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Autore: I_love_villains    19/11/2017    0 recensioni
Pharrell College= scuola privata inglese per giovani sidhe.
Sidhe= creature fatate facenti parti del Piccolo Popolo.
Pandora= tutti i doni. Ma alcuni sono oscuri.
Coraggio= capacità di affrontare situazioni difficili e pericolose, talvolta per fare la cosa giusta.
Amicizia= vivo e scambievole affetto tra due o più persone, ispirato dalle più svariate cause.
Paura= stato emotivo di repulsione e di apprensione in prossimità di un vero o presunto pericolo.
Sfortuna= cattiva fortuna, sorte avversa. Le disgrazie non vengono mai da sole e i mostri sono reali.
Genere: Fantasy, Horror, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Da qualche giorno non andava alla casa sull’albero. Ma perché avrebbe dovuto, per vedere Dory ridere e scherzare con Lance? Gli era bastato ascoltarli qualche minuto, sentirli parlare della scuola, dei genitori e di tante altre cose, anche personali. Aveva stretto i pugni, sopportando anche il fatto che Dory trascurasse i suoi vecchi amici per stare con quello. Hope non se l’era presa, Pepe inizialmente sì, ma poi Dory l’aveva portato con lei e lui si era calmato.
Beh, ormai il suo dono era pronto. Con quello le avrebbe aperto gli occhi. Lui l’amava da sempre, era con lui che poteva confidarsi, che poteva ridere, che poteva baciare …
Galahad si avvicinò sorridente a Pandora, felice di trovarla sola.
“Dory!” chiamò prima che lei salisse le scale per andare a letto.
“Oh, ciao. Scusa, ma sono stanca e …”
“Solo un momento.”
Il ragazzino le tese un pacco colorato chiuso con un fiocco verde.
“Un regalo? Devi esserti confuso ancora con le date Galahad, oggi …”
“Lo so che non è il tuo compleanno” la interruppe lui offeso. “È solo un pensierino, completato oggi, per te.”
Pandora scartò il regalo. Strinse fra le mani una marionetta con le sue fattezze, una mini - sé. La osservò meravigliata dalla bravura di Galahad.
“È molto bella, grazie” esclamò abbracciandolo.
Il biondino arrossì, compiaciuto, e ricambiò l’abbraccio. Quando si separarono le sorrise speranzoso.
“Adesso torni a giocare con me come prima? Smetti di stare sempre con Lance?”
Lo sguardo di Dory si raffreddò e il sorriso sparì dalle sue labbra.
“Stiamo insieme, accettalo.”
“M- ma noi ci conosciamo da più tempo, io ti voglio bene, lo sai!”
“Anche io ti voglio bene, ma non in quel modo.”
“Ti prego …”
“Se vuoi che restiamo amici finiscila.”
Gli occhi di Galahad si inumidirono.
“Hai uno strano modo di dimostrarlo, non giochiamo più insieme.”
“Senti, come hai detto noi ci conosciamo da tempo, quindi devo recuperare con Lance, capisci? Ci stiamo conoscendo meglio.”
“Ma perché lo ami?” insistette il biondino, cercando di mantenere la voce ferma.
“Ti rigiro la domanda: perché mi ami? Così ti trovi le risposte da solo.”
Stanca della conversazione, Pandora salì la prima rampa di scale, ma si fermò quando Galahad disse a voce più alta: “Per favore Dory, almeno …”
“Perché non dici il mio nome?”
Umiliato, il bambino abbassò la testa e le lacrime scivolarono sulle sue guance. Lei lo guardò impassibile.
“Non te lo ricordi, giusto? Allora non sono poi così importante per te.”
“Sì invece, stupida! Ti avrei fatto la bambola altrimenti?!”
“Ma prenditela, non mi serve!” La ragazzina la lanciò verso di lui. La marionetta rotolò per qualche scalino fino a fermarsi ai piedi di Galahad. “E lasciami in pace, capito? Non sono tua, sto con chi mi pare!”
Pandora corse in camera sua e si gettò sotto le coperte, arrabbiata. Non aveva mai litigato con lui prima, ma era certa di non essere lei che sbagliava. Nonostante ciò si asciugò qualche lacrima e si addormentò dopo molto tempo, stringendo Pepe come se fosse un peluche.
Galahad recuperò la marionetta e raggiunse lentamente camera sua, camminando come se fosse ferito. Mise la mini - Dory sul comodino e si stese sul letto. Piangeva con il cuore spezzato. Possibile che a lei non importasse nulla di lui, dei suoi sentimenti? Era stata così cattiva …
È colpa di Lance.
Il ragazzino sussultò. Si alzò a sedere di scatto, guardandosi attorno, ma in camera non c’era nessuno a parte lui.
È colpa sua ti dico. Prima Dory era più gentile, giusto?
Galahad fissò stupito la marionetta, smettendo di singhiozzare.
“T- tu stai parlando?”
Sì, ma che importa? Il punto è che oggi Dory ti ha trattato male, ti ha ferito. Ma non è colpa sua.
Il bambino osservò più da vicino la bambola: la sua bocca non si muoveva, eppure la sentiva!
“È colpa di Lance …” bisbigliò.
Esatto, amico mio. A te serviva solo un altro po’ di tempo. Un paio d’anni, magari. Sareste stati più grandi e maturi e lei avrebbe capito quanto vali, no? Che solo tu puoi renderla felice …
“Sì, sì, prima volevo dirlo ma non mi venivano le parole!”
Invece Lance non la vede come la vedi tu, no? Nessuno potrebbe.
“E cosa faccio? Oggi era tanto arrabbiata …”
Semplice. Falle vedere che hai capito. Ignorala tu. Sarà poi lei a venirti a cercare. E mentre sei distante …
“Cosa?” sussurrò lui, senza voce, cominciando a sentire freddo.
Sistema Lance. Mandalo via. Battiti per la tua donna. È colpa sua se non siete più amici, fagliela pagare.
Dopo quelle parole la mini - Dory non parlò più, nemmeno quando lui la scosse. Galahad la chiuse nell’armadio, tremante. Aveva davvero conversato con una bambola o se l’era immaginato?
Il biondino si mise sotto le coperte, con la pelle d’oca. Immaginazione o meno, la marionetta aveva ragione. Avrebbe protetto Dory da quel falso innamorato. Avrebbe messo le cose in chiaro, così Lance sarebbe sparito e Dory sarebbe tornata da lui, dispiaciuta e riconoscente.

Quella notte in pochi dormirono bene. Ci fu chi ebbe incubi, chi era preso da riflessioni personali e chi aveva mangiato troppa peperonata a cena. Frithjof si rigirò più volte nel letto, finché si arrese e decise di bere del latte caldo per conciliare il sonno. Intanto pensava ai suoi amici, a come era finito in mezzo a quel gruppetto. Certo, era il miglior amico di Anton nonostante la differenza di età perché entrambi avevano una passione per gli scherzi e sapevano il fatto loro, rispondendo per le rime agli adulti anche a costo di ricevere una punizione. O uno schiaffo, a seconda dei casi. Però non ci trovava niente di che negli altri, escluse forse Pandora e Fujiko. La prima era una ragazzina tosta, sicura di sé e abbastanza simpatica; la seconda era incredibilmente bella e intelligente, nonostante il carattere lasciasse molto a desiderare. Avrebbe voluto mescolarle per avere la ragazza perfetta per sé. Sorrise a quell’idea.
Mentre il latte si scaldava sbuffò. Gli altri erano degli insulsi bambinetti, compresi Lance e Gabriel. Troppo perfettini. Inoltre nessuno si rendeva conto delle sue capacità. Poteva tollerare che Dory fosse il capo, ma per quanto stimasse Anton lui sarebbe dovuto essere il vice. Sorseggiò il latte. Lo sputò immediatamente: aveva un sapore strano, decisamente sgradevole. Vide che si era raggrumato nella tazza. Eppure quando lo aveva messo nel tegamino non si era accorto di niente … Controllò la data sulla confezione e la agitò. Fuoriuscirono diverse mosche, che poi volarono per la stanza fino a che uscirono dalla finestra.
Frithjof lasciò cadere il cartoncino, fissandole con occhi sgranati. Trattenne a malapena un conato di vomitò. Corse in bagno e non seppe per quanto restò lì a tremare dopo aver vomitato. Le cose associate alla putrefazione lo avevano sempre disgustato, proprio non le poteva soffrire.

Come avrebbe scoperto in seguito, lui non fu l’unico a passare una notte molto insolita. Lance si era svegliato per un urgente bisogno fisiologico. Dalla camera dei fratelli proveniva qualche parola, pronunciata nel sonno. Gli parve che Simon dicesse qualcosa come Ti salvo io, Eve. Ridacchiò. Che fosse una sua nuova cotta?
Lance si asciugò le mani pensando alla sua, di cotta. Anche se era qualcosa di più di una semplice cotta, o almeno lo sperava. Alzò gli occhi e vide che dietro di lui c’era una donna incappucciata. Si voltò così velocemente che sarebbe caduto se non fosse finito contro il muro. Non c’era nessuno. Il ragazzino restò immobile a guardare, mentre il cuore decelerava e il respiro si regolarizzava. Ovvio che non c’era nessuno, probabilmente aveva confuso gli accappatoi per chissà cosa. Anche se quelli erano bianchi, non neri … Facendosi coraggio, Lance sbirciò nello specchio e sì, la donna era ancora là. Il panico tornò. Prima che potesse fuggire in camera, lontano da quella inspiegabile apparizione, la donna parlò, ma la vera ragione per cui Lance restò in bagno fu che la porta era chiusa e lui non riusciva ad aprirla.
“Calmati, ragazzo, non voglio farti del male.”
La sua voce era roca, profonda, ultraterrena. Il bambino si girò, premendo le spalle contro la porta. Era pallido e gli occhi erano spalancati da sorpresa e paura. Passò qualche minuto in cui entrambi rimasero immobili. Lance la osservò meglio: la creatura sembrava fatta di un’oscurità viva, semovente. Sotto il cappuccio si intravedevano un volto e una figura di donna, ma forse non c’era nulla di tangibile sotto quella veste di pura tenebra.
Tremante, si avvicinò allo specchio, muovendo passi incerti. Lei mosse appena la testa, come per incoraggiarlo ad avvicinarsi di più. Nei suoi modi non vi era nulla di minaccioso. Sembrava un essere abbastanza paziente, quasi placido. Voleva solo parlare.
“C- chi sei? Cosa vuoi da me?”
“Se vuoi un nome, chiamami Lullaby. Ti lascio un avvertimento, una chance di salvezza.”
Lullaby fece una pausa, in modo che lui assimilasse le sue parole.
“Presto, molto presto, forse già domani, capirete di essere in pericolo. Lui vi vuole, troverà il modo di attirarvi. È ingordo. Tuttavia è più il gioco a divertirlo, per sopravvivere gli basterebbe un solo bambino. O bambina. Al massimo due.”
Altra pausa, stavolta più lunga. Lance non capiva davvero di che parlasse o dove volesse andare a parare.
“Lo so, adesso non mi comprendi, ma capirai. E se ricordando le mie parole deciderai di fare come dico, salverai più di una vita. Ascolta: prima che sia troppo tardi, a mezzanotte, porta Pandora nella vecchia villa Anderson. Non è necessario che ci vada anche tu, fingi che sia un appuntamento. Una volta fatto ciò, tu e gli altri tuoi amici non avrete più problemi.”
Lance la fissò confuso, con un mare di domande che gli frullavano per la testa. Vide che lei stava sbiadendo ed urlò: “No, aspetta! Lullaby! Di chi parli?! Che vuole da Dory?”
“Non posso dirti altro, se non che dove c’è molta luce l’ombra è più nera.”

Gabriel si svegliò e, come d’abitudine, inforcò gli occhiali. Le tre di notte.
Sarà un irresponsabile patentato, ma è preciso come un orologio svizzero” pensò amaramente.
Il suo patrigno in effetti rincasava sempre a quell’ora, ubriaco, e non si dava certo pensiero della moglie e del figliastro addormentati, perciò non era insolito che un rumore o la sua voce li destassero. Il ragazzino sospirò. Almeno William non era una persona cattiva. Era irascibile e presuntuoso, spesso e sovente alzava la voce e dava ordini, pretendendo di essere obbedito, ma non li insultava mai né li picchiava. A modo suo si era affezionato a lui e a sua madre. Gabriel doveva ammettere che in fondo anche lui gli voleva bene.
Una specie di ringhio distolse la sua mente dai ricordi del suo defunto padre, sidhe certamente migliore di William ma più sfortunato: era stato sepolto da una valanga mentre era a caccia di draghi. La bestia gli aveva fatto perdere i sensi e mentre i colleghi erano distratti dal drago …
Gabe si alzò dal letto, afferrò la torcia sul comodino e l’accese, proiettando il fascio di luce da una parte all’altra della camera. Il ringhio si ripeté. Proveniva da fuori. Lui era un bambino razionale, quindi non pensò che sotto la sua finestra ci fosse un mostro. Non il mostro che intendono solitamente i bambini, almeno. Conosceva un sacco di creature pericolose che venivano considerate mostri, creature reali che potevano fisicamente fare male a qualcuno. Fra tutte quelle ce n’era una in particolare che lo terrorizzava e per quanto incredibile gli sembrasse, sbirciando dalla finestra, proprio quella si trovava nel suo giardino: un grifone. Gabriel prese a tremare. Fece fatica a deglutire. Spense la torcia e con passo malfermo si mise sotto le coperte, tirandosele fin sopra la testa. Udì il grifone emettere di nuovo quel suo strano ruggito. Col suo becco picchiettò sul vetro della finestra. Il ragazzino si coprì la bocca con le mani e serrò di più gli occhi, raggomitolandosi. Dopo quella che gli sembrò un’eternità il grifone se ne andò. I suoi muscoli si rilassarono. Fino ad allora erano stati tesi come fil di ferro. Gabe si tolse gli occhiali, accorgendosi di aver pianto. Si asciugò il sudore e bevve qualche sorso d’acqua, versando qualche goccia sulle lenzuola visto che le mani gli tremavano. Si vergognava di sé: se fosse entrato come si sarebbe difeso? Sarebbe morto da codardo, senza combattere, senza nemmeno tentare di fuggire o avvisare sua madre e William.
Gabriel pianse rammaricandosi di non aver ereditato il coraggio o l’abilità da cacciatore del padre e piangendo si addormentò.



***Angolo Autrice***
Spero che questo capitolo vi abbia incuriosito un po' più degli altri.
Ecco Lullaby

   
 
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