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Autore: eleCorti    19/11/2017    8 recensioni
“Senti... riguardo a quello che è successo oggi...” avanzò a passi lenti verso la giovane che giaceva davanti alla porta della sua stanza spoglia composta da un letto, un comodino di legno, una sedia e uno scrittoio appoggiato al muro.
“è stato solo un errore. Dimenticalo” si fermò davanti a lei.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice, Gilbert Nightray
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Amore proibito


Ripensava ancora a quello che era successo in quel vicolo. Lui e lei soli. E poi era successo. Non aveva resistito a quella tentazione. L’aveva baciata, sollevata e fatta aderire al muro. E poi tutto era finito. Si erano risvegliati da quell’incantesimo per ritornare alla brusca realtà. Lui era Gilbert – un uomo adulto – lei Alice, uno spirito dalle sembianze di una bambina.
E ora che erano ritornati al loro quartier generale – al loro castello – i sensi di colpa si erano fatti più forti. Quello che avevano fatto, non era giusto. Il loro amore – se mai fosse esistito – era proibito.
Si mise le mani sui capelli corvini, stringendo con una forza tale da quasi strapparli. Era disperato. Il problema era: era pronto a mandare tutto all’aria e dare sfogo a quei sentimenti che provava verso quella ragazza che lui chiamava usagi, o reprimere tutto e dedicare la sua vita alla dedizione verso il suo padroncino? Per la prima volta in vita sua, il giovane Gilbert non sapeva che fare.
Poi la porta si aprì. Era lei, Alice. Era rossa in volto, segno che anche lei fosse in imbarazzo per quello che era accaduto qualche ora prima. Il suo sguardo era distolto, guardava, infatti, in basso pur di non entrare in contatto con i suoi occhi.
“Hai dimenticato questa, testa di alghe” gli tirò in grembo un sacchetto, pieno di utensili che aveva comprato durante la loro ispezione in quella cittadina.
“Grazie, baka usagi” fissò per qualche secondo il sacchetto, poi lo prese e lo appoggiò sul comodino. Si alzò. Anche lui fissava il pavimento. Non voleva guardarla negli occhi.
“Senti... riguardo a quello che è successo oggi...” avanzò a passi lenti verso la giovane che giaceva davanti alla porta della sua stanza spoglia composta da un letto, un comodino di legno, una sedia e uno scrittoio appoggiato al muro.
“è stato solo un errore. Dimenticalo” si fermò davanti a lei.
La vide alzare lentamente lo sguardo verso di lei. Era carico di rabbia, come se stesse per scatenare il mostro Rabbit.
“Sei uno stupido, testa di alghe!” disse con un tono piatto. Il giovane Gil alzò un sopracciglio, segno che fosse alquanto perplesso.
“Sì, stupido! Stupido! Stupido!” iniziò a prendere a pugni il petto del giovane, ormai fuori di sé.
Gil chiuse gli occhi e strinse i pugni, segno che anche lui stava per farsi prendere dalla rabbia. Perché quella stupida ragazzina non capiva che quello che aveva appena pronunciato gli era costato duro?
“Basta!” gridò, infatti, afferrando le braccia della ragazzina, allontanandola da sé e facendola sussultare.
“Non capisci che è tutto un errore, eh?” ora era lui che riversava la sua rabbia verso di lei. Aveva iniziato, difatti, a scuoterla.
“E non pensi a... me?” aveva detto la giovane, tuttavia tentennando sull’ultima parola. Le lacrime che premevano di uscire le avevano fatto incrinare la voce.
Anche Gil si fermò. Fissava gli occhi della giovane pieni di lacrime e disperazione. Sospirò: non riusciva a vederla così. Lo faceva stare male. Lo faceva sentire un verme il fatto che fosse stato lui a provocare cotanta disperazione. Asciugò con il pollice le lacrime della giovane. Alice sussultò sotto il suo tocco. Fu un attimo. Aveva posato la mano sulla sua calda guancia e l’aveva attratta a sé, posandole un altro bacio. Un bacio più passionale, più rude, privo di qualsiasi raziocinio.
L’aveva sollevata in braccio e, con grandi passi, una volta raggiunto il letto, l’aveva adagiata sopra di esso mettendosi sopra di lei.
La stava ancora baciando mentre con la mano destra percorreva il suo ventre da sopra la veste nera. Ma fu quando si concentrò sul suo collo ed aveva alzato la sua coscia sinistra, che Gil tornò in sé. Lei si era fatta sfuggire un gemito, segno che si stava facendo prendere dal piacere.
Lasciò andare la sua coscia e si staccò da lei, osservandola dall’alto. Sotto di lui, indifesa e sua. Che cosa stava facendo? Quella non era la cosa giusta da fare. Lui un uomo, lei una ragazzina. Era una cosa deplorevole.
“Testa di alghe?” Alice proferì parola, notando che qualcosa era successa, dato l’interruzione.
“è stato...” calde lacrime bagnarono il lenzuolo, mentre Gil – a carponi sopra Alice – affondava i pugni sul materasso.
“Un errore...” finì la frase, ormai preso dal rimorso.
“Ma credevo...” non capiva: fino a un attimo fa sembrava volesse farla sua, ed ora aveva cambiato idea. Perché? Non poté fare a meno di chiedersi.
“Vai via...” sussurrò in modo impercettibile, ma lei lo sentì.
“Ma...” voleva replicare, ma le parole non le uscivano.
“Vai via!” stavolta urlò, guardandola con uno sguardo furente. Alice trasalì. Stava piangendo anche lei.
“Ti odio, testa di alghe!” ora anche lei era furente. Gli sferrò un pugno in pieno addome, mentre si alzava e lasciava, correndo, quella stanza. Piangeva.
Gil rimase lì, disteso sul letto, con la consapevolezza che, dopo quel gesto, dopo quella scelta, lei non sarebbe mai stata sua. Era finita, forse per sempre. 
   
 
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