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Autore: VvFreiheit    19/11/2017    7 recensioni
La Mikandy più lunga che sia mai stata scritta.
La loro vita raccontata dagli albori fino al 2015.
1000 pagine di word, 200 capitoli, 4 anni e mezzo di pubblicazione.
.
Andò a posare le mani sulle sue ginocchia, accucciandosi di fronte a lui, cercando da quella posizione i suoi occhi, che ancora se ne stavano in contemplazione del pavimento della stanza. “Scusami” disse scandendo con dovizia ogni suono di quella parola.
“Grazie” rispose Mika inaspettatamente. Andy sorrise chiudendo gli occhi e lasciando che nella maglia del moro si celasse la sua emozione, stringendolo più forte a sé. Un grazie che esprimeva tanto, che possedeva nel profondo tutti le ragioni per cui era venuto alla luce in quel preciso istante.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Andy Dermanis
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dai, Splendido ragazzO, buonanotte!” concluse poi Andy, ormai sicuro che il compagno fosse tranquillo e sereno, enfatizzando le due parole, attribuendogli entrambi i significati.

“Notte! <3 ” chiuse quindi la conversazione definitivamente anche Mika, correndo in bagno e finendo di sistemarsi, prima di buttarsi a letto e dormire finalmente sogni tranquilli.

-*-*-*-*-*-

Un’estate così pesante Mika non la ricordava da parecchio tempo.

L’orologio per Swatch in dirittura d’arrivo, gli occhiali di Lozza in lavorazione, il songbook in fase creativa, la casa di Miami in crescita di qualche metro la settimana, il suo italiano in miglioramento costante, Xfactor in piena fase selettiva con l’ultima data di audizioni, i bootcamp e gli home visit, l’idea di firmare per The voice sempre più concreta e le prime idee per il nuovo album in cantiere.

Il tutto condito da una costante frenesia e adrenalina in circolo.

“Anche io voglio le ferieeeee” piagnucolò al telefono ad un Andy comodamente sbragato al sole greco con suo padre e sua sorella, sull’isoletta di Egina. Il giovincello infatti aveva preso la palla al balzo alla proposta di Alexis di inaugurare l’avvento della pensione trascorrendo qualche giorno nella vecchia casetta dei nonni sull’isoletta che aveva dato i natali a suo padre.

“Dai, ad agosto ci facciamo una bella vacanza!” lo rassicurò il ragazzo, cercando di non infierire sulle differenti giornate che i due stavano avendo al momento.

Mika mugugnò sconsolato “Eh ma siamo a fine giugno…” gli fece notare tristemente, puntualizzando le quasi 5 settimane che ancora aveva da lavorare prima di arrivare a poter godere dell’attività a cui Andy si stava invece già dedicando.  

“Non dire così, sembra ieri che eravamo in Nepal… e sono già passati quasi 7 mesi…” evidenziò il biondino, spronandolo a vederla in maniera positiva, sicuro che quelle settimane gli sarebbero volate senza che se ne accorgesse.

“Già, speriamo…” si lasciò andare il riccio, buttando un occhio all’orologio e notando di essere quasi in ritardo, di nuovo, per il suo incontro con Isabella.

“Vado che sono già in ritardo, tanto per cambiare…” gli riferì tristemente.

“Eleni e papà ti salutano, se non te lo dico mi ammazzano!” gli riferì notando per l’ennesima volta la sorella mimargli l’ordine perentorio con le labbra. 

Si salutarono con un velo di nostalgia e poi ognuno tornò alle proprie giornate.

“Scendo al porto da Hektor a prendere i polipi” annunciò Alexis uscendo dalla porticina di casa con un cesto di vimini in mano ed uno strano cappello verde militare in testa, dall’aria alquanto sgualcita.

“Vengo anche io!” Trillò immediatamente Andy, raggiungendolo a corse.

Eleni nel vedere uscire il padre conciato in quel modo scoppiò in una fragorosa risata, indicandolo “Cosa ci fai col cappello del nonno??” chiese tra le risa.

Alexis la guardò con un sorriso canzonatorio, per poi rivolgersi al figlio, indicarsi e chiedergli in tono fintamente ferito “Mi trovi ridicolo?”

Andy sorrise gioiosamente a quello scambio di battute “No pa’, sei fighissimo!” gli disse, avvicinandosi e levando un filamento di ragnatela penzolante da un lato del copricapo recuperato in qualche anfratto polveroso della casetta ormai in disuso da anni.

“Questo cappello nuovo di zecca ti sta proprio da Dio!” enfatizzò con un mezzo ghigno liberandosi della ragnatela sulla maglietta della sorella, beccandosi un “ANDREAS!!” schifato.

“Se vi sentisse vostro nonno, ne direbbe quattro a entrambi!” si risentì giocosamente il padre guardando verso il cielo con un sorriso, conscio delle battute dei figli, che se la ridevano di gusto.

Come Andy vide poi il padre avviarsi a piedi verso il retro della casupola, lo seguì curioso con lo sguardo e decise di raggiungerlo quando sentì degli strani rumori sordi provenire da dove si era infilato.

“Non vorrai scendere con quel coso al porto…” chiese immediatamente quando lo vide armeggiare con un vecchissimo motorino impolverato, pigiando più volte sul pedale, in un tentativo di metterlo in moto.

“Certo che sì… Dagli fiducia…” disse invitando il figlio a pazientare e continuando i suoi tentativi di accensione, senza molti risultati.

“Eleeee, mi sa che a cena stasera si mangia carne in scatola!” gridò il ragazzo alla sorella, beccandosi in testa, lo straccetto polveroso con cui Alexis aveva ripulito il mezzo.

“Ma dai papà, è vero!” lo sfotté il biondo, proprio mentre con una nuvoletta di fumo grigiastro ed uno scoppiettio sinistro il motorino si avviò.

“Visto! Figli di poca fede!” esultò accelerando con un enorme sorriso in volto, salendo in sella al piccolo trabiccolo e invitando il figlioletto a montare dietro.

“Non fare quella faccia, sali!” lo esortò ridacchiando, notando il suo piglio preoccupato ed incerto.

“Ma davvero scendiamo con questo?” chiese di nuovo Andy, piuttosto preoccupato.

“Ma sì… Dal porto a Kypseli a piedi al massimo ci si mette 40 minuti” affermò, spiegando i tempi di percorrenza della distanza che avrebbero potuto dover percorrere dal porticciolo al loro paesino, in caso di una défaillance del loro mezzo di fortuna.

Andy guardò il padre e il motorino con un sopracciglio alzato, per poi proferire uno sconsolato “Incoraggiante…”, seguito dalle risa di Eleni, che senza farsi vedere stava filmando la scena con la piccola videocamera che Andy aveva lasciato sul tavolino.

Nonostante lo scetticismo, il biondino decise di dare fiducia al padre e montò in sella al piccolo trabiccolo, abbracciandosi saldamente a lui, quando con una brusca accelerata Alexis fece i primi metri.

Il viaggio da Kypseli al porto in motorino non era affatto lungo, ma Andy inizialmente ebbe seriamente paura che quel motorino potesse lasciarli a piedi e potessero doversi fare oltre al ritorno, anche un pezzo di andata a piedi.

Dopo i primi 5 minuti però, la spensieratezza del momento lo pervase, levandogli qualsiasi pensiero inopportuno e donandogli null’altro che le sensazioni piacevoli di quella terra a tratti bucolica e di quel contesto familiare tanto particolare.

Pronoia. Fu esattamente quella la sensazione che lo avvolse;l’antitesi della paranoia, la sensazione di avere il mondo che si muove con te, per te, accanto a te, un frangente in cui tutto va semplicemente come deve andare.

Le distese e le piantagioni di alberi da pistacchio, con i loro grappoli rosati, facevano da contorno alla stradicciola sterrata che suo padre stava percorrendo su quel vecchio motorino che più di un par di decadi aveva vissuto in quei luoghi.

La tranquillità del borgo di Kypseli che a poco a poco veniva lasciata alle spalle, insieme alla polvere ocra delle viottole strette, intersecate tra bassi cespugli e pascoli di capre selvatiche.

Il blu intenso, vellutato di quel mare a metà strada tra il Mediterraneo e l’Egeo che a tratti si scorgeva birichino tra le fronde degli alberi e le dune ocra, candide o desertiche, accarezzava gli occhi di Andy, che proprio dalla stessa tavolozza parevano aver attinto ventott’anni addietro.

Il profumo muschiato del cappello in testa a suo padre, riportava atavici ricordi d’infanzia, di quando lui quello stesso cappello lo rubava dal capo del nonno, per calarselo fieramente in testa.

Quegli stessi luoghi nei quali il suo io di vent’anni più giovane aveva trascorso gai e irripetibili istanti d’estate. 

Il vociare spensierato e concitato dei vecchi seduti ai tavoli, tra un bicchiere di Ouzo e una vecchia storia, raccontata innumerevoli volte, ma a cui un dettaglio nuovo che la abbellisse non mancava mai.

Quell’inflessione diversa, quasi volgare nella parlata di quegli abitanti, distanti solo un’ora di mare dalla patria dei filosofi, ma centinaia di miglia in usi e costumi, lessemi e discorsi.

La semplicità di un foulard annodato sul capo di una donna, come unico riparo dal sole greco cocente, nei campi senz’ombra. La trasgressione di quella sigaretta fumata con fierezza dal marito, in quel suo unico attimo di pausa, all’ombra di un ulivo. 

Il silenzio delle vie, interrotto, rotto, dallo scoppiettio fuggevole di quel motore datato, che in un incedere lento, scompariva poi com’era comparso.

La sabbiolina fine, che trovava vorticosamente la sua strada nell’aria, al passaggio di quei vecchi pneumatici, per poi terminare la sua danza in un canto del cigno che ancora finiva dov’era iniziato, sulla stessa via, solo qualche metro più avanti.

I colori sgargianti di alcune cartoline, solitario segno di civilizzazione non autoctona, in quella tranquillità così greca.

Un nitrito lontano di un cavallo e il raglio altrettanto distante di un asino, che come i suoi predecessori di qualche decennio più indietro, lavorava duramente per una manciata di fieno al tramonto.

Uno scorcio di terra, un ritorno al passato nella sua realtà più contemporanea, che di con-temporaneo col mondo ad un’ora dalla sua costa aveva ben poco. 

Il profumo di salsedine, mare, sabbia, pesce, reti appese ad asciugare. 

Il porto di Egina, tanto simile quanto distante al porticciolovariopinto del suo paesello fuori Atene. 

Il vociare dei commercianti, in trattativa coi pochi turisti, i polipi appesi, stesi ad asciugare su fili tirati da un palo all’altro, come tradizione impone.

Il motore del piccolo motorino spento, a riposo; la speranza di tornare a sentirlo scoppiettare qualche minuto più avanti, intrecciata alla consapevolezza della scarpinata conseguente in caso contrario.

La realtà del ventottenne per qualche giorno rivoluzionata, sospesa, abbandonata altrove, lasciata sul porto del Pireo in attesa di far ritorno. Il fanciullo che tornato in quel piccolo fazzoletto di terra nell’arcipelago Saronico rivive il passato, il suo, quello di suo nonno, quello di suo padre, quello della sua gente.

“Dodici euro? Facciamo dieci e una stretta di mano!” 

La trattativa distante di un vecchio sconosciuto dai tratti familiari, che senza pudore o vergogna mercanteggia nel senso più letterale e vero di quel termine, con lo stesso spirito di un tempo; e quasi la parola euro stranisce e stride in quell’atmosfera remota, quasi ci si aspetti sentir discutere in dracme.

Un sorriso ad increspare le labbra di Andy, all’udire la pronuncia del padre nel salutare l’amico, velata momentaneamente da quell’accento isolano ricevuto in eredità, ma così poco spesso sfoggiato al di fuori dell’atollo Saronico, quasi in un moto di vergogna, celato provincialismo.

Eredità che nel suo di greco quasi non aveva traccia, cresciuto e abituato solo al dialetto corretto e scolastico della capitale.

“Ti ricordavo grande così!” il vocione di Hektor a lui diretto, sciolse momentaneamente la bolla di ricordi e pensieri, facendolo avvicinare al vecchio amico del nonno, che di buona memoria, come ben diceva non vedeva da parecchio.

Uno scambio di informalità tra le più moderne quello che intercorse, a cui le risposte si avvicendarono retoriche.

“E la ragazza, quando la porti sulla tua isola?” una domanda come tante, come sempre esposta pour parler e uno sguardo che saettòdal figlio al padre in un tacito intendimento, condito da un sorriso d’intesa.

“Sono ragazzi impegnati, dove lo trovano il tempo…” un impiccio levato ad arte ed un ringraziamento taciuto, tra chi si conosce, si rispetta, si ama, semplicemente.

Il cestino di vimini fatto pesante dai due polipi che vi trovano casa; il vociare e i colori del porto a scorrere di nuovo dietro i piedi dei due, rivolti quindi speranzosi verso quel loro mezzo di trasporto vetusto che però non tradisce, come un buon vecchio marinaio, e fa riecheggiare nuovamente la sua voce scoppiettante, tra le barche e le vie.  

 

“Incredibile, ce l’avete fatta!”

Eleni accolse i due fratelli con un ghigno ironico e la telecamera di nuovo puntata verso padre e fratello andando loro incontro.

“Ebbene sì!” gioì Andy, portando con sé il cesto e poggiandolo sul tavolo per mostrare alla sorella il bottino dell’escursione.

Perfino cucinare in quella vecchia casa fu un’impresa, tra fornelli a bombole e padelle troppo grandi, ma la sensazione di campeggio e di libertà che i tre provavano, era meglio di qualunque confort di una moderna villetta intrisa di domotica.

“Dovremmo sistemarla questa casa” asserì Eleni seduta al tavolino di pietra sotto alla vecchia veranda, davanti ad un piatto di polipo con patate.

“Dovremmo sì…” commentò il padre che da quando quasi un ventennio prima aveva sepolto il padre, non aveva mai davvero avuto tempo di sistemarla come doveva, lasciandola decadere a poco a poco.

Lavorando e vivendo tra Londra e Atene infatti, passava nella casa natia solo qualche giorno in estate coi figli.

“Erano 5 anni che non venivo…” affermò Andy dopo un breve calcolo, ricordando le ultime estati passate per il mondo o a lavorare, o entrambe le cose.

“Dovresti portarci Mika… Ragni a parte, credo gli piacerebbe parecchio.” Ragionò Alexis, certo che il figlio non ci avesse mai portato il compagno, in tutti gli anni che avevano passato l’uno di fianco all’altro.

“Hai detto bene! Ragni a parte!” rise il biondo, conscio che se davvero voleva invitare Mika, avrebbe dovuto farlo dopo una pulita generale della casetta, onde evitargli attacchi di aracnofobia.

“Adesso che sono in pensione, potrei trasferirmi qui qualche mese e ristrutturarla, sempre se vostra mamma non chiede il divorzio!” rifletté Alexis ridendo, valutando la possibilità di tornare per un periodo a vivere proprio sull’isola della sua infanzia, ma temendo una reazione non proprio felice della moglie, profondamente legata alla sua Londra.

“Voi due siete sempre in giro per il mondo, se sparisco anche io, ci disconosce tutti e 3!” considerò da bravo marito. 

“Mandale una foto ogni tanto” rise Andy, prendendo amorevolmente in giro i genitori.

“A proposito di foto!” Eleni si alzò velocemente dal tavolo, fiondandosi in casa, per riemergere solo 5 minuti più tardi con una cornicetta in vetro e legno.

Alexis prese tra le mani ciò che la figlia aveva ritrovato in un vecchio cassetto e la spolverò con la maglietta. “Ma che meraviglia!” sorrise gioioso ai tre visi sorridenti di un sé stesso 40enne, di una Eleni di non più di 9 anni e un Andy di 4 o 5 con in testa lo stesso cappello recuperato dal padre poche ore prima.

“Fantastica! La dobbiamo rifare!!” Il biondino si animò immediatamente, vedendo quel vecchio reperto storico e quella volta fu lui a correre in casa al volo.

Quando tornò, teneva tra le mani un oggetto addirittura più vecchio della cornicetta e del cappello verdognolo.

“Ah è questa la macchina fotografica che hai preso a New York!” si entusiasmò Eleni, avvicinandosi all’apparecchio, ma ricevendo uno stop dal fratellino.

“Giù le mani, questa non si tocca!” la ammonì lui. Iniziò a guardarsi attorno e poi armato di un piccolo cavalletto portatile, sistemò la macchina fotografica nel punto in cui la loro madre quasi 23 anni prima aveva scattato quella fotografia, attento a far entrare nell’immagine la stessa porzione di casa e di tavolo.

Minuziosamente sistemò il tutto e dopo aver messo a fuoco impostò la modalità ritardo, equivalente al moderno autoscatto, rubando il cappello al padre, calcandoselo in testa e posizionandosi nella stessa identica posa che tutti e tre avevano assunto più di due decadi addietro.

“Ne voglio una copia da mettere accanto a questa!” decretò immediatamente Alexis, non appena Andy ripose la fotocamera, facendogli nascere un sorriso.

“Penso che ne farò stampare tre o quattro copie… giusto per sicurezza…”

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Buongiorno a tutti e tutte!
capitolo particolare questo, forse un po' fuori dagli schemi. Un primo piano su un momento di Andy senza Mika. Come ho già detto tempo fa, i due ormai li ritengo protagonisti allo stesso livello, quindi mi sembrava giusto lasciare un attimo da parte il ricciolino. Scusate la piega vagamente poetica che ha preso questo capitolo ma devo ammettere che io la bucolica desolazione di certe isole greche la amo alla follia... 
Un'ultima cosa: il concetto di pronoia, è qualcosa di poco conosciuto, ma che mi piace molto e mi appartiene. Non è altro che l'antitesi della paranoia, una sensazione di piacere, quasi atarassia, in cui si sente che tutto sta andando come deve, che se una cosa potrà andare a nostro favore, lo farà. Un po' il contrario della decantata legge di Murphy per intenderci. Qualcosa di cui tutti dovremmo riconoscere la vitale importanza.
Bene, la smetto. Spero che questo piccolo spaccato di vita familiare sia stato di vostro gradimento!
vi aspetto con le caramelle! 
A presto e grazie a tutti!!
Vv
  
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