quando non si ritrovò in quello che sembrava un giardino. Non c’era nessuno, ma non si fermò subito. Raggiunse una pianta bassa vicino al lago e vi si lasciò cadere sotto. Si sentiva confuso, non riusciva a capire più nulla, assolutamente nulla. Ma forse l’unica cosa da capire era che lui era un mostro, non c’era nient’altro di chiaro. Sapeva di essere cattivo e marcio. Ormai se lo sentiva dentro.
 
Thor osservò Kjell uscire correndo dalla porta, stringendo gli occhi. Poi, si rivolse a suo padre, lasciando cadere pesantemente il Mjöllnir a terra.
-Sei stato meschino padre! Come hai potuto? -Frigga sapeva che i due si sarebbero messi a litigare, ma per una volta poteva anche accettarlo. Era pienamente d’accordo con Thor. Odino scosse la testa.
-Come volevi che glielo dicessi? Non poteva essere una notizia felice in nessun modo! -il Dio del Tuono fece un passo in avanti.
-È SOLO UN RAGAZZO, MALEDIZIONE, È COSÌ DIFFICILE VEDERLO? -Odino scattò in piedi, per affrontare il figlio.
-È IL FIGLIO DI LOKI! COME PUÒ ESSERE DIVERSO DA LUI? -Thor non faceva che adirarsi di più ogni secondo che passava.
-LA MALVAGITÀ NON SI TRAMANDA DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE! KJELL NON HA COLPE! –Thor sapeva perfettamente che era quello che suo padre pensava. Era convinto che Loki fosse cattivo e perciò era certo che Kjell non potesse portare altro che male. Ma Loki non era malvagio, non lo era mai stato. Era diventato folle, per qualche motivo, forse per il troppo dolore. Nonostante tutto, restava comunque suo fratello. Per Odino era diverso. Per lui Loki era perso. Per lui Thor era il suo unico figlio.
-COME PUOI CREDERE IN LUI, DOPO AVER VISTO QUELLO CHE LOKI HA FATTO ALLA TUA AMATA TERRA? -Odino fece un altro passo in avanti, continuando a sostenere quell’argomentazione senza né capo né coda. Thor scosse la testa, sconsolato. Se essere re significava diventare come suo padre, non aveva alcuna intenzione di regnare su Asgard.
-Forse avrei dovuto rimanere su Midgard e lasciare che Loki restasse re. Forse lui avrebbe avuto più buon senso di te, Padre. -lasciò il Mjöllnir davanti al trono, uscendo a grandi passi, furente. Suo padre si stava lentamente avvicinando alla pazzia. Come aveva potuto dire la verità con tanta leggerezza? Kjell sapeva da poco tempo di essere stato adottato, sapeva da ancora meno che sua madre aveva abitato ad Asgard. Non sapeva nulla. Non avrebbe potuto sapere di più. Poco prima era un ragazzo comune, magari non credeva nemmeno all’esistenza di Asgard. E soprattutto, non sapeva nulla di Loki. Non osava nemmeno immaginare come si sentisse in quel momento. Camminò senza meta per i corridoi, suscitando qualche commento, poiché non lasciava praticamente mai il suo martello, fino a quando la sua rabbia non svanì. Poi, per quanto non fosse felice di doverlo fare, prese una decisione. Sapeva di doverlo fare lui. O lui o nessun altro.
Intanto, nella sala del trono, Odino scese gli scalini che lo separavano dal martello e lo raccolse sospirando. Thor era sempre stato testardo. Frigga si avvicinò a lui.
-Mi dispiace, ma devo dar ragione a Thor. Sei stato crudele. Kjell non ha colpe per come ha agito Loki, lo sai. Ed era nato in un tempo in cui nella mente di Loki non si era ancora insinuata la pazzia. -Odino, rimasto zitto fino a quel momento ad ascoltare la consorte, alzò lo sguardo e la fissò intensamente con il suo unico occhio.
-Loki è sempre stato marcio, temo. -Frigga non poteva credere a quello che sentiva. Fece un passo indietro, adirata. Thor forse aveva perfettamente ragione su tutto.
-Lo hai sempre visto diverso, vero? Non sei mai riuscito ad amarlo come lo amavo io. Per te lui è sempre e solo stato un modo per mettere pace con i giganti di ghiaccio. -scosse la testa, mentre lui non la guardava. -Lui ha ragione a odiarti. -non poteva credere a quello che aveva appena detto. Si allontanò in fretta, lasciando Odino ad ascoltare i suoi passi allontanarsi. Avrebbe aiutato Kjell in tutti i modi, impedendo che cadesse nell’oscurità come Loki. Sapeva che tutti avrebbero considerato quel povero ragazzo diverso, anche se lui non aveva colpe. L’avrebbero sempre considerato un pericolo. Ma non sapeva ancora quanto fosse vero.
 
Non sopportava l’idea di dover scendere là sotto, non sopportava l’idea di dovergli parlare di nuovo. Non sopportava l’idea di avere per l’ennesima volta la conferma che suo fratello era scomparso e non sarebbe mai tornato. Si fermò sulla soglia, ragionando. Come diavolo glielo avrebbe detto? In nessun modo esistente sarebbe stato facile. Sempre che ha lui importasse qualcosa. Sembrava non gli importasse più di nulla. Sospirò e scese le ultime scale che lo separavano dall’entrata delle prigioni. Avanzò fino alla cella di Loki, continuando a ragionare febbrilmente. La sua voce lo riportò alla realtà:
-Thor, a cosa devo il piacere? -alzò lo sguardo su di lui. I capelli gli erano cresciuti notevolmente dall’ultima volta che lo aveva visto, ed erano più disordinati. Lo sguardo invece era uguale. O forse era più acido. Thor non aveva fatto altro che pensare prima di arrivare lì, ma tutti quei ragionamenti sparirono.
-C’è un unico motivo per cui sono qui. -sostenne il suo sguardo, mentre un ghigno si apriva sul viso di Loki.
-E quale sarebbe? -ancora Thor non aveva deciso come dirglielo e perciò parlò senza nemmeno sapere quali parole avrebbe detto.
-Se Synne fosse ancora qui, ti importerebbe di lei? -il ghignò sparì di colpo, mentre di nuovo il muro crepato che Loki aveva cercato di tenere davanti a suoi occhi senza emozioni
crollava.
-No. Non mi importerebbe. -mentiva. Mentiva e lo si vedeva. Ma dopotutto lui mentiva sempre. Abbassò lo sguardo a terra e quando lo rialzò, il muro era tornato.
-Lo temevo. –ribatté Thor, deluso. Sperava che almeno in questo caso
-Perché questa domanda? -Loki inarcò un sopracciglio. Era impossibile che capisse. Thor lo osservò per qualche secondo. Aveva capito che mentiva dicendo che non gli sarebbe importato di Synne, ma comunque non trovava modo migliore.
-Forse speravo che avresti risposto in modo diverso. -
-Non credo che tu sia qui solo per questo. -Thor sospirò.
-Effettivamente no. Voglio solo informarti che tuo figlio è qui. -non aspettò di vedere la reazione di Loki e tornò deciso verso le scale. Non era stato diverso da suo padre, in quel modo. Se Loki non avesse mentito, forse sarebbe stato più clemente. Lo stava facendo per Synne. Lei non meritava tutto questo.
Loki quasi non riusciva a respirare. Era rimasto immobile, si sentiva come se lo avessero trapassato con una spada. Il muro crollò di nuovo, ma adesso lui non aveva motivo di preoccuparsene. Suo figlio. Suo figlio. Era per lui che Synne se n’era andata, era ovvio. Ma perché? Perché non glielo aveva detto? Perché era semplicemente scappata? Lui la amava, non c’era motivo di tenergli le cose nascoste. O forse Synne aveva già capito. Aveva già capito che lui era marcio. Aveva già capito che sarebbe stato solo un pericolo. Ma no, non poteva essere così. Lui con Synne era sempre stato diverso. Lei era l’unica cosa che riusciva a farlo restare sano di mente. Mentre tutti gli altri si accanivano su di lui, senza nemmeno un motivo preciso, Synne era gentile. Solo a lei importava davvero di lui. Loki non si era mai sentito tanto perso come quando era morta. Solo quando aveva scoperto di essere un gigante di ghiaccio, solamente un mostro. Sentì le lacrime scivolargli lungo il viso. Si sentì un idiota, si sentì debole. E lui non era debole. Non lo era. Non lo era più! Lanciando un grido scivolò a terra. Sferrò un pugno alla barriera che lo teneva segregato in quella cella, senza nemmeno sentire il dolore. Rimase così, cercando di scacciare il dolore straziante del cuore con quello fisico. Ma non ci riuscì. Non poteva farlo. No, non quando si parlava di Synne. Sarebbe morto per lei una volta. E anche ora. Era ovvio che gli sarebbe ancora importato di lei se fosse stata ancora viva. Però non lo era. Lo aveva lasciato ad annegare nei suoi sbagli, sbagli che aveva commesso perché lei non c’era più. E con un figlio che non poteva nemmeno amare, il cuore troppo gonfio d’odio verso chi lo aveva sempre sottovalutato e verso sé stesso. Soprattutto verso sé stesso, anche se non lo avrebbe mai ammesso.
-Perché Synne? Perché? -mormorò, per poi affondare i denti nelle labbra, reprimendo le urla e le lacrime. Sapeva che quella domanda senza senso non avrebbe mai avuto risposta, ma aveva dovuto chiedere. Si chiese dove fosse la sua Synne. Era nell’Hel a causa sua? Perché aveva infettato la sua purezza con l’oscurità che dimorava in lui?  In quel momento si odiò più di prima, per essere così stupido. Cosa pensava suo figlio di lui? Cosa pensava suo figlio di sé stesso? Perché la vita era così ingiusta? Per un attimo desiderò essere uno di quegli stupidi Midgardiani. Avevano solo cento anni o meno da soffrire, mentre gli Dei molto di più. Molto di più o anche troppo.
Loki era così annebbiato da suo dolore che non si accorse della figura nascosta nell’ombra vicino alla sua cella. Dopo qualche attimo, con un leggero tintinnare, la figura scomparve, sconvolta da quello che aveva visto. A quanto pareva, il Dio dell’Inganno aveva ancora un’anima. E forse anche qualcosa di buono in quell’anima.

Angolo autrice:
Saaalve gente! Sì, sono ancora viva, probabilmente speravate il contrario. Questo capitolo è qui solo per confondervi le idee. Sicuramente avrete capito di più del povero Kjell, che più confuso non potrebbe essere. Ora che siete arrivati qui, forse, è ora di rendervi chiare le cose (sure): ovviamente Synne non se n'è andata perché "sapeva che Loki era cattivo" o qualcosa del genere, ma soltanto perché è scema. Ok, scherzo. Ma era un po' in panico, considerando che comunque Loki è uno dei principi di Asgard e lei è soltanto una contadina o qualcosa del genere. In più, più o meno nello stesso periodo aveva scoperto di essere in realtà di Midagard, quindi non sapeva bene cosa fare. In un certo senso voleva che suo figlio potesse vivere in modo normale, ma ha fatto un bel casino, eh. Scusate, sto praticamente mettendo a posto le idee da sola. Un'applauso per la nostra (mediocre) autrice. Che ne pensate? Tutto ciò è abbastanza PLOT TWIST o avevate già capito tutto? 
   
 
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