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Autore: Son of Jericho    19/11/2017    1 recensioni
Sequel di "How can I know you, if I don't know myself?"
Sono trascorsi due anni da quando il sipario è calato sullo spettacolo alla Hollywood Arts. La vita per i ragazzi sta andando avanti, tante cose sono cambiate, e sta arrivando per tutti il momento di affrontare responsabilità, problemi e sorprese.
E mentre impareranno cosa significa crescere, si troveranno faccia a faccia con il tormento più profondo: i sentimenti.
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Andre Harris, Beck Oliver, Cat Valentine, Jade West, Tori Vega
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Bade - Cuori tra le fiamme'
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XI – Warm Winds, Broken Wings


 

Gli occhi di Freddie si ritrovarono a fissare il buio, mentre la campana batteva i rintocchi delle due.

La finestra gli sorreggeva coraggiosa la testa. Lo sguardo si gettava disperatamente al di là del vetro, fino a perdersi nelle tenebre.

Dormire sembrava ormai fuori discussione. Non riusciva a chiudere gli occhi, senza che il volto di Sam si ripresentasse a lui.

Le palpebre sbattevano sempre più lente e pesanti, il fisico era messo a dura prova dalla fatica. Combattuto tra il bisogno di riposo e quello di restare sveglio, con la presunzione di non voler perdere neanche un attimo di quell’immagine impressa. Per quanto il corpo lo richiedesse, non voleva smettere di pensare a lei.

Perché nemmeno sapere di poterla rivedere la mattina successiva, stava dando sufficiente pace alle sue membra stanche.

Anche allora desiderava averla lì, per riempire le pareti sempre troppo vuote della sua stanza e quell’assillante silenzio.

Per quanto provasse, non riusciva a rinunciare al pensiero di Sam, al suo sorriso, alla fantasia di poter godere del suo corpo. Non importava quanto cercasse di allontanarli, i sentimenti per lei tornavano prepotenti, gridando come un’ossessione.

Non averla accanto, ecco il suo incubo. Saperla tra le braccia di un altro, immersa in una felicità di cui lui non faceva parte.

Sam era il suo tormento, ovunque andasse.

Smarrito osservava la luna, elegante dama dell’oscurità, mentre un ostinato tarlo gli domandava cosa avesse il potere di fare per stare meglio.

Forse niente, se non chiudere gli occhi e continuare a pensare a lei.

Riposa sereno, angelo mio. Stanotte sarò io a vegliare su di te.

 

*****

 

Una brezza appena accennata accompagnava Beck verso lo studio di Andre. Si era reso conto di non passare a trovare il suo amico da almeno una settimana, così appena terminato il turno alla biblioteca, si era incamminato per il quartiere, imboccando stradine sempre più interne.

A volte si era pentito di non aver partecipato al progetto del videoclip, almeno per staccare la mente da libri e per stare insieme agli altri. Eppure, finiva sempre per accorgersi quanto poco avrebbe potuto contribuire, che fosse stato al testo, alla melodia o alle scene. La musica non era proprio il suo campo, punto e basta.

Entrò nel locale sovrappensiero, senza neanche bussare. Subito, però, notò come la temperatura si fosse abbassata appena varcata la soglia.

- Perché è più freddo qui che in strada? – esclamò, richiamando l’attenzione di Andre dalla saletta di registrazione. L’amico lo salutò attraverso la vetrata e lo invitò ad avvicinarsi.

Beck si mosse con passo svelto. - Hai acceso l’aria condizionata? – domandò secco, appoggiandosi allo stipite.

Andre si allontanò con la sedia dal banco su cui stava lavorando. Sorrideva, ma aveva l’aria tutt’altro che soddisfatta. – Fino a ieri ero convinto che questo posto non ce l’avesse nemmeno, un condizionatore. Ma per fortuna ho trovato il telecomando. Come si dice: il freddo aiuta a stimolare il cervello. –

Il canadese inclinò il capo. – Come sta andando? –

Andre si lasciò andare a un sospiro. – Mettiamola così: la scoperta dell’aria condizionata è stata la parte più interessante degli ultimi tre giorni. –

- Sei fermo? –

- Non solo, ma sono pure in ritardo. Qui è passato un mese, e io sono riuscito a mettere insieme sì e no dieci righe. Non ho una base, non ho un testo e non ho uno straccio di idea di come andare avanti. – incrociò le braccia dietro la nuca. – Mi spieghi come faccio a preparare un video se non ho pronta nemmeno una canzone? –

Beck si tolse il giubbotto e lo posò su un’altra sedia. - Potresti usarne una che hai già scritto. Non lo so, una di quelle composte a scuola, o tirare fuori qualcosa dai tuoi vecchi jingle. -

L’altro scosse la testa rassegnato. – Non ci penso nemmeno. Sai che figura, se qualcuno si accorgesse che mi sono presentato con una canzone riciclata? Qui parliamo di scala internazionale, non del cortile della Hollywood Arts. Ti ringrazio ma no, non voglio correre questo rischio. –

- Cat e Tori hanno proposto qualcosa? –

Andre sollevò lo sguardo verso il soffitto per un istante. – Niente, ecco cosa. E’ da quando abbiamo iniziato che ho l’impressione che abbiano la testa da tutt’altra parte. Cat, quando non è con i bambini, è sempre chiusa in camera e non si stacca dal pc o dal telefono. E tutti e due sappiamo con chi passa le ore a parlare. Non fraintendermi, sono felice per lei, ma avrei preferito che prendesse questa cosa con un po’ più di serietà. Tori, invece… che vuoi che ti dica? Non voglio metterle troppa pressione addosso. Non sta ancora bene, era veramente presa da Thomas. –

- A proposito di Tori, come sta? Tu lo sai sicuramente meglio di me. – prese il cellulare e scorse le ultime conversazioni di WhatsApp. – Ho provato a mandarle un messaggio l’altro giorno, ma non mi ha risposto. –

- Non risponde praticamente più a nessuno. – commentò. – Noi due parliamo giusto perché viviamo insieme. Non si è ancora ripresa, anche se cerca di mostrarlo il meno possibile. Ma a volte, la notte, io la sento piangere ancora. La capisco, ha bisogno di un po’ di tempo per se stessa, per rimettere a posto le idee e venirne fuori. –

- Ce la farà, Tori è una delle ragazze più forti che conosca. –

Andre pensò che fosse una buona idea non menzionare Jade. – Hai ragione. – annuì distrattamente.

Beck rimase allo studio un’ora, tornando a parlare della canzone e della clip. Un paio di suggerimenti, puntualmente scartati, qualche battuta, e fu tempo di tornare a casa.

Non appena il canadese si fu congedato, con appuntamento per il giorno dopo, Andre decise di tornare di fronte al portatile, il cui schermo presentava una desolante pagina vuota per più di metà.

Cercò di immergersi nuovamente nel lavoro, sperando che la visita dell’amico avesse portato consiglio, e a un certo punto, fu colto da un’illuminazione.

Gli tornò in mente quello che si erano detti su Tori, su quello che stava passando, e le immagini presero a scorrere come un film.

Andre si era chiesto diverse volte come avrebbe potuto aiutarla, e finalmente forse aveva una risposta.

Chiuse il testo appena abbozzato e si precipitò a creare un nuovo documento. Le dita si muovevano velocemente sulla tastiera, e guidato dalla sua stessa voce, le parole iniziarono a prendere forma da sole.

Ecco l’idea che cercava, ecco l’idea per rialzare il morale di Tori.

La vecchia canzone sarebbe presto finita nel cestino. Ce ne sarebbe stata un’altra, più bella e più vera.

Ispirata al dolore che Tori stava attraversando, ai demoni dell’amore e del rancore. Votata, come un inno, alla rivalsa nei confronti di un insensibile traditore.

Sarebbe stata una sorpresa. La rinascita di una ragazza.

 

*****

 

Quella stessa notte, mentre Freddie Benson si struggeva e annegava nei rimpianti, Sam scopriva ancora una volta di aver trovato la sua felicità insieme a Gabriel.

Era da poco passata la mezzanotte, quando i due rientrarono nell’appartamento del ragazzo. La chiave infilata dopo diversi tentativi nella toppa, la porta aperta lentamente, quasi non riconoscessero il posto. I primi passi mossi a tentoni nel buio, dimenticandosi persino dell’interruttore. Le camminate barcollanti, con quel minimo di coordinazione e lucidità che bastava per arrivare a destinazione. Una leggera risata di Sam, quando Gabriel sbatté il piede contro il tavolino. Gli occhi pesanti e gli sguardi offuscati, le pupille implose quando la luce finalmente si accese.

I corpi eccitati, Il sangue inondato dall’alcol di una serata non troppo fuori dagli schemi.

Era Giovedì, ma avevano comunque deciso di uscire insieme agli amici di Gabriel. Erano andati in un pub nella zona di Beverly Hills, dove avevano bevuto almeno due pinte di birra ciascuno, senza contare le bottiglie di vino. Avevano trascorso una serata all’insegna del divertimento senza che nessuno ponesse dei freni.

Forse era proprio questo che rendeva la compagnia di Gabriel diametralmente opposta a quella di Sam.

Gli amici di Gabriel, tre ragazzi tutti provenienti dal quartiere latino e coetanei, non erano esattamente come Tori, Beck e gli altri. Erano cresciuti sempre insieme, abituati a fare tutto da soli, e a vivere al limite delle regole.

Facevano tutti lavoretti saltuari, o almeno questo è quello che sapeva Sam, senza stare a indagare su eventuali extra. Vivevano la vita giorno per giorno, senza particolari obiettivi o ambizioni.

Tra questi, chi aveva la testa più sulle spalle era proprio Gabriel. E probabilmente era proprio questo che piaceva a Sam: quella sensazione di libertà, di ribellione, ma senza valicare il limite della stupidità. Ogni tanto Sam si sentiva a metà strada, ma lui la faceva sentire sicura e con il mondo ai suoi piedi.

Gabriel era un americano di seconda generazione. I nonni materni erano di origini messicane, legati alla propria terra e al loro negozietto aperto dal 1942. Avevano tuttavia lasciato che la loro figlia si trasferisse nella famosa Los Angeles, per inseguire il sogno di una vita migliore e, soprattutto, per amore.

Gabriel era nato ventisei anni prima, e portava con sé l’orgoglio e il sangue di due dinastie. Il padre era diventato un impresario dalla media importanza, e aveva iniziato a girare per gli Stati Uniti in cerca di nuovi contratti e proposte. Aveva invece perso la madre, a cui era particolarmente legato, quando lui aveva appena sedici anni, in un incidente stradale.

Da allora aveva abbandonato la scuola e aveva gettato tutta la sua passione sul basket. Non potendo frequentare college, si era dovuto arrangiare in squadrette di quartiere, dove le partite finivano quasi sempre in rissa. Tutto quello che riguardava una palla arancione o un bicchiere di vino, lo rendevano in pace col mondo.

Aveva avuto la fortuna di essere assunto come cameriere in una steakhouse, con un titolare di buon animo che gli aveva assicurato un posto fisso e discretamente retribuito. E infine, la sua fortuna più grande era stata innamorarsi di Sam.

I due si gettarono sul letto intatto, quando l’orologio segnava mezzanotte e venti. I giubbotti lanciati alla meglio sul divano, e le scarpe rovesciate sul pavimento.

Si sdraiarono su un fianco, uno di fronte all’altro. Sorridevano felici, non solo per l’alcol.

- Domattina dovremmo andare a lavorare. – bisbigliò Sam.

- Ho il turno di pomeriggio. –

- Ma io no. Sto pensando di darmi malata. –

Lui le accarezzò i capelli. – Non ce ne sarà bisogno. Non c’è niente che non passi con una bella doccia. –

Non riuscivano a staccarsi gli occhi di dosso. I loro corpi fremevano, le loro bocche tanto vicine da sentire ancora l’odore del vino.

Le loro mani si incrociarono. Prima di Gabriel, Sam non ricordava di aver provato altri momenti così. Il suo spirito da lupo solitario aveva sempre portato a rapporti burrascosi con quei pochi ragazzi che credevano di aver conquistato il suo cuore.

Ma con Gabriel era tutto diverso, e anche lei si sentiva diversa. Gabriel le stava facendo provare qualcosa di nuovo, che non aveva mai provato.

Con un rapido movimento, Sam si alzò sulle ginocchia. – Allora, visto che ci siamo… - mormorò con aria provocante, sfilandosi la maglietta e lasciando che lo sguardo del ragazzo si posasse estasiato sul seno procace.

Gabriel schiacciò la schiena contro il materasso, e Sam gli salì sopra a cavalcioni. Sentiva già dura ed evidente la sua eccitazione, che premeva come un ossesso contro l’inguine.

Si chinò verso di lui, gli afferrò la nuca e lo trascinò in un bacio appassionato, preludio a una notte di solo amore.

Una notte in cui non sarebbe esistito niente e nessun altro, a partire da Freddie.

 

*****

 

- Io non so più cosa pensare. –

Beck si portò alla bocca la tazza ancora fumante, affondandoci dentro lo sguardo. Nascose un leggero sorrisetto nel caffè, mentre immaginava cosa potesse passare per la mente di Freddie.

Quando, a mezzogiorni meno dieci, aveva sentito il cellulare squillare insistentemente, aveva subito intuito che fosse lui, senza nemmeno guadare il display.

Di solito si ritrovava al Franklin con gli altri per trascorrere l’ora di pausa pranzo, ma il fatto che Freddie lo avesse chiamato e invitato in un altro posto, significava che aveva bisogno di parlargli.

Avevano mangiato due panini ripieni, e adesso si stavano godendo il caffè e gli ultimi minuti prima di dover rientrare a lavoro. E nel frattempo, tante parole spese su Sam.

- Non sai mai se sei di fronte a Dr. Jekyll o Mr. Hyde. – provò a sdrammatizzare il canadese, abbozzando una risata.

- Qualcosa del genere, ma sto parlando sul serio. –

Freddie aveva l’aria assorta, come quasi ogni volta che parlava di Sam. Si vedeva chiaramente, che quella ragazza occupava gran parte dei suoi pensieri. – Lo so. –

- Non capisco quale lato di lei dovrei riconoscere. – iniziando a raccontare, Freddie si era scaldato. – Ti dico la verità: quando siamo a lavoro, mi sembra di essere tornato indietro di cinque o sei anni. Stiamo insieme, ci divertiamo, siamo complici. E per un po’, mi illudo che tra noi possa davvero esserci qualcosa. Non so spiegarti bene cosa, ma sento che c’è. –

Decise di prendersi una breve pausa. Finì la sua bevanda e riportò la tazza al bancone. Quando tornò, si lasciò andare a un sospiro prima di ricominciare. La seconda parte era ancora più difficile.

- Ma fuori dalla ditta, è come se fossi catapultato in un altro mondo. Quando usciamo, quando ci siete anche voi, è come se io non esistessi nemmeno. L’hai visto anche tu, l’altra sera, mi ha a malapena salutato, e non mi ha mai rivolto due frasi di seguito. –

- Forse doveva parlare di qualcos’altro con le ragazze. –

Freddie scosse il capo, per niente convinto. – Lo sai che da quando sono qui, non sono mai riuscito a prendere un caffè con lei? Non pretendevo certo un appuntamento, eppure non ho mai avuto l’occasione di fare nemmeno due chiacchiere che non fossero di lavoro. Tre volte l’ho invitata, e tutte e tre le volte ha detto di avere già degli impegni. –

L’amico sollevò un sopracciglio. – Magari era vero. –

Freddie scosse la testa con maggior veemenza. – Andiamo, non raccontiamoci sciocchezze. Io non capisco, non ci arrivo. Non vedo perché dovrebbe comportarsi in due modi così diversi con me. Non è più come in passato, ok, è inevitabile. Ma non capisco perché debba continuare a mettere questi muri tra di noi. –

Beck si tirò su sulla sedia, incrociò le braccia e aggrottò la fronte. Sembrava stesse rincorrendo un pensiero, e fosse sul punto di raggiungerlo. – Vediamo se ci sono: te ne sei andato da Seattle perché ritenevi che non ci fosse più niente per te. Sei corso qui a Los Angeles inseguendo il tuo sogno, ma poi scopri che Sam nel frattempo è andata avanti e sta con un altro. Dici di essere ancora innamorato di lei, eppure adesso sembri accontentarti di fare soltanto la parte dell’amico. Dovresti essere venuto qui per spaccare il mondo, e invece te ne stai qui a chiederti perché non ti rivolge la parola. Pensavo volessi sconfiggere la tua paura. Vorresti stare con lei, ma il massimo che stai sperando è di recuperare il vostro vecchio rapporto. Dimmi una cosa: sei sicuro di sapere cosa vuoi veramente? –

Freddie si era raggelato di fronte alle parole del canadese, sorpreso di dover guardare in faccia una realtà tanto dura. Si ritrovò incapace di rispondere.

Prima di proseguire, Beck tornò con i ricordi a qualche mese prima. Ecco qual era il pensiero che stava inseguendo. Il tarlo aveva finalmente acquisito un volto e una voce.

Anche lui si era trovato nella stessa situazione, quando ancora credeva che le cose con Jade stessero andando bene. Quello che non aveva compreso, era quanto la sua fuga a Seattle avesse rovesciato le carte in tavola. Magari non in superficie, ma nel profondo, ognuno di loro portava almeno una piccola cicatrice.

Troppo tardi aveva realizzato di non essere mai riuscito a rimettere ordine nel suo cervello.

E in quella nebbia, forse nemmeno lui sapeva cosa voleva realmente.

- Perché tu non sembri innamorato. – riprese infine. – Sembri confuso. E stai cercando a tutti i costi una ragione per restare a Los Angeles. -

 

*****

 

Robbie era riuscito ad evitare la prima chiamata, ma non aveva potuto nulla alla seconda.

Così la faccia gioiosa di Cat aveva invaso lo schermo del suo portatile, i capelli rossi e un po’ arruffati a fare da cornice.

Al saluto caloroso della ragazza, Robbie aveva risposto mascherando quello strano senso di disagio che stava provando. Non riusciva a spiegarlo neanche a se stesso, eppure lo accompagnava ogni volta che sapeva di dover rivedere Cat.

E la prima domanda che gli fece, poco dopo, lo mise ancora di più in difficoltà. Il sorriso di Cat non bastava a renderla meno complicata. Fu come una coltellata nel petto. – Quest’anno tornerai a casa per Natale? -

Robbie lasciò scorrere tra loro alcuni secondi di silenzio. Si tolse gli occhiali, afferrò il cencio che teneva sulla scrivania, e si mise a pulire un’inesistente polvere sulle lenti. Era l’unico modo che aveva per distogliere lo sguardo.

Aveva letto tutta la speranza nelle parole di Cat. Ed era proprio per questo, che sapere di mentirle faceva dannatamente male.

Da due anni continuava ad annullare impegni, rimandare inviti, rovinare promesse. Soprattutto alla ragazza che gli era stata più vicina, l’amica a cui teneva di più.

Si era aggrappato a così tante scuse che ormai aveva perso il conto. Ogni volta si vergognava, ogni volta diceva di smettere, e di cedere a quella parte di se che desiderava rimettere piede a Los Angeles. Ma finiva per accadere sempre il contrario. Natale, in particolare, era il periodo più difficile da superare, con parenti e amici che lo pregavano di tornare a casa, anche solo per qualche giorno.

Robbie inforcò gli occhiali, sicuro di cosa fare. Anche quest’anno, avrebbe utilizzato la risposta dello scorso.

- Mi dispiace, ma non credo di farcela. Sono pieno di impegni, tra l’università e i prossimi esami. –

Niente di tutto ciò. Soltanto la consapevolezza di aver deluso per l’ennesima volta la fiducia di Cat.

Quel pomeriggio, la chiacchierata fu molto più breve del solito. Il rifiuto di Robbie pesava come un macigno sul tono di entrambi, che per ragioni diverse sembravano trattenersi l’uno nei confronti dell’altra, come se non avessero altro da dirsi.

Appena Cat si fu congedata, Robbie chinò il capo. Vedere quell’aria triste impadronirsi di lei, rabbuiarle il volto, gli spezzava il cuore. Eppure, non era così sicuro di aver sbagliato a mentirle.

In fondo, ogni volta che la vedeva attraverso lo schermo, aveva l’impressione di vedere la stessa ragazza di due anni prima.

Aveva davvero un senso continuare così?

Tante notti si era interrogato su quello che aveva con Cat. Sentimenti, sogni lontani, sentire la sua mancanza, lasciarsi cullare dalla sua voce. C’era tutto questo, certo, ma cosa avevano in realtà?

Non avevano costruito niente per loro. Centinaia di chilometri a dividerli, la linea web come unico contatto, il ricordo di quell’unico bacio che puntualmente riaffiorava e faceva ancora più male. Non era questo che desiderava avere con Cat.

Esisteva un modo per definire la sua storia con lei?

Purtroppo sì. Niente.

 

*****

 

Dopo una settimana, Tori riuscì a trovare la forza per dipanare la nebbia che la stava attanagliando.

Aveva fatto appello a tutta la sua determinazione, alla sua voglia di crescere, persino alla sua testardaggine, per non arrendersi di fronte al dolore. Voleva dimenticare i lunghi pianti, rannicchiata nel letto o davanti allo specchio, struggendosi per una delusione come ce ne sarebbero state tante altre.

Quel giorno, Tori afferrò con vigore la borsa e si decise a tornare a lavoro, incoraggiata anche da Andre, amico sempre presente.

Riordinò un po’ le idee prima di attraversare la soglia del market, studiando una qualche strategia per superare almeno la prima giornata. Pochi passi, incerti e da fare uno alla volta.

Il primo, gestire le domande dei colleghi e del direttore. Tutti sapevano che lei era rimasta a casa con l’influenza, perciò era fondamentale che quella rimanesse la versione ufficiale. Certificati medici, ricette del dottore, medicine prescritte, riposo al caldo. Come un disco rotto, ripeté nella prima mezzora le stesse cose ai ragazzi che lavoravano lì, curiosi o semplicemente preoccupati per lei.

Aveva l’aria spossata e abbattuta, gli occhi ancora gonfi e arrossati, ma era convinta di poter nascondere tutti questi sintomi con quelli della febbre.

Ciò che più la preoccupava, era ovviamente il pensiero di rivedere Thomas. Sapeva di non poterlo evitare per sempre, in fondo condividevano mansioni e reparto, ma per adesso, le sarebbe bastato stargli lontano per un solo giorno.

Il turno le fu parzialmente favorevole. Thomas staccava alle due, mentre Tori iniziava a mezzogiorno. Furono due ore di fuoco.

Appena lo vide, si rese conto di non essersi ripresa del tutto. Era stata stupida anche solo a pensarlo. Come avrebbe potuto dimenticare o passare sopra a quello che era successo, se poi tornava a fissare quei grandi occhi marroni? Allora schivava lo sguardo, cambiava direzione, taceva e si nascondeva in magazzino alla prima opportunità.

Il solo percepire la sua vicinanza la faceva sentire ancora fragile. Non era più come in passato, ma c’era sempre qualcosa che la rendeva inquieta, insicura, confusa.

Lui, invece, sembrava stranamente timoroso. Con gli occhi bassi, Thomas aveva lavorato in silenzio per l’intero turno. Non aveva provato a salutarla, a rivolgerle la parola, nemmeno a chiederle come stava. Soltanto qualche occhiata fugace, puntualmente rifiutata.

Quando Tori lo vide uscire dal market, con il casco in mano alle due e dieci, tirò un profondo sospiro di sollievo. Sarebbe stato impossibile continuare così, ma essere incolume al termine del primo giorno, era comunque per lei una piccola vittoria.

Ottenne dal direttore il permesso di staccare un’ora prima, e alle cinque in punto, fu di nuovo libera di respirare all’aria aperta.

Tutto il respiro, però, le si mozzò in gola quando arrivò al parcheggio. Appoggiato alla sua moto, stretto nel giubbotto e con il bavero rialzato, Thomas sembrava averle teso un agguato. Aveva parcheggiato proprio dietro la sua auto, impedendole quindi di uscire.

Tori decise di proseguire, ma sentiva il sangue scorrerle sempre più violentemente ad ogni passo che faceva verso di lui. Gli si fermò di fronte, stringendo la borsa come un’ancora di salvataggio.

Il momento della verità era arrivato prima di quanto avesse immaginato. Non era pronta, faceva ancora troppo male.

Cercava di non farsi sfiorare dall’espressione seria e pensierosa che albergava sul volto di Thomas, e combatteva il tremore dentro di lei con la rabbia.

- Devo tornare a casa. – esordì decisa.

Thomas non pareva sorpreso. Infilò le mani in tasca e si preparò al confronto. - Ti stavo aspettando. -

- Il tuo turno è finito quasi tre ore fa, credevo te ne fossi andato. –

- Ho fatto un giro in moto e sono tornato qui. –

Tori reagì con una risatina nervosa. - Bravo. –

Lui le si fece improvvisamente più vicino, accostando il viso al suo. - Dovevo parlarti. –

- Io non ho niente da dirti. – replicò lei, facendo un passo indietro ed estraendo le chiavi della macchina dalla borsa.

Thomas corrugò la fronte, deglutendo pesantemente. - Lo so, ma non ti lascerò andare via così. –

- Fai come ti pare. Io ingrano la retromarcia, che dietro ci sia o no la tua moto non mi interessa. –

- Io non mi muovo da qui. -

Lei, per la prima volta, fu sul punto di perdere il controllo. – Che cosa pensi di fare? Io non sono tua moglie… -

Thomas mostrò di essere stato colpito nel vivo. Esitò, prima di trovare le parole successive. – Tori, io… -

- Io sono stanca e non ho voglia di parlare, ma solo di andare a casa e godermi un bel tè sul divano. –

Provò a raggiungere l’auto, ma lui le si parò davanti. – No. Non potrai continuare ad evitarmi in eterno. –

- Togliti di mezzo. –

- Tori, noi dobbiamo parlare. –

- Non mi interessa. Sposta la moto! –

Incenerito dalla voce della ragazza, Thomas decise di abbandonare la prima contesa. La lasciò passare, spostando la moto un paio di metri indietro per non farsi investire. La fissò attraverso il vetro, mentre lei armeggiava nella borsa, avviava il motore e partiva subito ad alti giri.

All’uscita del parcheggio, i loro occhi si incrociarono per un solo istante, pieno di emozioni contrastanti.

Appena Tori fu abbastanza lontana perché non potesse vederlo, Thomas afferrò il casco e lo indossò rapidamente. Niente è mai finita dopo un solo round.

Tori percorse il tragitto verso casa dominata da un brivido che si estendeva dalla testa ai piedi. Teneva le mani incollate al volante per non lasciarle tremare, i denti digrignati e gli occhi puntati sull’asfalto.

Ma concentrata sulla guida, non fu in grado di accorgersi della moto che, a distanza di sicurezza, la stava seguendo.

Soltanto quando fu arrivata sotto casa, rimase sconcertata. Vedere quelle due ruote accostare di nuovo dietro la sua macchina, significava dover ricominciare a lottare, e stavolta senza forze.

Con una frenata energica, arrivando a sfiorare il bagagliaio dell’auto di Tori, Thomas saltò giù e lanciò il casco sul sedile.

- Vorrei solo che tu mi ascoltassi. –

Tori sentì una crepa alla bocca dello stomaco, e il silenzio fu l’unico modo che trovò per difendersi.

Lui percepì il minuscolo spiraglio in cui giocarsi le sue carte. – Io non ho mai voluto niente di tutto questo. E adesso, l’ultima cosa che voglio è che tu stia male per colpa mia. C’è stato qualcosa tra noi, non puoi negarlo. Qualcosa che è andato oltre quello che immaginavamo, io per primo. –

- Davvero? E come credi che mi sia sentita? Mi hai preso in giro come una stupida! – gli strillò contro, mossa da un sussulto.

Lui abbassò il capo e lo scosse. – Lo so, lo so. Ma io non avevo pianificato nulla. Non esisteva nessuna strategia, nessun piano di cui tu facessi parte. E’ successo e basta. Sei entrata a far parte della mia vita con la stessa forza di un… meteorite che spazza via tutto il resto. –

La voce di Tori si stava lentamente incrinando. – Ma… tu hai una moglie… tu sei sposato! –

- E le sono sempre stato fedele. Anni di matrimonio, le cose non vanno bene tra noi adesso, ma non l’ho mai tradita. Ma quando stavo con te, era come se tutto il resto sparisse. – Poche parole, non aveva molto tempo per spiegare. Doveva riuscire a convincerla, e non c’era margine di errore.

- E che mi dici di quello che c’è stato tra noi? Quello che abbiamo fatto? -

- Non lo rimpiango nemmeno per un secondo. Era un tormento dover tornare a casa, ogni giorno, e mentire in faccia a mia moglie. Ma per tutto quel tempo ho creduto davvero in noi. –

Il brivido in Tori si trasformò in una scossa, e una piccola lacrima iniziò a formarsi all’angolo dell’occhio. – Ma hai mentito anche a me! Perché, se tutto ciò che dici è vero, mi hai trattato come se non contassi niente? Mi spieghi perché dovrei ricominciare a fidarmi di te? O perché dovrei restare ancora ad ascoltarti? –

- Perché avevo paura. – il tono di Thomas si era improvvisamente abbassato, mostrando le emozioni che dominavano anche il suo cuore.

- No, perché sei stato un bastardo! –

In un attimo, le ultime difese crollarono definitivamente. Tori gli si lanciò contro guidata da un senso di disperazione, cominciando a prenderlo a pugni sul petto tra le lacrime e i singhiozzi. Voleva fargli del male, così come lui lo aveva fatto a lei.

- Sei stato un bastardo! – ripeteva. – Perché mi hai fatto questo? –

Più che i colpi sullo sterno, Thomas percepiva proprio la debolezza della ragazza. La resa di qualcuno che si è visto portar via la felicità. La strinse a sé in un abbraccio caldo e vigoroso. No, la loro felicità non era ancora finita.

Tori non cercò di divincolarsi. Sorpresa e confortata dalla stretta, finalmente alzò lo sguardo, lucido e arrossato. Essere a contatto con lui, così vicina, era un tipo di brivido diverso. Un fremito a cui non aveva saputo resistere in passato.

Era più forte di lei.

Di nuovo quegli occhi marroni…

E prima che potesse pensare a qualsiasi cosa, si era già abbandonata tra le braccia e le labbra di Thomas.

 

 

 
   
 
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